Grazie Mimmo

William Kasanova
2 months ago

A onor del vero, Adriano non sembrava apprezzare molto, per usare un eufemismo, la strana mania che le amiche di sua moglie Cecilia avevano preso da qualche mese di cercare assiduamente nuove case o appartamenti dove abitare. Lei, però, non sembrava affatto dello stesso avviso. Anzi, era come se fosse stata contagiata anche lei dall’idea di trovarsi un nuovo domicilio, e in più di un’occasione il marito l’aveva trovata al computer o al tablet a controllare siti di agenzie immobiliari: una in particolare era quella che si poteva definire la preferita dalle donne.

"Il fatto che le tue amiche te l’abbiano consigliata non significa nulla" aveva obiettato lui, ma Cecilia sembrava indifferente alle ragioni del marito. "Guarda la casa di Anna, che ha comprato attraverso quell’agenzia: è un buco pagato nemmeno fosse una reggia. Pure suo marito, quando siamo al bar, si lamenta." le confidò in un’occasione, cercando ancora di farla rinsavire, mentre il giovane figlio aspettava in macchina, per essere accompagnato a scuola.

No, lei fu inamovibile: quel pomeriggio, mentre era davanti alla macchinetta del caffè dell'ufficio, scrisse una e-mail all’indirizzo elettronico che la stessa Anna le aveva mandato, e prese un appuntamento con la Mimmobiliare.it. Non si sarebbe pentita, le aveva promesso l’amica. Dopotutto, le aveva raccontato lei stessa come si era svolta la visita dell'immobile che aveva poi convinto il marito a comprare, e i particolari l'avevano prima sconvolta ma, piano piano, nel passare dei giorni, insinuato nella sua mente, e nelle sue mutandine di pizzo, un irrefrenabile desiderio di sperimentare quanto Anna, ed un paio di altre sue amiche, avevano vissuto.

Poche ore dopo, mentre il pomeriggio arrancava durante una riunione con i colleghi del reparto acquisti, il telefono vibrò. Cecilia, approfittando dell'attenzione del resto dell'assemblea rivolto allo schermo televisivo su cui si susseguivano grafici a torta e tabelle, prese dalla tasca lo smartphone e lo accese. Una notifica sullo schermo la informava che le era giunto un messaggio dalla Mimmobiliare.it: incapace di contenere l'eccitazione, Cecilia sbloccò il telefono e aprì il messaggio.

"Egregia signora Cecilia, sono felice di informarla che abbiamo uno splendido caseggiato che risponde alle sue richieste. Approfittando della presente, le mando alcune foto che spero possano piacerle. Mimmo", riportava l’e-mail, e allegata alcune immagini che la donna subito aprì. La prima, sullo sfondo di un muro anonimo bianco con una finestra che nella foto appariva bruciata, un grosso cazzo in tiro che, rapportandolo con la mano che lo stringeva alla base, doveva essere lungo almeno trenta centimetri e tanto grosso da non permettere alle dita che lo tenevano di incontrarsi con il pollice.

Cecilia balzò in piedi, tramortita ed esaltata dalla spaventosa bellezza di quella nerchia. Le avevano ovviamente declamato le dimensioni dello strumento di Mimmo, ma si era convinta fossero solo chiacchiere delle sue amiche, sparate per vantarsi di essersi scopate un mostro simile. E invece, eccolo lì, pronto a sfondarla nel più profondo degrado che potesse immaginare, nella completa antitesi di come la venerasse e la adorasse quel noioso di Adriano. - È perfetto! – gridò la donna, come se stesse allenando la sua voce alle grida che Mimmo le avrebbe strappato. - È perf…

Il grido le morì sotto gli sguardi dei suoi colleghi, che la fissarono sconcertati. Solo Chiara, sorridendo, le fece l'occhiolino, consapevole di cosa stesse succedendo e cosa sarebbe accaduto nei giorni successivi.

