Vicino... troppo vicino

sesso italiano
5 months ago

Mi chiamo Lorenzo, ho vent’anni e desidero raccontare un episodio che mi riguarda. Prima, però, mi descrivo: ho un corpo androgino, glabro e flessuoso, dei capelli castano chiaro tagliati in stile boyish e un bel culetto sodo che tengo sempre in allenamento. Vivo da solo nella città universitaria in cui studio, lontano centinaia di chilometri dalla mia famiglia, in un appartamento di proprietà dei miei genitori. Grazie alla distanza che mi separa dal mio paese natale, dunque da occhi indiscreti, ho potuto dedicarmi alle mie due grandi passioni: il travestitismo e il cazzo.

Adoro vestirmi da donna, in modo estremamente provocante, diciamo pure da vera troia, e farlo venire duro agli uomini che, spesso, non capiscono subito che sono un maschietto. Provo una irresistibile attrazione per gli uomini maturi, possibilmente sposati, capaci di dominarmi sia fisicamente che mentalmente.

I fatti che mi appresto a raccontare cominciarono un tardo pomeriggio di ottobre. Avevo appena finito di studiare ed ero andato sul balcone a prendere un po’ d’aria. All’improvviso, dal bucato steso al piano superiore, un perizoma precipitò sulla mia ringhiera. La mutandina, stretta e rossa fiammante, non poteva che essere di Pamela, la diciottenne del piano superiore. La ragazza è figlia di Mauro, uno stallone di cinquant’anni che, fin dal mio trasferimento, mi stimola fantasie violente e perverse. Si tratta di un uomo massiccio, con una folta barba, alla cui presenza arrossisco come una fanciulla.

Presi le mutandine con l’intenzione di restituirle alla proprietaria e, magari, vedere suo padre ma, una volta rientrato in casa, feci tutt’altro. Andai nella mia camera da letto, dove mi spogliai completamente e indossai il perizoma di Pamela. Stretto all’inverosimile, le mie palle vi fuoriuscivano e il filo posteriore sprofondava tra le natiche bianche. Trassi il dildo dal cassetto del comodino e iniziai a succhiarlo pensando a Mauro. Avrei voluto essere una delle amiche che sua figlia, ogni tanto, invitava a casa. Così da poter fare la monella con lui e magari ricevere un castigo. Immaginavo le sue mani sul mio corpo, intente a strizzarmi e a spremermi.

A riportarmi alla realtà fu il suono del campanello. Suonò una volta, poi un’altra. Preso alla sprovvista, mi asciugai col dorso della mano la bava dai bordi della bocca, indossai l’accappatoio rosa che tenevo in bagno e corsi ad aprire. Intanto, il campanello suonò una terza volta. Dall’altra parte della porta avevano fretta.

Quando aprii mi trovai davanti Mauro. Per un secondo mi mancò il respiro. Immaginate la scena: Mauro è più alto di me di venti centimetri, muscoloso ma non definito (come ebbi l’occasione di osservare qualche tempo prima), la pelle bruna, possente. Indossava una maglietta verde militare e dei jeans. Io gli stavo davanti avvolto in un accappatoio rosa ed ero paonazzo per la sorpresa. Mi sentii subito dominato da quella figura imponente con la barba da hypster attempato.

«Ciao, un paio di mutande devono essere cadute sul tuo balcone», esordì con voce autoritaria.«Non ho visto nulla», risposi cercando di darmi un tono tranquillo. «In terra, nel cortile, non ci sono», ribattè Mauro infastidito. Poi, con un gesto deciso, mi allontanò dallo stipite della porta ed entrò in casa. Si diresse immediatamente verso il balcone e io, incapace di oppormi, mi limitai a seguirlo a testa bassa. Proprio in quel momento, notai che avevo ancora le unghie dei piedi smaltate di rosso. Mauro uscì sul ballatoio e subito rientrò:

«Avanti, dove sono?»«Cosa?», risposi con un filo di voce.«Non fare lo stronzetto con me», affermò seccato.Siccome non risposi, paralizzato com’ero dalla sua imponente figura, lui si avvicinò minaccioso, afferrò due lembi dell’accappatoio e lo spalancò.«Ecco dov’erano! Finocchio!», disse ringhiando, per poi colpirmi il volto con uno schiaffo. Andai a sbattere contro il muro. Mi tenevo una mano sulla guancia arrossata e dolorante. Mauro mi venne incontro, mi afferrò per le guance, premendole con forza e facendo assumere alla mia bocca la nota forma a «culo di gallina», poi asserì:

«Credi che non mi sia accorto di come ti comporti? Ti vedo quando mi spii mentre faccio stretching nel cortile; mi sono accorto che esci sempre sul pianerottolo quando passo. Per non parlare del modo in cui mi guardi, anche ora. Fammi indovinare: senti il buco del culo pulsare, vero? La conferma che fossi un culattone senza speranza me l’hai data qualche settimana fa. Ero appena tornato da una cena di lavoro, era molto tardi, quando nella penombra del parcheggio sotterraneo sento un rumore di tacchi; mi apparto nell’ombra e chi vedo passare? Il mio vicino di casa vestito da puttana».

La presa sulla mia faccia non accennava a diminuire e, nel frattempo, il cazzetto (non sono per niente dotato) mi era diventato duro e spuntava, ridicolo e inutile, dalle mutandine rosse.

