È solo per allenamento

Capitolo 2 - L’allenamento inizia

Asiadu01
6 days ago

Il solito bar, la solita panchina esterna un po’ sgangherata, due birre mezze vuote e una Luna già leggermente alticcia dopo appena mezza bottiglia.

«Aspetta, aspetta…» disse con gli occhi lucidi e le guance arrossate. «Dimmi che non hai fatto davvero tutta ’sta scena struggente da film francese per poi farti fermare sul più bello.»

Sbuffai, appoggiando il bicchiere con un tonfo leggero sul tavolino in metallo. «Non è stato esattamente così.»

Lei rise, piegandosi in avanti con un’espressione esasperata. «Ale, dai… ti aveva già il seno di fuori! Ma come si fa a fermarti sul più bello? Ma che ha, un interruttore che scatta all’improvviso?»

«Non prenderla in giro, dai…» borbottai, anche se un sorriso amaro mi si stampò sul viso. «Lei ci tiene. È solo che… si blocca. È insicura.»

Luna scosse la testa, facendo dondolare i capelli castani mossi sulle spalle. «Mh. Sai cosa penso? Che forse non le è piaciuto.»

Mi voltai verso di lei, aggrottando le sopracciglia. «Cosa?»

«Hai capito.» fece lei, prendendo un altro sorso di birra. «Magari pensi che si blocca per l’insicurezza, ma magari è proprio che… non è stato granché.»

«Ma dai, Luna…» dissi, cercando di non ridere e incazzarmi allo stesso tempo.

Lei si avvicinò un po’, appoggiando il gomito al tavolo e il mento sulla mano. Il suo sguardo era più liquido del solito, complice l’alcol e forse anche una vena di provocazione maliziosa che le si leggeva in faccia.

«Sto solo dicendo che… magari hai bisogno di un po’ di pratica. Cioè, non tutti nascono con il polso magico.»

Alzai un sopracciglio. «Il polso magico?»

«Eh, serve un certo ritmo, una certa sensibilità… è come suonare uno strumento.» Fece una smorfia ironica, poi ridacchiò. «Tu al massimo hai provato a pigiare qualche tasto.»

Scoppiammo a ridere entrambi. Ma mentre ridevo, il modo in cui mi guardava cambiava. Era ancora divertita, ma c’era un velo diverso nei suoi occhi. Qualcosa che vibrava tra il gioco e un’intenzione che non capivo bene.

 

dopo qualche altra chiacchiera pagammo il conto e ci incamminammo verso la macchina.

Il vento della sera scompigliava appena i capelli di Luna mentre camminavamo verso la macchina. La risata leggera che le usciva dalle labbra era quella tipica di quando aveva bevuto appena un po’ troppo, ma abbastanza da essere brillante, spontanea, sfacciata.

«Comunque ammettilo, Ale. Non hai mai fatto davvero pratica, eh?»

Sbuffai ridendo. «Ma cosa vuol dire “pratica”? Non è che… boh, esistono lezioni a riguardo.»

«Beh, oddio. Dipende da chi hai vicino, forse sì.» fece lei con un ghigno mentre si allacciava il giubbotto.

La guardai di lato, sorridendo. «Non è che tutti nascono come te, eh. Con l’istinto naturale per il… polso magico.»

«Esatto!» scoppiò a ridere, dandosi una pacca sulla gamba. «È genetica, capisci? Ma tu invece sei tipo… un cucciolo che non sa dove mettere le zampe.»

«Grazie per il supporto, amica del cuore.» dissi sarcastico, ma divertito.

Salimmo in macchina, e mentre giravo la chiave nel quadro lei si sistemò il sedile, rimanendo con le gambe piegate e le ginocchia leggermente rivolte verso di me. Gli occhi le brillavano e c’era quel silenzio sospeso tipico delle notti che sembrano prestarsi a tutto.

Eravamo seduti uno accanto all’altro, lo schienale abbassato quanto bastava per farci sentire troppo vicini. L’auto era immersa in un silenzio rotto solo dai nostri respiri e dai rumori ovattati della strada lontana.

Lei mi guardava con quel mezzo sorriso che conoscevo fin troppo bene. Le labbra socchiuse, lo sguardo liquido, il busto appena ruotato verso di me, con la t-shirt del pigiama che le si incollava addosso in modo fin troppo naturale. Non eravamo più solo amici in quel momento, anche se facevamo finta di sì.

«Dai, fammi vedere come hai fatto ieri con Chiara…» sussurrò, con voce bassa, velata di malizia e di un pizzico d’alcool. «Così ti dico se andava bene.»

