L’attrazione proibita verso Zia Francesca
Capitolo 10 - La decisione della Zia

Il silenzio in quella casa mi pesava addosso come una coperta troppo spessa in piena estate. Il ticchettio dell’orologio in cucina scandiva ogni secondo che ci separava da quella maledetta ora. Lo sapevamo. Da quando Zia ce l’aveva detto, sapevamo che quella notte ci avrebbe chiamati. Era solo questione di aspettare.
Adriana era seduta sul letto, rannicchiata contro se stessa, il viso nascosto tra le ginocchia. Io continuavo a girare nervoso per la stanza, i capelli ancora umidi dalla doccia, il cuore che non ne voleva sapere di calmarsi.
Poi il telefono vibrò sul comodino.
Mi voltai di scatto, il display illuminato nel buio della stanza. Poche parole, ma bastavano a far stringere lo stomaco.
“Venite da me. Ora.”
Adriana sollevò lo sguardo su di me. Occhi lucidi, spaventati.
«È lei?» sussurrò, anche se sapeva già la risposta.
Annuii piano. Mi passai una mano tra i capelli, il respiro pesante.
«Ci tocca…»
Lei rimase qualche secondo immobile, poi scivolò giù dal letto e venne verso di me. Mi prese la mano senza dire nulla, le dita sottili che cercavano un appiglio. Gliela strinsi forte. Non la guardai, ma sentii il calore della sua pelle, il modo in cui la sua mano tremava appena.
Uscimmo nel corridoio buio, il pavimento che scricchiolava sotto i piedi scalzi. Ogni passo sembrava portarci più dentro a un posto da cui sapevo sarebbe stato impossibile tornare. Adri si avvicinò ancora di più e all’improvviso sentii le sue dita stringere la mia.
«Non so se ce la faccio…» sussurrò, la voce rotta.
La guardai di sfuggita. Anche io mi sentivo uguale.
«Ci siamo dentro fino al collo» le dissi sottovoce. «E comunque vada… resto con te.»
Un mezzo sorriso tirato le scivolò sulle labbra, poi tornò seria. Continuammo a camminare. Arrivammo davanti alla porta della stanza della zia. Adriana si fermò, appoggiò la fronte al legno freddo.
«Se potessimo scappare da questa paura…»
Mi avvicinai, le poggiai una mano sulla schiena nuda sotto la maglietta leggera.
«Non possiamo. Siamo già troppo oltre.»
Rimase qualche istante ferma così, poi chiuse gli occhi e bussò.
Dentro, la voce di zia arrivò calda e tagliente, carica di un’intimità inquietante.
«Entrate.»
Entrammo. La stanza era immersa in una penombra soffusa, appena rischiarata dalla luce calda di una lampada sul comodino. L'odore di gelsomino e vino rimasto nei bicchieri dalla sera prima si mescolava all’umidità di quella notte troppo carica di cose irrisolte.
Zia era lì, seduta sul bordo del letto, una vestaglia leggera addosso che lasciava scoperte le gambe lisce, una spalla nuda. Non ci guardava subito. Giocherellava con una sigaretta spenta tra le dita. Solo quando chiusi la porta dietro di noi, sollevò lentamente gli occhi.
Ci squadrammo in silenzio. La tensione nell’aria era così densa da far male.
Fu lei a rompere per prima.
«Non so più distinguere niente» sussurrò, fissando il pavimento. «Ieri notte… quello che è successo… quello che ho provato…» La voce le tremò appena, poi scosse il capo, amaramente. «Ho odiato ogni istante. Eppure…» ci guardò dritti, gli occhi lucidi e arresi, «non ho mai provato una cosa così in vita mia.»
Adriana si morse il labbro, il viso pallido, gli occhi umidi. La vidi farsi avanti, un passo lento dopo l’altro. Poi si fermò davanti a lei.
«Io ti amo da sempre mamma» disse piano, la voce spezzata, sincera, nuda. «E non voglio più vergognarmi. Né di quello che ho fatto, né di quello che sento.» Si inginocchiò davanti alla Zia, le prese la mano. «Se questo è sbagliato… fa niente. Io non riesco più a far finta di niente.»
Sentii un nodo salirmi in gola. Le guardavo, il cuore a martellare nel petto.
Mi avvicinai anch’io. Mi abbassai accanto ad Adri, fissai Zia. La sua mano ancora tra le dita di Adriana. I suoi occhi su di me.
«Il problema non è quello che è successo» dissi. «Il problema sei tu, Zia. Che scappi da te stessa da troppo tempo. Che ti convinci che è tutto sporco, quando in realtà hai solo paura. Paura di essere quello che sei davvero.»
Lei serrò le labbra, lo sguardo che vacillava.
«Io…» provò a parlare, ma la voce le morì in gola.
Adriana le accarezzò il dorso della mano. Zia chiuse gli occhi.
«Non voglio più scappare» disse infine, quasi un sussurro. Aprì gli occhi su di noi. «Non so cosa diavolo mi stia succedendo. So solo che quando sto lontana da voi… mi sento un vuoto dentro che mi divora.»
Si voltò lentamente verso Adriana. Le dita tremanti le scostarono una ciocca bagnata dal viso.
«Forse… sto iniziando a capirti tesoro» sussurrò.
Adriana chiuse gli occhi, una lacrima che le rigava la guancia.
Io rimasi a guardarle, con una strana fitta dentro. Sapevo che da lì non si sarebbe più tornati indietro.
Per un momento restammo tutti e tre immobili, come sospesi. L’aria nella stanza sembrava farsi più densa, più pesante, intrisa di cose non dette e desideri che non si potevano più fingere.
Adriana si alzò lentamente in piedi, senza dire una parola. I suoi occhi erano lucidi, la pelle ancora umida per via della doccia di poco prima. Si avvicinò a Zia, che rimase immobile, lo sguardo basso. Poi, senza esitare, le prese il volto tra le mani e la baciò.
Un bacio vero, carico di tutto quello che aveva taciuto fino a quel momento. La vidi stringerla, il corpo che si avvicinava al suo, le mani che le accarezzavano il collo e i capelli.
Sentii un brivido lungo la schiena.
Zia all’inizio non reagì, poi la sua mano salì decisa sulla nuca di Adriana, ricambiando quel bacio con una fame che non aveva bisogno di essere spiegata.
Mi fermai a guardar loro per qualche secondo. Mi facevano impazzire.
Fu Zia ad alzare lo sguardo su di me. I suoi occhi, scuri e lucidi, si piantarono nei miei come una lama.
«Vieni qui» sussurrò.
Non era una richiesta. Era un ordine, e la cosa mi fece salire il sangue alla testa.
