L’attrazione proibita verso Zia Francesca
Capitolo 11 - Calma apparente e nuovi problemi in casa

due giorni dopo quella giornata di passione al mare.
Il mattino filtrava appena dalle tende pesanti della stanza, quella luce sottile e dorata che s’insinua senza chiedere permesso. Adriana era stretta contro di me, la sua pelle calda sotto la stoffa leggera dell’intimo, il profumo dei suoi capelli castani che mi annebbiava ancora i pensieri. Avevamo passato gran parte della notte a ridere, a raccontarci cose che nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di dire ad alta voce. Chi avrebbe detto, anni prima, che sarei finito così con lei.
Il battito lento e regolare del suo cuore contro il mio petto mi aveva quasi fatto dimenticare di essere a casa della nonna. Quasi.
Poi sentii la porta aprirsi piano. Un cigolio leggero. Istintivamente strinsi un po’ Adriana, ma non si svegliò. Rimase abbandonata tra le mie braccia, una gamba nuda sopra le mie, il respiro profondo e sereno.
Alzai lo sguardo. Francesca.
Era lì, appoggiata allo stipite, vestita di una maglietta leggera e shorts, i capelli ancora spettinati dal sonno. Ci fissava. Non disse subito nulla. Gli occhi scivolarono su Adriana, poi su di me. E in quello sguardo, per un istante, vidi qualcosa. Una fitta sottile, amara. Non saprei se definirla rabbia, dolore o semplice gelosia, ma era lì. Lampante.
Non lo ammise neanche a sé stessa, lo sapevo. Ma io lo vidi.
«Bella scena, eh?» mormorò, con un mezzo sorriso storto che voleva sembrare divertito e invece sapeva di fastidio.
Mi passai una mano tra i capelli. Non avevo intenzione di spiegarle niente, non lì, non ora.
«Che c’è?» borbottai, ancora impastato di sonno.
Lei sospirò, distogliendo lo sguardo da noi. «È in arrivo la disgrazia.»
Ci mise un attimo a capire a chi si riferisse. Poi lo disse: «Lara.»
Il mio stomaco fece un balzo. Il solo nome bastava a rovinare la pace di quella mattina. Se c’era una persona capace di ficcare il naso dove non doveva e far saltare tutto, quella era Lara. Lingua lunga, occhi velenosi, sempre pronta a farsi i cazzi degli altri e a riferire tutto alla prima occasione utile.
Francesca si avvicinò al letto e diede una scrollata leggera alla spalla di Adriana. «Sveglia, piccola. Sta arrivando il ciclone.»
Adriana si stiracchiò appena, mugugnando, gli occhi ancora socchiusi. Quando realizzò di essere così abbracciata a me, davanti a Francesca, arrossì appena e si scostò di quel tanto che bastava per sembrare innocente. Ma io lo sentii, il modo in cui le sue dita indugiarono sulla mia pelle prima di allontanarsi.
Francesca li guardò entrambi, serrò le labbra e scosse la testa. «Forza, sistematevi. Non possiamo farci trovare così. Quella stronza sente l’odore di una cosa fuori posto e non ci molla più.»
Non servì aggiungere altro. Lo sapevamo tutti e tre.
Lara era una disgrazia annunciata. E stava per abbattersi su di noi.
Nemmeno venti minuti dopo, mentre ancora cercavamo di sembrare una famiglia normale, ognuno intento a fare finta di niente in salotto e poi arrivò Lara.
Lo capii ancor prima di vederla, dal rumore dei suoi stivaletti troppo stretti contro il vialetto, dal profumo pesante e dolciastro che invadeva l’ingresso come un avvertimento.
Quando la porta si aprì, il mondo sembrò diventare più appiccicoso, più fastidioso. Ero abituato alla sua presenza tossica, ma ogni volta riusciva a farmi schifo più della precedente.
Lara era la compagna più giovane di mio padre. Una donna che doveva avere trent’anni o poco più, ma si ostinava a vestirsi e atteggiarsi come una ventenne a caccia di attenzioni. Una BBW nel senso più pieno del termine: forme abbondanti e generose ovunque, fianchi larghi, cosce grosse, seni enormi che sembravano volerle esplodere dalla scollatura di quel vestitino troppo corto e troppo attillato.
Aveva i capelli castano chiaro, un po’ spenti, raccolti in una coda disordinata che non riusciva a nascondere qualche filo di grigio. La pelle del viso non era perfetta, segnata da piccole imperfezioni e cicatrici leggere, il nasino corto e leggermente all’insù, labbra sottili e fameliche che sorridevano sempre troppo e occhi verdi, di un verde slavato che sapeva più di falsità che di fascino.
