L’attrazione proibita verso Zia Francesca
Capitolo 12 - tenuto per le palle da una cicciona

"Se adesso parte il terzo ricatto, davvero spacco qualcosa."
Ma non la lasciai andare.
Aspettai che arrivasse davanti alla porta della camera dove dormiva e la raggiunsi alle spalle, bloccandola con una mano sulla spalla prima che potesse entrare.
«No, no, no, bella mia.» sussurrai avvicinandomi all’orecchio. «Adesso resti qui e mi dici esattamente che cazzo credi di aver capito.»
Lei rimase ferma un secondo, poi si voltò piano, le labbra a pochi centimetri dalle mie.
«So più di quanto ti convenga sperare.»
Le sorrisi, inclinando appena la testa.
Stavo per voltarmi e lasciarla lì, ma Lara fece scattare la porta della sua stanza e, senza guardarmi, disse:
«Entra.»
Rimasi fermo un secondo. Ogni parte di me urlava di mandarla a fanculo, ma sapevo che se non fossi entrato, sarebbe stata peggio. E io volevo sapere.
Chiusi la porta dietro di me.
Lei si sedette sul bordo del letto, una gamba accavallata sull’altra, lo sguardo basso.
«Sai Ale…» iniziò, e il tono era velenoso come il fumo stantio in quella stanza, «…lo sapevi che è ancora tua nonna a pagare parte del mutuo di quella casa di Francesca?»
Rimasi immobile.
Lara alzò lo sguardo, e negli occhi c’era quella scintilla di soddisfazione marcia che avevo già visto troppe volte.
«Sarebbe davvero un guaio se scoprisse… di voi due.»Fece una pausa teatrale.«E di Adriana.»
Sentii il sangue rimbombarmi nelle orecchie. Non feci una piega.
«Sei solo una stronza in cerca di attenzioni.» ringhiai.
Lei rise piano.
«Ho visto. Ho sentito. Pensavi fossi scema?
Ho visto la doccia, ho visto te e Francesca. E so perfettamente quello che combini di sopra con Adriana.»
Mi feci un passo avanti, i pugni stretti.
«Cosa cazzo vuoi, Lara?»
Lei si alzò in piedi, il volto a pochi centimetri dal mio, e sibilò:
«Te l’ho detto. Non mi sei mai stato simpatico. Anzi… ti ho sempre odiato. Sei il figlio del mio uomo, e ogni volta che ti vedo vorrei solo cancellarti da questa casa. Ma ora…»Mi puntò un dito contro.«Ora ti tengo per le palle.»
Mi strinse il viso in una smorfia disgustata.
«Tu con quelle due hai chiuso.» continuò, il tono più basso, ma più velenoso.«Dimenticati di Francesca, dimenticati di Adriana. Niente più docce, niente più letti, niente più sguardi. Da adesso in poi…»Sorrise, e fu una cosa sporca e disturbante.«Dai piacere solo a me. Cosa che tuo padre ormai non fa più.»
Mi si strinse lo stomaco.
«Sei malata.»
Lei rise.
«Lo dici ora? Tu, che scopi tua zia e sua figlia, tua cugina. Non farmi la morale, Ale. O domani mattina diamo una bella notizia alla nonna. Vuoi vedere quanta voglia ha di continuare a versare i suoi soldi se scopre che sua figlia si fa il nipote e anche la figlia?»
Fu un attimo.Volevo prenderla per il collo, volevo strapparle via quella faccia di cazzo che si ritrovava. Ma rimasi immobile, i denti serrati.
Il silenzio tra noi era talmente carico da fare rumore.
Poi, come se nulla fosse, Lara si lasciò cadere sul letto, di lato, e disse con leggerezza:
«Pensaci. Tanto ormai, sei mio.»
Mi girai e uscii dalla stanza prima di fare una cazzata.
Ma dentro… ero già una bomba a orologeria.
Rientrai di sopra che la casa sembrava dormire. Il corridoio era buio, il pavimento scricchiolava appena sotto i miei passi, e in quel silenzio ogni cosa sembrava pesare dieci volte di più.
Aprii piano la porta della camera. Adriana dormiva rannicchiata nel letto, il viso nascosto tra le lenzuola, i capelli sciolti che le coprivano metà faccia. Mi si strinse il petto.
Chiusi la porta, mi tolsi la maglietta e mi infilai piano nel letto accanto a lei. Cercai di non svegliarla, anche se parte di me avrebbe voluto solo stringerla e sentire qualcosa di vero addosso. Qualcosa che non fosse sporco e marcio come quello che avevo appena lasciato alle spalle.