Mi avvicinai piano, senza staccare gli occhi dai suoi. Fu lei a prendermi per la maglietta e tirarmi a sé, facendomi cadere su di loro. Le mie mani si posarono sulle loro schiene, sentendo la pelle calda, bagnata dal poco vapore rimasto nella stanza.
Adriana sospirò contro il mio collo, le labbra sfiorando appena la pelle.
Il buio della stanza e quella luce fioca sembravano cancellare ogni confine, lasciando solo i respiri, i gemiti sommessi, il rumore dei corpi che si sfioravano.
Zia cercava di guidare tutto. Mi afferrò per i capelli, mi trascinò contro di sé, il suo respiro caldo contro la mia bocca. Ma Adriana non rimase a guardare. La vidi mordicchiarle l'orecchio, farla tremare, sussurrarle qualcosa che non riuscii a cogliere.
Le mie mani esploravano. La pelle liscia di Adriana, le curve di Zia. Sentivo i loro corpi che si muovevano contro il mio, un intreccio confuso di desiderio e complicità.
«Così…» sussurrò Zia mentre il mio palmo le stringeva i fianchi.
Adriana mi guardò da sotto le ciglia, il viso arrossato, un sorriso malizioso che non le avevo mai visto. Una mano le si infilò sotto la stoffa sottile della vestaglia di Zia, facendola ansimare piano.
La tensione cresceva a ogni carezza, a ogni sguardo.
Io cercavo di mantenere il controllo, ma era chiaro che le stavo gestendo a fatica, e che loro due sapevano bene come prenderselo, quel controllo.
Corpi che si stringevano, respiri spezzati, frasi sussurrate all’orecchio che facevano salire la pelle d’oca.
Non c’era più vergogna. Solo noi, in quella stanza, col cuore che batteva all’unisono e il desiderio che bruciava via tutto il resto.
driana fu la prima a lasciar cadere i vestiti sul pavimento. La stoffa scivolò lenta, rivelando il suo corpo perfetto sotto quella luce appena accennata. Il mio sguardo la percorse senza alcun ritegno, fermandosi su ogni curva, su ogni dettaglio che ormai conoscevo, ma che riusciva ancora a farmi perdere la testa.
Zia la osservava a sua volta, mordendosi appena il labbro inferiore. Aveva il respiro corto, le guance arrossate. Mi avvicinai a lei, sfiorandole le spalle, sentendo i brividi che le correvano lungo la pelle. Le lasciai scivolare via la vestaglia, rivelando la pelle calda e liscia sotto le dita.
«Così vi volevo…» sussurrai, la voce roca, mentre le mani si spostavano sui loro fianchi.
Adriana mi venne contro, cercando il mio contatto, premendo il petto nudo contro il mio, le sue dita che mi scivolavano lungo il torace. Zia, invece, mi prese per il mento e mi attirò di nuovo alle sue labbra, mordendole piano.
La stanza era satura di quella tensione elettrica, il profumo dei loro corpi, i respiri accelerati.
Le mani di Adriana si fecero più audaci, esplorando, stringendo, scivolando lungo i fianchi e poi oltre. La sentii sospirare contro il mio collo mentre il mio palmo si posava sul suo seno, che si sollevava rapido a ogni respiro.
Zia, alle mie spalle, si fece strada decisa, le sue mani che mi scivolavano sotto la maglia per togliermela.
«Non pensare di avere il controllo solo perché sei in mezzo» mi sussurrò all'orecchio, il tono tagliente ma carico di desiderio.
Le lasciai fare, accettando il gioco. Adriana rise piano contro di me.
«Per ora…» mormorai, facendo scivolare entrambe verso il letto.
Il buio copriva solo a metà i loro corpi. Si toccavano, si cercavano, e io le guardavo come ipnotizzato. Le mie mani si muovevano tra loro, stringendo, accarezzando, regalando piacere che si traduceva in sospiri e occhi chiusi.
Adriana era più dolce nei gesti, più provocante nello sguardo. Zia, invece, cercava di condurre il gioco, di decidere chi toccava e dove, come se avesse bisogno di dimostrare di poter dominare quel momento.
La pelle calda sotto le dita, il profumo della loro pelle bagnata, le mani che stringevano e guidavano… tutto era un intreccio perfetto di corpi e desideri che ormai non conoscevano più freni.
Zia prese la mano di Adriana e la fece scivolare su di me, guardandomi negli occhi mentre lo faceva.
«Fallo impazzire» sussurrò.
Adriana la fissò un attimo, poi sorrise appena e obbedì, sfiorandomi piano, sapendo esattamente dove e come.
La tensione salì di colpo. Le mie mani tornarono a esplorarle, il piacere mescolato alla voglia di non lasciare mai più quel momento.
Adriana mi fissò per un istante, poi le sue dita scivolarono lentamente lungo la mia cintura, sfilandola con calma, mentre il suo sguardo rimaneva incollato al mio. Il rumore del tessuto che cadeva a terra sembrò amplificarsi nella stanza silenziosa. Con un gesto sicuro, mi abbassò i pantaloni, lasciandomi esposto al suo tocco.
«Era ora…» sussurrò con un mezzo sorriso malizioso.
La sua mano si chiuse su di me, con una delicatezza che fece tendere ogni muscolo del mio corpo. Iniziò a muoversi lenta, decisa, senza mai distogliere gli occhi dai miei. Un sospiro mi sfuggì tra le labbra, mentre il piacere si faceva strada come una fiamma sotto pelle.
Zia, che fino a quel momento aveva osservato tutto con uno sguardo carico di desiderio trattenuto, non restò a guardare. Le sue mani raggiunsero Adriana, le dita che si posarono sui suoi fianchi nudi, accarezzandola e poi scivolando più su, a stringerle il seno con una foga possessiva.
«Non pensare di tenermelo tutto per te» le sussurrò contro il collo, mordendole piano la pelle.
Adriana lasciò andare un piccolo gemito, ma non fermò il movimento della mano su di me, anzi, il tocco si fece più deciso. Le vidi chiudere gli occhi un istante mentre Zia continuava a esplorarla, le labbra che scorrevano lungo la sua spalla bagnata di desiderio e tensione.
Mi lasciai andare contro di loro, stringendo i fianchi di entrambe, incapace di scegliere dove posare prima le mani. Ogni curva, ogni sussulto sotto il mio tocco, ogni respiro spezzato, mi faceva impazzire un po’ di più.
«Adesso basta guardare…» mormorai a Zia, attirandola a me e catturandole le labbra in un bacio carico di tutto quello che avevamo represso.
Le nostre mani si intrecciarono su Adriana, che continuava il suo lento tormento su di me, mentre Zia scivolava tra le sue cosce, facendola fremere sotto il doppio contatto.