Come se fosse stata una dose di una droga allucinogena, Cecilia non riuscì a pensare nulla che al mostro che si nascondeva nelle mutande del famoso Mimmo, un mostro che per qualche motiva le ricordava quello che seminava morte e terrore sulla "Nostromo" ma, a differenza del personaggio interpretato da Sigourney Weaver, non vedeva l'ora che la ghermisse e la devastasse. Seduta alla sua scrivania, tenendo le gambe aperte come se il suo sesso fosse diventato incandescente, non poté impedirsi di scaricare e ammirare anche le altre foto. Contemplò da altre angolature il cazzo di Mimmo, lasciando che le sue dita ne accarezzassero l'asta formata da cristalli liquidi e pregustando il sapore della cappella e della sborra che ne sarebbe scaturita per il resto del giorno lavorativo.

Quando poi, tornata a casa e consumata una cena scialba e passata una noiosa serata, si ritirò nell'alcova con il suo uomo, ancora strafatta di un desiderio velenoso. Sentiva dentro di lei un dolore simile all'apprensione, un senso di aspettativa che la annientava come un animale che le si fosse annidato nelle sue viscere e cercasse di uscire divorandola. Si sedette sull'inguine di Adriano iniziando a sfregare la sua fica sul normalissimo cazzo del marito attraverso i loro abiti intimi. Non sarebbe stato nemmeno comparabile con quello dell'agente immobiliare, ma in quel momento Cecilia si sentiva come dispersa in un deserto, e anche del piscio sarebbe stato ben accetto pur di spegnere la sete che la dannava.

Appoggiò le mani sul petto ben rasato e testimone di ore spese in palestra del marito, palpandolo. - Adesso che quel bastardello è fuori dai coglioni, - gli disse, mordendosi il lato destro del labbro inferiore, - che ne dici di dimostrare di essere un vero uomo e fottermi?

Lui la fissò, confuso. - Cecilia, amore, cosa stai dicendo? Che ti sta succedendo ultimamente?

Lei gli strizzò i capezzoli, strappandogli una smorfia di dolore. - Dai, non fare la merda moscia, sfondami a sangue ogni buco. - lo schermì, quasi stesse mettendo in dubbio la sua virilità. - Dimostrami che sai mettere al suo posto una puttana come me.

Adriano era sconvolto dal comportamento della moglie. Le tolse le mani dal suo petto, trattenendola per i polsi. - Ma… Cecilia, stai bene o…

Lei si strappò con violenza dalla fiacca presa del marito. Scese dal suo bacino, girandosi sul suo lato del letto. - Sei proprio un cazzo moscio capace solo di leccare la fica. - sbottò, sputando veleno. - Non puoi considerarti un uomo se non hai il coraggio di sfondare il culo di una troia.

- Ma se me l'hai mai nemmeno voluto darmelo! - sbraitò lui, per poi cercare di riprendere il controllo della situazione. - Guarda, Cecilia, non so cosa ti abbia preso, ma spero ti passi presto. - Spense la luce, gettando nel buio la stanza. - Beh, buonanotte.

- Fottiti, merda. - ribatté risentita lei, coprendosi completamente con le coperte.

 

La mattina successiva, mentre era al lavoro, Cecilia ricevette un nuovo messaggio di Mimmo. "Gentile signora, la aspetto in via Martini al numero 16 questo pomeriggio alle quindici." recitava, e sotto era presente una nuova foto del mostruoso cazzo, bagnato di quello che la donna istintivamente riconobbe come desiderio femminile. Oltre la cappella, un inguine arrossato, con un ciuffo di pelo biondo sopra la figa, la quale vomitava un torrente di sborra come non ne aveva mai visti.

Incapace di trattenersi, Cecilia corse in bagno, si sedette sulla tazza di un water e si abbassò le mutandine già umide. Appoggiò il telefono sul porta carta igienica, si penetrò con tre dita, strizzando un seno e si masturbò fino a farsi male, stringendo gli occhi e la bocca per non lasciarsi sfuggire nemmeno un gemito di piacere in quel luogo dannato.

Quando ebbe finito, con la sua ambrosia che colava fino alle piastrelle bianche del pavimento del gabinetto e lo smalto delle tre unghie scolorito, il fiatone ed il cuore che rimbombava al punto tale che credette che lo sentissero anche gli altri, staccò qualche pezzo di carta igienica e si pulì la figa dal liquido che aveva rigettato. Li guardò scomparire nel vortice del cesso, disperata che mai avesse provato tanta attrazione verso suo marito quanto verso un uomo che non aveva mai nemmeno visto in viso ma che conosceva solo attraverso le foto della sua nerchia e degli aneddoti raccontati dalle sue amiche. Quando aveva chiesto loro come fosse, loro avevano riso, dicendo che l'aspetto fisico era indifferente di fronte a quel cazzo incredibile e alla scarica di emozioni che aveva donato loro.