Scossi la testa, ridendo nervosamente. «Luna… ma che stai dicendo… non è… non è una roba da fare tra noi. Dai.»

«Oh, per favore! È solo… pratica! Studio! Ti lamenti che non sei sicuro di te, no? Bene, io ti aiuto. Che c’è di male?» Si piegò leggermente in avanti, guardandomi con un’aria innocente che era tutto fuorché innocente. «E poi, mica mi stai toccando davvero. Ho i pantaloni, no?»

La guardai per un secondo. Sì, li aveva. Un paio di pantaloncini larghi, di cotone, di quelli che ti metti appena sveglia. Aveva ancora addosso il profumo del caffè che le avevo portato quella mattina. I suoi occhi ridevano, ma c’era anche un fondo di desiderio sincero lì sotto. Non stava solo giocando.

«È una follia, Luna.»

Lei si avvicinò un pochino di più, le gambe piegate sul sedile, il ginocchio che mi sfiorava. «Follia utile. Dai, metti la mano sopra, non sotto. Così vedi che reazioni ti do. Poi, se ti va… vediamo come correggere la tecnica.»

«Sembri una professoressa di educazione sessuale molto poco qualificata.»

Lei rise. «E tu sei lo studente più confuso della storia.»

Mi fermai un attimo. La guardai. Era bella. Lo era sempre stata, ma lì, così libera, mezza spettinata, il viso acceso dal vino, era qualcosa di diverso. E io… stavo già cedendo.

«Solo sopra i pantaloni. Per davvero.»

«Certo. Solo sopra. Lo giuro.» Alzò le mani in segno di pace.

Con un sospiro lungo come una notte d’estate, allungai lentamente la mano, appoggiandola sopra il tessuto sottile, tra le sue gambe. Lei trattenne un respiro, poi lo lasciò andare piano, piegando appena la testa all’indietro.

«Ecco… ora inizia.»

Cominciai a muovermi con delicatezza, quasi impacciato. Ma lei chiuse gli occhi e si morse il labbro. Non disse niente per qualche secondo, solo un leggero sospiro le sfuggì dalle labbra.

Poi…

«Mmm… ok, ci siamo… vedi? È qui che devi insistere un po’ di più. Ma non subito… prima accarezza… sì… proprio così…»

La sua voce era un sussurro caldo, un filo che mi teneva legato a lei in quel momento irreale. Sentivo il suo corpo reagire sotto il tessuto, le sue gambe stringersi appena. Io ero completamente teso, il cuore in gola, la mente piena di dubbi e di desiderio.

«Luna, forse… dovremmo fermarci.»

Lei aprì un occhio. «Fermarti? E perché mai? Stai solo imparando. E io… sto solo aiutandoti.»

«Io sto con Chiara.»

«E non le stai facendo niente che non le farebbe bene anche a lei… se sapessi come.»

Poi mi guardò seria. La voce più bassa, più intima.

«Io non voglio rubarti, Ale. Ma tu… devi diventare sicuro. Devi sapere quello che fai. Avere il coraggio di toccare. Di capire. Se no… continuerai a sentirti così ogni volta. Confuso. Bloccato.»

Le sue parole mi colpirono. La sua voce era diversa. Aveva smesso di scherzare.

Abbassai lo sguardo sulla mia mano. I suoi pantaloncini erano umidi. Lei ansimava appena, le guance rosse. La stavo eccitando, e la cosa mi faceva impazzire. Ma ero anche divorato dal senso di colpa.

«Solo per stavolta, ok?»

«Solo per stavolta.»

Il mio respiro si era fatto più corto. Continuavo a muovermi piano sopra il tessuto leggero dei suoi pantaloncini, e ogni suo sussurro, ogni piccolo gemito, mi arrivava diretto nello stomaco. Non sapevo bene cosa stessi facendo, ma sapevo che stava funzionando. Lei sembrava apprezzare ogni carezza.

Poi sentii la sua mano prendere la mia, con dolcezza. La sua voce si fece più bassa, quasi un alito contro la mia pelle.

«Ale… così non capisci davvero. È solo una parte. Non puoi imparare se non senti davvero come reagisce un corpo.»

Il cuore mi rimbombò nelle orecchie. La guardai, cercando nei suoi occhi una conferma che tutto questo fosse ancora uno scherzo. Ma non lo era. Lei era seria. Intensa. Desiderosa.

«Se non vuoi… non lo faccio. Ma se vuoi capire davvero… fammi vedere che hai il coraggio.»

Le sue dita tirarono leggermente la fascia dei pantaloncini verso il basso, quanto bastava per creare uno spiraglio. Un invito muto.