Era un intreccio perfetto, un equilibrio instabile di desiderio, sfida e complicità.
Adriana si voltò appena, le labbra lucide e gli occhi accesi da quella luce pericolosa che le veniva fuori quando voleva provocare. Mi guardò, poi abbassò lo sguardo su Zia che nel frattempo le stava risalendo lungo l’interno coscia, le dita lente e sicure.
«Pensavi di comandare tu, eh?» le sussurrò, mordendole piano il lobo dell’orecchio.
Zia non rispose. Si limitò a spingere Adri contro di me, facendo in modo che il suo corpo si schiacciasse al mio, mentre il piacere cresceva con ogni contatto, ogni respiro affannato. Le loro mani continuarono a muoversi su di me, giocando a contendersi il controllo, a sfiorarsi e a sfidarsi.
«Tranquille, c’è abbastanza di me per entrambe» dissi con un mezzo sorriso, stringendo forte le cosce di Adriana e attirandola ancora più vicino, sentendo il suo corpo caldo, vivo, avvolgente contro il mio.
Le nostre bocche si cercarono di nuovo, e questa volta fu Adriana a prendere l’iniziativa, baciandomi con una fame nuova, mentre Zia scivolava dietro di lei, accarezzandole i seni con entrambe le mani, premendole il corpo addosso.
Ogni movimento era carico di tensione. Il profumo della pelle calda, i capelli bagnati che mi sfioravano il petto, le unghie leggere che graffiavano appena. Non sapevo più dove finissi io e iniziassero loro.
Zia, con un gesto deciso, mi fece sdraiare contro i cuscini e prese posto accanto a me, il suo sguardo fermo nel mio.
«Vediamo se riesco a farla smettere di vantarsi» disse riferita ad Adriana, che le lanciò un’occhiata di sfida prima di abbassarsi su di me, le labbra che iniziarono a percorrere il mio addome con una lentezza che mi fece stringere i denti.
Zia non restò a guardare. Si chinò su Adriana e iniziò a baciarle la schiena, facendole scivolare le mani tra le gambe, mentre l’altra la provocava sul mio corpo.
Il gioco era iniziato. Uno scambio continuo di tocchi, di respiri rotti, di parole appena sussurrate, promesse e minacce a fior di labbra. Erano loro due a contendersi il piacere, e io al centro, travolto da quella complicità maledettamente perfetta.
Adriana alzò appena la testa e, con il fiato corto, mi fissò.
«Sei pronto a perdere la testa?»
Non risposi. La tirai sopra di me e la baciai come se avessi bisogno d’aria solo attraverso lei, mentre Zia tornava ad accarezzarmi, il suo tocco più deciso, più avido.
Le loro mani si incrociavano e ogni carezza faceva salire quella tensione che stava per esplodere. Era tutto un crescere, un rincorrersi, un confondersi.
Adriana mi strinse il viso tra le mani, i suoi occhi profondi persi nei miei. Sentivo il suo respiro caldo e spezzato sfiorarmi le labbra mentre le sue dita scivolavano lungo il mio petto, tracciando percorsi che facevano vibrare la pelle. Zia, accanto a noi, non stava più a guardare. Si chinò e mi sfiorò il collo con le labbra, poi la sua lingua calda e decisa scese lenta, tracciando un sentiero che mi fece chiudere gli occhi.
Adriana ridacchiò piano.«Guarda com’è teso…» sussurrò a Zia, mentre le sue mani, delicate e al tempo stesso sicure, afferravano i bordi dei miei pantaloni e li facevano scivolare via.
Il contatto dell’aria fresca sul mio corpo contrastava con il calore delle loro mani. Era una sensazione che mi faceva impazzire. Le loro dita si incrociarono mentre si contendevano il piacere di toccarmi. Il sorriso malizioso di Adriana incontrò quello più oscuro di Zia.
«Facciamolo impazzire.»Fu un bisbiglio complice che mi fece vibrare il basso ventre.
Zia si chinò per prima, la sua bocca avvolse la punta con una dolcezza iniziale che mi fece contrarre i muscoli. La sua lingua lenta, precisa, e il modo in cui mi guardava dal basso aveva qualcosa di spietatamente seducente. Adriana non tardò a raggiungerla, le sue dita che si infilavano tra i capelli di Zia mentre la imitava, le loro lingue che si alternavano, si sfioravano.
Mi stavo sciogliendo sotto di loro.Il piacere salì in una morsa lenta ma inesorabile. Ogni loro movimento, ogni sfioramento era studiato per farmi impazzire. La complicità che avevano nel toccarmi, nel provocarmi, mi mandava fuori controllo.
«Guarda come lo fai tremare…» disse Adriana, la voce roca, mentre passava la lingua lenta sul glande, un movimento che mi strappò un gemito basso.
Zia le rispose con uno sguardo acceso.«Voglio sentirlo implorare.»
Le loro bocche si rincorrevano, si rubavano il piacere di toccarmi, mentre io cercavo di resistere a quell’ondata calda che cresceva a ogni secondo. Le mani di Adriana mi stringevano i fianchi, il respiro di Zia scaldava ogni zona che sfiorava.
Stavamo per perderci in quel momento.Adriana si sollevò di poco, guardandomi con quel sorriso pieno di peccato.
«Ora ti voglio dentro.»Lo disse con una voce che era miele e veleno insieme, e si sedette sopra di me, pronta a guidarmi.
Ed è lì, proprio in quell’istante, mentre il mio cuore martellava e il suo corpo caldo si avvicinava al mio, che un rumore improvviso ci gelò.
Uno scricchiolio nel corridoio.Il passo pesante e lento di una ciabatta che sfrega sul pavimento.
I nostri sguardi si incrociarono, Zia si tappò la bocca con una mano e Adriana rimase immobile, il respiro spezzato.
«Dove ho messo gli occhiali…» borbottò la voce della nonna, mentre attraversava il corridoio diretto al bagno.
Restammo fermi, il fiato sospeso. Le mani di Adriana ancora sulle mie cosce, Zia piegata su di me con il viso arrossato dall’imbarazzo e dall’eccitazione trattenuta.
Sentimmo il rumore della porta del bagno che si chiudeva.
Adriana abbassò lo sguardo, scoppiando in una risatina soffocata, e Zia scosse la testa.«Giuro, un’altra volta e la faccio fuori.»Lo disse a mezza voce, ancora piegata su di me, mentre il desiderio non si era per nulla spento, solo rimandato.
estammo immobili per lunghi secondi, il respiro sospeso, i corpi ancora intrecciati a metà, il desiderio che non accennava a spegnersi ma rimaneva lì, come un braciere ardente sotto la cenere. Sentivo il cuore battere forte, il respiro di Adriana caldo sul mio collo, le dita di Zia ancora chiuse attorno a me, come se non volesse lasciarmi andare.