Rimasi lì a fissare il soffitto.
E per la prima volta, pensai davvero se avrei dovuto raccontare tutto alle altre. Dirlo a Francesca, dirlo ad Adriana. Mettere fine a quella merda prima che facesse danni peggiori.
Ma sapevo che se l’avessi fatto, avrei solo messo nei casini loro due. Francesca avrebbe perso la casa, Adriana… Dio solo sapeva che casino sarebbe venuto fuori se anche la nonna l’avesse scoperto.
E poi c’era la parte più schifosa di tutto questo.
Non volevo far sesso con quella lì.
L’idea mi rivoltava lo stomaco. L’idea di essere costretto, di doverlo fare solo per salvare il culo alle altre, mi faceva venire voglia di prendere a pugni i muri. Ma sapevo com’era Lara. Sapevo cosa poteva fare se avesse voluto, e in quel momento ero io ad avere il coltello dalla parte sbagliata.
Dormi a stento quella notte.
E ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo il sorriso sporco di Lara e sentivo di nuovo quelle sue parole.“Sei mio.”
Mi girai verso Adriana. Le sfiorai piano una spalla. Lei fece un piccolo movimento nel sonno, come se avesse sentito, e fu l’unico momento in cui riuscii a respirare.
Ma il resto della notte fu un inferno.
Passarono due giorni lunghi, pesanti, interminabili.
Due giorni in cui evitai entrambe. Francesca cercava i miei sguardi, le sue mani mi sfioravano di proposito mentre passava accanto, i suoi sussurri tagliavano l’aria carichi di quella malizia che avevo sempre adorato… ma io facevo finta di nulla. Adriana provava a starti vicino, a parlarmi come sempre, con quella sua dolcezza di cui conoscevo ogni sfumatura, ma io mi defilavo, trovavo scuse, mi chiudevo in camera o uscivo senza avvisare.
Le stavo tenendo lontane.
E più lo facevo, più mi faceva male.Mancavano poco più di due settimane alla fine di quella vacanza, e invece di godermi ogni istante con le due donne che amavo in modo così diverso e perverso, mi ritrovavo incastrato in quel gioco sporco, con il peso di quel ricatto che mi marciva dentro e il terrore che da un momento all’altro tutto potesse crollare.
Volevo proteggere loro. E forse anche me stesso.
La mattina del terzo giorno fu quasi peggio.
Seduti a colazione, il sole che filtrava dalle persiane e l’odore di caffè nell’aria. Adriana aveva una maglietta larga e i capelli legati, Francesca in costume, pronta a farsi notare come sempre. Ridevano tra loro, quasi dimentiche di quella distanza che avevo imposto. E per un momento avevo creduto che sarebbe potuta essere una giornata normale.
Poi fu Francesca a parlare.«Facciamo una giornata al mare oggi.»Adriana si illuminò subito. «Sì! Dai, ci sta!»
Il mio cuore scattò mezzo passo avanti. Stavo per dire di sì, volevo dire di sì, ne avevo bisogno.Ma la voce di Lara piombò come un sasso sul vetro.«Lui non può.»
Si erano già alzate tutte per prepararsi, e io avevo appena aperto bocca quando lei lo disse.
«Mi serve una mano in casa.»Disse senza nemmeno guardarmi.Lo disse come si dà un ordine a un cane.
Il mondo smise di girare per un attimo.
Le vidi scambiarsi uno sguardo veloce, Adriana corrugò appena la fronte, Francesca inaridì il sorriso per una frazione di secondo. Ma nessuna disse niente.
«Eh vabbè,» buttò lì Francesca, cercando di sdrammatizzare, «verrai la prossima volta.»
Mi si chiuse lo stomaco. Avrei voluto urlare, spaccare quella cucina, prendere Adriana per mano e andarmene. Ma rimasi fermo, distrutto, mentre le vedevo uscire tutte e tre, i costumi, le borse, le risate che si perdevano oltre la porta.
E io lì.
A fare il cane da guardia per quella stronza.
Rimasi fermo, lo sguardo fisso fuori dalla finestra, le mani serrate sul bordo del tavolo. Sentii i suoi passi dietro di me, lenti, arroganti, e già sapevo che stava sorridendo. Quel sorriso di chi sa di averti stretto nella morsa.
«Allora?» fece, la voce melliflua e viscida.
Non risposi. Restai in silenzio, a fissare il vuoto.
