La resa del cornuto

I mesi successivi furono un crescendo lento, inesorabile. Lucrezia vedeva Salvatore regolarmente, con una naturalezza inquietante. Una, due volte a settimana. A volte tre.
All’inizio mi informava. Poi iniziò a non dire più nulla: un messaggio in codice, una carezza sul cazzo prima di uscire, un paio di mutandine lasciate sul letto… e io capivo tutto.
Tornava a casa col viso disteso, le guance rosse, le cosce ancora tremanti. A volte senza mutandine. A volte con la figa ancora aperta, viva. E io le leccavo tutto. Come un servo. Come un cane. Come un cornuto felice.
La sua figa era diventata un altare che altri consacravano. Non solo Salvatore. E io ero lì, a ripulire dopo il rito. Il suo sapore, il suo odore e quello della sborra di altri calda, salata, densa. La bevevo tutta. Sempre.
Era il nostro nuovo equilibrio. Sporco. Perfetto. Ma non era ancora completo.
Fino a quella notte.
Erano le 2:47. Mi svegliò il rumore della porta che si apriva. All’inizio non capii se stavo sognando. Poi sentii i tacchi. Quelli di Lucrezia. E una voce. Maschile. Profonda. Calma. Lenta. Sicura.
Il cuore mi accelerò. Il sangue nelle orecchie. Il cazzo si mosse sotto le lenzuola. Sapevo. Prima ancora di aprire gli occhi, sapevo.
Lucrezia si avvicinò al letto, si chinò su di me, mi baciò sul collo, poi all’orecchio. Il suo respiro era caldo. Il suo odore era sesso puro.
«Amore… svegliati. Sono tornata. Ma non da sola.»
Aprii gli occhi. Lui era lì.
Salvatore. In piedi, accanto al nostro letto. Un uomo vero. Cinquantenne, virile, massiccio. Spalle larghe, braccia forti, barba grigia. Uno sguardo che non chiedeva nulla. Pretendeva.
Io ero un ragazzo. Venticinque anni. Magro. Giovane. Con la faccia da bravo. Nel mio letto. Nel mio corpo. Nella mia resa.
Lucrezia si voltò verso di lui, gli sorrise, e lo baciò. Davanti a me. Lenta. Con la lingua. Un bacio lungo. Sporco. Profondo. Io non esistevo. O forse sì. Ma solo come spettatore.
Poi iniziarono a spogliarsi. Lui le sfilò il vestitino con calma, lasciandola nuda. Capezzoli duri. Nessun intimo. La sua figa brillava. Gonfia. Aperta. Probabilmente già vissuta, già piena della sua sborra.
Salvatore si tolse la camicia, poi i pantaloni. Il suo cazzo era già duro. Lungo. Grosso. Scuro. Osceno.
Lucrezia si girò verso di me. Mi guardò con uno sguardo che non avevo mai visto prima. Sicuro. Dominante. Disarmante.
Il mio cazzo… era duro come pietra.
Lei salì sul letto, a gambe aperte, la figa a pochi centimetri dalla mia bocca. Mi prese per i capelli. Mi abbassò la testa.
«Sai cosa fare.»
La leccai. Subito. Senza pensare. Affondai la lingua nella sua figa calda, zuppa. E lì, lo sentii. Il sapore inconfondibile della sua sborra. Salata. Forte. Viva.
Bevevo Salvatore. Direttamente dalla figa della mia donna. Davanti a lui.
«Bravo cornuto… così… leccami bene… ripulisci…»
Lui salì sul letto, si inginocchiò dietro di lei, le prese i fianchi con le mani enormi e glielo infilò dentro. Tutto. Un colpo solo.
Lucrezia urlò. Di piacere. Di godimento assoluto. E io avevo la faccia premuta sulla sua figa mentre lui gliela scopava con forza. Ogni affondo di lui mi spingeva contro di lei. Sentivo le sue palle sbattermi contro il mento.
Eravamo una cosa sola.
Lucrezia gemeva. «Più forte, Salvatore… sì… usami… e fallo sentire… voglio che mi veda godere come una troia…»
Lui aumentò il ritmo. Io la leccavo mentre lui la sfondata da dietro.
Poi si tirò fuori. Il cazzo ancora duro, grondante della sua figa calda. Il glande era lucido, bagnato, profumato del loro piacere. Si mise in piedi accanto al letto, il cazzo davanti alla mia faccia.
Io tremavo. Il cuore in gola. Il cazzo durissimo. Lucrezia mi guardò. Occhi accesi. Brillanti. Dominanti.
«Guarda com’è bello… lo hai sempre voluto, vero?»
Mi prese per il mento. «Leccalo.»
Tremavo. Ma lo desideravo.
«Fallo. Mostragli quanto sei bravo… quanto sei voglioso… quanto sei cornuto.»
Mi piegai. Gli sfiorai la punta con la lingua. Il sapore era forte, salato, animale. Sapeva di lei. Sapeva di potere. Mi bruciava le labbra… e io lo volevo ancora di più.
Lo leccai lungo tutto il bordo. Poi sulla base. Gli succhiai le palle. Una, poi l’altra. Le baciavo con rispetto, con fame, con sottomissione.