Poi fu proprio Zia a staccarsi per prima. Si tirò indietro, sedendosi sul bordo del letto, il viso ancora segnato da quel misto di piacere trattenuto e nervosismo. Si passò una mano tra i capelli scomposti e abbassò lo sguardo.
«Basta.»Lo disse piano, sottovoce, ma con una decisione che ci fece gelare il sangue.
Adriana sollevò la testa, ancora appoggiata al mio petto, e io le lanciai un’occhiata. Nessuno dei due ebbe il coraggio di parlare.
Zia si voltò verso di noi, le labbra appena socchiuse, e in quegli occhi lucidi lessi qualcosa di strano. Non era solo desiderio, non era solo confusione. Era paura. Era resa.
«Non posso rinunciare a tutto questo.»Lo sussurrò, mordendosi il labbro, come se anche solo dirlo ad alta voce fosse troppo.
Si alzò in piedi, iniziando a rimettersi lentamente a posto la vestaglia, senza smettere di fissarci.«Ma ora… ora la posta in gioco è peggio di prima.»Indicò Adriana con un cenno appena accennato.«Perché ora ci sei anche tu. E non è più solo un gioco, Adri. È una cazzo di bomba a orologeria.»
Adriana non distolse lo sguardo, le labbra leggermente gonfie e gli occhi accesi.«Lo so mamma. Hai ragione.»La sua voce era roca, bassa, e io la sentii tremarmi addosso.
Zia sospirò, poi si avvicinò di nuovo e si chinò verso di noi. Il suo profumo addosso era ancora intenso, e quando parlò fu un sussurro caldo e ruvido.
«Domani… vi porto al mare.»Fece una pausa.«C’è un posto dove andavo da ragazzina. Lontano da tutti. Nessuno ci disturberà lì. E giuro che… troverò il modo di rimediare a questa merda di interruzione.»Ci fissò, il sorriso di nuovo sulle labbra, quello sfrontato e pericoloso che conoscevo fin troppo bene.«Promesso.»
Si voltò e uscì dalla stanza per andare in bagno, lasciando dietro di sé solo il profumo della pelle e una scia di tensione irrisolta.
Adriana rimase immobile sopra di me, poi scivolò piano al mio fianco, poggiando la testa sulla mia spalla.
rimanemmo ancora qualche istante in silenzio, poi lei mi guardò e sorrise appena.
«Domani sarà interessante.»Lo disse piano, mentre scivolava via dal letto, raccogliendo le sue cose.
La seguii, e insieme, con le lenzuola ancora stropicciate e il cuore pesante, tornammo piano in camera nostra, senza aggiungere altro. L’odore di lei sulla mia pelle mi accompagnò tutta la notte.
Il sole filtrava pigro dalle tende quando bussarono piano alla porta.
«Ale, Adri… sveglia. Tra mezz’ora si parte.»
La voce di Zia, appena rauca, come se la notte non fosse mai esistita. Ma io e Adriana sapevamo bene cos’era successo, e ancora di più cos’era rimasto in sospeso. Adri dormiva con una gamba su di me, il viso premuto contro il mio petto nudo. Le sue dita giocherellavano distrattamente sulla mia pelle, come se anche nel sonno avesse bisogno di tenermi lì.
Avevamo passato ore quella notte a parlare, senza filtri. Di tutto quello che eravamo stati, di come ci eravamo sempre ignorati, odiati, sfidati… e di come, adesso, non riuscivamo più a stare lontani.
Si stiracchiò piano, sbadigliando.
«Mmm… oggi mare, eh?» sussurrò, la voce roca del mattino.
«Così pare.» Le baciai la fronte, e il sorriso che mi regalò era di quelli che mi avrebbero incasinato per sempre.
Ci vestimmo in fretta, sapendo che di sotto ci sarebbe stato quel teatro di normalità che Zia amava mettere in scena. Ma a me bastava vedere Adri con quel top cortissimo e gli shorts sfilacciati per capire che il mare sarebbe stato solo una scusa.
In macchina salimmo dietro, io e lei. Zia davanti, impeccabile, il sole già caldo che scaldava i finestrini. Adriana si divertiva a stuzzicarmi. Ogni curva mi si avvicinava di più, fingendo di perdere l’equilibrio per finire praticamente sulle mie gambe. Rideva, i capelli sciolti, la pelle profumata di vaniglia e sonno.
A un certo punto, complice il calore e il rumore dell’asfalto, crollai. Chiusi gli occhi, lasciandomi andare con il braccio che le sfiorava la coscia.
Quando mi svegliai, la prima cosa che sentii fu il calore delle sue dita. Non sopra i pantaloni. Sotto.
Adriana fissava fuori dal finestrino, l’espressione impassibile, come se il mondo fosse altrove. Ma le sue dita erano lì, lente, sicure, a sfiorarmi, a giocare con me in un modo che sapeva benissimo quanto mi avrebbe mandato fuori di testa. Il cuore mi schizzò nel petto.
«Dormito bene?» sussurrò, senza neanche guardarmi.
Le sue dita si mossero appena e il respiro mi si spezzò in gola. Infilò piano un elastico nero sotto la mia maglietta, appoggiandolo sul petto.
Un gesto semplice, ma tra me e lei sapevamo bene cosa significava.
Mi voltai appena e vidi Zia nello specchietto retrovisore. Aveva colto la scena. I suoi occhi rimasero fermi nei miei per un istante. Poi tornò a fissare la strada, il labbro teso in quello che poteva essere un mezzo sorriso o un modo per trattenere qualcosa.
Adriana rise piano e mi sfiorò il collo con le labbra.
«Così impari ad addormentarti.»
Il resto del viaggio fu una sfida continua. Adriana che mi scompigliava i capelli, io che le stringevo la coscia, le nostre gambe che si cercavano sotto il sedile. Zia sorrideva, rispondeva alle battute, ma io vedevo il modo in cui si irrigidiva quando la nostra complicità andava oltre.
La strada finiva in un piccolo spiazzo sterrato, proprio ai margini di una pineta. Parcheggiammo lì, col sole che picchiava forte sul tetto della macchina e l’odore di resina e salsedine che riempiva l’aria.
«Da qui si va a piedi.» annunciò Zia, con quel sorriso che sapeva già di complicità e vendetta sottile.
Scendemmo tutti, recuperando borse e asciugamani. Adriana si legò i capelli in una coda alta e mi lanciò uno sguardo da dietro gli occhiali da sole.
«Spero che valga la pena di schiattare sotto questo sole.»
«Tranquilla.» risposi, avvicinandomi a lei. «Vedrai che ne sarà valsa la pena.»
