Elisabetta

I miei genitori mi hanno battezzato dandomi due nomi, Caterina ed Elisabetta, papà era uno storico e mi ha dato il nome di due regine, anzi una era imperatrice, io mi faccio chiamare Kate o Eli faccio la giornalista indipendente, oggi si direbbe freelance e ho anche un blog, ma faccio anche ………altro.
Racconterò la mia storia o, almeno, alcuni episodi della mia storia, vivo in camper, almeno da quando ho la patente C che mi ha consentito di comprare un mezzo della dimensione e con le caratteristiche che cercavo, sul camper ho un garage dove sono alloggiati il mio scooter e le mie due moto, e viaggio con il mio cane, è importante che mi descriva e descriva tutto ciò che Vi ho elencato perché possiate visualizzare me e ciò che mi circonda, sarà più facile seguirmi.
Dunque, la mia casa, il mio camper è tedesco , un Morelo palace linear 95, è lungo 10 metri e largo 2,5, completo di tutto, letto matrimoniale posteriore, letto basculante in cabina, bagno con doccia separata, aria condizionata e riscaldamento, ho addirittura la lavastoviglie e un capiente garage posteriore dove stivare il mio scooter e le mie moto, non è certo maneggevolissimo ma mi serve per arrivare dove voglio ed avere una base comoda con tutte le mie cose, per muovermi uso i mezzi a due ruote; questi sono un kymco agility 50 R12, un KTM 300 exc per enduro hard ed una Honda CB500 hornet, poi c’è il mio cagnolone, un lupo cecoslovacco di nome Alfred, poi, finalmente, ci sono io, come mi chiamo lo sapete, adesso ho 39 anni, sono alta 171 cm, peso 52 kg, vabbè, 88/58/90 coppa C, bionda, capelli lunghi e occhi grigi, visualizzato?
Qualche altra notizia : sono nata e cresciuta a Milano fino ai 15 anni, ma papà era di origine pugliese, dai 15 ai 19 ho vissuto con i nonni in puglia poi sempre in giro per Italia ed Europa, ed ora andiamo al racconto :
a 15 anni non ero come adesso, qualche cm in meno di altezza, una misura diversa per il seno, chiaramente, capelli corti, comunque ero già una piccola donna, anche se avevo le lentiggini, che ora non ho più; passavo sempre tutta l’estate con i nonni vicino Foggia da quando avevo 10 anni, papà era sempre impegnato per le sue lezioni, i suoi libri e le sue conferenze, mamma gestiva la sua gioielleria di famiglia con laboratorio in Via Torino ed io venivo spedita in treno con un cartellino sul petto, i primi anni, dai nonni che avevano una masseria in campagna, non facevano più gli agricoltori ma avevano ancora un piccolo orto che curavano da soli, la masseria era abbastanza grande, c’era anche una chiesetta sconsacrata che però la nonna teneva pulita e in ordine e che frequentava tutti i giorni per il rosario, ormai diversi fabbricati piccoli e grandi erano vuoti, resisteva solo un pollaio ed una conigliera, la stalla ed il deposito del fieno e delle granaglie erano vuoti e così un paio di alloggi per i contadini, però il nonno, con l’aiuto anche dei soldi di papà e mamma teneva in ordine, anche se vuoti, i terreni poi, erano stati affittati ad una cooperativa,.
Fino all’anno precedente, devo dire, mi divertivo parecchio dai nonni, poi ero diventata…..donna, quell’anno, quello dei miei 15 anni, stavo tanto con il mio computer, il telefonino e mi annoiavo un po’, ogni tanto prendevo la bici della nonna ed arrivavo al vicino paese, per una rivista, un gelato o una passeggiata nel tardo pomeriggio, il classico struscio, con l’occasione mi truccavo leggermente, la nonna non voleva e mettevo i miei vestiti migliori, lo facevano tutti.
Quel venerdì pomeriggio mi preparai come al solito per andare in paese, la nonna mi aveva fatto, era bravissima a cucire, una canottierina con le spalline sottili abbottonata sul davanti e corta in vita, ed una gonnellina sempre bianca di cotone, non aveva neanche esagerato con la lunghezza quella volta, arrivava ben sopra il ginocchio, portavo il reggiseno ma non lo misi perché si vedevano le spalline, dei sandali di corda con allacciatura alla schiava con un suola a zeppa col rialzo non troppo alto, usavo ancora delle normali mutandine di seta bianca, allora, niente intimo particolare, inforcai la bici per andare ed il nonno dal pollaio mi urlò di non fare tardi perché alle 8 , che era ancora giorno, si mangiava, lo salutai con la mano mentre iniziavo a pedalare.
