Il cuoco

Capitolo 1 - Marco va a prendere sua sorella

Il suono della portiera che si chiudeva non fece in tempo a dissiparsi nell’auto di seconda mano di Marco che lo smartphone che aveva appoggiato sul sedile del passeggero aveva lanciato un trillo e lo schermo si era illuminato.

Il ragazzo si lasciò sfuggire un sospiro di irritazione a quelle tre note di chitarra che aveva impostato come suoneria per i messaggi di sua sorella, ignorandola per un istante mentre infilava la chiave nel quadro della macchina e avviava il motore. Fissando il parabrezza, in cui le luci dei lampioni assumevano l’aspetto di fuochi fatui per la brina che si era formata, si chiese per l’ennesima volta perché non si ricordasse mai di comprare uno spray per toglierla: dopotutto, lavorava in una piadineria all’interno di un centro commerciale e gli sarebbe bastato un attimo per raggiungere il negozio di attrezzatura meccanica e trovarne uno.

Ma le serrande erano ormai state abbassate e solo il Mc Donald’s, era ancora illuminato. Lo fissò con una certa inquietudine: un tempo ci andava spesso, il luogo dove portare le ragazze alla prima uscita, ma da quando aveva cominciato a lavorare anche lui in un ristorante non sopportava più l’idea di mangiare fuori.

Accese il riscaldamento dell’auto alla massima potenza e lo indirizzò ai bocchettoni che puntavano contro il parabrezza, sperando si liberasse velocemente dal ghiaccio che quella gelida giornata di febbraio aveva prodotto. Lo lasciava allibito che, nonostante quell’ondata di freddo, in quei giorni sembrava che chiunque dovesse recarsi a mangiare una piadina, con gente che si ritrovava ad aspettare anche venti minuti per poter consumare, con lui che lavorava come un matto e Piero che quasi impazziva a gestire tutte quelle ordinazioni.

Di certo, si disse, mentre afferrava il telefonino e lo sbloccava con il volto, Chiara gli aveva spedito un messaggio per informarlo che aveva fatto tardi con le sue amiche quindi adesso era a casa senza cena e lui avrebbe dovuto prendere qualcosa da asporto.

«No, nemmeno,» disse nervoso, leggendo il messaggio. «È ancora al bar e aspetta che vada a prenderla. È ora che si faccia la patente anche lei,» ripetè per l’ennesima volta da quando la sorella aveva raggiunto la maggiore età. «e si faccia prendere una macchina o almeno un motorino».

Scosse la testa, sbuffando. Sarebbe andato a recuperarla, ma come lui doveva sottostare ai suoi comodi, lei avrebbe atteso i suoi tempi. O, per lo meno, quelli del parabrezza che aveva iniziato solo in quel momento a mostrare una piccola porzione del parcheggio che si stava svuotando velocemente dalle auto dei dipendenti delle varie attività appena chiuse.

"Il Griso" pensò Marco, mentre la macchina si metteva in moto e scivolava fuori dal parcheggio, immettendosi nel traffico della sera verso sua sorella, "una delle bettole peggiori che abbia mai visto." E poi, che razza di nome aveva?

Ci era entrato anni prima, quando ancora andava a scuola e un giorno, con un paio di compagni, aveva bigiato e, per sicurezza, avevano preso un pullman che li aveva portati fuori Feltre, fino al paese di Caregan, sperando di non essere scoperti e riconosciuti da nessuno. Il locale, che molti loro compagni si vantavano di frequentare nemmeno fosse stato un bordello d'alto bordo, era uno che voleva apparire come quelli che si vedono nei film americani, dove si ritrovano le bande di biker anarchici, con la barba quasi più lunga della loro fedina penale e le loro dichiarazioni di odio verso il resto dell'umanità scritte su giacche di pelle unte. In realtà, quando vi era entrato lui, non aveva trovato che un barista che non sapeva come passare la giornata e qualche vecchio che cercava da ore il senso della vita sul fondo dell'ennesimo bicchiere di liquore.

Mentre scendeva dall'auto, accanto alla bettola, era facile notare che di moto non ce n'erano nemmeno in quel momento: solo una mezza dozzina di macchine e qualche motorino che, a giudicare dal ghiaccio sui vetri, dovevano essere lì da parecchio. Il vento era gelido e soffiava con una fastidiosa insistenza, sollevando polvere e le foglie cadute da alcuni alberi nei pressi, ululando quando si incanalava nello stretto passaggio tra l’edificio che ospitava il bar e le costruzioni accanto, apparentemente abbandonate da tempo. Marco corse fino all'ingresso, una porta a vetri che una pulita non gli avrebbe fatto male. Alla piadineria non si sarebbero permessi di avere così lercio nemmeno il sacco della spazzatura.