Lucrezia si sedette sul letto. «Guarda com’è bravo il mio cornuto…»
Mi infilai il cazzo in bocca. Non tutto, ma ci provavo. Affondavo quanto potevo. Mi sbattevo da solo su di lui. Leccavo ogni vena tesa. Ogni goccia. Ogni umiliazione.
Salvatore mi prese per la testa e mi guidava.
«Fai come ti ha insegnato, troietta… succhialo bene.»
Io gemevo con la bocca piena. Lei si accarezzava la figa. «Sei perfetto così. Il mio cornuto.»
E io lo ero.
Poi Lucrezia si inginocchiò accanto a me. Leccò il cazzo insieme a me. Poi mi baciò. «Bravo… adesso sei completo.»
Il suo cazzo era ancora duro. Lucido. Vivo. Lei si girò verso di lui. «Scopami il culo, Salvatore.»
Lui sorrise. Le sussurrò qualcosa all’orecchio. Lei si mise a quattro zampe davanti a me.
«Guarda bene, cornuto.»
Il suo buco era lì. Piccolo. Teso. Pulito. Lei lo aprì con due dita. Sputò sulla mano. Se lo bagnò. Salvatore si avvicinò. Passò la punta sul buco. Girò attorno. Poi spinse. Piano. Poi forte. Poi dentro.
Lucrezia urlò. Prima di dolore. Poi di piacere. «Sì… così… prendi il mio culo… è tuo… tutto tuo…»
«Fai vedere a questo cazzo di cornuto… come si prende il culo di una vera troia…»
Ogni spinta era più violenta. Ogni colpo più fondo. Io le leccavo la figa mentre lui la devastava.
«Leccami… leccami mentre mi scopa il culo… voglio venire… in tutti i buchi…»
Poi lui venne. Dentro. Nel suo culo.
Lucrezia urlò. Un urlo lungo, sporco, infinito.
Caddero entrambi sul letto. Esausti.
Ed io… Mi inginocchiai. Le aprii le chiappe. E iniziai a leccare.
Il suo culo era pieno della sborra di un altro.
«Bravo… puliscimi il culo come un vero cornuto», sussurrò lei.
Lo facevo. E godevo. La lingua affondata nel suo buco appena riempito.
Poi lo sentii. Salvatore dietro di me. Si sputò sulla mano. Mi infilò due dita nel culo. Forti. Grandi. Prepotenti.
Mi si chiusero gli occhi. Mi irrigidii. Ma non dissi nulla.
«Sta zitto. Se lo prende. Lo vuole.»
Le sue dita affondavano. Allargavano. Preparavano.
Poi si tirò fuori. Il suo cazzo… di nuovo in erezione.
«Girati.»
Obbedii. A quattro zampe. Dove un attimo prima c’era Lucrezia.
Mi sputò addosso. Bagnò il cazzo. E poi… entrò.
Un colpo secco. Dentro. Il suo cazzo gigante mi aprì come un’arma. Gridai. Con la faccia schiacciata sul materasso.
Lucrezia era lì. Con le mani sulla bocca. Sconvolta. Eccitata.
«Amore… ti sta scopando… oh Dio… ti sta scopando il culo…»
Avevo il viso rigato dalle lacrime. Ma il cazzo era duro. Durissimo. Stavo venendo solo a sentirlo dentro. A ogni spinta, mi apriva. Mi prendeva. Mi marchiava.
Salvatore grugniva. Mi prendeva con forza. Con rabbia. Con piacere. Le sue mani mi stringevano. Mi usava. Mi scopava.
Lucrezia si mise davanti a me. Mi baciò. «Amore… sei bellissimo così. Sei mio. Sei suo. Sei nostro.»
Stavo per venire.
Lui accelerò. Gemette. E venne. Dentro.
Mi riempì. Mi svuotò. Mi marchiò.
Rimasi lì. In ginocchio. Con il suo sperma che mi colava. Con il buco aperto. Con il cuore che esplodeva.
«Ora sì che vi ho inculati entrambi.»
Poi Lucrezia si inginocchiò davanti a me. Mi accarezzò. Mi prese il cazzo in bocca. E io venni.
Le esplosi in gola. Lei prese tutto. E mentre ancora deglutiva… Uno schiaffo.
Salvatore era in piedi. «Che cazzo fai?»
Lei sussurrò: «L’ho fatto per lui… per ringraziarlo…»
Un altro schiaffo.
«Non avevi il permesso. Sei mia. Solo mia. E ora mi fai schifo.»
Lei cercò di baciarlo. Lui la scansò. Si rivestì. Freddo.
Io ero in ginocchio. Cazzo moscio. Bocca tremante. Culo sporco.
Lei accanto a me. In lacrime.
Salvatore si sistemò.
Ci guardò un’ultima volta.
«Vi ho inculati entrambi. E ora vi lascio come meritate: svuotati, usati… e soli.»
Uscì. Chiuse la porta. Silenzio.
Restammo lì. Io e lei. Nudi. Con il cazzo ancora bagnato. Con il culo pieno. Con la bocca salata. Con gli occhi rossi.
Spalancati. E pieni di sborra.
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