Il corso del paese era abbastanza affollato es alcune persone si riunivano a capannello per parlare, io lasciai la bici vicino alla gelateria, slacciai il primo bottone del top, ero molto fiera del mio seno che cresceva e mi incamminai lungo il corso salutando i pochi che conoscevo e fermandomi, ogni tanto a guardare le vetrine, presi un gelato da passeggio e, camminando cominciai a leccarlo, andò così per tutto il tempo, mi ero anche comprata un paio di riviste, alle otto meno un quarto misi le riviste nel cestino della bici e tornai verso casa, la strada era asfaltata e completamente circondata da campi coltivati, alcuni con muretti in pietra , poi per andare a casa dovevo fare circa un kilometro di strada sterrata ma bella, almeno quando non pioveva, un paio di motorino mi sorpassarono con tre ragazzi a bordo, dovevano essere dei braccianti della tendopoli, all’inizio della strada sterrata che portava alla masseria dei nonni c’era un gruppetto di alberi ed un fontanile, quando feci la curva ed iniziò lo sterrato vidi i due scooter di traverso e non potevo passare, anche perché ai lati della strada c’era un fosso e non potevo andarci, ma subito non mi spaventai mi fermai e chiesi ai tre che erano in piedi vicino al fontanile di spostare uno dei motorini, poi alle mie spalle ne arrivarono altri due su un'unica bicicletta e si misero in modo che non potessi neppure tornare indietro, ecco lì cominciai ad avere paura ed urlai di spostarsi per farmi passare, feci per prendere il telefonino nel cestino ma uno dei tre me lo strappò di mano, poi mi dette uno schiaffo che mi buttò a terra, ero intontita, mi raccolse da terra come fossi leggerissima e mi mise cavalcioni su uno degli scooter dove un altro era già seduto, poi salì anche lui stringendomi contro la schiena del suo amico e partimmo, non fu un lungo percorso, arrivammo in un casolare diroccato, mancava una parte del tetto, uno aprì una botola che era nascosta da una balla di fieno ammuffito e mi spinsero giù per una scaletta di legno, quando accesero una lampada di quelle da campeggio vidi che c’erano tappeti per terra e materassi e cuscini, doveva essere una specie di loro rifugio, la puzza era sconvolgente, la guancia mi faceva male, scesero anche gli altri due che ci avevano raggiunto, cercai di andare verso la scale ma uno mi prese e buttò su un materasso, mi rialzai ma mi bloccarono ancora ed uno mi strappò il top mettendomi a nudo il seno, gli altri ridacchiavano mentre quello mi palpava, gli dissi, li pregai, di lasciarmi andare e di non farmi del male, la risposta fu che mi strapparono anche il gonnellino, mi ero fatta la pipì addosso e risero anche di quello indicando i miei slip bagnati, fecero, comunque, la fine degli altri miei vestiti, mi buttarono di nuovo su un materasso mentre cercavo di coprirmi con le mani, poi cominciarono a spogliarsi anche loro, stavo piangendo in silenzio, sentivo le lacrime bagnarmi il viso ma non riuscivo a parlare, non avevo mai visto dal vivo il pene di un uomo mi sembrarono tutti enormi, poi mi ritrovai sdraiata con uno di quelli sul petto ed il suo cazzo davanti alle bocca, se lo prese in mano e me lo fece strisciare sulle labbra, poi, con l’altra mano mi costrinse ad aprirla e me lo spinse in bocca ridendo, poi un dolore forte, intenso quando un altro spinse il suo cazzo nella mia farfallina implume e mi sverginò, senza riguardi, il suo arnese scorreva dentro di me facendomi male, poi sentii qualcosa di caldo e liquido schizzare contro le pareti della mia vagina e lui uscì, quello nella mia bocca prese il suo posto tra le mie gambe e un altro lo sostituì, mi ritrovai un uccello che mi pompava in gola e un altro tra le gambe, altro liquido caldo, dopo un po’ e un altro cambio, ero stremata ma continuarono fino a che tutti e cinque non ebbero la loro parte, mi lasciarono rannicchiata in posizione fetale, ormai non mi scendevano più le lacrime, mi faceva male la pancia, loro in cerchio si sedettero su dei cuscini a fumare, sempre nudi, io pensavo che ormai i nonni non vedendomi arrivare mi stessero cercando, ma quelli avevano preso anche la mia bicicletta.
Era passata almeno un’ora, da quando mi avevano lasciato stare, poi mi sentii afferrare mi misero dritta, uno mi teneva le braccia stese in avanti e avevo la testa a terra, alzarono il mio bacino mettendomi prima un braccio e poi due cuscini sotto la pancia, volevano ricominciare, non pensavo minimamente al mio culetto fino a quando non sentii un dito nodoso infilarcisi dentro, poi le dita divennero due e cominciarono a roteare, sentii qualcuno sputare e mi accorsi che lo stavano facendo sul mio buchino posteriore, poi un cazzo cominciò a spingere per forzarne l’entrata e ci riuscì facendomi urlare, ora era dentro di me e cominciava a muoversi, dolorosamente e inesorabilmente, in italiano stentato qualcuno disse che mi avevano sverginato anche il culo, le mie cosce erano già impiastricciate di sperma e sangue, ogni tanto mi davano una pacca sul sedere, poi il mio intestino venne inondato di sborra calda e quello dentro di me venne sostituito da un altro, svenni, quando mi riebbi mi stavano ancora scopando nel sedere, ormai non avevo più forze, ero una bambola di pezza nelle loro mani, finito mi buttarono un secchio d’acqua addosso e poi, quando mi rannicchiai, una coperta. Mi addormentai non per il sonno ma per lo sfinimento.
Non so quanto tempo passò, ma quando mi svegliai erano ancora lì tutti e cinque nudi, ne volevano ancora, non erano ancora sazi del mio corpo giovane, venni sollevata di peso e calata senza alcun riguardo sul cazzo di uno dei cinque che si era sdraiato sul tappeto, era piantato nel mio culetto che sentivo come fosse lacerato, poi mi prese per il seno tirandomi all’indietro con la mia schiena sul suo petto e un altro mi fu sopra puntando alla mia farfallina, mi penetrò ridendo ora ne avevo due dentro di me quando si mossero scoprii una cosa nuova, a parte il dolore, la sensazione di un orgasmo, la cosa si protrasse per un tempo che mi sembrava infinito con loro che si scambiavano godendo del mio corpo come volevano, ogni tanto qualcuno mi infilava un cazzo in bocca e mi scopava anche lì facendomi bere il suo sperma e facendosi leccare l’uccello per farselo ripulire, mi muovevo come un automa, ormai mi faceva male dappertutto, ma ad un certo punto non riuscivo più a parlare e a chiudere la bocca, svenni ancora, non so quante volte era successo, non so quanto tempo ero chiusa l’ dentro, quando mi risvegliai ero avvolta in una coperta su un prato, c’erano le stelle e la mia bici era lì di fianco, cercai di alzarmi ma non ci riuscii, strisciai sulle ginocchia fin quando arrivai su una strada sterrata, poi mi lasciai andare. Una voce che mi chiamava, la sirena di un’ambulanza che si avvicinava, poi delle braccia che mi sollevavano, mi ritrovai in ospedale, avevo ancora la bocca aperta che non riuscivo a chiudere e non potevo parlare, penso che mi misero sotto anestetico perché non sentivo più dolore, tornò successivamente quando mi svegliai ero in una camera in un letto con dei tubi per la flebo attaccati e con le facce dei nonni che mi guardavano, la nonna piangeva, il nonno la consolava e, intanto mi teneva la mano.
