Weekend in SPA

opo tutto quello che era successo, capii che non potevamo restare fermi lì. Tra la routine, i silenzi, il sesso svogliato. Avevo bisogno di portarla via. Di scuoterla. Di toccarla di nuovo, ma non solo con le mani: con la voglia. Con il rischio. Con lo sporco che fa tremare.
Un weekend. Solo noi due. Un’ultima occasione per scoprire se c’eravamo ancora. O se eravamo solo due corpi spenti, accanto.
All’inizio disse no. «Sono stanca…» «Non sento più niente…» «Non mi riconosco più.» Ma poi, una sera, mentre si spogliava distratta, senza guardarmi, sussurrò: «Portami via.»
E io presi quel “via” e ci costruì sopra una promessa.
Scelsi con attenzione. Alto Adige. Hotel adults only. Spa nudista. Saune, vapore, pelle, legno. Un posto dove il corpo è tutto. Dove non c’è vergogna, solo tensione. Un posto per adulti veri. Curiosi. Affamati. Consenzienti.
Appena arrivati, capimmo subito. Tutto era ovattato: odore di pino, luci calde, sguardi rallentati. I corpi nudi passavano silenziosi, come danzando. Nessuna volgarità. Solo desiderio puro. Nudo, sincero. Come piace a noi.
Ci spogliammo in spogliatoio. Nudi, con solo il telo addosso. Già lì la pelle si accendeva. Ogni contatto con il legno caldo era un invito.
Entrammo nella sauna. Una parete interamente in vetro dava su un giardino innevato. Fuori, tra le rocce calde, fumava una vasca idromassaggio.
Eravamo lì dentro, col sudore che ci colava addosso, la pelle che bruciava. In silenzio, sudati, caldi. I nostri respiri si rincorrevano.
Poi li vedemmo.
Una coppia giovane. Lui: appena ventenne, sguardo sfrontato. Il corpo asciutto, la sicurezza arrogante di chi ha appena scoperto il proprio cazzo e vuole usarlo. Lei: piccola, nervosa. Il telo stretto addosso come una coperta. Gli occhi lucidi, imbarazzati.
Io e Lucrezia ci guardammo. Sorriso. Intesa. Istinto.
Uscimmo dalla sauna e ci infilammo nella vasca calda fuori. Immersi fino al petto, l’aria fredda ci pizzicava le spalle. Il vapore ci avvolgeva. Sentivamo la pelle vibrare.
I ragazzi erano rimasti dentro. Ma lui non ci toglieva gli occhi di dosso. Fermo. Sguardo fisso. Cazzo probabilmente già mezzo duro.
Lucrezia non disse niente. Ma la sua mano si mosse sotto l’acqua. Me lo prese. Così. Con sicurezza.
Il mio cazzo, tra le sue dita, cominciò a pulsare. Lo massaggiava piano. Lento. Ogni tanto faceva uscire la cappella dalle bolle, poi la nascondeva di nuovo. Un gioco da troia. Per lui.
Io le stringevo i seni, li sentivo turgidi, pesanti. I capezzoli duri tra le dita. Lei si muoveva appena, ma respirava più forte. E mentre mi segava, non guardava me: guardava lui.
Il ragazzo era rigido. Gli occhi puntati lì, dove il mio cazzo emergeva dall’acqua nella mano di Lucrezia.
Era uno spettacolo. Una lezione. Un invito.
Dopo un po’, tornammo dentro. Zona relax. Teli caldi, luci basse, musica ambientale appena percettibile. Qualche corpo disteso, occhi chiusi. Qualcuno dormiva. Forse.
Lucrezia, sotto la coperta, continuò il suo gioco. La sua mano cercò il mio cazzo. Era ancora duro. Bastava un tocco. Cominciò a segarmelo di nuovo, senza vergogna.
Poi si voltò. Mi salì sopra. Lentamente.
E si calò su di me.
La sua figa era caldissima, bagnata. Scivolava su di me fino in fondo, poi cominciava quei cerchi lenti col bacino. Si muoveva lenta. Concentrata. Gli occhi nei miei.