Io rimasi immobile. Poi, lentamente, infilai la mano sotto. Il tessuto caldo scivolò sulle nocche, e subito sentii la sua pelle, umida, calda, morbida.

Lei gemette piano, piano. Un suono basso, profondo. Le sue gambe si mossero appena, aprendosi un po’.

«Così… ora sì che puoi capire.»

Tremavo. Ogni movimento sembrava un passo dentro qualcosa che non potevo più ignorare. Le dita si muovevano più sicure adesso, guidate anche dai suoi sussurri, dai suoi respiri spezzati.

La sua testa si era poggiata al finestrino, gli occhi chiusi, il volto acceso. Ogni tanto mormorava parole spezzate, consigli mischiati a gemiti. Il suo corpo si muoveva contro la mia mano, sempre più teso, più affamato.

Poi, quasi senza preavviso, il suo respiro si fece più veloce, trattenuto. Il ventre che si contraeva, la mano che mi strinse il polso con forza.

Un sussulto, un gemito strozzato, e poi il silenzio.

Rimase ferma, gli occhi chiusi, ancora con il fiatone. Io ritrassi la mano lentamente, come se avessi toccato qualcosa di sacro. Non riuscivo a guardarla in faccia. Non riuscivo neanche a guardare me stesso.

Lei si voltò verso di me e sorrise appena. Un sorriso stanco, complice.

«Non male…» mormorò.

Nessuno di noi disse altro. Il resto del tragitto verso casa fu silenzioso. Lei si rannicchiò contro il finestrino, con il viso rilassato, mentre io guidavo cercando di mettere insieme i pensieri.

Avevo appena toccato Luna. Le avevo dato piacere. Ero riuscito a farle provare qualcosa… ma a che prezzo?

Chiara mi veniva in mente ogni volta che guardavo le mie dita sul volante. Eppure, non riuscivo a pentirmi davvero.

Solo confusione. Solo quel misto assurdo di eccitazione e colpa, di desiderio e amicizia che non riuscivo più a distinguere.

Quando Luna scese dall’auto, mi lanciò un ultimo sguardo e disse piano:

«Ci vediamo domani, Ale.»

Poi sparì nel portone.

Restai lì un momento, col motore acceso e i pensieri completamente in tilt.

Il giorno dopo sembrava un altro universo.

Mi ero svegliato ancora con le guance calde e il cuore pieno di domande. I ricordi della notte precedente mi scivolavano addosso come una doccia gelata: le risate in macchina, il caldo soffocante nei sedili dietro, le sue mani sulle mie, il suo respiro spezzato. E poi il silenzio mentre la accompagnavo a casa.

Mi alzai dal letto e presi il telefono. C’era un messaggio.

Luna 🌓

“Ma ieri ti sei addormentato in macchina o mi hai proprio ignorata alla fine? 😂”

Sorrisi, nervoso.

“Ahaha no, solo che non sapevo cosa dire… hai dormito bene?”

Luna

“Come un sasso. Tu invece? Avevi la faccia da ansia esistenziale 🤓”

La chiacchiera continuò così per un po’. Sembrava tutto normale. Troppo normale. Nessun accenno a ciò che era successo. Nessun “ne parliamo?”, nessun “ti sei sentito strano?”. Solo battutine, faccine, come due amici qualunque.

Poi, il telefono vibrò di nuovo. Un altro nome, un altro tono.

Chiara 💚

“Amore… ti va di vederci stasera? Pensavo che potremmo farci una serata tranquilla solo io e te. ❤️”

Mi bloccai. Restai a fissare il messaggio, con lo stomaco che si chiudeva su sé stesso.

Perché sì, certo che mi andava. Lei era la mia ragazza, quella con cui avevo sempre desiderato stare, quella che mi faceva battere il cuore con uno sguardo. Ma…

Quel “solo io e te” aveva un peso diverso, adesso.

“Certo che mi va 💛 Dimmi tu l’ora”

scrissi, cercando di non pensarci troppo.

Poi tornai alla chat con Luna.

Io

“Ho appena sentito Chiara. Ci vediamo stasera.”

Luna

“Oooh, seratina romantica 😏 allora non ti disturbo. Anzi… ripassati la teoria 😉”

Restai a guardare lo schermo per un momento, poi lasciai il telefono accanto al letto.

Era strano. Avevo passato una notte con Luna che non avrei mai immaginato, e il giorno dopo… tutto sembrava rientrato nei ranghi. O almeno, così sembrava in apparenza.

Ma dentro di me, niente era più davvero tranquillo.