Quando aprì la porta, un'ondata di aria mostruosamente calda e carica di odori di infimo cibo lo aggredì. Varcato l'uscio, si aspettò odore di sigarette, ma almeno quello mancava. Lanciò un'occhiata al barista, salutandolo e riconoscendo lo stesso che aveva visto durante la sua precedente visita, solo con qualche capello bianco e decimetro di girovita in più. Lui rispose con un cenno del capo, senza nemmeno chiedere cosa volesse.

Marco non aveva pensato di mandare un messaggio alla sorella per avvisarla che era arrivato: forse non sarebbe stato educato piombare così tra le sue amiche, forse Chiara avrebbe preferito farsi trovare di fuori, garantendo una sorta di privacy delle sue compari ma, pensò, magari ce n'era una un po' carina tra di loro con cui avrebbe potuto provarci. Non gli sarebbe dispiaciuto trovarsi una fidanzata nuova, dopo che da diversi mesi lui e Fabiana si erano lasciati e aveva avuto solo qualche incontro da una notte con un paio di ragazze.

C'erano poche persone sedute ai tavoli, per lo più anziani, in un'atmosfera che le luci basse avrebbero dovuto rendere intima, se non fosse stato per il vociare fastidioso di alcune ragazze in un angolo del locale. Marco, non dubitando che sua sorella si trovasse in quel gruppo, si avvicinò.

Ed eccole lì, sedute attorno ad un largo tavolo, con bicchieri che un tempo dovevano aver contenuto degli alcolici e ormai vuoti. Un paio di ragazze apparivano già abbastanza brille, mentre le altre sembravano ancora capaci di intendere e volere, sebbene Marco dubitasse che avrebbero potuto mettersi alla guida e non rischiare il ritiro della patente nel caso fossero state fermate dai carabinieri. Sperò che la sorella non fosse anche lei ubriaca.

La semioscurità gli permetteva di vedere bene solo una parte del gruppo, ma non fece comunque fatica a riconoscere le ragazze perché gli sembravano tutte di Feltre, Caregan e la zona circostante, già conosciute in passato.

In un angolo sedeva Anna, una coscritta di Chiara e che Marco aveva sempre trovato incredibilmente fastidiosa: si comportava come se fosse la persona più intelligente mai apparsa sulla Terra, ricordando in ogni istante a chiunque avesse la sfortuna di starle vicino di essere un’esperta di letteratura, ma bastava poco per rendersi conto che era la tipica ragazza incapace di avere idee ed opinioni differenti da quelle che andavano di moda. Quello che comunque colpiva maggiormente lo sguardo, ancora più del seno generoso, era la tinta dei capelli: quel giorno erano viola, a differenza della settimana precedente, che quando l’aveva scorta al supermercato avevano una luminosa tonalità verde. Marco si era chiesto più di una volta se la ragazza si lavasse i capelli con lo shampoo o con l’acquaragia.

Accanto c'era Cecilia, che come sempre aveva gli occhi abbassati, incredibilmente timida. Non poteva vantare un corpo esagerato come un paio delle altre ragazze presenti, piuttosto molto più simile a quello di Chiara, sua coetanea e quattro anni più giovane di Marco. Le differenze consistevano principalmente nel colore delle iridi e dei capelli, entrambi castani, con splendidi riflessi rossi. Lei alzò gli occhi verso di lui, riconoscendolo. Abbozzò un sorriso, ma le mancò il coraggio di mantenere un contatto visivo e tornò a fissare il bicchiere ancora quasi pieno. Cecilia era un buon motivo per essere entrato nel bar a cercare sua sorella, si convinse il ragazzo. Non era la prima volta che la vedeva in compagnia di sua sorella e, in ogni occasione, scatenava in lui quello che avrebbe potuto forse definire come “istinto di protezione paterna” nei confronti di quel timido cucciolo, sebbene non gli sarebbe dispiaciuto trovarsela nel suo letto, nuda e sudata sotto i colpi delle sue pelvi. L’unica cosa che lo tratteneva dal sedurla e soddisfare i suoi sogni era il fatto che fosse la migliore amica di Chiara e non avrebbe voluto creare dei dissapori tra di loro, nel caso fosse andato male qualcosa nella loro relazione.