Lei si avvicinò ancora, fino a poggiarmi una mano sulla spalla. «Hai deciso, vero?»Era una domanda retorica. Lo sapevamo entrambi.
Inspirai piano. «Che cazzo vuoi, Lara…» mormorai.
Sentii il suo sorriso senza nemmeno guardarla. «Oh, niente di che. Solo ricordarti che ti tengo per le palle. E che sarebbe un peccato se la nonna scoprisse di Francesca… di Adriana… e di tutto il resto.»
Stringevo il tavolo a tal punto da sentire le nocche dolere. Avrei voluto urlarle in faccia, sbatterla fuori da casa mia. Ma non potevo.Lo sapeva. Lo sapevo.
«Perciò, amore mio,» sussurrò, chinandosi vicino al mio orecchio, «o cominci a comportarti come voglio io… o rovino ogni cosa.»
Deglutii a fatica. La odiavo. La odiavo con ogni fibra di me stesso. Eppure ero lì, inchiodato da quelle parole.
Lei si scostò appena, e prima di allontanarsi ribadì, con quel tono beffardo che mi faceva salire il sangue agli occhi:«Comunque… era solo una domanda di cortesia. Tanto sapevo già che avresti fatto il bravo.»
E se ne andò, lasciando dietro di sé solo il rumore dei suoi passi e un vuoto enorme nel petto.
Dopo aver sputato veleno, Lara si voltò a metà scala.«Ti aspetto in camera. E non farmi aspettare troppo.»Mi lanciò uno di quei sorrisi viscidi che avrei voluto strapparle di dosso con uno schiaffo.
Rimasi lì qualche secondo, fissando il corridoio vuoto. Dentro avevo un groviglio di rabbia, disgusto e impotenza. Avrei voluto andare in camera mia, abbracciare Adriana, e dimenticare tutto. Ma non potevo.Non adesso.
Presi fiato, salii le scale e mi fermai davanti alla porta socchiusa della stanza di Lara. Una luce tenue filtrava dalla fessura. Spinsi la porta.
Lei era lì, seduta sul bordo del letto, solo in intimo. Il corpo abbondante, le curve evidenti che oscillavano a ogni minimo movimento, quella pelle chiara e piena che non mi aveva mai fatto sangue.Aveva scelto di indossare un completino nero in pizzo, decisamente troppo piccolo per lei. Il reggiseno tentava invano di contenere il seno enorme, il tessuto teso e le cuciture che sembravano implorare pietà. Le cosce grosse divaricate, i fianchi morbidi che si riversavano ai lati. Il suo sguardo era quello di una stronza che sapeva di aver vinto.
«Finalmente,» disse con tono impaziente. «Chiudi la porta.»
Obbedii, a denti stretti.Feci due passi nella stanza, già disgustato dal modo in cui mi guardava.
«Non fare quella faccia da martire.» Si alzò in piedi, il corpo massiccio che ondeggiava leggermente. Mi si avvicinò, afferrandomi per il mento. «Sei solo un pezzo di carne ora. E il pezzo di carne fa quel che gli si dice.»
Provai ad allontanare la testa, ma fu inutile.«Mmm… già ti lamenti troppo.»Si sfilò le mutandine lente sulle cosce piene, le lasciò cadere a terra e poi le raccolse con due dita. Mi fissò negli occhi mentre, senza preavviso, me le premette contro la bocca.
«Tieni queste in bocca, amore. E guai a sputarle.»
Il tessuto umido mi strusciò sulle labbra, sentii il sapore acre e il disgusto mi ribollì nello stomaco. Volevo solo strapparmele via e mandarla al diavolo.
Lei rise.«Bravo. Così ti voglio.»
Poi si voltò, le natiche enormi che si muovevano pesanti a ogni passo mentre si sdraiava sul letto, spalancando le gambe.«Ora vieni qui e fammi vedere di cosa sei capace.»
Chiusi gli occhi un attimo.Era l’inferno. Ma non avevo scelta.
Il suo corpo abbondante si muoveva sinuoso davanti a me, il completino nero che l’abbracciava a stento, il seno pesante che premeva contro il pizzo e il fondoschiena generoso che oscillava a ogni passo. Era prosperosa, provocante, eppure io non riuscivo a desiderarla davvero. Ma il gioco era quello, e ormai ci eravamo spinti troppo oltre per tirarmi indietro.
Lara si sedette sul letto con lentezza studiata, spalancando le cosce e fissandomi con quello sguardo da predatrice.«Vieni qui, Ale. Dimostrami quanto sai essere bravo.»
