Il Sentiero del Peccato

Il sole stava calando, colorando il cielo di riflessi arancio e rosati. Lungo la riva del fiume, il silenzio era rotto solo dal suono dell’acqua e dal fruscio degli alberi. Camminavo immerso nella vegetazione, lontano da tutto, il corpo rilassato ma con quella tensione strana e sottile che sale solo quando senti che qualcosa sta per succedere.
Poi, a spezzare la quiete, il suono di due voci leggere, giovani. Risatine complici, sussurri. Ho rallentato il passo, e mi sono avvicinato piano, tra i rami. Ho scostato alcune foglie e lì, su un telo steso sull’erba, le ho viste.
Due ragazze. Bionde, minute, i seni scoperti e sodi, pieni e tesi, sproporzionati rispetto ai loro corpi piccoli. Una aveva i capelli raccolti in una lunga treccia, l’altra sciolti e selvaggi. Si stavano baciando sulla bocca con foga crescente, le mani che accarezzavano i capezzoli duri, le dita che esploravano sotto gli shorts ormai aperti.
Una visione che mi ha preso allo stomaco e alle palle.
Mi sono inginocchiato, nascosto tra la vegetazione. Il cazzo mi pulsava già duro, gonfio. L’ho tirato fuori e ho iniziato a masturbarmi lentamente, lo sguardo incollato su quelle due troiette che si palpeggiavano con una fame che sapeva di vizio e innocenza perversa.
A un certo punto, quella più sfacciata ha alzato lo sguardo verso la mia direzione. Un attimo. Poi uno sguardo dritto negli occhi. Mi aveva visto. Ha sorriso. Non ha detto nulla, ma ha pronunciato qualcosa a bassa voce: «Siehst du ihn?»
L’altra si è voltata. Anche lei mi ha guardato. Nessun grido, nessun gesto per coprirsi. Solo un’esitazione dolce, e poi si è tirata indietro i capelli, lentamente. Un invito muto. L’altra ha fatto un cenno con il dito: “vieni”.
Mi sono avvicinato a loro, il cazzo ancora in mano, duro, lucido. Le guardavo nude, in ginocchio sul telo, le tette grosse che ondeggiavano ad ogni respiro, il viso ancora bagnato di eccitazione. Mi fissavano con una fame senza freni, ma io dovevo togliermi un dubbio.
Mi schiarii la voce.
«Come vi chiamate?»
La più timida sorrise piano. «Io sono Lena.»
«E io Greta», disse l’altra, già pronta a toccarsi il seno.
Poi le guardai più da vicino. Quei lineamenti. Quegli occhi. «Posso chiedervi una cosa? Ma quanti anni avete? Perché… non sembrate affatto maggiorenni.»
Greta rise con una punta di malizia. «Diciamo che abbiamo appena spento le diciotto candeline.»
Lena annuì, le guance arrossate ma gli occhi lucidi di voglia. «Appena compiuti. Ma sappiamo già cosa vogliamo.»
Greta si avvicinò ancora di più, sfiorandomi il cazzo con la lingua. «E adesso vogliamo questo.»
Le fermai un attimo con la mano, il fiato corto. «Aspettate. Non ho preservativi… voi?»
Si guardarono e Greta rispose con un sorriso perverso:
«Noi prendiamo la pillola. Non ti preoccupare.»
Poi, con la voce più bassa, più sporca: «Vogliamo sentirti dentro. Così. Tutto.»
Quel “tutto” pronunciato così, con gli occhi lucidi e il fiato caldo sulla cappella… bastava a farmi perdere il controllo.
Greta si inginocchiò, mi prese il cazzo alla base e cominciò a leccarlo con lentezza, partendo dalle palle. Lena la seguì subito dopo, più esitante ma curiosa. Alternavano leccate e suzioni lente, le lingue che si sfioravano sul glande, mi guardavano dal basso come due gattine in calore.
Le ho lasciate giocare con la lingua per qualche minuto, poi le ho fatte sdraiare.
«Mettetevi a quattro zampe. Una davanti all’altra.»
Greta si posizionò dietro, Lena davanti. Presi posizione alle spalle di Lena, le passai il glande sulle labbra della figa già bagnatissima, e affondai lentamente. Era stretta, calda, succhiante. Lei gemette forte, il corpo tremante mentre la riempivo centimetro dopo centimetro.