Dopo due giorni venne la polizia a farmi domande, dissi che non ero in grado di ricordare nulla, tantomeno le loro facce o quanti erano, dissi che avevano dei passamontagna e poi che mi avevano bendato, invece avevo i loro volti e alcuni altri dettagli scolpiti nel cervello, nei due giorni precedenti avevo preso una decisione, leggendo i giornali e guardando la televisione sapevo che in casi come il mio, quando li prendevano o non li condannavano o in caso di condanna queste erano troppo lievi, io, invece, volevo fargliela pagare, volevo vendetta.
Dopo altri due giorni chiesi ai nonni dei mei genitori, le loro risposte evasive mi preoccuparono e poi la nonna si mise a piangere ed uscì dalla stanza, cosa era successo ancora? Non volevo insistere ma il giorno dopo tornai alla carica con il nonno che era venuto da solo, con lui c’era una dottoressa che non avevo mai visto, si sedette sul letto e tenendomi la mano mi disse che i miei avevano un incidente mentre venivano giù dopo il mio ritrovamento, subito la dottoressa intervenne, mentre io piangevo per dirmi che non era colpa mia, che gli incidenti accadono, che era destino e che per fortuna avevo i nonni che mi amavano.
Altra cosa da mettere in conto ai miei aguzzini, uscita dall’ospedale andai a Milano con i nonni, come prima cosa andai al cimitero monumentale dove erano sepolti i miei genitori, poi andammo a casa mettere ordine, s prendere le mie cose, i gioielli di mamma, gli orologi di papà e a imballare con l’aiuto di una società di traslochi tutto quanto, avevo deciso di vendere l’appartamento, anche se adesso era tutto mio, avevo i nonni come tutori fino ai miei 18 anni, facemmo portare tutto dai nonni e riempimmo le due case vuote che c’erano in masseria, con i nonni sbrigammo anche le pratiche dell’avvocato, del notaio ed in banca, scoprimmo che i miei avevano anche un conto in svizzera e dovemmo farci un salto, furono molto gentili e, decisamente più svelti e concreti che in Italia, poi tornammo in Puglia.
I nonni mi presero uno scooter ed un nuovo telefonino, andavo a scuola in scooter quando non pioveva oppure mi accompagnava il nonno, passavano i mesi ed io elaboravo il mio piano, i danni che la violenza aveva causato al mio corpo, per fortuna., erano reversibili, a parte la mia verginità, il mio corpo guarì e continuò nella sua trasformazione, crescevo ancora, le lentiggini diminuivano, l’altezza aumentava ed anche la dimensione del mio seno; decisi di farmi crescere i capelli, convinsi il nonno a portarmi con se quando andava in poligono a sparare, e cominciai ad allenarmi, anche se, all’inizio, con l’aria compressa, solo a 16 anni passai al calibro 22, poi mi appropriai del magazzino delle granaglie, era un po’ defilato rispetto alla casa principale, più vicino alla stalla, il nonno chiamò un suo amico imprenditore che lo ristrutturò completamente, creò un bagno abbastanza grande con una bella doccia grande ed una vasca per l’idromassaggio, un angolo cucina e, per il resto rimase un grande openspace dove, oltre al letto sistemai alcuni mobili dei miei tra cui il pianoforte di mamma su quale sistemai alcune foto dei miei genitori in diverse occasioni, poi, però, sistemai anche un sacco per la boxe una panca multifunzione ed una spalliera, nello stesso angolo sistemai un tappeto morbido e guardavo le tecniche di combattimento su internet cercando di imitarle, contro un muro anche una sagoma dove mi esercitavo al lancio dei coltelli, insomma facevo delle belle sudate lì dentro. A 16 anni iniziai a mettere in azione il mio piano, con la macchina digitale di papà ed il teleobiettivo giravo per le campagne in motorino, nei mesi successivi era riuscita ad immortalare tutti e cinque i miei aggressori, riportai le foto sul mio pc, avevo anche notato che non lavoravano come gli altri, sembravano comandarli, dovevo saperne di più.
La mia preoccupazione era che se ne andassero, seguivo sempre le notizie sulle radio locali e le tv per vedere qualcosa che riguardava la tendopoli che sembrava contenesse più di 1000 immigrati ed il centro di raccolta profughi lì vicino; intanto i miei colloqui con la dottoressa psicologa e sessuologa dell’ospedale erano terminati, ero perfettamente consapevole che non era né colpa mia né di come ero vestita e avevo ben compreso il fatto che il sesso non era quello e non si trattava di una cosa sporca ma era la ricerca della propria ed altrui soddisfazione, mi prescrisse anche la pillola, in effetti mi davo piacere molto spesso, anzi mi auto-gratificavo quotidianamente, ormai avevo 17 anni, il mio corpo era quasi maturo, i miei capelli lunghi biondo ramato mi piacevano molto e grazie all’esercizio fisico il mio corpo era snello e sodo, anche le efelidi dal viso erano quasi scomparse.