Appena entrata, spalancò le braccia come se fossimo una cazzo di famiglia del Mulino Bianco.
«Eccomi qui, amori miei!» strillò con quella voce troppo alta, troppo acuta, che mi fece accapponare la pelle.
Adriana si irrigidì accanto a me, istintivamente. La vedevo. Ogni volta che Lara era nei paraggi diventava un’altra persona, più chiusa, più nervosa. Non la sopportava neanche lei.
Francesca, invece, sfoderò il suo solito sorriso di circostanza, quello tirato che usava per sopravvivere in mezzo ai parenti molesti. «Ciao, Lara… che sorpresa.»
Già, sorpresa un cazzo.
Lara fece il giro delle persone come se ci conoscesse e ci amasse davvero. Abbracciò Francesca stringendole troppo il seno contro, diede un bacino a mia nonna, m che ricambiò con aria sopportante, poi si avvicinò a me.
«Aaaah, Ale… sempre più bello!» disse allungando una mano grassoccia e inanellata a sfiorarmi il petto con una carezza che mi fece solo venire voglia di tagliarmi la pelle.
«Già…» mormorai a denti stretti. Non mi sforzavo neanche più di essere educato.
Quando si voltò verso Adriana, il sorriso le si allargò in modo sospetto.
«E questa bella figliola? Come sei cresciuta bene, eh…»
Adri le rispose con un cenno impacciato, sfiorandosi i capelli. Sapevo che Lara la metteva a disagio. Quella donna aveva sempre avuto il vizio di fissarla troppo, di fare commenti ambigui, di valutarla come si guarda un oggetto in vetrina.
Ecco, ora era tornata. Come una disgrazia che si abbatte su di noi.
Ed era solo l’inizio.
Due ore dopo, la casa sembrava più piccola, più soffocante. La presenza di Lara era come una nube di umidità pesante: ti si attaccava addosso, faceva sudare anche i pensieri.
Ci eravamo ritrovati tutti in giardino per fingere una tranquilla giornata di famiglia, seduti attorno a quel vecchio tavolo di ferro battuto che cigolava a ogni movimento.
Adriana sedeva al mio fianco, i capelli sciolti sulle spalle e le gambe nude accavallate. Ogni tanto il suo piede mi sfiorava il polpaccio sotto il tavolo. E io avvertivo quella scarica di elettricità che mi faceva desiderare di essere ovunque, tranne lì.
Francesca stava di fronte a noi, seduta con una gamba piegata sotto il corpo, che la faceva sembrare più rilassata di quanto fosse davvero. La osservavo, e sapevo leggere ogni piccolo movimento, ogni piega del suo sguardo. Fingeva di chiacchierare con mia nonna, ma ogni tanto lo sguardo scivolava su me e Adriana. Un tocco di troppo, una battuta sussurrata fra me e lei, e quella luce negli occhi di Francesca cambiava.
Gelosia.C’era. Anche se non voleva ammetterlo.Non tanto per me. Ma per quell’intesa con Adriana che ora si faceva troppo naturale, troppo complice.
Nel frattempo, Lara continuava a starmi addosso come una dannata piattola in calore.
Ogni occasione era buona per sfiorarmi una spalla, posare la mano sulle mie dita, ridere sguaiatamente alle mie battute anche quando non facevo battute.«Eh Ale… se fossi nata vent’anni dopo… chissà.»Alzava le sopracciglia e buttava l’occhio sul mio petto, con quell’aria da donna che si sente ancora irresistibile.
Adriana smetteva di ridere ogni volta che Lara mi faceva una di quelle battutine e io schivavo i suoi occhi per non ridere anch’io dell’assurdità della situazione.
Era palese.Se avesse potuto, Lara avrebbe detto qualcosa di velenoso a mio padre al primo sospetto. Quella donna era peggio di una bomba a orologeria.Ed era altrettanto palese che noi avremmo dovuto stare più attenti.
Francesca ci raggiunse in cucina mentre preparavo una caraffa di tè freddo con Adriana. Si appoggiò allo stipite della porta con le braccia incrociate e il broncio di chi non voleva chiedere spiegazioni, ma le voleva.
«Dovete andarci più piano.»Lo disse a me, ma il suo sguardo era su Adri.
«Con cosa?» chiesi fingendo innocenza, versando il tè nei bicchieri.