E avevo ragione.
Camminammo per un bel pezzo, il sentiero era stretto, tra i pini e la sabbia che si faceva sempre più fine. Si sentiva il rumore del mare in lontananza, e quando finalmente il sentiero si aprì sulla spiaggia… sembrava uscita da un sogno.
Un’insenatura stretta, mare piatto e azzurro chiaro, solo qualche coppia lontana e due ragazzi stesi sugli scogli. Uno di quei posti che ti fanno dimenticare di tutto il resto. Isolata abbastanza da far venir voglia di togliersi anche i pensieri.
«Niente male.» commentò Adri, già scalza, le dita affondate nella sabbia.
Zia si sistemò gli occhiali sul naso, osservando il panorama. Ma io sapevo bene che i suoi occhi tornavano sempre su di noi, ad ogni gesto, ad ogni sorriso.
Scegliemmo un punto vicino a una piccola duna, riparato e perfetto. Sistemammo asciugamani e borse, e arrivò il momento di cambiare.
Appena stendemmo gli asciugamani, iniziò il rituale. Adriana si tolse il vestitino leggero, scoprendo un bikini scuro che le fasciava alla perfezione le curve, la pelle chiara che contrastava col tessuto. Io cercavo di non fissarla troppo apertamente, ma ogni volta che si chinava a prendere qualcosa o sistemava i capelli, il mio sguardo finiva inevitabilmente lì. Zia fece lo stesso, togliendo il pareo e mostrandosi in un costume sgambato color champagne che metteva in risalto la pelle ambrata e quel fisico perfetto che faceva girare teste.
Ci cospargemmo di crema solare, e lì le mani cominciarono a indugiare. Adri mi si avvicinò con il tubetto in mano, sguardo furbo.«Dai, che se ti scotti poi frigni.»Me la ritrovai accovacciata dietro, a spalmarmi la crema sulle spalle, le dita che scivolavano lente lungo le scapole e poi, con aria distratta, giù ai fianchi, fermandosi un po’ troppo in basso. Zia intanto si sistemava accanto a noi, osservando tutto dietro un paio di occhiali scuri.
Dopo un po’ decidemmo di buttarci in acqua. E lì, il gioco riprese. I tuffi si trasformarono in abbracci sott’acqua, spruzzi che diventavano prese, e Adriana si avvicinava sempre più. A un certo punto mi afferrò la nuca e mi baciò, senza pensarci, lingua morbida e labbra salate, mentre l’acqua ci lambiva il petto. Un bacio lungo, profondo, con i suoi fianchi premuti contro di me e le sue gambe che sfioravano le mie.
Quando tornammo a riva, ridendo e ansimando, Zia ci guardava con quell’espressione difficile da decifrare: un misto di approvazione e fastidio. Ci sdraiammo vicini e fu il turno mio di spalmare la crema su Adri. Il suo corpo caldo sotto le mani, i seni che si sollevavano piano a ogni respiro, le gambe distese. Le mani indugiavano sempre troppo, e ogni tanto lei socchiudeva gli occhi e mordeva appena il labbro, consapevole di tutto.
Il pomeriggio avanzava, la spiaggia si era svuotata, restavano solo due coppie distanti e un gruppo di ragazzi a una trentina di metri. Bastava a darci quel margine per continuare a sfidarci. Zia si sdraiò accanto a noi, e mentre io mi voltavo per baciarle il collo, Adri si avvicinava con la scusa di una battuta. Le nostre mani si cercavano, si stringevano, si stuzzicavano. Tra un tuffo e un bagno, tra un bacio rubato e una carezza bagnata.
A un certo punto Adriana mi trascinò sott’acqua per scherzo, e sotto la superficie le sue mani scorsero sul mio petto e più in basso, sfrontata. Quando emersi, avevo il fiato corto e un sorriso idiota stampato in faccia.
Zia ridacchiò.«Occhio, che vi beccano.»Ma nei suoi occhi non c’era davvero rimprovero.
Il pomeriggio sembrava non finire mai, eppure nessuno di noi voleva davvero che finisse.
L’acqua era una carezza tiepida, e il sole scendeva lento, arrossando il cielo. La spiaggia si era praticamente svuotata: restava solo una coppia stesa sotto un ombrellone lontano e due ragazzi che ogni tanto ci lanciavano un’occhiata distratta mentre smontavano la roba. Il resto era silenzio, il rumore delle onde e i nostri respiri.
Adriana si era messa seduta tra le mie gambe sull’asciugamano, spingendo la schiena contro il mio petto, il costume ancora bagnato che aderiva perfettamente alle curve. Aveva i capelli umidi che le cadevano sulle spalle e un profumo di sale e crema dolce che mi faceva girare la testa. Ogni tanto muoveva il bacino appena, come per aggiustarsi, ma sapeva benissimo cosa faceva. Sentivo il suo fondoschiena premere contro di me e cercavo di non perdere il controllo.
Zia ci guardava con quell’espressione tra il divertito e il possessivo, distesa di lato, una gamba piegata che lasciava intravedere il bordo sottile del costume. I suoi occhi scivolavano sui miei e su quelli di Adriana, e si fermavano un attimo di troppo quando vedeva le nostre mani che si cercavano sotto il telo.
A un certo punto, Adri si voltò appena, avvicinando il viso al mio.«Hai voglia di un altro bagno?»Non attese risposta, le sue labbra si posarono sulle mie, lente, morbide, salate e piene di voglia. La lingua che accarezzava la mia senza fretta, il bacio che si faceva più profondo. Sentii il suo fiato mescolarsi al mio mentre le mani mi sfioravano i fianchi, e quando si staccò, aveva negli occhi quella scintilla.
«Dai… vieni.»
Ci alzammo e corremmo in acqua. Zia rimase a guardare, il viso illuminato dal sole basso, il sorriso appena accennato ma gli occhi tesi.
Nell’acqua, Adri mi afferrò subito. Le sue gambe si avvinghiarono intorno alla mia vita e le sue mani scivolarono dietro la nuca mentre riprendeva a baciarmi. Nessuno poteva vederci così lontani dalla riva. Le nostre bocche si cercavano, le lingue intrecciate, i corpi stretti. Sentivo il suo seno premuto contro il petto, i capezzoli tesi sotto il costume.
La sua mano scivolò tra i nostri corpi, afferrandomi con sicurezza sotto il pelo dell’acqua, il contatto caldo e deciso.«Ti piace, eh…» sussurrò vicino al mio orecchio, mentre io perdevo completamente il fiato.
La tirai più a me e la baciai di nuovo, affondando le mani nel fondoschiena perfetto, stringendola, facendole sentire quanto la desiderassi. Lei gemette piano, il suono coperto dal fruscio delle onde. Poi mi scappò via ridendo, lanciandomi uno sguardo carico di sfida, i capelli incollati alla pelle e le gocce che le scivolavano lungo il collo.