 

Mancavano più di venti minuti quando Cecilia parcheggiò la sua auto in via Martini, lasciandola dalla parte opposta della strada. La mano tamburellava su una gamba al ritmo sincopato del suo cuore, ritrovandosi in un paio di volte ad allontanarla dall'inguine in fiamme che aveva cominciato ad accarezzare, mentre faceva la posta alla proprietà, sperando di scorgere questo fantomatico Mimmo camminare lungo un marciapiede, svoltare sul vialetto ed entrare nella casa. Ma furono venti minuti gettati via, che avrebbe potuto passare in un gabinetto a sgrillettarsi per scaricare la tensione sessuale che la stava torturando.

Alle tre in punto, invece di trovarsi sotto la sua scrivania in ufficio, le sue scarpe con il tacco toccarono il marciapiede e poi ticchettarono velocemente sull'asfalto. Sostarono un istante davanti alla porta, mentre lei si lisciava la gonna del completo grigio, soffocando l'agitazione che l'aveva lentamente assalita. Allungò un braccio, sfiorò il campanello e, quasi con uno sforzo di volontà, lo fece suonare.

Passarono diversi secondi, che parvero anni, prima che una voce nasale, profonda, urlasse: - Entra pure.

Cecilia fece l'ingresso nella casa completamente vuota, il pavimento sporco di polvere e costellato di macchie secche. I muri erano bianchi, senza un quadro, nemmeno quelli inguardabili da pochi soldi che si comprano al supermercato, solo una ragnatela che doveva aver visto susseguirsi per lo meno un paio di generazioni di ragni, e che non era più pulita del resto dell'appartamento, dondolava mollemente tra una parete ed il camino, visibilmente ancora vergine.

Chiedendosi se fosse davvero giunta nell'edificio giusto, la donna fece qualche passo più avanti, raggiungendo quello che doveva essere il salotto, anch'esso vuoto se non per un tavolo da campeggio con accanto una sedia di plastica bianca, questi puliti. Sul piano una bottiglia piena di latte ed un bicchiere.

- Siediti. - disse quella voce incorporea, prepotentemente afflitta da un tono nasale, come se la persona che ancora non si era presentata fosse affetta da raffreddore o sinusite. - Beviti un paio di bicchieri di latte, che ti fanno bene. Non fare complimenti, bevi.

Cecilia osservò prima la porta da cui proveniva la voce, poi fissò il bicchiere e la bottiglia. Il vetro era palesemente stato estratto da un frigorifero da breve tempo, come poteva testimoniare qualche goccia di acqua che aveva tracciato il proprio percorso di lenta caduta sulla condensa che si era formata, mentre il bicchiere era stato lavato da poco. Ricordò che un paio di amiche le avevano accennato a qualcosa relativo al bere prima del rapporto… Cecilia scoprì che il tappo era ancora sigillato e fece un certo sforzo per aprirlo, poi lo versò nel bicchiere. Ne trangugiò un paio, più per la sete che per il gusto, non avendolo mai amato particolarmente.

Si sedette sulla scomoda sedia, attendendo. Dal rumore che sentiva, sembrava che qualcuno stesse preparando un letto. Beh, era normale, si disse.

- Arrivo tra un attimo, signora… Cecilia, giusto?

Lei rispose di sì, e si chiese se non avesse fatto una pazzia. Aveva spesso fantasticato di tradire suo marito, troppo premuroso, troppo perfettino, che a letto pensava sempre solo al suo piacere prima che al proprio… Mai un po’ di sesso… non violento, solo… meno gentile. Ecco, il suo principale problema era che era troppo gentile con lei. Le sue amiche avevano avuto lo stesso problema, e Mimmo era stata la risposta: un vero maschio, capace di castigare le luride puttane che si languivano in quelle donne costrette a mantenere un contegno in ogni ambito della loro vita. Beh, pensò, per quel cazzo farei qualunque cosa…

Solo dopo qualche minuto, mentre stava annoiandosi controllando le solite e-mail sul telefono, finalmente Mimmo comparve. Cecilia balzò in piedi, allibita: non si aspettava certo un adone o qualcosa del genere, ma quello… La statura non era maggiore della sua, e probabilmente la circonferenza della vita la superava. Si muoveva dondolando, in un completo grigio topo stazzonato, sporco e con macchie di sudore, a momenti incapace di attraversare la porta. Sudava, ed i capelli, i pochi capelli, di un castano asfittico, erano attaccati alla fronte. Il doppio mento sembrava un ingrossamento della tiroide, con i radi peli della barba che sembravano le spine di un cactus.