Lei scosse la testa. «Non fare il furbo, Ale. Lo sai bene.»
Adriana abbassò lo sguardo, mordicchiandosi il labbro. Sapeva che Francesca aveva ragione. Ma il fatto è che stavamo diventando bravi a fingere… troppo bravi. E il confine tra il gioco e il rischio stava diventando sottile.
Francesca tornò in salotto senza aggiungere altro, ma il messaggio era chiaro.
Io e Adri ci scambiammo uno sguardo d’intesa. Sapevamo che Lara, una come lei, avrebbe potuto rovinarci con una sola insinuazione. Dovevamo essere più cauti. Evitare certi tocchi, certi sorrisi troppo larghi, certi sguardi che parlavano più di mille parole.
Ma sapevamo anche che sarebbe stato dannatamente difficile.
La giornata trascorse a fatica, tra pranzi mal digeriti e conversazioni forzate. Ogni volta che Lara apriva bocca, il livello di sopportazione nella stanza scendeva di qualche grado. Si aggirava per casa come se fosse la padrona di tutto, dando ordini non richiesti, raccontando aneddoti inutili e facendo commenti velenosi mascherati da battute.
Adriana evitava di incrociarla, Francesca faceva finta di sopportarla, e io… io contavo mentalmente i minuti prima che potesse togliersi dai piedi.
La sera arrivò più in fretta di quanto mi aspettassi. Lara se ne stava davanti alla tv con una coppa di gelato, ancora ignara di tutto quello che davvero stava accadendo sotto quel tetto. E fu proprio approfittando di quel momento che io e Adriana ci defilammo di sopra.
Avevo bisogno di togliermi quella giornata di dosso, e anche lei sembrava averlo capito. Mi stava addosso da ore, con i suoi sguardi maliziosi e quelle risatine appena accennate che sapeva darmi solo quando voleva stuzzicarmi davvero.
Entrammo in camera nostra, e appena la porta si chiuse alle nostre spalle, Adriana mi si avvicinò senza dire niente, le mani sul mio petto, i capelli castani che le scivolavano morbidi sulle spalle. Indossava una canotta sottile e quegli shorts che più che coprirla la decoravano.«Doccia?» sussurrò, sollevando appena lo sguardo.
Annuii, e fu il modo in cui lo disse a farmi capire che non sarebbe stata una doccia normale.
Mi spogliai mentre lei entrava in bagno, sentii il getto d’acqua partire, e quando la raggiunsi il vapore aveva già avvolto tutto. La trovai sotto il getto, i capelli scuri aderenti alla pelle, le gocce che le scivolavano sul corpo liscio. La pelle le brillava e i suoi occhi… i suoi occhi ridevano.
Mi tirò sotto l’acqua con lei, le mani che mi scivolavano sulla schiena, poi più giù. Le sue labbra cercarono le mie, e il bacio fu lento, ma famelico. La lingua che mi cercava, il corpo che si premeva contro il mio. La mia mano finì inevitabilmente a stringerle il fondoschiena sodo, mentre lei si mordicchiava il labbro e sussurrava:«Dovevamo farlo da ore…»
Il momento fu interrotto solo da una voce dietro di noi.«Posso unirmi?»
Ci voltammo di scatto. Francesca era sull’uscio, un asciugamano appoggiato sulla spalla, lo sguardo un po’ troppo innocente per esserlo davvero. I suoi occhi neri scivolarono su di noi, soffermandosi su come mi tenevo stretto Adriana.
«Dai, non fate i timidi.» Entrò senza attendere risposta.
Il modo in cui spogliò il suo corpo perfetto era qualcosa che avrei potuto raccontare a memoria. Ogni curva, ogni tratto della sua pelle, quella chioma mora lucida che le cadeva sulle spalle. Era un miscuglio di sicurezza e provocazione, e sapeva perfettamente l’effetto che faceva su di me.
Entrò nella doccia con noi, il vapore aumentò e lo spazio sembrò stringersi.
Per un po’ fu un gioco sottile. Tocchi fugaci, sorrisi, piccole sfide. Adriana che mi premeva addosso, Francesca che faceva scivolare le mani sulle mie spalle, poi più giù, e io che cercavo di non perdere il controllo.
A un certo punto fu Francesca a prendere l’iniziativa, scivolando dietro Adriana e cominciando a massaggiarle le spalle.«Sai Ale…» disse sottovoce, mentre il vapore ci avvolgeva, «…vedo che ti piace tanto guardarla.»