Mi avvicinai, sentendo il cuore martellarmi in petto, più per la tensione e il disgusto che per eccitazione. Lei mi prese per i fianchi e mi guidò tra le sue gambe, il calore del suo corpo che mi avvolse appena mi sfiorò.Tolse lei stessa la mia cintura, abbassò i pantaloni e le mani si chiusero sul mio sesso con una sicurezza sfrontata.
«Non pensare alle altre… stanotte sei mio», mormorò, spingendomi contro di sé e facendomi sentire il calore della sua pelle nuda. Mi costrinse a guardarla mentre si mordeva il labbro e si abbassava leggermente, avvolgendomi lentamente, centimetro dopo centimetro.
Un gemito le sfuggì dalle labbra mentre mi stringeva dentro di sé. Io strinsi i denti sulle mutandine nella mia bocca, costretto a seguirla nei movimenti. Si muoveva lenta all’inizio, ondeggiando i fianchi pesanti, il seno abbondante che ballava a ogni colpo mentre le sue mani mi graffiavano il petto e la schiena.
Mi abbassai d’istinto a baciare il suo seno, più per istinto che per desiderio, ma lei affondò una mano nei miei capelli, spingendomi contro di sé.«Leccalo bene, cagnolino», mi ordinò con voce roca, e io obbedii, sentendo il sapore della sua pelle e il peso del suo corpo che mi schiacciava.
I movimenti si fecero più rapidi, più scomposti. Le molle del letto iniziarono a cigolare piano, poi sempre più forte man mano che il ritmo aumentava. Lara rideva sommessamente, godendosi ogni singolo secondo di quel potere. Si sollevò su di me, per poi calare con forza, il fondoschiena morbido che sbatteva sulle mie cosce con uno schiocco sordo.
«Mi piaci così, sottomesso. Vedi che puoi essere utile se vuoi.»
Quando sentì che mi lamentavo contro il tessuto in bocca, allungò una mano, mi prese per il mento e me lo strinse forte.«Non osare sputarle. Se vuoi che finisca prima, muoviti meglio.»
C’era qualcosa di perversamente elettrico nell’aria, un misto di disgusto, rabbia e tensione che rendeva quella scena ancora più carica. Lara cambiò posizione, mi spinse all’indietro sul letto e si mise sopra di me a cavalcioni, i capelli rossi scomposti, il seno pesante che rimbalzava e le cosce abbondanti che mi stringevano come in una morsa.
Il letto scricchiolava sotto il peso dei movimenti sempre più animaleschi, le molle che sembravano protestare a ogni colpo. Lara si lasciò andare completamente, senza freni, graffiandomi il petto, mordendosi le labbra, ansimando senza più pudore.
Quando raggiunse il culmine si piegò su di me, il respiro caldo sul mio collo, e mi morsicò piano il lobo dell’orecchio.«Vedi che sei bravo, Ale. Ricordati che questo è solo l’inizio.»
Si alzò lentamente, soddisfatta, le guance arrossate e il corpo ancora scosso da qualche fremito. Io rimasi lì a riprendere fiato, il sapore delle sue mutandine ancora in bocca, il corpo indolenzito e la mente in subbuglio.
questo supplizio purtroppo, sembrava non avere fine.
il giorno dopo.
Il pomeriggio era lento, il silenzio in casa quasi irreale senza le risate di Adriana e Francesca a riempire le stanze. Ero rimasto lì, con quella sensazione di vuoto addosso e la consapevolezza di quello che mi sarebbe toccato di nuovo.
Lara era sul divano, le gambe incrociate, il corpo morbido avvolto in un completo di seta scura che sembrava esaltare le sue forme abbondanti. La luce tenue del soggiorno le disegnava addosso riflessi caldi e sensuali mentre lo schermo della tv illuminava il suo viso con bagliori intermittenti.
Mi indicò con un cenno del mento e io, senza poter opporre nulla, mi avvicinai. Lo sguardo fisso sulla tv, le labbra che si piegavano in un sorriso appena accennato a ogni scena divertente del suo programma preferito.
«Dai, sai cosa devi fare», sussurrò senza nemmeno voltarsi, lo sguardo fisso sulla serie che seguiva distrattamente.
Mi avvicinai, le mani che sfioravano le sue cosce tornite e calde. Le mutandine di pizzo le scostai lentamente, abbassandole appena, e un profumo intenso mi avvolse. Senza aggiungere una parola, mi chinai tra le sue gambe, iniziando a muovermi con la bocca come sapevo che voleva.