«Se fortunato però – proseguì il maschione – mi ecciti da morire». A quel punto mi tirò a sé e mi diede un bacio sulle labbra, conficcando prepotentemente la sua lingua nella mia bocca. Dopo il bacio, che mi lasciò in trance, avvenne ciò che speravo avvenisse fin da quando avevo aperto la porta, mi mise una mano sulla testa e mi fece inginocchiare tra le sue gambe. Mi tolsi l’accappatoio, lui si slacciò i pantaloni, che caddero sul pavimento accompagnati dal rumore metallico della cintura, e tirò fuori il cazzo.

La nerchia di Mauro era enorme. Se ne stava lì, svettante, persino minacciosa, a pochi centimetri dalle mie labbra tumide. Non avevo mai visto un cazzo simile. Dovevo avere un espressione piuttosto ebete quando Mauro me la conficcò in bocca. Ebbi un singulto. Ripresomi dallo stupore iniziai a succhiare quella mazza come meglio potevo: con la bocca facevo su e giù lungo l’asta, cercando di metterlo tutto in bocca, fin nella gola, e intanto gli accarezzavo i testicoli gonfi e le gambe lievemente pelose. Me lo sfregavo sulla lingua, leccavo la cappella e gli ciucciavo le palle. Per tutto il tempo cercai di fissarlo negli occhi che, ogni tanto, per il piacere, chiudeva. Volevo fargli un pompino regale. Glielo succhiai per un tempo che mi sembrò infinito. Le ginocchia mi facevano male e venni due volte, macchiando le mutandine di sua figlia.

Poi, d’improvviso, si voltò offrendo alla mia vista, e soprattutto alla mia bocca, il culo florido e sodo. Su suo ordine iniziai a leccarlo. Lambivo l’ano, curiosamente inodore, con la lingua, baciavo le natiche e leccavo il perineo. Il suo cazzo, che avevo tenuto in mano e segato durante l’anilingus, pulsava, eppure, il maschione, non accennava a venire. Avevo la mandibola indolenzita a causa di tutto quel succhiare e leccare.

Mauro si girò nuovamente e con una sventola mi colpì sull’altra guancia. Ero sorpreso ed eccitato come non mai. Poi disse:

«A succhiare sei brava. Adesso gattona fino alla tua camera da letto». Eseguii il comando con rapidità. Con la faccia sbavata e arrossata, totalmente alla sua mercé, raggiunsi la mia camera accompagnato dai suoi insulti: «puttana» e «mignotta». Appena entrato nella stanza notò subito il dildo rosa che avevo dimenticato, poco prima sul letto. Mi chiese: «Hai del lubrificante? Non voglio farti male». Quella premura, dopo tanta rudezza, mi fece quasi piangere. Gli indicai dove tenevo il lubrificante. Mi posizionai a pecorina sul tappeto della camera, dando fondo alle mie qualità di «drizzacazzi»: mi tolsi le mutandine, inarcai la schiena e spinsi il culo in fuori.

La penetrazione fu sconvolgente. Ogni colpo di reni era un pugno sferrato alla prostata. Temevo di pisciarmi addosso o peggio. Il cazzo di Mauro forzava il mio buchetto rosa, sconquassandomi le viscere. Avevo caldo e godevo. Le sue palle dure e grandi come kiwi sbattevano contro le mie. Lo stallone mi montava con ferocia, stringendomi i fianchi, mentre io stringevo i denti e con le mani il tappetto. Accompagnava la monta con degli schiaffi, ben assestati, sulle mie chiappe, facendomi lanciare gridolini di piacere. Lui sbuffava come un treno.

Alla fine cedetti e caddi a bocconi, Mauro, ancorato al mio culo, sdraiato sopra di me, continuò a fottermi, poi mi sollevò e mi mise nella posizione della «cariola» e, dopo ancora qualche botta, eruttò una quantità abnorme di sperma nel mio retto, soprattutto se paragonata alle mie misere schizzate. Si sedette sul letto, stanco, io rimasi sdraiato, con un cerchio alla testa e l’ano in fiamme fino al suo nuovo ordine.

«Adesso gattona fino in bagno, zoccola». Raccolsi le mie ultime forze e raggiunsi il punto richiesto. Lì, Mauro, mi fece sistemare in ginocchio nella doccia, mi disse di chiudere gli occhi e di «cacciare fuori la lingua». Ero troppo stordito per capire cosa volesse fare. Me ne accorsi solo quando il liquido caldo m’investì la faccia trasmettendomi una sensazione di benessere. Bevvi anche un po’ della sua urina dolciastra. L’idea di avere dentro di me il suo sperma e il suo piscio mi piaceva. Svuotatosi la vescica, Mauro mi intimò di tenere gli occhi chiusi, mi mise le mutandine di sua figlia in bocca e disse: «Ora rimani così fin quando non mi senti uscire. Le mutandine puoi tenerle, mia figlia non si accorgerà che gliele ho prese».
Dopo una decina di minuti sentii la porta chiudersi. Riaprii gli occhi. Stagnavo in una pozza giallognola. Ero felice.

Racconto selezionato per il nostro archivio dalla redazione, scritto originariamente da: Lorenza

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