Adriana rise piano, voltandosi a guardarmi, il viso arrossato dall’acqua calda e dall’eccitazione che montava.«Si vede così tanto?»
Io non dissi niente, ma le mani che si allungarono a stringerle il fianco furono risposta sufficiente.
Francesca non mollò.«Sai cosa sarebbe carino?» sussurrò con voce bassa, vicinissima all’orecchio di Adriana, «se ognuno di noi si prendesse un po’ di quello che vuole. Niente più regole.»
Adriana annuì senza smettere di fissarmi, mordicchiandosi il labbro inferiore.
E così iniziò. Prima furono le mani, poi le bocche. Un bacio che partì tra me e Adriana, poi Francesca che si insinuò tra noi, baciandomi il collo, le dita che scivolavano ovunque. Non importava più chi iniziava o chi proseguiva: era solo un fluire di piacere, di pelle, di sussurri.
E sì, io guardavo sempre troppo spesso Adriana. E Francesca lo notava. Ogni volta che accadeva, un guizzo di fastidio le passava negli occhi. Ma faceva finta di nulla. Per ora.
Le mani di Francesca continuarono a scivolare sulla pelle bagnata di Adriana, risalendo dalle spalle al collo, mentre io mi perdevo tra le sue labbra, sentendo il respiro accelerare contro il mio. Il vapore era diventato una nebbia densa intorno a noi, ogni linea dei nostri corpi confusa tra l’acqua e il calore.
Adriana socchiuse gli occhi quando le dita di Francesca si fecero più audaci, sfiorandole i fianchi, risalendo appena sotto la canotta ormai trasparente e aderente come una seconda pelle. Il tessuto non aveva più alcun senso di esistere addosso a lei, ma proprio per questo nessuna delle due si preoccupava di toglierlo.
Io mi sentivo stretto tra loro due, il corpo sodo e caldo di Adriana contro il mio, quello morbido e sinuoso di Francesca alle sue spalle. Ogni tanto le mani di Francesca finivano a sfiorare anche me, come per ricordarmi che, sì, c’era anche lei. Che non mi avrebbe mai concesso di dimenticarlo.
Un colpo secco proveniente dal piano di sotto ci fece sobbalzare appena. Come il rumore di un telecomando caduto o di una porta sbattuta male. Ci irrigidimmo tutti e tre per un istante. Io trattenni il respiro, Adriana alzò gli occhi verso di me, e Francesca sospese per un attimo il movimento delle dita.
Il suono non si ripeté.
«Tranquilli,» sussurrò Francesca, riprendendo a muovere le mani con una lentezza studiata. «È solo quella poveraccia di Lara…» il tono carico di una punta di disprezzo appena celata, accompagnata da un sorrisetto di quelli che conoscevo fin troppo bene.
Adriana ridacchiò piano, poggiando la fronte contro il mio petto. Sentivo il suo corpo rilassarsi di nuovo, e io feci lo stesso. Non era il momento di fermarsi. Non adesso.
Fu allora che Adriana si voltò leggermente, accorciando la distanza tra il suo viso e quello di Francesca. Le loro labbra si sfiorarono appena, un bacio accennato, più una provocazione che un gesto vero. Ma bastò quello a riaccendere l’atmosfera.
«Se proprio vuoi prenderti qualcosa…» mormorò Adriana a Francesca, la voce roca per il vapore e il desiderio, «…fai in fretta. Ale è mio stasera.»
Una sfida sottile, pronunciata con dolcezza ma piena di veleno. Francesca inarcò un sopracciglio, il suo sguardo scivolò su di me e poi tornò su Adriana.
«Vedremo, piccola.» La voce bassa, piena di quel compiacimento malizioso che sapeva usare come nessun’altra.
E poi fu di nuovo un fluire di mani e bocche. Le dita di Francesca che scivolavano lungo la schiena di Adriana, il mio corpo che si muoveva contro il suo, il sapore della sua pelle bagnata, il vapore che avvolgeva ogni cosa.
Ogni tanto un rumore di sottofondo dal piano di sotto, il tintinnio di un cucchiaio contro il vetro della coppa, il volume della tv che cambiava e ci ricordava che il resto della casa esisteva ancora. Ma a nessuno di noi importava. Anzi, forse era proprio quello a rendere tutto ancora più intenso.
Per un momento Francesca si abbassò alle spalle di Adriana, lasciando che le sue labbra le sfiorassero la curva del collo, poi le spalle, poi ancora più giù. Adriana si inarcò appena, gemendo piano, il suono coperto dal rumore dell’acqua.