In effetti, fu con uno sforzo che abbandonò il viso arrossato dalla timidezza di Cecilia alla ragazza accanto, a capotavola, che non poteva che essere Helga, ragazza che aveva fatto dell'egocentrismo il leitmotiv della propria vita: si era sempre atteggiata come una diva del cinema, convinta di essere la donna più bella al mondo. Avere i capelli di un rosso più prossimo ad un borgogna smorto e avere i genitori pieni di soldi non bastava a rendere una donna una figa, soprattutto se il volto era sempre distorto in una sorta di smorfia di disgusto verso chiunque, oltre ad essere talmente magra che le ossa sporgevano dalla pelle e non c’era nulla da vedere davanti e dietro. Nemmeno il fatto che se la portasse a letto praticamente chiunque, in quanto sembrava incapace di avere le gambe chiuse quand'era presente un esponente del sesso maschile dotato di soldi sufficienti a soddisfare i suoi desideri da principessa.

Al fianco di sua sorella, che lo stava osservando con palese sorpresa e, probabilmente, sconcerto, sedeva Arianna, una ragazza con cui la natura non si era sprecata molto, fornendole un volto spigoloso e anonimo, anche se gli occhi azzurri erano molto carini, sebbene sempre atteggiati in un'espressione che sembrava di rabbia, come se ce l’avesse con il mondo intero.

L’ultima ragazza era Beatrice, che gli sorrise. Per un istante, Marco ebbe la certezza che lo stava guardando come se avesse voluto spingerlo contro un muro e fotterlo fino a sfinirlo, ma fu solo una frazione di secondo, prima che l’espressione sul volto della bionda assumesse un’espressione più cordiale. Il ragazzo credette fosse stata solo una sua impressione, dovuta al fatto che Beatrice fosse famosa per essere quella che potrebbe essere considerata, per usare un termine educato, una libertina, oltre a essere attivamente coinvolta nella ricerca di nuovi partner sessuali. Con il corpo che si trovava, un seno gonfio e due spalle larghe, Marco non si meravigliava se non faticava a trovarne facilmente: lui per primo avrebbe apprezzato molto passare del tempo con lei.

Avanzò di qualche passo, avvicinandosi al tavolo, salutando le ragazze. Tutte risposero al saluto, tranne Helga e Anna, come, d’altronde, si sarebbe aspettato Marco.

Solo in quel momento, però, si rese davvero conto del disagio della sorella, che si alzò in piedi velocemente, afferrando la giacca sulla spalliera della sedia su cui era assisa solo fino ad un istante prima.

«Andiamo!» gli ordinò ad una voce talmente bassa che solo lui avrebbe sentito, quasi correndo verso la porta e senza salutare

Marco, confuso e prossimo ad offendersi, fu sul punto di chiederle se si vergognasse di lui davanti alle sue amiche, ma una voce alle sue spalle lo precedette. «Oh, guardate! È arrivato lo chef stellato! Chissà se ci prepara un uovo al tegamino?»

Il ragazzo sentì il cuore perdere un colpo, riconoscendo chi aveva parlato. "Certo, ecco perché mia sorella voleva andarsene così velocemente: non si vergognava di me, quanto piuttosto era intenzionata a non farmi incontrare Cinzia, sapendo bene quanto ci odiamo", capì, insicuro se essere grato per il pensiero di Chiara o se essere indignato per le sue compagnie. Vada per quelle cinque, ma quella troia di Cinzia?

«Hai perso la parola, idiota?» continuò la ragazza, dando nuovamente dimostrazione di tutta la sua educazione. «O sei ancora timido come ai tempi della scuola? Perché qui di silenziosa basta quella muta di Cecilia».

La ragazza, chiamata in causa, si limitò ad alzare lo sguardo verso Marco, sorridendo imbarazzata.

Lui sentì la rabbia avvampargli nel petto nel vedere quella ragazzina essere irrisa da quella stronza: avrebbe lasciato perdere gli attacchi se fossero stati indirizzati verso la sua persona, ma non contro una ragazza che aveva il “difetto” della timidezza. Si voltò verso Cinzia, i pugni stretti, ma restando per un attimo stupito, confuso dalla bellezza che la ragazza irradiava come il sole i suoi raggi: alta, una cascata di capelli neri, gli occhi ancora più scuri, un corpo fantastico, e tutto ciò nonostante la seguisse segretamente da tempo su Instagram. Era come vedere da anni una modella su Internet, e poi un giorno trovarsela davanti, in carne e ossa. Sì, era vestita, e anche in modo provocante per sottolineare la sua personalità e attinenza, ma Marco l'aveva vista quasi completamente nuda diverse volte, sebbene solo in modo digitale, e non poteva negare che se su Instagram fosse una vista spettacolare, dal vivo gli toglieva il fiato ogni volta che se la trovava davanti.