Lara gemeva piano, i suoi respiri più pesanti a ogni mio tocco, mentre le dita si intrecciavano nei miei capelli e guidavano i miei movimenti. Non smise mai di guardare la tv, nemmeno quando i suoi gemiti si fecero più decisi e il suo corpo tremò appena.
«Mmm… sì… continua così…», sussurrava, il tono impastato dal piacere e dalla distrazione.
Ci volle poco. Il suo corpo si irrigidì e le cosce mi strinsero leggermente mentre un lungo sospiro le sfuggì dalle labbra, le guance appena arrossate. Un attimo dopo, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo, prese fiato e abbassò il volume della tv.
«Vieni qui», ordinò con voce roca.
Mi sollevai, con le labbra ancora umide e l’amaro in gola. Lei mi fece sedere accanto, senza fretta. Con una mano distratta mi sbottonò i pantaloni, tirandoli giù quel tanto che bastava.
«Te lo sei meritato…», mormorò.
Lara non spostò nemmeno lo sguardo dalla tv. Con la mano morbida e pesante prese a muoversi su di me, distratta, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Era un gesto meccanico, privo di qualsiasi reale interesse. Le dita stringevano quel tanto che bastava, il ritmo lento, pigro, come se lo facesse solo per rispettare un accordo non detto.
Io fissavo il soffitto, incapace di godere davvero di quella carezza. Il sapore che avevo ancora addosso mi dava nausea. L'amaro mi era rimasto in gola e ogni volta che deglutivo mi sembrava di sentirlo di nuovo.
Avrei voluto essere ovunque, tranne che lì.
Pensavo a Adri, ai suoi occhi quando rideva, a Francesca e a quel modo che aveva di mordermi il labbro quando facevamo l’amore. Pensavo a quanto odiassi quella situazione, a quanto schifo provassi per me stesso per essermi lasciato incastrare così.
Lara intanto continuava, con la stessa attenzione che avrebbe avuto per il telecomando. Sospirava piano, ogni tanto, più per la serie che per me.
«Sei così utile, quando stai zitto», commentò senza voltarsi, un mezzo sorriso sulle labbra.
Io rimasi lì, fermo, lasciando che finisse. Senza cercare il piacere, senza volerlo davvero. Ero solo un corpo occupato a essere dove non voleva essere.
Dentro, ero già altrove.
Dopo qualche minuto, la sua mano si fermò di colpo. Emise un sospiro soddisfatto, stavolta più rivolto alla scena della serie che a me. Si voltò appena, senza nemmeno guardarmi davvero, come se fossi un mobile, un oggetto.
«Bene… direi che per oggi puoi anche andare», sussurrò con quella voce impastata di compiacimento, tirandosi giù la maglietta lunga sopra le cosce nude.
Io rimasi seduto ancora qualche secondo, lo sguardo fisso sul tappeto, il respiro pesante. Sentivo addosso il suo odore e avrei voluto strapparmelo via dalla pelle.
Lei si alzò, stiracchiandosi appena, poi con quel tono beffardo, mellifluo, mi passò accanto e mi diede una pacca sul mento.
«Sai, alla fine sei più utile di quanto pensassi. Chissà se le altre due saprebbero quanto bene sai stare al tuo posto…» disse, mentre si avviava verso la cucina.
Non risposi. Non ne avevo la forza, né la voglia. Ogni parola sarebbe stata inutile. Rimasi lì, a guardare il vuoto, mentre lei spariva dietro l’angolo.
Ero solo, con il disgusto e la rabbia che mi stringevano lo stomaco.
Avrei voluto urlare. Avrei voluto correre fuori, raggiungere Adri e Francesca, confessare tutto. Ma sapevo che non potevo. Non ancora.
Mi tirai su i pantaloni, con un gesto lento, e uscii dalla stanza senza fare rumore.
Dentro, mi sentivo a pezzi.
Quella notte sembrava non finire mai. Lara aveva preteso la mia presenza, ancora una volta. La stanza era immersa in una penombra calda, illuminata solo dal tenue riflesso della lampada sul comodino. Lei mi aveva aspettato già pronta, il suo corpo prosperoso adagiato sul letto con quell’aria compiaciuta che ormai conoscevo fin troppo bene.