Io non resistetti più. La presi per i fianchi, attirandola contro di me, le labbra sulle sue, mentre Francesca, dietro, continuava il suo gioco. Il calore tra di noi era diventato un’unica cosa, ogni contorno tra i nostri corpi sembrava dissolversi.
«Ale…» sussurrò Adriana contro le mie labbra, le mani che si aggrappavano alle mie spalle, «…non farmi aspettare.»
Fu allora che, da sotto, un altro rumore si fece sentire, un tonfo sordo, qualcosa che rotolava. Forse un oggetto caduto dal tavolo. Ci bloccammo ancora, per un istante. Tutti e tre.
Stavolta fu Adriana a parlare, la voce appena un soffio. «Che palle…»
«Ignora.» sentenziò Francesca, con un ghigno.
E noi lo facemmo.
Perché in quel momento niente contava più di ciò che stava accadendo lì, in quella doccia, tra pelle, acqua e tensione. E forse, dentro ognuno di noi, sapevamo che il conto sarebbe arrivato più tardi. Ma quella, sarebbe stata un’altra storia.
Il vapore era così denso che a momenti sembrava di essere immersi in una nube calda, ogni contorno sfumato, ogni linea dei corpi che si confondeva con l'acqua e il desiderio. Le mani di Adriana erano strette intorno al mio collo, le sue labbra sulle mie, e il suo corpo premeva contro il mio come se volesse fondersi.
Dietro di lei, Francesca non mollava un attimo. Le sue mani si erano fatte più decise, scivolando dalle spalle alla vita, poi sui fianchi. Ogni tanto la sentivo avvicinarsi troppo, le labbra sfiorarmi il collo, o il petto, come per ricordarmi che c'era anche lei, che non avrebbe permesso ad Adriana di prendersi tutta la mia attenzione.
E ogni volta che il mio sguardo si posava su Adriana, perché sì, inevitabilmente, era lei che cercavo. un lampo di fastidio attraversava gli occhi di Francesca. Lo notai nel riflesso appannato dello specchio, quando per un attimo i nostri sguardi si incrociarono sopra la spalla di Adriana. Era un’espressione rapida, che sapeva cancellare all’istante, ma che io conoscevo fin troppo bene.
Fu Adriana, a un certo punto, a staccarsi da me con un sorriso complice, il fiato corto. «Se restiamo ancora cinque minuti qui dentro, mi viene un mancamento,» sussurrò, appoggiando le mani sul mio petto e scostandosi appena.
«Potevi dirtelo prima di accendermi così,» risposi, e lei rise piano, quella risata che mi faceva sempre venir voglia di baciarla ancora.
Francesca fece una smorfia, voltandosi verso il miscelatore e abbassando il getto dell’acqua. «Siete dei dilettanti,» commentò, uscendo per prima dalla doccia e afferrando l’asciugamano.
Il modo in cui si asciugò, lenta e consapevole di essere osservata, era studiato. Ogni gesto fatto apposta per tenermi addosso i suoi occhi. Eppure, mentre Adriana mi sfiorava il fianco passando accanto a me, il mio sguardo finì inevitabilmente su di lei. Quel misto di dolcezza e malizia che nessun’altra aveva mai saputo darmi.
Francesca lo notò.
La tensione era palpabile anche senza parole. Adriana si strinse l’asciugamano intorno al corpo, lanciandomi un’occhiata veloce, e uscì dalla stanza senza aggiungere altro, lasciando dietro di sé il profumo di pelle bagnata e shampoo.
Francesca rimase qualche secondo immobile, lo sguardo fisso sulla porta da cui era appena uscita Adriana. Poi si voltò verso di me, con un sorriso appena accennato. Un sorriso che sapeva di sfida.
«Ale…» cominciò, avvicinandosi, le dita che giocherellavano con l’orlo dell’asciugamano, «questa sera…» la voce bassa, «giochiamo solo io e te.»
Mi fissava negli occhi, sfidandomi a dirle di no. «Niente Adriana. Niente distrazioni. Come ai vecchi tempi.»
Il modo in cui lo disse… non era una semplice proposta. Era una richiesta di conferma. Un tentativo di riprendere il controllo, di vedere se avevo ancora quella debolezza per lei che aveva sempre saputo sfruttare.
Restai in silenzio per un attimo. Il rumore della tv di sotto continuava, distante, come un promemoria che il resto della casa era ancora lì, ma in quel momento sembrava esistere solo quel metro e mezzo di spazio tra me e Francesca.