"Dev'essere uno scherzo", si disse Cecilia, sgranando gli occhi e fissando quell'incubo.

- "Spogliati" non te l'ho detto? - sbottò l'altro, scoprendo che era ancora vestita. Non era difficile capire che non era tanto una domanda quanto un ordine. - Vieni a berti il latte ma non vuoi farti scopare, puttana?

La donna non riusciva a capire cosa stesse accadendo. Sarebbe fuggita da quella scena di un film horror di poche pretese se l'immagine delle sue amiche, che avevano giurato di essersi fatte fottere da Mimmo, non la stessero beffeggiando, tenendosi la pancia per le risate mute che scuotevano le loro membra. "Ma non possono davvero…"

Non ebbe il tempo di finire il pensiero che il presunto grande amante fece un impossibile balzo in avanti, l'afferrò per i capelli neri e la spinse a terra, gettandola sulle ginocchia.

- Cazzi tuoi se non vuoi spogliarti - disse lui. - Le luride puttane sono luride per un motivo. - Una mano sbottonò i larghi calzoni che caddero a terra, seguiti da un paio di mutande che imploravano di annegare in una lavatrice.

Nell'odore di putrido che proruppe dall'inguine dell'uomo si alzò un cazzo mostruoso, qualcosa che arrivò a spaventare Cecilia. Era lo stesso che appariva nelle foto, e se su schermo l'aveva fatta bagnare come una fontana, in quel momento, dal vivo, le incuteva lo stesso terrore che avrebbe causato la visione di un serpente velenoso. - Apri quella bocca, troia. - le impose lui, strattonandola per i capelli castani. - Sei una bella puttanella, forse un po' troppo magra per i miei gusti, ma sfonderò il tuo culo e diventerai mia per il resto della tua vita.

Uno schiaffo si schiantò sulla guancia dalla pelle olivastra di Cecilia perché non era stata abbastanza svelta nell'eseguire gli ordini. Lei, spaventata, tremante, discostò appena le labbra, indecisa, fissando timorosa quel cazzo che sembrava un missile puntato verso di lei.

Mimmo non aspettò che la bocca si aprisse ulteriormente: spinse la testa di Cecilia sulla cappella e le si insinuò in bocca. Lei sentì quel pezzo di carne disgustoso sprofondarle tra le fauci, appiattirle la lingua e farsi strada come un ariete tra le sue tonsille. Terrorizzata, provò a fare leva con le mani sulle gambe grasse dell'uomo, ma un secondo schiaffo, ancora più forte, la fece desistere. Un istante dopo, Mimmo la afferrò per le tempie e cominciò a muoverle la testa avanti e indietro, insultandola. - Lo spompini tuo marito, puttana? Quel cazzetto lo senti quando ce l'hai nella tua sporca boccaccia?

Cecilia non riusciva a rispondere, sia per la minchia che la riempiva completamente, sia per la puzza che l'aggrediva, stordita per il movimento del suo capo. Le sembrava di aver messo il naso in un culo.

- Questo però lo senti, vero? Non hai mai visto un cazzo così grosso e non puoi più farne a meno, eh, troia? - esclamò Mimmo, continuando a fotterle la bocca.