Senza chiedere, mi aveva tirato accanto a sé, guidandomi con forza sotto di lei. Il suo corpo pesante e morbido mi aveva avvolto, il seno florido che spingeva contro il mio viso, cercando quelle attenzioni che pretendeva da me ogni volta. I suoi gemiti erano bassi e prolungati, una melodia stonata che mi faceva rabbrividire più che accendere. I movimenti erano lenti ma decisi, oscillanti, mentre la stanza si riempiva di quei suoni umidi e del lieve cigolio delle molle del letto, che sembravano protestare a ogni colpo.
Il disagio cresceva a ogni istante. Mentre lei si muoveva sopra di me, chiudevo gli occhi cercando di rifugiarmi in pensieri altrove: il sorriso di Adriana, il profumo della pelle di Francesca quando mi sfiorava il collo. Ma niente bastava a farmi dimenticare dov’ero.
A tratti Lara afferrava la mia nuca, stringendomi contro il suo seno con insistenza, voleva che leccassi e succhiassi i suoi capezzoli come fossi un lattante.
I suoi gemiti aumentavano d’intensità mentre il ritmo si faceva più animalesco, e la stanza sembrava farsi più piccola, più calda, più soffocante.
Io rimanevo lì, spettatore e strumento, contando i secondi nella testa, trattenendo il fiato tra quei suoni e quei respiri pesanti, sapendo che alla fine, come ogni volta, sarebbe finita allo stesso modo: lei soddisfatta, io svuotato, e un’altra parte di me lasciata indietro in quella stanza.
Quando infine i suoi movimenti si fecero più lenti e il suo corpo mi avvolse per l'ultima volta, Lara si adagiò su di me con un sospiro appagato. Mi baciò la tempia con quella finta tenerezza che ormai conoscevo, e sussurrò con voce roca:«Vedi quanto è meglio quando fai il bravo?»
Io rimasi lì, immobile, senza rispondere. L’unico suono nella stanza era il nostro respiro irregolare e il lieve ticchettio dell’orologio sul comodino.
Rientrai in camera con il cuore a pezzi, le gambe pesanti come piombo e il respiro corto. Volevo solo sprofondare nel letto, chiudere gli occhi e dimenticare tutto. Ma appena varcata la soglia, Adriana era lì. Seduta sul bordo del materasso, con quella vestaglia sottile che lasciava intravedere le sue curve, i capelli sciolti e gli occhi grandi e lucidi fissi su di me.
«Ale…» sussurrò, alzandosi in piedi e avvicinandosi con passo lento. Potevo sentire il suo profumo dolce e familiare mischiarsi al mio malessere.
Provai a evitarla, a passare oltre, ma lei mi prese il polso, con una presa delicata e decisa.«Cosa ti sta succedendo? Perché mi stai tenendo lontana? Mi manchi… e non voglio più vederti così.»
La sua voce aveva quella nota roca, sensuale anche nella rabbia trattenuta, e i suoi occhi si fecero lucidi. Mi mise con le spalle al muro, letteralmente, e posò il palmo caldo sul mio petto.
«Parlami, Ale… o giuro che ti costringo io.»
Sentivo il cuore battere forte, la gola chiusa. Lei era lì, bellissima, fragile e feroce insieme, e io non ce la facevo più.
Mi aggrappai ai suoi fianchi e la guardai negli occhi, il fiato spezzato.«Non posso più… Adri. È… è Lara.»
Lei spalancò gli occhi, ma non parlò. Non ce n’era bisogno.Il muro dentro di me crollò.
«Mi ricatta. Ha capito tutto… di noi, di me e Francesca. Mi tiene per le palle, Adri. E io… non so più che cazzo fare. Mi usa, mi controlla, mi spezza… e io non posso dirlo a nessuno. Non voglio metterti in mezzo, ma… Dio, dovevo dirtelo.»
Le parole mi uscivano strozzate, e per la prima volta da settimane sentii una lacrima scendere, calda, sul viso.
Adriana rimase in silenzio, poi mi prese il viso tra le mani e mi baciò piano sulla bocca, un bacio tremante e intenso, carico di rabbia e dolore.«Non dovevi tenermelo nascosto… stronzo.» sussurrò contro le mie labbra, strofinando il naso contro il mio.«Sei mio, Ale. E nessuno ti tocca senza il mio permesso.»
Il modo in cui lo disse, quella voce bassa e sensuale che vibrava di gelosia e di amore ferito, mi fece tremare. Sentii le sue mani scivolare tra i miei capelli, tirarmi contro di lei, il suo corpo morbido e caldo che cercava il mio come a voler cancellare le altre, il dolore, il disgusto.
E in quel momento capii che forse non ero più solo.
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