Avevo ordinato tante cosine carine online, i nonni non avrebbero mai aperto un pacchetto destinato a me, biancheria sexy che mettevo, chiaramente, solo nel mio rifugio, e anche qualche oggettino, guardando i film su internet e usando quegli strumenti avevo imparato a fare i pompini , ad accarezzare un uccello, a fare un massaggio prostatico, l’uso dei lubrificanti e come mettere un preservativo al cazzo di un uomo, poi avevo fissato al soffitto sopra il mio letto delle piastrelle a specchio, era bastato incollarle, non avevo avuto bisogno dell’aiuto del nonno, non sarei stata in grado di spiegargliene il motivo, però mi piaceva guardarmi mentre mi davo piacere sdraiata sul mio letto.
Quasi ogni settimana arrivavano nuovi migranti e avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse e ne adocchiai uno, non proprio uno degli ultimi arrivati, era lì già da qualche mese, l’avevo incontrato un paio di volte in paese e mi era sembrato gentile, cercava lavoro ma non nei campi, da una quindicina di giorni lavorava da un meccanico che gli permetteva anche di dormire in officina su una brandina, una sera andai all’attacco, mentre chiudeva l’officina, il padrone se ne era già andato, andai da lui con il motorino a mano e gli dissi che mi si era fermato e non andava, se poteva guardarmelo, lui, poverino, mi disse che non era ancora in grado di lavorare su nessuna cosa a motore, non avrebbe saputo dove mettere le mani, avevo solo messo un pezzo di plastica sotto il cappuccio della candela, feci finta di disperarmi dicendo che dovevo tornare a casa a due kilometri da lì e non sapevo come fare, lui, poverino si offrì di darmi la sua bicicletta ma io gli dissi che non volevo lasciare lì il mio motorino, allora mi propose di portarlo lui a mano mentre io usavo la bici, lui poi sarebbe tornato con quella, gli sorrisi accettando e mi sorrise anche lui, non doveva essere molto più grande di me, era un bel ragazzo con i capelli ricci e la pelle di un nero quasi traslucido, mi disse di chiamarsi Ahmed e di arrivare dalla Nigeria, in effetti aveva 22 anni ma aveva dichiarato di averne 17 come me. visto che era quasi buio telefonai ai nonni per tranquillizzarli dicendo che stavo tornando, quando arrivammo alla masseria feci entrare Ahmed dalla porta di sicurezza col maniglione che era dalla parte opposta rispetto all’ingresso principale che dava sull’aia gli dissi di aspettarmi e feci una corsa in casa per tranquillizzare i nonni e per dirgli che avrei mangiato nel mio rifugio perché dovevo studiare, poi tornai da lui che era ancora in piedi pronto a salutarmi, gli chiesi dove avrebbe mangiato e mi disse che sarebbe andato alla tendopoli, chi dissi di fermarsi che avrei cucinato qualcosa per tutti e due, allora mi chiese di poter andare in bagno a lavarsi le mani, gli dissi di aspettare, andai a prendere dall’armadio un accappatoio che era stato di papà e gli dissi di approfittare e fare pure una doccia tanto io dovevo cucinare, mi ringraziò ed entrò in bagno e adesso cosa cucinare? Ero una frana in cucina, la mia unica specialità erano le uova, però avevo sempre delle scatole di zuppe pronte, decisi di fare quelle.
Quando uscì dal bagno in accappatoio la zuppa era pronta, io ero già a tavola, mi feci raccontare un po’ la sua storia, arrivato con un barcone, portato a Lampedusa da una ONG poi trasferito con un pulman ed eccolo lì, non aveva lasciato la famiglia in Nigeria, era l’ultimo rimasto, gli altri erano già in Europa ma non sapeva ancora dove, dopo cena fui estremamente sfacciata ma, dovevo catturarlo, disse che si andava a vestire ma gli dissi che poteva anche rimanere per la notte, con me, che non ero solita farlo ma lui mi era piaciuto subito, se voleva io non avevo problemi e mi spostai sul letto, vidi che deglutiva però poi rispose che andava bene e venne vicino a me, ci baciammo, la sua lingua si insinuò subito tra le mie labbra, ecco in quello non ero molto brava ,ma imparai subito, intanto gli avevo infilato le mani sotto l’accappatoio e gli accarezzavo il petto mi interruppi giusto il tempo per sfilarmi la maglietta e mettere a nudo il mio seno subito catturato dalle sue mani che erano molto grandi, lo lasciai solo un attimo per sfilarmi i pantaloncini e gli slip e lui si sciolse l’accappatoio poi ricominciammo a baciarci e a toccarci, lui era già rigido e appena lo accarezzai con la mano sentii che vibrava ed era durissimo, chissà da quanto tempo non lo faceva, stesa sotto di lui a gambe aperte dimenticai tutto sulla sicurezza ed i preservativi e lo accolsi dentro di me con gioia ed un sospiro di soddisfazione, i suoi colpi erano lenti, lunghi e profondi all’inizio, io ebbi dopo poco un primo orgasmo leggero, poi aumentò il ritmo fino a quando sembrò un martello pneumatico impazzito, mi spostò anche sul materasso e poi urlammo insieme il nostro piacere, ecco non avevo mai avuto un orgasmo così violento. Si stese al mio fianco e io lo abbracciai mettendo una gamba sulla sua coscia e accarezzandogli il petto, poi ricominciammo a baciarci le sue labbra erano morbide e calde, lo volevo ancora e allora gli presi in mano il pene un po’ molle e cominciai a segarlo come avevo visto nei film e poi abbassai la testa e cominciai a baciarlo e leccarlo, insalivandolo nella mai bocca, lo sentivo mugolare, il suo uccello naturalmente si stava di nuovo indurendo, eppure erano passati pochi minuti, ci volle ancora un po’ di lavoro di bocca e di mani, in effetti perché fosse pronto di nuovo ma poi lo cavalcai io mettendomi a cavalcioni sul suo ventre, adesso lo sentivo ancora meglio dentro di me, impostai io il ritmo, ma prima della fine mi disarcionò e mi passò di dietro ritornando dentro di me quasi subito, avevo la testa sul cuscino e il suo cazzo nero che lubrificava la mia farfallina con il suo andirivieni, crollò sulla mia schiena inondandomi con il suo sperma bollente ed io crollai sempre al suo fianco leggermente ansimante.