Nemmeno metà del cazzo la penetrava, notò la donna, aprendo per un attimo gli occhi che si stavano riempiendo di lacrime. Si chiese cosa sarebbe successo se glielo avesse messo tutto dentro…

Non ci volle molto a scoprirlo: improvvisamente Mimmo, dopo alcuni minuti a muovere avanti e indietro la testa di Cecilia, la spinse solo in avanti. La donna sbarrò gli occhi, sentendo il cazzo sprofondarle nella gola e nell'esofago, bloccandole il fiato. Per un istante venne presa dal terrore che Mimmo volesse soffocarla, ucciderla… poi si rese conto che la cosa si prospettava anche peggiore: come due dita infilate in gola, il cazzo le indusse il vomito. Cecilia si trattenne, o almeno ci provò. Se l'uomo avesse tolto la nerchia dalla sua gola avrebbe ancora potuto…

Il cazzo uscì dalla bocca di Cecilia, ma non abbastanza in fretta. La donna fu scossa da forti tremori mentre una parte del latte appena bevuto e del pranzo di alcune ore prima proruppero dalla sua bocca, esplodendo in un getto scoordinato e riversandosi sul pancione dell'uomo, sul suo cazzo, imbrattando la faccia di Cecilia e la giacca grigia, cadendo sul pavimento e formando una pozza bianca di cibo semi digerito.

Stordita e confusa, con la testa che le vorticava, disgustata e degradata come mai prima di allora, Cecilia, gli occhi chiusi, le membra che sembravano essere state strizzate da una massaia alle prese con un panno uscito da una fontana, cadde all’indietro, cercando di trascinarsi lontana, alla cieca.

Come cazzo aveva fatto a mettersi in una situazione simile, si domandò.

Ma a Mimmo non importava affatto cosa stesse pensando quella donnetta: le strappò un grido afferrandola per i capelli e sollevandola nuovamente in ginocchio, le strinse il naso costringendola ad aprire di nuovo la bocca e, nelle labbra sporche di vomito, le conficcò di nuovo il mostruoso cazzo. - Questo tuo maritino non te lo fa, vero? Pensa che sei una donna per bene, vero? Ma anche tu, che ti consideri una puttana, non lo faresti mai, giusto? Ho un figlio, pensi, non posso mica vomitare addosso al mio maritino.

Cecilia si contorse, cercando di sfuggire a quel mostro, ma lui era troppo forte. Il suo cazzo scopava senza fatica la sua bocca, e la trattava come una lurida bambola gonfiabile.

Una ventina di colpi ancora, e lui venne. Ma non si limitò a sborrarle in bocca, no: le piantò di nuovo la cappella in fondo alla gola, e mentre la sua bega schizzava giù nello stomaco, dallo stesso risaliva quanto vi era rimasto. Muovendo le mani e le braccia convulsamente, come se fosse stata colpita da un attacco epilettico, Cecilia cercò di sfuggire alla presa di Mimmo, sicura di soffocare nel suo stesso vomito. Lui estrasse il cazzo, ma solo un po', quanto bastava per liberare la gola ma bloccando ancora l'uscita dalle labbra. Cecilia fu presa dal panico, per poi provare la sensazione più disgustosa della sua vita: prima sentì riempirsi la sua bocca, i timpani che sembravano scoppiare e poi sborra, latte aggredito dagli acidi e il pranzo ormai quasi dissolto scaricarsi attraverso il naso nel mondo esterno. Le parve quasi che quel getto semiliquido le gettasse la testa all’indietro, come fosse stato il gas di scarico di un fuoco d’artificio lanciato nella notte. Rabbrividì in una confusione mentale ed emotiva che solo gli orgasmi che suo marito le dava puntualmente ogni volta che la amava potevano essere paragonati ad esso. Solo, molto meno piacevole e edificante, ma disgustoso, sporco e degradante. Anzi, l'orgasmo che avrebbe ricevuto facendosi scopare dal diavolo.

Distrutta fisicamente, le lacrime amare che le colavano sul viso sporco, le braccia abbandonate con le mani che finivano nella pozza di vomito bianca, le gambe divaricate sotto di lei, Cecilia sentiva ancora il latte acidificato scendere dalle sue labbra e dal suo naso scivolando sull'abito che non avrebbe mai più indossato. Se solo avesse avuto la forza di parlare, la donna avrebbe cominciato a gridare, ma lei stessa non sapeva cosa avrebbe detto: da una parte era disgustata, stravolta, voleva andare a casa e correre tra le braccia del marito e del figlio, ma al contempo era confusa dalle emozioni che quel totale capovolgimento della sua vita le aveva fatto scoprire. Un uomo disgustoso, sia fisicamente che caratterialmente, l'aveva presa a schiaffi, scopato la bocca senza il suo consenso e quasi soffocata, facendola rigettare. Aveva lo stomaco in subbuglio, come se gliel'avessero rivoltato, ma per qualche motivo avrebbe voluto ingurgitare cibo e poi vomitare di nuovo su quel cazzo gigantesco. "Sarebbe fantastico uscire a cena con Mimmo, mangiare a crepapelle e poi vomitare mentre lo spompino…"