«Dio… è enorme…» sussurrò.
Greta le baciava la bocca, le leccava i capezzoli mentre io la scopavo da dietro, sempre più forte, le palle che sbattevano contro di lei. Le afferravo i fianchi e la sfondata come meritava, sentendo ogni contrazione, ogni piccolo gemito diventare più animalesco.
Poi estrassi lentamente.
Greta si girò subito e spalancò le gambe. «Ora tocca a me.»
La sua figa era gonfia, lucida. Affondai dentro con un colpo solo, mentre lei gemeva: «Oh, cazzo sì… scopami… più forte…»
Lena si inginocchiò e le leccava il clitoride mentre io la prendevo. Sentivo la lingua dell’una e la figa dell’altra tremare sotto le mie spinte. Greta venne forte, urlando, il corpo inarcato, e le dita di Lena che la stringevano ovunque.
Quando Greta si calmò, si voltò con un ghigno sporco.
«Scopami il culo. Voglio sentirtelo lì dentro.»
Lena non disse nulla, ma iniziò a leccarle l’ano, aprendolo con le dita. Poi mi leccò le palle, preparandomi. Spinsi piano il cazzo grosso nel buco stretto. Greta si aggrappò all’erba. «Scheiße… so dick…»
L’ano le si apriva a fatica, ma io l’ho preso piano, fino in fondo. Lena non smetteva di succhiarmi le palle, mentre si masturbava con la mano bagnata dei nostri umori.
Poi si scambiarono. Lena si mise sotto, si aprì il culo con le mani e mi fissò con un filo di saliva sulla lingua. «Anche io lo voglio lì… dentro…»
Greta le leccava la figa mentre io la prendevo in culo. Stretta, calda, resistiva. Le sputai sopra e spinsi lentamente. Lena gemeva, quasi piangendo, ma non si fermava. Mi accoglieva. E io la sfondata con tutta la mia forza, mentre Greta godeva guardandoci.
Le scopai così, una dopo l’altra, alternandole, finché il bisogno di venire non montò come una fiamma impazzita.
Le feci inginocchiare davanti a me. I visi imbrattati di saliva e sudore, le guance rosse, le fighe gonfie, i capezzoli duri.
«Siete pronte?»
«Vieni… vieni su di noi…» sussurrò Lena, con la lingua fuori. Greta accanto, con la bocca aperta, entrambe che si accarezzavano le tette.
Mi masturbai forte, il cazzo sporco dei loro umori. Il piacere esplose.
Un primo schizzo sul naso di Lena, un secondo tra gli occhi di Greta. Poi altri fiotti caldi sulle loro guance, le labbra, il mento. Lena raccolse la mia sborra con le dita e se la leccò. Greta se la spalò sul viso, sorridendo.
Erano nude, in ginocchio, con le facce coperte del mio piacere.
«Magari domani torni ancora…» disse Greta.
Lena annuì. «Sì… anche perché domani è il nostro ultimo giorno qui. Poi si torna in Germania, finita la vacanza dalla zia.»
Mi si fermò il respiro un istante. L’idea che fosse l’ultima occasione con loro… accese di nuovo il fuoco.
«Allora… domani non mancherò.»
Mi sistemai i pantaloni lentamente e iniziai a risalire il sentiero. Ma non ero solo.
Appena dietro un cespuglio, nell’ombra di un albero, vidi un uomo. Anziano. Sessanta, forse settanta anni. Camicia aperta, pantaloni calati, il viso sudato. Si stava masturbando. O almeno ci provava. Il suo cazzettino floscio era tra le dita tremanti, lucido del suo stesso liquido.
Appena mi vide, sborro. Un fiotto misero, che gli colò lento lungo la mano.
Mi guardò con occhi lucidi, la voce rotta.
«Cristo… che spettacolo… due così, tutte per te… sei un uomo fortunato, ragazzo. Fottutamente fortunato.»
Lo fissai per un attimo, in silenzio, poi sorrisi.
«Lo so.»
E tornai indietro. Domani era l’ultima occasione.
E non avevo intenzione di sprecarla.
Generi
Argomenti