Due seni pieni e distanziati avevano come contrappeso, sul retro, un paio di chiappe marmoree, il tutto sostenuto da un corpo snello e perfettamente proporzionato, con gambe lunghe e ben tornite, sotto ad una pancia piatta senza addominali in vista. D'altronde ne aveva di tempo per allenarsi, visto che non lavorava, e nemmeno aveva finito le superiori quando aveva scoperto che poteva guadagnare di più facendosi fottere e postando foto in particolari siti a pagamento che facendosi fottere e basta. In particolare, girava voce tra i suoi amici che Cinzia pagasse in natura un paio di fotografi che la ritraevano in pose che di casto non avevano ben nulla.

«…perché il signorino qui presente,» continuava intanto lei, probabilmente conscia dello sconvolgimento che stava provocando in Marco, rivolta alle cinque ragazze sedute al tavolo, «quando andavamo alle elementari eravamo nella stessa classe, e lui era innamorato di me,» e si girò verso il soggetto delle sue parole, con un perfido sorriso a scoprire dei denti bianchissimi, «ma il povero stronzetto non sapeva ancora a cosa serviva il suo cazzettino, o di certo mi avrebbe messa a novanta sul banco e aperto la passera ed il buco del culo. Ma di certo allora come adesso non avrei sentito nulla perché…» e fissò Marco, mentre alzava una mano a pugno, tenendo il pollice e l'indice a pochi centimetri l'uno dall'altro, affinché fosse ben visibile dal tavolo per il ludibrio delle sue ragazze.

Qualcuna sghignazzò, qualcun'altra fece finta di nulla, forse consapevole che si stavano spingendo troppo oltre: d'accordo andare alla scuola di troiaggine di Cinzia, ma forse sarebbe stato meglio mantenere un minimo di rispetto verso la gente, soprattutto se era il fratello di una loro amica.

Troppo adirato per rispondere, Marco si limitava a fissare con occhi di brace Cinzia, che si stava godendo il momento di dominio. Non fosse stato che era troppo educato, le avrebbe assestato una sberla, ma poi si sarebbe trovato lui dalla parte del torto.

«Falla finita, Cinzia!» gridò all'improvviso Chiara, alzando inaspettatamente la voce. Tutti gli avventori si voltarono verso di lei. Si avvicinò a Marco, il volto rosso per l'ira. «Non permetterti di prenderlo in giro per…»

Ma la mora, che sembrava aspettare solo questo, esclamò: «Perché, Chiara, gliel'hai visto?»

Altro scroscio di risa tra le sue "amiche", o almeno alcune di tali, mentre la ragazza si ritrovava con il rossore della vergogna che imporporava le sue gote.

«Cinzia, sei una deficiente!» sbraitò Marco.

Cinzia guardò Marco con un sorriso di puro, feroce divertimento, poi fissò la sorella. «Ti ricordi cosa ti ho detto, Chiara. Se vuoi essere come me…» si voltò verso tutte le altre al tavolo. «Se volete essere mie pari, capaci di dominare un uomo, dovete succhiarlo a vostro fratello e bervi la sua sborra».

«Ma cosa cazzo stai dicendo?» sbottò Marco, alzando le braccia, incapace di comprendere se quella che stava vivendo fosse la realtà o stesse sognando.

Le ragazze, però, annuirono, chi più chi meno.

«Hai una sorella, Cinzia!» esclamò il ragazzo. «Come avresti potuto?»

Un movimento della mano della mora sembrò scacciare l'obiezione come se fosse stato un insetto molesto. «Che importa. Io non sono una figa di legno come loro». Poi indicò Chiara. «O come te, soprattutto. Scommetto che sei ancora vergine».

Chiara tentennò, imporporandosi ancora più. Marco sapeva che la sua dolce sorellina aveva avuto almeno due fidanzati, sebbene nessuno dei due fosse durato a lungo, ed era certo che entrambi avevano avuto la fortuna sfacciata di poter accedere alle grazie più nascoste di Chiara. L’idea che quei due bambocci, incapaci di far godere una ragazza, non fossero stati in grado di dare piacere a sua sorella gli faceva salire il sangue alla testa…

«Se vuoi iniziare a scopare come si deve, con veri uomini,» proseguì Cinzia, con una malevola soddisfazione nel vedere Chiara che sembrava diventare sempre più piccola nella vergogna, interrompendo i pensieri di Marco, «è ora che ti tolga di dosso tutti quegli inutili tabù. E scoparti quella… mezzasega di tuo fratello è il modo migliore».

"Un pugno in faccia, ecco cosa si merita Cinzia", ma appunto il tabù di pestare una donna trattenne Marco dall'esaudire il suo proposito. Si limitò a fissarla con astio per un istante, poi prese la sorella per un braccio e la trascinò fuori dalla bettola, senza salutare nessuno, con gli occhi di tutti i presenti su di loro, accompagnati dalla risata di Cinzia.

Linea Erotica Z