Dottoressa del cazzo

erotikamente
5 months ago

Come avrete avuto modo di scoprire, leggendo le puntate precedenti, io e Giuseppe siamo due medici in pensione. Abbiamo condiviso lo stesso studio medico per tutta la carriera. Inevitabilmente io nostro ambulatorio è diventato anche il centro della passione condivisa per lo scambismo e l’esibizione. 

Ben prima che ci fossero siti di incontri, Giuseppe usava il nostro studio come bacino da cui pescare potenziali partners sessuali. Aveva escogitato un metodo infallibile. Lasciava delle fotografie esprime di me e lui mentre facevamo sesso, o anche solo mie da sola, nuda, sulla scrivania, sotto ricette e carte. Quando entrava un uomo solo, Giuseppe ci provava. Faceva finta che nello spostare le carte, quelle foto porno amatoriali emergessero per puro caso. Faceva finta di imbarazzarsi. Statisticamente, se il paziente le prendeva in mano per aiutarlo, passandole, voleva dire che era anche in qualche modo interessato. Ecco che Giuseppe diceva “scusi, mia moglie è irrefrenabile. Non si sa contenere a livello sessuale”. Se si dimostravano interessati, allora Giuseppe iniziava a propormi come un oggetto da ammirare e “piazzare”. Mi raccontava che diceva “vede, guardi in questa foto come mia moglie ha gli orifizi aperti. E qua, come la penetrano analmente. Vuole un primo piano? Guardi, il nostro amico lo infilava nell’ano fino ai testicoli”. 

Generalmente il discorso diventava più approfondito e volgare, alla fine 9 su 10 dicevano frasi come “non pensavo fosse così troia la dottoressa” o “che puttanone sua moglie, dottore”. Così lui lanciava la proposta e spesso ci incontravamo poco dopo. Mi chiamava al telefono interno “Laura puoi venire un momento di qua? Devo farti vedere un paziente”. Io capivo al volo. Mi precipitavo nella stanza di Giuseppe. E mi trovavo di fronte un uomo, alle volte sconosciuto, pronto a far sesso con me.

Era ancor più divertente quando si trattava di pazienti conosciuti ai quali magari avevo curato la moglie o i figli. Increduli, colmi di imbarazzo, mi toccavano la testa, quasi timorosi non fosse vero. Con loro cercavo allora di essere più troia ancora, per sconvolgere del tutto la loro immagine della dottoressa per bene. Alzavo la gonna e spingevo la loro testa sulla mia vagina, spronandoli a leccare oppure mi allargavo le chiappe, mettendo in bella mostra il mio buco scuro e vagamente pelosetto. Li invitavo a giocare col mio ano. C’era un paziente in particolare che lo amava. Aveva sviluppato una passione per il mio orifizio anale. Mi infilava un dito ogni volta che veniva in ambulatorio. Mi alzava la gonna, si faceva largo con il medio fra le cosce e lo infilava dentro. Stava al calduccio e intanto si masturbava. 

Facendo un bilancio finale direi che nel nostro ambulatorio sono passati molti uccelli dei pazienti. Un paziente trentenne napoletano lo aveva così largo che faceva male la penetrazione: mi scopava sul lettino da medico con addosso solo lo stetoscopio che sbatteva sulle mie tette. Mi aggrappavo a quel povero lettino su cui abitualmente visitavo pazienti, con tutta la forza di cui ero capace mentre quel toro mi penetrava le viscere. 

Ricordo anche un ottantenne con problemi di erezione, gli tenevo un po’ in bocca suo pene flaccido da cui usciva sempre un po di urina (frutto della sua incontinenza prostatica), e poi gli leccavo le lunghe palle grinzose, pendenti e bagnate di pipì. Alla fine per ringraziarmi mi faceva un ditalino. Non ci crederete ma era un masturbatore eccezionale. Una tecnica straordinaria, affinata negli anni. Mi suonava il clitoride come un arpa per poi infilare con l’altra mano due dita decise a fondo. Gli venivo in faccia e godeva a bere il mio succo. 

La cosa divertente fu che quando trasferimmo lo studio dalla zona parco al centro, cambiammo giro di pazienti e rinnovammo il parco dei bull. Anche ora che sono in pensione molti ex pazienti mi incontrano per strada e ricordando quei giorni “dottoressa che pompini che mi faceva in sala d’attesa su quelle sedie di pelle verde.. quante macchie sospette! Ah se potessero parlare”.

La migliore fu la segretaria che quando chiudemmo lo studio mi disse “è sempre stata una troia. Che vergogna quando si chiudeva nella sua stanza a scopare con chicchessia. La sentivamo tutti urlare dalla sala d’attesa, cosa crede?”. Mi bagnai al pensiero perché era sempre stato il mio desiderio che sentissero quanto la dottoressa godesse a pochi metri di distanza.

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