Andammo avanti ad amarci fino a che mi addormentai aggrappata a lui, mi svegliò al canto del gallo del nonno, guardai l’orologio, erano le 6, gli dissi di andar via prima che si alzassero i nonni, si vestì di corsa mi diede un bacio, gli dissi di tornare la sera e mi riaddormentai.
Passai la giornata come al solito, un po’ di studio, esercizi, una corsa di qualche giro intorno alla masseria, aiutai la nonna a fare una torta di mele e poi tornai a casa ad aspettare Ahmed, arrivò verso le otto, stavolta, aiutata dalla nonna avevo preparato uno spezzatino di manzo, speravo andasse bene, gli piacque molto, poi facemmo la doccia insieme e ci mettemmo a letto a giocare e ad amarci come la notte prima, il giorno dopo con lo stesso programma, per lui ci fu una sorpresa, gli offrii il mio culetto non se lo aspettava ma era eccitatissimo, non dovetti neppure sfiorarlo che il suo uccello svettava ed era duro come il marmo, usai il lubrificante anale, e durante il giorno avevo usato un plug-in per prepararmi, ogni tanto usavo un dildo anche per quello ma il cazzo di Ahmed era un po’ più grosso, fece piano piano preoccupato quando lanciavo un urletto ma, lentamente ed inesorabilmente riuscì a sistemarsi dentro di me, stette immobile per un po’ la mia carne si abituò all’ospite, poi spinsi il sederino all’indietro e lui capì e cominciò a muoversi, ecco, adesso mi piaceva, così si, le mie dita titillavano il mio grilletto, venni di lì a poco singhiozzando, si fermò per un momento ma gli dissi di continuare non credo sia durato meno di un quarto d’ora, poi anche lui venne dentro di me accarezzando la mia schiena, quella notte alternammo la mia farfallina, il mio culetto, le mie mani e la mia bocca, ad un certo punto ero sfinita, e sembrava anche lui ma, ci guardavamo e ridevamo come due scemi, dormimmo un po’ poi, come al solito lui se ne andò.
La domenica, quando l’officina era chiusa non stavamo insieme, lui andava alla tendopoli ed io al poligono con il nonno, ci ritrovavamo però sempre la sera; dopo una quindicina di giorni che ci frequentavamo feci la mia mossa, gli feci vedere una delle foto sul mio computer e gli dissi che una mia amica l’aveva ricevuta in chat, gli chiesi se lo conosceva e mi rispose di si ed anche di consigliare alla ma amica di non continuare con la chat, non era uno raccomandabile, mi disse che lui ed un suo gruppo di amici comandavano nella tendopoli, erano loro ad avere i rapporti con chi faceva i contratti per la raccolta della frutta e della verdura ed erano sempre loro che venivano pagati perché non ci fossero lamentele, ripetè che era gente cattiva, da starne alla larga, lo ringraziai per la mia amica immaginaria e non toccai più il discorso, solo, ogni tanto, mi facevo raccontare qualcosa sulla tendopoli e memorizzavo le informazioni che ricavavo.
Una notte, dopo aver fatto l’amore lanciai un amo, lui sapeva che andavo a sparare, gli dissi che avrei voluto comprare una pistola, una piccola, per la mia sicurezza, ma vista la mia età non potevo farlo, lui ci cadde e mi disse che nella tendopoli si poteva trovare di tutto, dalla droga di vario tipo, ai vestiti, alle armi, in quel momento non gli risposi, la sera dopo, però, a cena gli chiesi se la domenica era possibile trovare una pistola con dei proiettili e sapere quanto costava mi rispose che non c’era alcun problema che però sarebbe stata sicuramente cara; dopo due settimane ebbi la mia beretta 9 x 19 con una scatola da 50 colpi, ero pratica, grazie al nonno, la smontai, la controllai, la lubrificai e la provai fuori casa, poi entrai dai nonni e chiesi al nonno se la caccia era aperta perché avevo sentito un paio di colpi, mi rispose di no, ma si sbagliava, la “mia” caccia era aperta.