- Allora, signora Cecilia, - disse lui, con il suo forte accento, - il tuo viaggio verso la tua puttanaggine continua? - Ma non era una domanda quanto una constatazione. La sollevò prendendola per le ascelle e la trascinò per il pavimento, portandola nella stanza da letto e gettandola su un materasso con un paio di coperte sopra. - Le tue amiche mi vengono spesso a trovare, sono molto contente per quello che ci faccio.

Cecilia era troppo confusa per seguire il discorso, se non che Helga, la snob Helga, madre di tre figli che trattava nemmeno fossero principini, con il marito che guadagnava milioni con la sua fabbrica, una volta alla settimana veniva a farsi fottere da Mimmo fino a ridursi a una merda, e che Arianna, lesbica dominatrice, disgustata anche solo dal farsi sfiorare da un uomo, crollava su quello stesso letto colando sborra da ogni buco, in una pozzanghera di latte che, dopo mesi di esperienza, riusciva a farsi uscire anche dai dotti lacrimali degli occhi.

Cecilia si sentì improvvisamente unita alle sue amiche nell'idea che stesse respirando l'odore dei fluidi corporei che avevano versato in quello stesso letto. Mentre l'uomo la spogliava con la poca grazie che si sarebbe usata con un manichino, chiudendo gli occhi accarezzò la coperta, sentendo sotto le proprie dita il seno florido di Beatrice, la figa rasata di Chiara o le labbra sensuali di Anna. Avrebbero dovuto organizzare un'orgia con Mimmo, il suo cazzo gigantesco che le scopava una ad una, le loro lingue che si muovevano sulla fica di quella che era appena stata montata, suggendone la sborra, baciandosi e ditalinandosi alla vista di quel mostro che le violava strappandole da una vita troppo tranquilla e priva di vere emozioni. Sarebbe stato meraviglioso, pensò, mentre una scarica di dolce torpore le attraversava le membra.

Mimmo le tolse i pantaloni strattonandoli e le strappò le mutandine in pizzo rosso che aveva comprato appositamente per quella scopata. Le infilò quattro dita nella fica gocciolante e cominciò a frugarle dentro come se stesse cercando in una tasca piena di oggetti. Cecilia, strappata dai suoi pensieri erotici, si ritrovò gettata in quel letto lercio, con un mostro che le stava scopando la fica con una mano. Spalancò gli occhi e gemette di dolore mentre sentiva la vagina modellarsi in qualche modo attorno a quelle dita callose che sembravano volerle strappare l'anima da dentro.

- Mi… fai male…

Mimmo ignorò le rimostranze e le grida della donna, muovendo la mano, chiudendola a pugno e aprendo alternativamente le dita. - La tua amica che ci piacciono le donne ha detto che sei vergine di culo.

Cecilia, che si stava contorcendo come se quella mano le fosse arrivata fino nel cervello e lo stesse strizzando, impedendole di respirare e con il cuore che batteva a mille, comprese solo dopo qualche secondo cosa stesse dicendo quell'essere. Provò a implorarlo di non farlo, di risparmiarle il sedere, che per quel giorno era sufficiente, ma non riuscì a fare nulla se non gemere e ansimare, a lacrimare terrorizzata.

Ma a Mimmo la cosa non fece nessun effetto: afferrò una gamba della donna, sollevandone i glutei dal letto, poi li avvicinò al suo inguine, spingendola verso sé stesso con la mano che sprofondava nel sesso bagnato.

Il dolore che sentiva nella sua figa scomparve dalla mente di Cecilia come se non fosse mai esistito quando la gigantesca punta del cazzo di Mimmo sprofondò nel suo retto. Avrebbe voluto urlare, ma non riuscì nemmeno a respirare, nemmeno a pensare a nulla di qualcosa di grosso quanto un avambraccio che entrava nel suo intestino. Sollevò le braccia come se avesse potuto agguantare una molecola di sollievo, la schiena che si arcuava e si abbatteva sul copriletto, il corpo che cercava di sfuggire all’attacco di quel predatore sconosciuto ma sicuramente letale.

