Mi fanno la festa
Quello dove vivevo in Puglia è un paese molto piccolo. Praticamente tra ragazzini ci si conosceva quasi tutti, perché si frequentava la stessa scuola o lo stesso catechismo oppure perché i genitori erano amici. Comunque le possibilità di non essersi mai visti erano davvero poche.
D’estate, invece, la popolazione quasi triplicava. Si riempiva (e si riempie tutt’ora) di turisti da ogni parte d’Italia e altrove.
Io, quando per la prima volta mi sono avvicinata al sesso, mi sembrava di aver scoperto la cosa più bella del mondo. Non volevo più smettere di farlo, anche se questo inizialmente mi ha portato ad essere additata come “quella facile”.
In realtà non mi sentivo di esserlo, ma se qualcuno mi piaceva non avevo problemi a farci sesso. E ad un certo punto i parcheggi, le stradine di campagna o gli anfratti del paese li conoscevo tutti.
Col tempo inoltre ho capito che per cercare di far tacere quelle voci, mi conveniva evitare i ragazzi del paese. Quindi ho iniziato a concentrarmi sui turisti.
Nel 2002, me lo ricordo come fosse ieri, conobbi questo Mario, un ragazzo di Roma in vacanza nel mio paesino. Aveva 26 anni, alto, moro, fisico asciutto e definito, ma non un palestrato. Ero incantata da quella sua abbronzatura che faceva spiccare gli occhi di un azzurro quasi innaturale.
Era in villeggiatura con un gruppo di amici, un gruppo misto con ragazze e ragazzi. Erano tutte coppie, ma questo lo seppi solo parecchio dopo.
Lo conobbi in spiaggia. Io ci andavo con mia madre, che provava a tenermi d’occhio come poteva.
Avevo notato gli sguardi di questo ragazzo bellissimo, mentre era in acqua ed io semi sdraiata sull’asciugamano.
Il mio due pezzi rosa faceva l’effetto di un evidenziatore, sulla mia pelle candida.
Mi guardava, lo guardavo, e ricordo che la cosa mi emozionava. Era davvero bello.
“Mamma mi dai i soldi per il gelato?” chiesi per cercare riparo dall’afa. Lei nemmeno mi guardò, seduta sotto l’ombrellone impegnata nei suoi cruciverba. “Prendili, sono nella borsa.”
Mi alzai, recuperai qualche spicciolo e andai verso il bar.
Ricordo che comprai un Fior di Fragola, mi sedetti su un muretto all’ombra e mi gustai il mio gelato mentre mandavo sms alle amiche. Mi raggiunse però lui. Si sedette accanto a me.
“E a me non lo mandi un messaggino?” mi disse. Che scemo. Ma ebbe successo. Una frase di approccio che la me di quegli anni non si sarebbe aspettata. “E mica ho il tuo numero…” gli risposi. Ricordo che ogni volta che sollevavo i miei occhi ad incrociare i suoi ero quasi abbagliata. Aveva modi gentili, lineamenti dolci. Mi prese il telefono dalla mano e si salvò il suo numero sul mio telefono, facendosi anche uno squillo.
“Io mi chiamo Mario, e tu?”
“Mi chiamano Mimì” dissi io, cercando di fare la splendida.
“Piacere, Michiamanomimì. Ci vieni in piazza, stasera?”
Annuii, tornando a ciucciare il gelato.
“Allora scrivimi quando ci sei, che ti offro da bere” disse. E tornò in spiaggia dagli amici, lasciandomi con un sorriso trasognante appiccicato sul viso.
La sera ovviamente gli scrissi subito, facendogli sapere che mi avrebbe trovata nei pressi di un baracchino vicino il lungomare. Venne insieme ad un suo amico, e la cosa un po’ mi infastidì. Avevo sperato in una serata soli e invece no.
Anche perché avevo sfoderato l’artiglieria.
Ero uscita con un vestitino a tubino nero che mi lasciava scoperta la schiena. Era abbastanza corto sulle gambe, praticamente a girochiappa. Attorno al collo avevo uno di quei collarini che si usavano anni fa. I miei capelli biondi erano lunghi e legati in una coda bassa. Trucco leggero sugli occhi e un velo di lucidalabbra.
L’amico si chiamava Gianluca, era decisamente meno attraente di lui, ma non brutto di certo. Però io avevo occhi solo per Mario. Entrambi erano in camicia e pantaloncini. La camicia di Mario era bianca e la sua carnagione risaltava. Quella di Gianluca era rossa.
Mi invitarono a bere un cocktail al baracchino ed insieme tutti e tre passeggiammo sul lungomare. Chiacchieravamo, loro due scherzavano tra loro, ed io mi sentivo felice, quando Mario mi abbracciava e mi stringeva a se.
Raggiungemmo un punto meno affollato del lungomare, un vialetto alberato che porta alla spiaggia. Gianluca andò a comprare altri drink, mentre io e Mario scavalcammo il piccolo muretto per andare a sederci sui blocchi di pietra che davano sul mare.
Eravamo entrambi illuminati solo dalla luna. Io ero già un po’ brilla, perché in quel periodo non mi capitava spesso di bere un cocktail, e la situazione era talmente travolgente che iniziammo a baciarci.
Le sue mani mi tenevano il viso e la sua bocca era completamente padrona della mia. Le nostre lingue giocavano e le mie mani non riuscivano a staccarsi dal suo petto.