Ogni tanto vedevo in paese quei 5, da soli, insieme o con altri ma me ne tenevo a distanza, passò più di un mese, poi una domenica che Ahmed era alla tendopoli e che mi aveva detto non sarebbe potuto venire neppure la sera mi decisi, misi la pistola nella borsetta, ed un vestitino corto che, a malapena mi copriva le mutandine che erano di pizzo bianco trasparenti, poi presi il motorino e mi piazzai in vista del bar che sapevo frequentati da migranti, che poi era anche una mescita di vino sfuso, ci vollero due ore prima che il gruppo di quelli che aspettavo si sciogliesse, ne rimase uno che si mise seduto sul cassone di un’ape piaggio a fumare, riconobbi quello che mi aveva dato il primo schiaffo facendomi cadere a terra sulla strada vicino al fontanile, un respiro profondo e poi in sella al motorino gli parcheggia vicino e, senza neanche guardarlo entrai nel bar, sentivo i suoi occhi su di me, feci riempire le due bottiglie che mi ero portata e uscii, misi la borsa con le bottiglie nel cestino del motorino e lui mi disse “ciao signorina” non gli risposi ma mi avvicinai, “ne hai una anche per me? le ho finite” indicando la sigaretta, “certo cara” e me ne diede una sfiorandomi la mano, rabbrividii al contatto, “vuoi accendere?” disse tenendo l’accendino in mano vicino a sé, mi chinai in modo che potesse sbirciarmi nella scollatura e accesi la sigaretta, sì avevo cominciato a fumare, solo una ogni tanto però, un pacchetto mi durava una settimana, battè con una mano sul cassone a fianco a sé invitandomi a sedermi ma preferii mettermi sul sellino del motorino per dargli anche una visuale delle mie mutandine, anche se alla luce fioca esterna del bar; “hai finito da bere?” mi disse indicando le mie due bottiglie, gli risposi di sì “ in vacanza?” mi chiese ancora, “una quindicina di giorni” risposi “ da sola?” continuò, “purtroppo sì, il mio ragazzo all’ultimo momento ha dovuto rinunciare ma ormai avevamo prenotato e mandato la caparra, allora sono venuta da sola in treno e lui verrà a riprendermi” – “non si può lasciare sola una ragazza come te” sentenziò “immagino ti manchi, il tuo ragazzo” “si, facevo meglio a perdere la caparra e rimanere con lui a Milano” “ ti annoi eh?” disse mentre si alzava e camminava verso di me, mostrando il suo petto evidente dal fatto che portava la camicia completamente aperta, mi venne sempre più vicino, mi feci forza, quando si chinò su di me e mi baciò avevo paura di svenire ma risposi al bacio, una sua mano, mentre mi baciava si appoggiò sul mio seno, poi si staccò dalle mie labbra e mi guardò dicendomi “seguimi” salì sull’ape e mise in moto, respirone e lo seguii con il motorino, arrivammo vicino alla tendopoli, in una radura, tra gli alberi c’era una tenda tipo a casetta, ci si entrava stando in piedi, era tutto buio, sperai che non ci fosse nessun altro; lui si fermò lì davanti, accese una luce a gas che era su un tavolino vicino all’entrata e mi disse “casa mia, in estate” portò la lampada all’interno e poi mi fece cenno dall’ingresso di entrare; lo seguii e lui, si sedette su un materasso che era per terra su un tappeto che copriva tutto il pavimento della tenda e si tolse la camicia mostrando il suo petto muscoloso “vedrai che ci divertiremo, spogliati per me” mi disse, tolsi la borsa a tracolla e la appoggiai su una sedia dietro di me, poi mi slacciai il vestito e lo lasciai scivolare a terra, per togliere le mutandine mi girai dandogli la schiena e mi chinai in avanti abbassandole sulle mie gambe, poi mi rigirai ancora verso di lui “vieni qui adesso” – prima togliti i pantaloni voglio guardare anch’io” – “ ah vuoi vedere cosa ti aspetta?” si alzò in piedi e si slacciò i pantaloni lasciandoli cadere sulle caviglie “piace?” prendendosi il pene in mano – mi spostai andando un po’ indietro per allontanarmi facendo finta di ammirare il suo uccello poi presi la borsa e gli dissi “ aspetta che gli faccio una foto, le mie amiche non ci crederanno, è enorme” non era proprio così, era grosso ma non tantissimo, ma due anni prima mi aveva fatto male, aprii la borsa ma non presi il telefonino, bensì la pistola, aveva già il colpo in canne, alzai il cane tenendola in mano prima di tirarla fuori poi, mentre mi guardava con due occhi spalancati gli sparai un colpo in testa, a quella distanza non potevo sbagliare.
Mi rivestii e senza neppure guardarlo uscii dalla tenda, poi ci ripensai, rientrai e gettai la lampada accesa per terra dove il tappeto cominciò a bruciare, risalì sul mio motorino e ripresi la strada di casa, mi dovetti fermare dopo circa un kilometro per vomitare, poi ritornai a casa, mi infilai sotto la doccia e poi nella vasca ad idromassaggio e mi addormentai, mi svegliò l’acqua ormai fredda allora mi asciugai e mi misi a letto, dormii senza sogni.
Nei giorni successivi la televisione parlò dell’omicidio e dell’incendio, parlarono di un probabile regolamento di conti tra la delinquenza pugliese e gli immigrati irregolari, dopo un paio di giorni smisero di parlarne, io e Ahmed non ne parlammo mai, ora ne erano rimasti 4 !!
18 anni, i noni volevano facessi una festa nell’aia con i miei compagni di scuola ma io non avevo legato particolarmente con nessuno e non volevo attirare l’attenzione, dissi loro che volevo festeggiare solo con loro e che mi sarei dovuta preparare per andare a Milano, i miei 18 anni prevedevano una serie di adempimenti che dovevo svolgere dal notaio, in banca ecc, c’era anche da pensare all’ex negozio e laboratorio di mamma perché la prima parte del contratto con i nuovi futuri proprietari era in scadenza.
Il nonno voleva accompagnarmi ma gli dissi, molto gentilmente, facendo fatica a non sembrare scortese che ormai avrei dovuto occuparmi da sola, della mia vita perché ero maggiorenne, comunque ci fu la nostra festicciola casalinga, seguita da un’altra nel mio rifugio con Ahmed, mi portò anche un regalo, un braccialetto di rame che aveva fatto lui in officina insieme ad un enorme mazzo di fiori di campo che aveva raccolto lui stesso, fu carinissimo, mi sarebbe spiaciuto, alla fine, lasciarlo.
Prima di andare a Milano dovette passare qualche mese, avevo gli esami e non tutti i documenti erano pronti, approfittai per prendere la patente, in effetti sapevo già guidare grazie al nonno e alla sua Lancia, fu praticamente una passeggiata e, intanto, mi era venuta un’altra idea.