Quando tornammo a riva, Zia ci aspettava seduta sull’asciugamano, e il modo in cui ci fissava diceva tutto.
«Siete proprio due ragazzini arrapati.»Lo disse sorridendo, ma la voce aveva una punta d’acciaio.
Adriana si sdraiò accanto a lei e le tirò addosso l’acqua di una bottiglietta. Zia le afferrò il polso e la trascinò sopra di sé, le due a ridere e stuzzicarsi, mentre le mani sfioravano e indugiavano dove non dovevano. Zia affondò la testa nel collo di Adriana e le stampò un bacio umido dietro l’orecchio, facendola rabbrividire.
Io le guardavo senza riuscire a staccare gli occhi, il sangue che batteva forte, mentre il cielo si faceva arancione e la spiaggia era ormai solo nostra. A un certo punto, Adri mi chiamò con un cenno.«Vieni qui.»
Mi sdraiai accanto a loro e le nostre mani ripresero a sfiorarsi, sui fianchi, sull’addome, sulle cosce. Baci rubati, sussurri all’orecchio. Adri mi baciava mentre Zia mi sfiorava il petto e mi mordicchiava il lobo. La tensione era tornata a mordere sotto la pelle, più forte di prima.
Non saremmo mai dovuti arrivare a tanto lì, ma il confine fra il lecito e il proibito, in quel pomeriggio lento e infuocato, era ormai scomparso.
La spiaggia era rimasta nostra. L’unica altra coppia aveva raccolto la roba e salutato da lontano, lasciando dietro solo il rumore delle onde e il frinire dei grilli che iniziava a farsi sentire.
Adriana si era stesa sul fianco, i capelli ancora bagnati e incollati alla pelle lucida di crema e sudore. La osservavo mentre giocherellava con il laccetto del suo bikini, passandosi il dito sulla coscia, disegnando linee immaginarie. Aveva negli occhi la stessa scintilla di qualche ora prima in acqua, ma adesso era più pesante, più lenta, più pericolosa.
Zia sedeva accanto a me, le gambe allungate, il costume sgambato che lasciava poco all’immaginazione e i capezzoli che puntavano decisi sotto il tessuto sottile. Mi versò dell’acqua gelata addosso, ridendo del mio sussulto, poi si chinò piano e mi baciò sulla spalla, facendomi scivolare la lingua sulla pelle.
«Ti piace fare il bravo ragazzo in pubblico, eh?» sussurrò al mio orecchio. «Ma qui non ci guarda più nessuno…»
Adriana rise, raggiungendoci, e in un attimo mi trovai tra le due, le loro mani che si rincorrevano sotto il telo, carezze sulle cosce, dita che risalivano sull’addome, sfioravano l’elastico del costume. Un bacio lento di Adri, il sapore dolce della sua bocca, poi le labbra di Zia che si posavano sul mio collo. Mi sentivo perso, la pelle che bruciava, il corpo che rispondeva a ogni loro tocco.
«Se continuiamo così, finiamo per farci arrestare» mormorai, più per provocazione che per reale preoccupazione.
Adriana si mise seduta, le gambe piegate, e con un sorriso sporco e irresistibile guardò Zia.«E allora? Vuoi lasciarlo così?»
Zia la fissò un attimo. Poi scosse la testa.«No. Non stavolta.»
Si alzò, infilò la maglietta larga sopra il costume e si avvicinò a me, piegandosi all’altezza del mio orecchio.«Andiamo a farci una doccia… ma non a casa.»
Le sue dita scivolarono tra le mie, stringendo con decisione. Adriana capì subito, il suo sguardo che brillava come quello di una ragazzina davanti a un gioco proibito.
«Hotel?» chiese a bassa voce, eccitata.
«Hotel.» confermò Zia, baciandola piano sulle labbra.
In meno di cinque minuti avevamo raccolto gli asciugamani e le bottigliette, i costumi bagnati ancora indosso, la pelle salata e i capelli umidi. La tensione era talmente palpabile che in macchina, mentre il cielo si scuriva e le prime luci della sera si accendevano, nessuno diceva una parola. Solo sguardi. Solo mani che si sfioravano sulle cosce, sulle ginocchia, sui fianchi. Zia alla guida, io dietro con Adriana appiccicata al mio fianco, la sua mano che scivolava sotto il telo ogni volta che una curva faceva sobbalzare la macchina.
La destinazione era chiara. Nessuno la disse ad alta voce, ma la immaginammo tutti nello stesso momento: un hotel discreto sulla statale, di quelli con il parcheggio riservato e le stanze a ore, il numero scritto su una tesserina e nessuna domanda.
Ero pronto a perdere completamente la testa.
La stanza era piccola, discreta, arredata con quel gusto anonimo tipico degli hotel a ore. Un letto enorme al centro, le luci soffuse e il profumo leggero di pulito misto a cloro che usciva dalla porta del bagno socchiusa. Non c'era bisogno di molte parole, solo di sguardi.
Adriana si lasciò cadere sul letto ridendo, la pelle ancora umida di mare, i capelli spettinati e gli occhi che brillavano di malizia.«Voi sistemate le cose» disse giocando con le dita sulla sua coscia, «io vado a farmi una doccia… se siete bravi magari vi faccio entrare.»
La frase era una provocazione perfetta, il modo in cui si sfilò la maglietta sopra la testa e lasciò cadere il costume a terra mentre entrava nel bagno, il fondoschiena nudo e bagnato che spariva oltre la porta, lasciò nell’aria una tensione elettrica.
Zia mi guardò. Era bastato quello. Bastava sempre troppo poco con lei. Si avvicinò piano, il sorriso lento e perverso, le labbra leggermente schiuse e quella luce famelica negli occhi.
«Tutta la giornata a guardarci le mani… e adesso?» sussurrò, afferrandomi la maglietta e tirandomela via con uno strattone.
Le sue mani erano già ovunque. Calde, sicure, le dita che graffiavano appena la pelle mentre si faceva spazio sul mio petto e sulla schiena, la bocca che cercava la mia con una fame impaziente. Non c'era niente di dolce in quel bacio. Era sporco, disperato, carico di desiderio accumulato. Mi spinse contro il muro, le sue gambe che si stringevano alle mie, il costume ancora addosso ma completamente inutile a quel punto.
«Dio, ti voglio adesso» ringhiò appena contro la mia bocca, mordendomi il labbro.
La presi per i fianchi, la sollevai con facilità e la portai contro il letto. I suoi seni duri sotto il tessuto sottile, il sapore salato della sua pelle mentre scendevo con le labbra lungo il collo, sulle spalle, fino a sfiorarle il seno con la lingua.