La fottuta tensione era lì: bastava che qualcuno alzasse la coperta. E ci avrebbe visti. Dentro. Io infilato in lei fino al fondo. Il mio cazzo che le apriva la figa e spariva. Le sue mani sulle mie spalle, i capelli sciolti che le coprivano il viso. Ogni spinta era un rischio. Ogni respiro, un’esplosione trattenuta.
Il pericolo ci faceva godere di più.
Quella sera, volevamo ancora. Ultima sauna prima della notte. Corpi stanchi, ma il desiderio… no. Quello era sveglio. Più che mai.
Doccia fredda dopo il vapore. Il corpo fumava.
Poi sentimmo passi. Erano loro.
Lei disse: «Vado… devo lavarmi i capelli.»
E sparì.
Lui restò. Entrò nella sauna. Da solo.
Io e Lucrezia tornammo nella vasca. Era buio. Solo le luci soffuse della sauna illuminavano la parete a vetri.
Si vedeva lui. Nudo. Seduto. Il petto sudato. Ma gli occhi… gli occhi erano su di noi.
Lucrezia si mosse come una belva in calore. Mi guardò. Poi, senza una parola, la sua mano tornò sul mio cazzo.
Lo strinse. Lo segava con foga. La bocca un po’ aperta. Gli occhi accesi.
Io mi alzai. L’acqua colava dal corpo. Lei mi prese in bocca. Con fame. Con forza.
Lo succhiava tutto, senza grazia. Le guance incavate, le labbra tese. La lingua mi accarezzava il glande, poi affondava.
Guardai verso la sauna. Lui si stava segando. Mano lenta. Cazzo teso.
«Guarda…» le dissi. «Si sta segando.»
Lei si voltò. Vide. Poi tornò su di me. Più affamata. Leccava. Succhiava. Mi violentava con la bocca.
Feci un gesto. “Vieni.”
Lui uscì. Si avvicinò. Tremava. Aveva il cazzo in tiro. Ma era nervoso. Eccitato. Sporco.
Lucrezia si staccò. Mi guardò. Poi lo fissò. E disse:
«Vuoi un po’ anche tu?»
Lui annuì. Sussurrò: «Se… se posso.»
«La mia ragazza ha un debole per i cazzi giovani», dissi.
Lucrezia rise. Poi gli prese il cazzo. Lo accarezzò. E senza dire nulla, glielo infilò in bocca.
Lo succhiava guardandolo fisso. Lui ansimava, tremava.
Poi si mise a novanta, davanti a lui. Tornò a prendermi in bocca. Io le afferrai i capelli. Glielo davo profondo.
Il ragazzo esitava. Lei si voltò.
«Che aspetti? Non mi scopi? Sei venuto fino a qui…»
«Non ho il preservativo…» sussurrò.
Scoppiammo a ridere. «Dai… riempila. Sborra dentro. È quello che vuole.»
Lui si inginocchiò dietro. Glielo infilò. Lucrezia ansimò. La sua fica lo inghiottì tutto.
I colpi iniziarono. Corti. Poi più forti. Lui la prendeva con foga, senza freni. Lei godeva, la bocca piena del mio cazzo.
«Sto… sto per venire…»
Lucrezia si staccò da me. Si voltò verso di lui.
«Vieni. Tutto. Riempimi.»
E lui venne. Dentro. Mugolando. Tremando.
Io, carico al massimo, me la infilai in bocca. E le sborrai in gola.
Lei ingoiò tutto. Senza distogliere lo sguardo dal ragazzo. Che restava lì, con il cazzo ancora duro.
Lo salutammo. Lui tornò dalla sua ragazza.
Noi salimmo in camera. Ma Lucrezia non aveva finito.
Mi spinse sul letto. Si sedette a cavalcioni sul mio viso. E io l’assaggiai. Sentivo me stesso. E lui. E lei.
La leccai fino a farla tremare. Si aggrappava alla testiera. Urlava piano. Per non farsi sentire. Ma il letto… quello sbatteva forte. E le pareti erano sottili.
Venimmo ancora. Sudati. Disordinati. Veri.
Mi avvicinai al suo orecchio. Le dissi: «Sei la troia più bella che conosco.»
E lei sorrise. Complice. Sporca. Mia.
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