Andai a Miano in treno ed anche in Svizzera chiamavo i nonni ed Ahmed tutti i giorni, ce ne vollero 10 per fare tutto, compresa, chiaramente, una visita al cimitero monumentale dai miei genitori, quando tornai lo feci strombazzando con il clacson della mia auto nuova, veramente d’occasione, che avevo comprato a Milano, un Fiat Punto cabrio gialla, al nonno piacque molto, la nonna l’avesse saputo prima, mi disse, si sarebbe preoccupata per tutto il tempo finchè non fossi arrivata, la notte festeggiai il mio ritorno con Ahmed.
Ero pronta per l’ultima parte del mio piano, avrei dovuto fare tutto in una notte per evitare che i superstiti si spaventassero e scappassero, vivevano in due baracche vicine che, grazie ad Ahmed e ai miei appostamenti avevo individuato, anche loro adesso avevano delle auto, una Panda ed una BMW, tutte le sere andavano in paese, si trovavano con altra gente della loro risma, bevevano qualche birra, ma per i musulmani non era vietato?, poi se ne andavano, chi in bicicletta, chi in motorino chi, come loro in auto. Sarebbe stata una notte impegnativa ed anche un po’ rischiosa, probabilmente avrei anche dovuto sacrificarmi ma non ero riuscita a pensare a nulla di diverso; quel sabato dissi ad Ahmed che dovevo andare ad una cena con i miei ex compagni di scuola a Peschici per festeggiare i diplomi, ci saremmo rivisti la sera dopo, avevo tutto quello che mi sarebbe servito per la prima parte del piano in una borsa molto capiente, misi un paio di mutandine di pizzo nero un vestitino da discoteca di lamé color argento, molto corto, allacciato dietro al collo con allacciature laterali che lasciavano scoperti tratti di pelle e due spacchi, ero praticamente nuda, un paio di sandali sempre argento con tacco 10 e salii in macchina, mi appostai al buio in un vicolo in paese in modo da vedere il bar e gli immigrati, a mezzanotte la maggior parte se ne andò con i propri mezzi diversi, poi partirono i due con la panda, gli altri due erano ancora seduti al tavolino fuori dal bar, allora partii e andai a mettermi sulla strada provinciale che avrebbero dovuto fare per tornare alla tendopoli, parcheggiai in modo che l’auto non desso fastidio ,a a bordo strada, poi alzai il cofano anteriore e attesi, prudentemente ero abbastanza illuminata dalla luce di un lampione, quando vidi le luci dei fari in lontananza mi misi a fianco della macchina chinandomi in avanti con la testa sotto il cofano mettendo così in mostra il mio culetto grazie anche ai tacchi alti dei sandali, sentii il rumore di un auto che passava, poi il rumore del freno e della retromarcia, mi sollevai, erano di fianco alla mia auto, uno dei due “bisogno di aiuto?” – non so cos’abbia, si è fermata e non va più, ho anche il telefono scarico e non posso chiamare il carro attrezzi, accidenti, stavo andando in discoteca e sono bloccata qui” – “ i telefoni comunque qui non prendono, non c’è campo, se vuole l’accompagniamo, più avanti c’è un distributore, sapevano perfettamente, come me che a quell’ora era chiuso, buttai il telefono in auto, tirai giù il cofano e, presa la borsa salii sulla loro auto,£” che borsa grande” – quando vado in discoteca mi porto sempre qualche cambio, grazie per il passaggio” il piazzale del distributore era illuminato ma il distributore , come previsto, era chiuso, inoltre lì c’erano le telecamere non avrebbero fatto nulla ed io neppure, l’autista, indicando più avanti disse “vede quelle luci? È la statale, lì sicuramente ci sarà qualcuno aperto, la portiamo lì” dissi che andava bene e che non avrei voluto dare loro tanto disturbo, dopo poco un bivio ed imboccarono una strada sterrata “ di qui in pochi minuti arriviamo alla statale”, ecco dovevo stare pronta, appena ci fossimo fermati, mi spostai leggermente in modo da essere dietro al sedile dell’autista e misi la mano nella borsa, impugnai la pistola, quando si fermarono sparai nella nuca del passeggero e poi in testa all’autista che si stava girando, scesi dall’auto e poi raccolsi i bossoli che erano sul sedile, mi spostai di una decina di metri, mi spogliai e tirai fuori dalla borsa la tuta e le scarpette che mi ero portata, poi mi avvicinai di nuovo alla macchina e, per sicurezza, da fuori sparai ancora un colpo per uno sempre in testa, raccolsi anche quei bossoli poi feci a pezzi il mio vestitino e ne misi uno nel tappo del serbatoio, dalla mia borsa presi una bomboletta di benzina ci quelle che si usano per caricare gli accendini della Zippo, ne bagnai bene bene lo straccio, poi spensi le luci della macchina, mi misi la borsa a tracolla e detti fuoco allo straccio e mi misi a correre, avevo calcolato che, in linea d’aria la mia auto si trovava a 5/6 km da lì ci arrivai un po’ ansimante dopo 20 minuti, ci saltai sopra, misi in moto e tornai a casa, adesso la parte più difficile, ormai era l’una passata, feci una doccia veloce, mi sistemai il trucco misi un vestitino corto con le spalline ed un altro paio di sandali con il tacco non altissimo, poi la borsetta piccola a tracolla con il telefono e la pistola, avevo preso un altro caricatore, salii sul motorino e mi diressi verso la tendopoli, sperando che fossero ancora svegli gli altri due.