«Se Adri ci becca…» provai a dire, ma lei rise piano, stringendomi i capelli.
«Farà in tempo a raggiungerci.»
Le mani di Zia scivolarono dentro il mio costume, mi liberò con un gesto deciso e me lo abbassò fino alle ginocchia, accarezzandomi con lentezza, godendosi ogni reazione, ogni brivido. Il piacere montava troppo in fretta e lei se ne compiaceva, stringendomi, accarezzandomi piano e poi più forte, sfiorandomi con le labbra lungo il petto e il basso ventre, assaporandomi come una predatrice che aveva aspettato fin troppo.
Il rumore dell’acqua della doccia copriva i nostri respiri, il letto scricchiolava sotto di noi mentre la baciavo ovunque, le mani piene della sua pelle calda, le unghie che mi graffiavano il fianco, il sapore della sua pelle salata e il suo corpo che tremava contro il mio.
E in quel preciso momento, sapevo che sarebbe bastato un attimo per perderci del tutto.
La porta del bagno si aprì di colpo, lasciando filtrare una scia di vapore caldo nella stanza. Adriana apparve sulla soglia, con i capelli bagnati che le cadevano a onde sulle spalle nude, qualche ciocca appiccicata alla pelle lucida d’acqua. Indossava solo un asciugamano sottile avvolto male, che lasciava intravedere una coscia alta, liscia e bagnata, mentre gli occhi verdi brillavano di malizia.
Si bloccò un attimo, trovandoci già avvinghiati, con Zia sopra di me, i capelli scompigliati e il respiro spezzato che le faceva salire e scendere il petto. Un lampo di gelosia le attraversò il volto, ma poi le labbra le si incurvarono in un sorriso storto.
«Vi siete fatti prendere la mano, eh?» sussurrò, poggiandosi allo stipite e lasciando che l’asciugamano scivolasse a terra.
Era splendida. La pelle umida brillava sotto la luce soffusa, le gocce d’acqua scivolavano lungo il seno sodo e il ventre piatto. I capezzoli tesi per il fresco della stanza, le gambe lunghe, il fondoschiena perfetto. La osservai mentre camminava lentamente verso il letto, con quello sguardo deciso e un misto di dolcezza e desiderio a renderla ancora più irresistibile.
Zia la fissò con un sorriso appena imbronciato, gli occhi accesi. «Sei arrivata tardi, piccola…»
«Recupero in fretta, tranquilla.» La voce di Adriana era un sussurro provocante.
Si inginocchiò accanto a noi e prima di dire altro mi afferrò per i capelli, attirandomi a sé e baciandomi con una fame che mi fece gemere nella bocca. Il sapore della sua pelle umida e delle sue labbra calde mi travolse. Sentivo il suo seno premuto contro il mio petto e le sue mani stringermi forte. Zia non perse tempo a scivolare lungo il mio fianco, le dita che graffiavano piano e la lingua che tracciava un sentiero di piacere.
Il letto divenne un intreccio di corpi, mani e respiri affannati. Adriana e Zia si cercavano, si sfidavano, si baciavano con violenza e dolcezza insieme, alternandosi su di me, giocando a contendersi il controllo. Ogni volta che una mi baciava, l’altra si prendeva libertà altrove: labbra, collo, fianchi, ogni centimetro di pelle che bruciava al loro tocco.
I capelli bagnati di Adriana mi solleticavano il petto mentre si muoveva, i suoi baci che scendevano lenti, mentre Zia non perdeva occasione per mordermi il lobo o sussurrarmi oscenità all’orecchio.
Era frenetico, intenso, una danza senza pause dove il desiderio si moltiplicava a ogni sguardo, a ogni gemito trattenuto.
Mi voltai verso Zia, le presi il viso fra le mani e la baciai a lungo. Le sue labbra morbide e viziose sapevano ancora di piacere, di provocazione. Quando mi staccai da lei, le sussurrai piano:«Stavolta scelgo lei.»
Sentii Zia ridere piano dietro di me.«Così è…» sussurrò appena, lasciando la frase incompiuta mentre le sue dita sfioravano il mio fianco in un’ultima carezza distratta, prima di spostarsi di lato e lasciarci spazio.
Adriana si tirò sopra di me, i capelli castani che mi solleticavano il viso mentre la sua bocca cercava la mia, e da lì il resto fu un vortice di mani, di pelle calda, di respiri spezzati.
Adriana si lasciò ricadere di schiena sul letto, i capelli castani ancora umidi che si spargevano sul cuscino bianco, il respiro appena accelerato e un sorriso lento, malizioso sulle labbra. Mi guardava con quegli occhi pieni di complicità e sfida, mentre le dita disegnavano cerchi distratti sul proprio ventre.
«Allora?» sussurrò con voce roca e vellutata. «Vuoi le mani… o la bocca?»
In quel momento non avevo più voglia di mezze misure, di provocazioni e di giochi lenti. Mi abbassai su di lei, le sfiorai le labbra con un bacio rapido e deciso, poi il mio corpo si posò sul suo, sentendo il calore della sua pelle sotto di me, i suoi fianchi che si sollevavano appena per venirmi incontro.
«Sono stanco di preliminari,» le sussurrai all’orecchio, facendole scorrere una mano lungo il fianco. Lei rise piano, quella risata dolce e impertinente che mi mandava fuori di testa da giorni.
Sfiorai con il bacino il suo ventre, poi più giù, sentendo il suo corpo rispondere a ogni minimo contatto. Lei si morse il labbro, stringendomi le spalle, mentre mi strusciavo lentamente contro la sua intimità calda e bagnata, facendole trattenere un sospiro più intenso.
«Così?» sibilai piano, continuando quel movimento provocatorio.
«Ale…» mormorò lei, le mani che mi afferravano il collo e i fianchi che si muovevano istintivamente sotto di me.
Non aspettai oltre. Guidato dal suo corpo, dalla sua pelle calda e da quel desiderio accumulato troppo a lungo, entrai lentamente dentro di lei, sentendo le sue gambe stringersi intorno ai miei fianchi e il suo respiro farsi più pesante vicino al mio orecchio.
Il suo corpo accolse il mio come se fosse sempre stato lì a aspettarmi. E in quell’istante, tutto il resto smise di esistere.
Le sue dita si aggrapparono alla mia schiena mentre iniziavo a muovermi dentro di lei con una lentezza studiata, godendomi ogni minimo gemito, ogni sospiro trattenuto, ogni piccola contrazione del suo corpo sotto il mio. Adriana aveva gli occhi socchiusi, le labbra umide leggermente dischiuse in un’espressione di puro abbandono.