Con una profonda espressione di disgusto sul volto grasso e congestionato, Mimmo la fissò contorcersi come un pesce gettato fuori dall’acqua sul greto di un fiume, così come si erano dimenate anche le sue stupide amiche quando le aveva possedute, i loro culi distrutti da quell’orribile cazzo che si trovava tra le gambe. Era sempre stato inorridito da quel mostro sovradimensionato che sembrava lo scherzo definitivo per un corpo deforme come il suo, simile ad un gorilla con il cazzo di un cavallo. Era sempre stato insultato e sbeffeggiato dalle donne per il suo aspetto grottesco fin da piccolo, evitato da tutte e lasciato solo. Finchè un giorno non finì nello studio medico di una androloga che, colpita dalle dimensioni, gettò nel cesso la sua deontologia e volle scoprire che effetto provocasse un cazzo simile dentro il proprio corpo. In breve tempo, da vergine, Mimmo divenne il desiderio sessuale della dottoressa e delle sue amiche, donne sposate e che avevano figli, con professioni più o meno importanti, che non riuscivano ad apprezzare quanto avevano e sentivano la necessità di farsi fottere da un mostro superdotato.

Per quanto Mimmo avesse odiato le donne fino a quel momento, quelle puttane viziate che lo cercavano solo per la sua nerchia e che spesso non sapevano nemmeno come si chiamasse lo disgustarono. E lo fecero al punto tale da decidere di sfogare su di loro tutto il suo disprezzo iniziando a soddisfarle solo con pratiche sessuali ripugnanti, in cui la loro perdita di dignità le avrebbero poste allo stesso suo livello. Non era sborrare a dargli piacere, era vederle accettare il vomito o il culo sfondato per poi vantarsi con le altre troie con cui andavano a fare l’happy hour o la vacanza domenicale al lago, mentre le persone che le amavano erano ignare di tutto ciò. Le loro famiglie rischiavano di distruggersi, persone inconsapevoli sarebbero finite nella depressione e le loro vite buttate nel cesso per l’incapacità di quelle troie di accettare una vita poco eccitante ma che avrebbe comunque garantito tranquillità e felicità, a differenza della sua.

Cecilia era una di loro, una donna che voleva essere come le sue amiche idiote, incapace di ragionare con la propria testa. Era carina, un bel corpo, un viso piacevole ed una seconda di seno. La pelle olivastra e gli occhi ed i capelli neri dovevano aver reso il suo uomo felice di amarla. Una delle sue amiche troie aveva anche confidato che aveva dato alla luce un figlio… E in quel momento era distesa su un materasso a cui si sarebbe dovuto dare solo fuoco, disgustata dal corpo di lui come lui lo era dalla stupidità di lei, la faccia ed il petto sporchi di vomito, il culo e la figa devastati dal suo odio. Peggio per lei.

Ormai aveva anche smesso di dimenarsi, semisvenuta dal dolore che ormai le aveva anestetizzato i nervi e sconnesso la mente. Rantolava con la testa girata da un lato, la bocca e gli occhi aperti, il corpo abbandonato sul letto e ai suoi colpi.

Le venne dentro senza alcuna emozione, lasciando che il cazzo iniziasse ad ammosciarsi prima di estrarlo dal culo della donna. Lasciò andare la gamba che ancora teneva contro il suo corpo, facendola cadere sul letto, dove rimbalzò un paio di volte. Estrasse la mano completamente bagnata di umore dalla figa di Cecilia, avvicinandola al volto e annusandola con una smorfia. Quanto gli rivoltava lo stomaco l’odore di fregna…

Gattonò ridicolmente fino al bordo e scese dal materasso. Il movimento fece rinvenire la donna, che sbatté gli occhi, sospirando come se avesse passato gli ultimi dieci minuti senza respirare. L’uomo sentì qualcosa toccarlo al braccio: quando si voltò per vedere, trovò Cecilia osservarlo stordita.

- Grazie, Mimmo… - sussurrò, la voce roca per le grida strazianti che avevano riempito la casa poco tempo prima. C’era sincerità in quelle parole.