Arrivata alla tendopoli vidi che nella loro baracca c’era ancora una piccola luce accesa, stringendo la borsetta in mano salii i tre gradini e bussai alla porta, mi aprirono, uno dei due in slip mi guardò e disse “cosa vuoi entra così ti vedo” in effetti fuori era buio, mi feci forza ed entrai, l’altro era sdraiato su un materasso per terra, la luce a gas su un tavolo “scusate, una mia amica mi ha invitato ad una festa qui dal suo ragazzo ma devo aver sbagliato a seguire le sue indicazioni e non ho trovato il posto, magari voi potete aiutarmi”- quello sdraiato, anche lui in slip si alzò e disse all’altro, “dev’essere uno di quelli nuovi che si è messo con una puttanella bianca”, l’altro accese una luce più forte e spense quella piccola guardandomi, sempre quello che si era appena alzato, poi, riprese “comunque hai fatto bene a venire qui, ti indichiamo oi la festa” – l’altro si era spostato ed era dietro di me appoggiato con le spalle alla porta dalla quale ero entrata, fu lui a continuare “sei già arrivata, la facciamo qui la festa” mi girai dicendo” scusate non voglio problemi, vado via subito” – “noo, ormai sei qui ti preghiamo, resta” e si misero a ridere e poi ancora, mostrandomi i genitali “ visto? C’è tutto quello che serve per fare festa” mi appoggiai al tavolo e risposi” ho capito, ho capito, lasciatemi andare via per favore” – “beh signorina se vuoi andare via va bene ma prima facciamo festa” mi prese per i fianchi e mi sollevò facendomi sedere sul tavolo, così facendo il vestito andò un po’ su scoprendo le mutandine avevo capito che dovevo sopportare era il rischio che avevo pensato di correre, avrei dovuto sacrificarmi. “ragazzi va bene dai ho capito, faccio quello che volete ma non fatemi del male” – “oh brava, una ragazza ragionevole, avevamo capito che eri una troietta, comincia a spogliarti”:
si allontanarono dal tavolo ed io mi rimisi in piedi, misi la borsetta su una sedia e feci scivolare il vestito per terra, poi tolsi gli slip “hai visto la puttanella, rasata completamente”, anche loro si erano tolti gli slip, uno mi fece girare, appoggiata sul tavolo mi aprì le gambe e cominciò a infilarmi dita nella farfallina e nel culetto dove avevo , a casa, messo un po’ di lubrificante, fu abbastanza rude con e dita ma mai come quando appoggiò la cappella alla mia fessurina e mi penetrò di colpo, l’altro intanto, era salito su una sedia, aveva appoggiato un ginocchio sul tavolo e mi prese per i capelli sollevandomi la testa, dovetti fargli un pompino, non pensavo a chi fossero e al perché ero lì, godetti per la scopata e gli feci un pompino dei migliori che avessi mai fatto, tanto che lui disse” voi puttane bianche siete davvero brave a fare i pompini, aspetta che ti faccio bere” e mi schizzò in gola il suo sperma come l’altro mi aveva riempito la figa, poi mi spinsero sul materasso di uno dei due e vollero essere leccati e segati insieme, non li ricordavo così, mi sembrava fossero più lunghi e grossi di tre anni prima, uno dei due si distese sul materasso e mi portò sopra di sé prendendomi per i fianchi e mi trovai subito il suo cazzo in vagina, l’altro mi si mise dietro e spinse il suo uccello nel mio culetto senza riguardi, all’inizio sentii un po’ di dolore, poi mi godetti il loro andirivieni dentro di me, venne prima quello che avevo nel culetto, l’altro ci mise almeno altri 5 minuti, poi mi fecero sdraiare e tenendosi gli uccelli in mano se li scrollarono sul mio corpo, quello che avevo avuto nel sedere, poi si sdraiò sul mio petto mettendomi il cazzo tra le tette, gli feci una spagnoletta leccandone la punta ogni volta che raggiungeva la mia lingua, la cosa gli piacque molto perché disse “sei proprio una troietta che ci sa fare, avremmo dovuto conoscerti prima”, se avesse immaginato…… mi scoparono con mia e loro soddisfazione per un’altra oretta, poi dissero, “adesso siamo stanchi, puoi andare, ma se qualche volta vuoi tornare sei la benvenuta” . mi rialzai, senza pensare a ripulirmi mi rinfilai il vestito , le mutandine le misi nella borsa, i sandali li avevo addosso, mai sfilati, li guardai poi dissi ”non credo che tornerò, mi spiace” tolsi la mano dalla borsa ed alzai il cane della pistola, svuotai il caricatore, poi rimisi la pistola nella borsa, ne estrassi la bomboletta di benzina, ne versai un po’ su di loro ed il materasso e ci buttai sopra la lampada, mentre andavo via sul motorino sentii delle urla provenire dalla tendopoli poco distante ma non me ne curai, ora avevo finito!!!
Nei giorni successivi nella tendopoli ci fu parecchio fermento, evitai di andarci anche vicino, ci furono polizia e carabinieri, una buona parte fu sgomberata ma non successe nient’altro, la pistola l’avevo fatta a pezzi prendendone anche i pezzi a martellate sull’incudine che il nonno aveva nella vecchia stalla e poi li avevo buttati in mare dal castello di Peschici, restai con i nonni ancora fino al compimento del mio diciannovesimo anno, quindi mi godetti Ahmed ancora per qualche mese, ero molto più consapevole di me stessa anche se, ancora, non avevo deciso veramente cosa fare nella vita, non avevo problemi economici, non ero costretta a lavorare e questo era già un ottimo punto di partenza, non avevo obblighi o impegni con alcuno a parte forse i nonni, Ahmed era stato solo uno strumento per raggiungere il mio obiettivo, gli ero affezionata, scopavamo benissimo, avevo imparato molto durante la nostra frequentazione ma non ritenevo di dovergli nulla, del resto come avevo goduto io anche lui aveva goduto del mio corpo per lungo tempo e quando partii dicendo ai nonni che avrei frequentato l’università a Milano non ebbi rimpianti nel lasciarlo. Quella mattina di ottobre iniziava la mia nuova vita, salii sulla mia Punto gialla e mi lasciai la Puglia alle spalle.
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