«Ti mancano i vecchi tempi?» chiesi piano, senza arretrare.
Lei sorrise. Un sorriso che non era allegro, né dolce. Era un sorriso di quelli che sapeva usare solo quando voleva ottenere qualcosa.
«Solo alcune cose.» Poi mi passò accanto, sfiorandomi il petto con il dorso della mano, e uscì dalla stanza.
Restai lì un attimo, il vapore che ancora saliva dai rivoli d’acqua sul pavimento, il battito accelerato, e la netta sensazione che quella notte sarebbe stata molto più complicata di quanto avessi immaginato.
Salimmo di sopra senza dire una parola. L’unico suono era quello dei nostri passi leggeri sulle scale e il sottofondo ovattato della tv che rimaneva giù in salotto, con Lara ancora inchiodata al divano. Appena chiudemmo la porta della nostra stanza alle spalle, Adriana si lasciò cadere sul letto, le gambe nude a penzoloni e i capelli bagnati sparsi sul cuscino.
Mi guardava da sotto le ciglia, quella malizia spenta appena dalla stanchezza della giornata.Le andai accanto e le sfiorai la guancia, poi le infilai una mano sotto la maglietta leggera che aveva addosso. La sua pelle era calda, ancora umida di doccia.
«Vieni qui,» le mormorai.
Lei sorrise appena e si sollevò quel tanto che bastava per farmi scivolare accanto a lei. La presi tra le braccia, la schiena contro il mio petto, e le baciai il collo. Il suo profumo mi avvolse subito.
«Devo farti rilassare,» sussurrai contro la sua pelle.
Adriana chiuse gli occhi e annuì piano.
La distesi delicatamente sul letto, le baciai il collo, poi il petto, poi più giù, lasciando che le mie mani le accarezzassero il ventre e i fianchi nudi. Lei sospirò, le dita che si aggrappavano alle lenzuola.Le tolsi piano gli shorts, lasciandoglieli scivolare via dalle gambe, e sentii il suo respiro farsi più veloce.
Mi chinai tra le sue cosce, le baciai l’interno coscia con lentezza, e il suo corpo reagì subito. Un gemito appena accennato le sfuggì dalle labbra quando sfiorai la sua pelle più sensibile con la lingua. Adriana inarcò appena la schiena, gli occhi chiusi, il fiato che si spezzava piano.
«Ale…» sussurrò, quasi senza voce.
Continuai a muovermi su di lei, senza fretta, con la lingua e le labbra, godendomi ogni suo minimo tremito, ogni sospiro che le usciva dalle labbra. La sentivo stringere il lenzuolo tra le dita, il respiro irregolare, e quei piccoli gemiti che diventavano sempre più dolci, sempre più tesi, mentre si avvicinava al piacere.
Quando la sentii tremare piano sotto di me, le baciai piano l’interno coscia e risalii fino a sfiorarle le labbra.
Adriana aveva le guance arrossate, gli occhi lucidi e quel sorriso soddisfatto che conoscevo bene.
«Adesso sì,» sussurrò.
Le accarezzai i capelli, le lasciai un bacio sulla fronte e la osservai mentre si voltava su un fianco, il respiro ancora un po’ accelerato e un sorrisetto sulle labbra.
«Torno tra poco,» le dissi sottovoce.
Lei annuì appena, mordicchiandosi il labbro, già rilassata, già pronta a lasciarsi andare al sonno.
Uscii dalla stanza a piedi scalzi, chiudendo piano la porta dietro di me. E già mentre mi avvicinavo alla camera accanto, il pensiero di Francesca che mi aspettava lì dentro mi faceva salire il battito.
Quella sera non me lo sarei fatto ripetere.
Quando entrai nella stanza di Francesca, la trovai già sveglia. La luce tenue della lampada accesa accanto al letto le disegnava il profilo perfetto del viso e delle spalle nude. I capelli scuri le cadevano morbidi sulla schiena e lo sguardo… quello sguardo lo conoscevo fin troppo bene.
Non disse nulla. Non ce n’era bisogno.
Mi avvicinai e lei si sollevò appena sulle ginocchia, il lenzuolo che scivolava via scoprendo il suo corpo nudo. Gli occhi puntati nei miei, le labbra socchiuse.
Mi tirò a sé con una mano decisa dietro la nuca e mi baciò senza dolcezza, con quella fame che avevamo sempre avuto l’uno dell’altra. Le sue labbra erano calde, la lingua subito a cercarmi, e il suo corpo che mi premeva addosso senza tregua.