Lui distolse lo sguardo, infuriato, alzandosi e allontanandosi. – Fanculo, puttana. – sibilò. Aggiungendo poi, perché la donna potesse sentire: - Vado a lavarmi. Quando riuscirai di nuovo a camminare, potrai usare il bagno, ma non starci dentro troppo perché tra un po’ arriva un’altra.

Cecilia non rispose, limitandosi a riappoggiare la testa sul materasso lurido e chiudendo gli occhi, stringendoli e lasciandosi sfuggire un singhiozzo di dolore quando gravò accidentalmente il peso sul culo.

 

Passò più di un’ora prima che Cecilia, devastata ma soddisfatta, riuscisse ad alzarsi dal letto e a mettersi in piedi. Si lavò il viso ed il seno dal vomito e dalla sborra secca e cercò di pulire gli abiti che si erano sporcati durante quel folle pompino. La donna, mentre strofinava il tessuto della gonna, si chiese se sarebbe riuscita a fare qualcosa di simile la prossima volta che si sarebbe presentata lì. Era stato un pomeriggio orribile, in cui era stata degradata in modi che non avrebbe mai immaginato, e le dolevano la figa ed il culo in modo indicibile. Ma non avrebbe certo mancato di presentarsi di nuovo, o le sue amiche avrebbero riso di lei. E poi, magari, al loro pari, anche lei, un giorno, avrebbe apprezzato essere scopata e abusata da quell’essere mostruoso. E, dopo quel cazzo meraviglioso, quello di suo marito non le interessava più: poteva anche essere bravo a leccare, ma a che serviva la lingua quando si aveva una trave in mezzo alle gambe?

Ripulita alla meno peggio, uscì dal bagno zoppicando, come se avesse dei tizzoni infuocati infilati su per il culo ed un forte bruciore alla gola. Attraversò con fatica l’appartamento, cercando Mimmo. Il pavimento dove aveva posseduto la sua bocca era stato pulito, e anche il bicchiere da cui aveva bevuto il latte era stato sostituito o lavato, mentre la bottiglia era sempre la stessa, priva del contenuto che, alla fine, era rimasto sulle piastrelle.

Vide l’uomo intento a cambiare le coperte attraverso la porta della stanza da letto. Con una serie di smorfie si affacciò per salutare. – Beh… Buonasera Mimmo, vorrei…

Lui non si girò nemmeno. – Levati dalle palle, signora. Tra un attimo ne arriva un’altra a farsi sbattere.

Cecilia non si sarebbe aspettata un saluto caloroso da quel mostro, ma proprio trattarla così, dopo che aveva abusato di ogni suo orifizio… Se ne sarebbe andata sdegnata, mandandolo a cagare e non presentandosi mai più, se non fosse stato per quel magnifico cazzone e lo sdegno che avrebbero dimostrato le sue amiche.

Non aggiunse altro, uscendo dalla casa, chiedendosi se prendere un nuovo appuntamento con Mimmo prima o dopo che avesse potuto di nuovo sedersi senza mettersi a piangere. E un giorno avrebbe dovuto comprare anche un appartamento, o quel cazzetto piccolo di suo marito avrebbe potuto subodorare l’inganno che lei e le sue amiche stavano portando avanti ormai da tempo.

Una rossa alta, con una costellazione di efelidi ad illuminare ulteriormente la celestialità del suo viso, si era fermata sul vialetto quando la porta si era aperta. Cecilia uscì barcollando, scagliando un'occhiata carica di astio verso quella donna che aveva almeno un paio di misure o tre di seno in più di lei.

Per un istante sembrò volerle saltare addosso, alzare le mani su quella bellezza inimmaginabile, impedendole di scoprire la potenza sessuale di Mimmo. La rossa la guardò con un cipiglio di curiosità, una mano stretta alla cinghia della borsetta nera che contrastava con l'abito lungo verde, osservandola per qualche istante mentre attraversava la strada, chiedendosi di quale patologia alla schiena soffrisse. Si chiese se fosse una parente della ragazzina a cui avrebbe dovuto dare ripetizioni di inglese.

Fece qualche passo avanti sulle sue lunghe gambe flessuose, avvicinandosi alla porta lasciata aperta. Vide un movimento all'interno dell'edificio. - Mi scusi, è questo il numero 14 di via Martini?

- Entra pure, signorina. - disse una voce dal forte accento. - Siediti. Beviti un paio di bicchieri di latte, che ti fanno bene…

 FINE

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