Le sue gambe mi stringevano forte, i fianchi che si muovevano in perfetta sintonia coi miei. Ogni affondo era accompagnato da un sussurro, da un bacio, da un morso leggero sulla pelle. Il profumo dei suoi capelli bagnati mi avvolgeva, mischiandosi al calore del suo corpo e al suono soffuso della nostra pelle che si cercava senza sosta.
«Dio… così, non fermarti…» ansimò lei, graffiandomi piano lungo la schiena.
Mi abbassai a baciarle il collo, sentendo il battito veloce sotto le labbra, mentre le mie mani le stringevano i fianchi, guidandola a seguire i miei movimenti. I suoi seni, sodi e perfetti, si muovevano contro il mio petto a ogni affondo più profondo.
Zia, ancora distesa accanto a noi, osservava la scena mordendosi il labbro, le dita che disegnavano cerchi pigri sul proprio ventre. I suoi occhi neri brillavano di desiderio e gelosia divertita, e ogni tanto si chinava a sfiorarmi il collo con le labbra, sussurrandomi frasi sporche e provocatorie all’orecchio.
Ma in quel momento il mio mondo era solo Adriana. Solo il suo corpo stretto al mio, il suo respiro affannato, il modo in cui mi guardava mentre mi sentiva dentro di lei, più a fondo ogni volta.
Accelerai il ritmo, sentendo il piacere che cresceva in entrambi, i suoi gemiti che si facevano sempre più impazienti, le sue unghie che affondavano nella mia pelle.
Fu allora che Zia si avvicinò, lo sguardo scuro, i capelli neri spettinati che le cadevano sul seno nudo. Si chinò su Adriana, che non smise di muoversi sotto di me, troppo persa nel piacere per accorgersi di lei subito.
«Non pensare di essere l’unica a godere così…» mormorò Zia con un sorriso storto, il tono basso, impastato di desiderio.
Senza chiedere permesso, salì a cavalcioni sul viso di Adriana, che appena capì, le afferrò i fianchi e lasciò che la propria bocca si aprisse per lei, con una naturalezza che mi fece gemere più forte.
Zia trattenne un sospiro, il busto che si arcuava leggermente in avanti mentre le mani le si aggrappavano ai capelli castani della ragazza. «Brava… così» sussurrò, muovendosi piano sul suo viso.
Io continuai a spingere dentro Adriana, il calore, le strettoie, il piacere che diventava più intenso a ogni movimento, mentre la scena davanti ai miei occhi diventava ancora più folle, più dannatamente irresistibile. Adri gemeva contro di lei, e il suono ovattato vibrava tra le gambe di Zia, che ricambiava con un sospiro spezzato.
Tutto sembrava sul punto di esplodere.
Il ritmo si fece frenetico, quasi disperato. I fianchi di Adriana mi accoglievano con una fame nuova, il suo corpo si piegava e si tendeva sotto il mio, mentre la sua bocca non smetteva di dedicarsi a Zia, che le stava sopra, il busto leggermente inclinato in avanti, i seni che sfioravano il suo viso, le dita nei suoi capelli castani. Il respiro di Zia le tremava in gola, i gemiti le si facevano via via più profondi, sussurrati e scossi.
Mi sembrava di essere sospeso in un'altra dimensione: il piacere saliva troppo in fretta, troppo forte, avvolto dal calore dei loro corpi, dal suono delle loro voci, dal profumo della pelle. Adriana, con la voce roca e spezzata, sollevò lo sguardo da sotto Zia e mi sussurrò:
«Ancora… non fermarti…»
Zia aprì gli occhi e li puntò su di me. Erano scuri, annebbiati dal desiderio. Si sollevò con lentezza da sopra Adriana, lasciandola lì a respirare a fondo, il viso lucido, le labbra arrossate e socchiuse. Poi si inginocchiò accanto a me. Mi prese per un polso e, con un filo di voce:
«Ora vieni qui… voglio sentirti dentro.»
Non serviva altro. La stesi con delicatezza sulla schiena, sentendo il suo corpo caldo, vivo, pulsante sotto le mie mani. Mi attirò a sé con una fame che non aveva nulla di dolce, e mi baciò con la bocca ancora intrisa di piacere, un sapore che era tutto suo, tutto nostro, un’eco della scena appena vissuta.
La penetrai con naturalezza, e lei mi accolse con un gemito profondo, quasi un lamento, che le si spense contro le labbra mentre le unghie mi graffiavano la schiena.
«Dio… sì, così…» mormorò, la voce impastata e calda, il corpo che si inarcava sotto di me, le gambe che mi stringevano con forza.
Ma non dimenticai Adriana. Ancora stesa accanto a noi, le presi una coscia con una mano, la tirai più vicino. Le mie dita si mossero su di lei mentre il ritmo tra me e Zia diventava più affamato, più intenso. Sentii Adriana gemere piano, la testa reclinata all'indietro, le labbra socchiuse, e poi cercare la mano di Zia. Gliela strinse, intrecciandole le dita con un sorriso stanco e provocante.
«Non pensare di liberarti di me così facilmente.»
Il ritmo diventò animalesco, crudo, come se ogni freno fosse sparito. Zia mi chiamava a sé, mi provocava, e io non potevo più trattenermi. Le mie dita affondavano in Adriana mentre spingevo dentro Zia, e i loro gemiti si mischiavano, si rincorrevano, fino a fondersi.
Il culmine arrivò come un’onda violenta, simultanea. Zia si aggrappò ad Adriana e la baciò con furia, un grido spezzato sulle labbra. Adriana si inarcò, tremando tra le mie mani, e io, stretto tra i loro corpi intrecciati, mi lasciai andare con un ringhio sommesso.
Restammo così, nudi, sudati, avvolti nel disordine perfetto che avevamo appena creato.
E per un lungo momento, nessuno disse nulla.
Restammo così, nudi, sudati, annodati in un silenzio che sapeva di pace. I respiri si placavano piano, le dita ancora intrecciate, le bocche socchiuse e stanche.
Mi staccai da loro con dolcezza, cercando l’equilibrio tra le gambe molli e la mente ancora annebbiata. Camminai verso il bagno, la pelle che mi tirava per il sudore secco e l’odore di noi tre ancora addosso. Mi infilai sotto il getto della doccia, l’acqua tiepida che mi scivolava sulla nuca e lungo la schiena.
Chiusi gli occhi.Il cuore mi batteva ancora forte.
In quel momento, ero convinto che non esistesse niente di più perfetto.Ero in paradiso.Lo ero davvero.
Ma non sapevo che, nel giro di pochi giorni, tutto sarebbe cambiato.E qualcosa qualcosa di brutto, avrebbe spazzato via ogni cosa.
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