Mi liberai della maglietta e in un attimo fu addosso a me, le mani che mi graffiavano la schiena mentre le nostre bocche non si staccavano. C’era solo il suono dei respiri spezzati, delle mani che cercavano pelle, e il battito accelerato.
Francesca mi spinse sul letto, salendomi sopra, il corpo perfetto che brillava appena alla luce calda della lampada. Mi guardava dall’alto, con quel mezzo sorriso che sapeva essere una sfida.
«Stanotte solo noi,» mormorò, senza nemmeno aspettare una risposta.
E non c’era niente da aggiungere.
La tirai giù su di me e la presi con forza, i nostri corpi che si muovevano insieme come lo avevano fatto mille volte, senza bisogno di parole, solo istinto, solo voglia. Ogni movimento era familiare eppure sempre nuovo, il piacere che saliva rapido, violento, tra sospiri soffocati e morsi sul collo.
Era fame. E lei lo sapeva. Come sapeva che, in quel momento, Adriana era lontana anni luce dai miei pensieri.
«Stanotte devi sfondarmi,» sussurrò con voce roca, mentre le sue mani mi afferravano con forza, la pelle calda che si fondeva alla mia.
Francesca era sopra di me, le cosce salde ai lati dei miei fianchi, il suo corpo perfetto che si muoveva con una violenza sensuale impossibile da domare. Mi era calata addosso come una furia, e sentivo il calore di lei avvolgermi, stringermi dentro con forza mentre cavalcava ogni mio colpo, i suoi gemiti sporchi e rauchi che riempivano la stanza.
Le sue mani affondavano nel mio petto, mentre il seno ballava davanti ai miei occhi a ogni movimento, pieno, sodo, irresistibile. Le afferrai i fianchi con forza, poi risalii con le mani a stringerle quel culo da impazzire, sodo e rotondo, le dita che si perdevano nella carne mentre la guidavo, spingendola ancora più giù su di me.
Lei mi guardava con un sorriso sporco e affamato, i capelli neri incollati alla pelle sudata, le labbra gonfie e umide. Mi sollevai di scatto, incollando la bocca al suo seno, baciandolo, mordicchiando quei capezzoli tesi che sembravano fatti apposta per essere presi così. Francesca gemette forte, affondandomi le mani nei capelli, premendo ancora più il petto sul mio viso.
Il ritmo aumentava, feroce, brutale, il letto che cigolava sotto di noi. Poi fu lei a sussurrarlo con voce rotta:
«Adesso ti voglio dietro… voglio sentire se hai davvero le palle di sfondarmi.»
Non me lo feci ripetere. La ribaltai di colpo, il suo corpo finì a pancia in giù contro il materasso, quel culo spettacolare inarcato davanti a me. La presi con forza, le mani che stringevano quelle due natiche sode mentre mi infilavo di nuovo dentro lei con un colpo secco che la fece gemere scomposta.
I nostri corpi si cercavano e si scontravano senza più controllo. Il letto iniziò a gemere sotto i colpi, le molle che scricchiolavano senza tregua. Francesca urlava contro il cuscino, il viso girato di lato con un sorriso ebbro di piacere e dominio.
Ogni affondo era più profondo, più animalesco. Le afferrai i capelli, tirandole appena la testa all’indietro, il corpo di lei che tremava mentre il ritmo diventava devastante. Le sue mani stringevano le lenzuola, i seni che rimbalzavano a ogni colpo sotto il suo petto premuto al letto.
Era sesso sporco, violento, senza freni. Come solo due amanti che si conoscono fin troppo bene sanno concedersi.
Il ritmo era disumano. Francesca spingeva indietro il bacino a ogni affondo, le urla sempre più scomposte, il letto che cigolava come se stesse per cedere da un momento all’altro. Il suo culone perfetto si muoveva sotto le mie mani, le dita che affondavano nella carne calda e sudata, lasciando impronte rosse mentre la tenevo ferma, facendola mia senza pietà.
«Dio… sì, così… sfondami!» urlò senza più freni, e io sentii il sangue ribollirmi nelle vene. La tirai indietro per i capelli, il viso di lei arrossato, le labbra gonfie, gli occhi persi in quella follia di piacere.
Infilai la mano sotto di lei e le strinsi un seno con violenza, facendolo rimbalzare sotto il mio tocco, mentre l’altra restava piantata a dominare il suo culo. Lei rideva, gemeva, urlava e più lo faceva, più il mio controllo crollava.