Sospiravamo, nascosti da occhi indiscreti, ed io iniziai a farlo sempre più intensamente, quando la mano di lui si intrufolò tra le mie gambe. Mi massaggiava la patatina già umida con i polpastrelli, sfregandomi la stoffa delle mutandine contro i miei stessi umori.
Io non volevo essere da meno e gli slacciai i jeans, liberando il suo sesso ed iniziando a masturbarlo. Il tutto senza smettere di baciarci.
Quando fummo interrotti da Gianluca avevo il vestito sollevato sulla vita e abbassato sotto i seni. L’amico del mio Mario era tornato con tre bicchieri di vodka-lemon, ma io pensavo solo che dovevo coprirmi.
“Tranquilla, Mimì…” cercò di tranquillizzarmi Mario, “Gianluca è un fratello, non abbiamo segreti”
Il suo amico si avvicinò a me sorridendo e mi porse il bicchiere. Lo presi, dando un sorsone a quel cocktail, reidratando la mia gola secca. Mario aveva ancora il cazzo da fuori. “Ma che v’ho disturbati?” disse Gianluca. Io ero in effetti un po’ a disagio ma non volevo fare la parte della ragazzina. “Ma figurati, stai qua…” disse Mario, avvicinandosi nuovamente alla mia bocca e baciandomi. “Non ti fermare, Mimì…mi stava piacendo…” mi sussurrò sfiorandomi il viso col suo e mordicchiandomi e leccandomi il labbro inferiore.
Così, un po’ timidamente, presi nuovamente nella mano il suo membro turgido e ricominciai a segarlo, mentre le sue dita scostavano le mie mutandine. Le sentii infilarsi dentro di me e io non potevo trattenere dei piccoli gemiti.
Fu allora che anche Gianluca mi si avvicinò. Mi cinse la schiena ed iniziò a baciarmi il collo. Mi sentivo a quel punto eccitatissima.
In un attimo avevo entrambi i cazzi di quei due ragazzi nelle mani e le loro bocche su di me: uno mi baciava e mordeva il collo, l’altro mi succhiava i capezzoli. Li masturbavo entrambi e con gli occhi chiusi mi godevo il momento. Non mi era mai capitato, di avere due uomini contemporaneamente.
I due ragazzi si misero in piedi davanti a me. La mano di Mario sulla mia testa mi accarezzava “ti va di prenderli in bocca, amore?” mi disse con quel sorriso disarmante. Non me lo feci ripetere. Volevo mostrarmi all’altezza della situazione. Così iniziai a spompinarli entrambi.
Mentre muovevo la bocca sul cazzo di uno, cercavo di tenere il ritmo con la mano su quello dell’altro. E viceversa. Li sentivo entrambi premere sulla mia lingua e ansimare. Li sentivo godere e questo mi appagava.
“Brava, Mimì… che brava puttanella, che sei…” mormorò il mio Mario, mentre gli succhiavo il cazzo come se lo amassi.
Fu forse Gianluca, a tirare fuori un preservativo. Ma ad indossarlo fu Mario. Io non potevo chiedere di meglio, non vedevo l’ora di essere scopata da quel centurione romano dei nostri tempi.
Si stese sulla sua camicia e dopo essersi messo il preservativo mi fece sedere su di se. Me lo spinse dentro senza troppe cerimonie ed iniziò a scoparmi.
Lo guardavo negli occhi azzurri, quasi innamorata da quei colori, da quei lineamenti, da quelle espressioni da maschio sudato e arrapato.
Gianluca mi si parò davanti e dopo aver sbattuto la sua erezione contro il mio viso, come se stesse bussando per entrare, mi mise in bocca il suo cazzo. Non avevo ancora tutta questa esperienza nel gestire due maschi eccitati, ma ricordo che cercai di non sembrare una sprovveduta.
Così mi alzai sulle ginocchia, perpendicolare al corpo di Mario sotto di me, e iniziai a succhiare e a segare con maggior foga il sesso turgido di Gianluca. Lo guardavo in viso e le sue espressioni erano una sorta di approvazione.
“Oh sì…succhia… ti piace? Ti piace?” diceva infoiato. Io mugugnavo, mentre succhiavo, ansimavo e annuivo. Ero eccitata, bagnatissima mentre venivo scopata e mi sentivo un po’ preda e un po’ predatrice. Succhiavo quel cazzo con desiderio, mentre lì sotto mi sentivo in fiamme.
Lo sentii irrigidirsi tra le labbra, pulsare, così rallentai di colpo il movimento della testa ma non quello della mano. Lo sentii godere e sborrò tutto nella mia bocca. Io la serrai attorno a quell’asta di carne ed ingoiai tutto quel nettare dolciastro. Si scostò da me, lasciando scivolare un’ultima goccia di sborra mista alla mia saliva sui miei seni nudi. “Vabbè ma questa è ‘na professionista!” disse abbandonandosi sul frangiflutti che avevamo promosso a talamo. Io sorrisi mentre affannata mi facevo scopare da quel ragazzo dal viso angelico.
Mario mi afferrava per i fianchi e mi spingeva sempre più a fondo il suo cazzo. Lo sentii gemere e godere, mentre scaricava le sue palle in quella barriera di plastica sottile che ci divideva.
Ci fumammo tutti e tre una sigaretta, mezzi nudi e sfatti, mentre la luna si specchiava nel mare.
Chiacchierammo dell’estate, dei personaggi strani del paese. Ridemmo parecchio.
Non li rividi più, neanche la mattina dopo. Spariti nel nulla. Chissà che ricordo hanno, loro, di quella notte.
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