Poi Francesca fece quella cosa che sapeva farmi perdere la testa: si portò due dita in bocca, le bagnò di saliva e senza pensarci se le portò dietro, toccandosi da sola con una naturalezza sporca e sfacciata.
«Guardami, Ale… guardami mentre mi prendo tutto quello che voglio.»
La scena fu talmente folle e straziante di desiderio che sentii le gambe cedere. Affondai di nuovo, più forte, più profondo, mentre le molle del letto facevano un rumore osceno, la stanza invasa dall’odore di sesso e pelle sudata.
Francesca tese tutto il corpo, le urla spezzate nel cuscino mentre il piacere la travolgeva, e io la seguii un istante dopo, senza più lucidità, gemendo il suo nome contro la sua schiena lucida di sudore.
Rimasi lì sopra di lei per qualche secondo, il cuore che batteva all’impazzata, il corpo esausto, il letto scomposto e umido del nostro passaggio.
Francesca rise, quella risata roca e soddisfatta che aveva solo quando la facevo godere davvero.
«Dio, quanto mi serviva…» sussurrò, voltandosi appena per guardarmi con quel suo sguardo da strega ubriaca di piacere.
Restammo lì, sfiniti e soddisfatti, ancora incapaci di separarci, con il letto ancora oscillante e il corpo di lei che sembrava scolpito nella mia memoria.
Un momento sporco, folle, perfetto.
Francesca rimase distesa sul letto, il respiro ancora affannato, le cosce che le tremavano appena. Io mi lasciai cadere accanto a lei, il braccio che le scivolò dietro la schiena sudata.
Restammo in silenzio per qualche minuto, solo il rumore del nostro respiro e delle molle ancora che oscillavano sotto di noi.
Poi fu lei a rompere quel momento.
«Non voglio che ti dimentichi di me per un corpo più giovane, Ale.» La sua voce era bassa, roca, come quando si lasciava andare troppo. Mi guardava con quegli occhi neri che sapevano essere dolci e spietati allo stesso tempo.
Sorrisi appena, passandole una mano tra i capelli scomposti.
«Puoi stare tranquilla.»
Lei si sollevò su un gomito, mi baciò piano sulle labbra, quel bacio lento e possessivo, che sapeva di troppe notti come quella e di nessuna promessa vera. Poi si lasciò ricadere sul cuscino.
«’Notte, Ale.»
«’Notte, Zia.»
Uscii dalla stanza mentre lei rimaneva a fissare il soffitto, con le lenzuola che le scivolavano addosso come un vestito stropicciato.
La casa era buia, silenziosa. La porta della mia camera era chiusa, Adriana di certo già addormentata, il profumo del suo corpo ancora addosso a me. Scossi la testa, quasi a togliermela di dosso, e raggiunsi la cucina.
Aprii il frigo, mi versai un bicchiere d’acqua, quando una voce mi fece trasalire.
«Bella serata, eh?»
Lara era lì, appoggiata allo stipite della porta, le braccia incrociate, i capelli scomposti e uno sguardo che non prometteva niente di buono.
Mi voltai piano, cercando di mascherare il fastidio.
«Che vuoi, Lara?»
Lei fece un mezzo sorriso, il bicchiere di vino che stringeva nella mano mezza vuoto.
«Niente. È solo… divertente osservare certe dinamiche in questa casa.» Fece una pausa. «Tutti così… affettuosi.»
Alzai gli occhi al cielo, mandando giù un sorso d’acqua. «Se hai qualcosa da dire, dillo.»
Lara si avvicinò di un passo, quel sorriso sottile ancora stampato in faccia.
«No, figurati…» scrollò le spalle, poi inclinò appena la testa, gli occhi fissi nei miei. «È solo che… sai… a volte mi chiedo come facciate a non farvi scoprire.»
Il gelo. Sentii il cuore saltare un battito, ma rimasi immobile, il bicchiere a metà strada dalle labbra.
Lei sorrise di nuovo, più larga stavolta.
«Già. Chissà cosa direbbe tuo padre… o qualcun altro… se sapesse.»
Mi fissava, e sapevo che aveva capito. Non tutto, forse, ma abbastanza.
Il capitolo si chiudeva lì, con il ghiaccio nel bicchiere che tintinnava piano, e quell’ultima frase di Lara, lasciata in sospeso come una minaccia:
«Ci vediamo domani, Ale.»
Poi se ne andò via, lasciandomi solo in cucina, con il cuore che batteva troppo forte e il sapore di Francesca e Adriana ancora sulle labbra.
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