Tutti i cazzi di mamma'

Capitolo 2 - Dopo papà la scopro troia

geniodirazza
2 days ago

 Intanto i miei pantaloni erano scivolati a terra, me ne ero liberato con un calcio ed ero completamente nudo, con un cazzo in tiro che per la prima volta mi appariva mostruoso, davanti a mia madre completamente vestita (anche se della sola vestaglia) che si dedicava a quel cazzo con una venerazione quasi da feticista: dopo aver sussurrato più volte “mio … mio …”, lo accarezzò a lungo e con passione, un paio di volte fece scorrere la mano lungo l’asta in una sega unica e irripetibile, poi accostò la bocca alla punta e la succhiò leggermente. In una frenesia di desiderio, le presi la testa e spinsi il cazzo contro la sua bocca; ma una violenta strizzata ai coglioni, che lei teneva con la sinistra, mi ridusse a più miti consigli e, ancora una volta, la lasciai fare. Leccò tutta l’asta, sopra e sotto, e poi le palle, fino all’ano, prima di tornare ad appoggiare la bocca sulla punta;poi cominciò a farla entrare tra le labbra socchiuse. Sentivo un paradiso aprirsi alle mie voglie, mentre il cazzo le scivolava tra lingua e palato e si infilava in fondo, fino all’ugola: giammai avrei potuto credere che ne potesse entrare tanto, nella sua boccuccia piccola e sottile; ma il randello vi spariva dentro con disinvoltura e dolcezza, la saliva lo rendeva scivoloso e morbido, la gola si apriva a farlo entrare. Quando la punta urtò il fondo del palato, istintivamente accennai ad un movimento del bacino per chiavarla in bocca, ma la solita strizzata di palle mi riportò alla ragione. Sfilò il cazzo per buona parte dalla bocca, ne trattenne solo la parte iniziale e cominciò a succhiarmelo: sentii che l’anima mi si concentrava sul cazzo, caddi in una sorta di deliquio estatico mentre lei succhiava e succhiava, carezzava e stringeva le palle per impedirmi di sborrare. Decisi di cambiare registro: con dolce violenza, le sfilai il cazzo dalla bocca, la presi per le ascelle e la tirai su; fu facile aprirle la vestaglia e lasciarla cadere a terra. Mi apparve così, per la prima volta dal vivo, in tutta la bellezza del suo corpo fresco, esile, minuto, ma abbondante in modo giusto, con le tette ancora rigidamente erette e concluse con due capezzoli che sapevano di ciliegia, i fianchi pieni ma ossuti, il folto triangolo di peli, il ventre piatto, la schiena morbida. La guardai estatico per un po’, anch’io ripetendo, a me stesso più che a lei, “mia … mia …” e intanto passavo le mani vogliose sui seni compatti, sui fianchi morbidi, sul ventre piatto, sul pelo dalla consistenza di seta. Mi lasciò fare, abbandonandosi alle mie carezze; la presi in braccio e la portai nella sua camera, sul letto grande; ve la adagiai delicatamente e mi inginocchiai tra le sue cosce ammirandone tutti i particolari del corpo. “Mamma …” stavo per dire, ma lei mi zittì con un dito sulla bocca “Maria … da adesso per te sono solo Maria”, mi disse. 
Non dissi più niente e cominciai a percorrerle il corpo con le mani quasi a farmi entrare nella pelle la sensazione di seta che emanava dal suo ventre, dalle cosce, dall’inguine; poi cominciai a leccarla, dalle caviglie in su, prima una gamba poi l’altra; e lei si concedeva morbida e seducente, si abbandonava alla mia carezza e l’accompagnava massaggiandomi i capelli con una mano. Percorso l’interno delle cosce, prima una parte poi l’altra, arrivai appena a sfiorarle il pelo pubico; poi mi staccai e mi spostai sulla parte superiore del corpo: disteso completamente sopra di lei, la baciai a lungo sulla bocca intrecciando giochi di lingua, poi scesi a leccarle il viso, il mento e la gola; quindi, arrivai ai seni non grandi, ma sodi, quasi superbi tanto erano ritti. Leccai le mammelle tutt’intorno, prima una poi l’altra, e passai alle aureole rosate, piccole, rugose: le mordicchiai a lungo, prima di afferrare uno dei capezzoli; quando lo strinsi tra i i denti ebbe un sobbalzo che le fece inarcare il corpo: sentii il ventre contrarsi più volte ed ebbi la sensazione di un orgasmo che le squassava la figa. 
Scesi lungo il solco tra i seni verso il basso ventre e le spalmai di saliva tutta l’epidermide; arrivai di nuovo al pelo pubico, stavolta dall’alto, e ci intrufolai la lingua succhiando, mordendo, leccando. Quando fui di fronte alla figa, mi fermai un attimo, la spinsi a spalancare le gambe, allargai la fessura con le dita e catturai il clitoride tra pollice e indice; lo tormentai per un po’, scatenandole nuovi singulti e vibrazioni del ventre; poi mi abbassai e lo presi tra le labbra. Fu una succhiata lunga, gustata fino in fondo, con gli umori che sgorgavano continui e intensi dalla vagina e mi inondavano le labbra: ingoiai più volte, poi infilai la lingua nella vulva; ancora la sensazione serica della sua pelle mi avvolse il cervello e andai in estasi. Maria allora mi prese per i capelli e mi tirò via con dolce rudezza, mi spinse di lato e mi rovesciò sulla schiena; prima che me ne accorgessi, era sopra di me e mi accavallava le cosce al viso mettendo a diretto contatto col mio naso la figa spalancata e l’ano grinzoso. Con ambedue le mani mi infilai nello spacco tra le natiche e appoggiai entrambi i medi sul buchetto che diede segno di dilatarsi: spinsi le due dita e lo sfintere si aprì; in un attimo i due medi erano nel suo culo mentre la figa strofinava i peli sul mio naso. Tirai fuori la lingua e la infilai nella figa fin dove potevo mentre nell’ano dilatato entravano anche i due indici e forzavano il culo ad aprirsi al massimo; preso in bocca il clitoride, cominciai a succhiare, a mordicchiare a leccare portandola e tremare per l’eccitazione. Ad un tratto avvertii il calore della bocca sul mio cazzo ormai teso come corda di violino; l’eccitazione mi indusse a spingere verso l’alto ed avvertii la punta del naso che mi forzava l’ano, mentre le labbra arrivavano a toccare lo scroto: sembrava impossibile che un simile randello le entrasse tutto in bocca ed invece era chiaro che lo dominava tutto con i muscoli facciali. Sentii l’orgasmo che montava imperioso; cercai di fermarla, ma dalla mia posizione era impossibile dissuaderla; e Maria aveva deciso di farmi sborrare. 
Sentii lo sperma montare su, premere sulla punta ed esploderle nella gola: fu una sensazione lunga, interminabile; non so quanto sperma le riversassi in bocca, ma non arretrò di un millimetro e ingoiò tutto, devotamente. Mentre mi contraevo negli spasmi della sborrata, Maria si mosse freneticamente con la figa sul mio viso, quasi fino a graffiarmi col pelo; poi esplose. Fu un’alluvione unica di umori che mi inondavano il viso, il naso, la bocca e mi si scaricavano dentro come un’onda anomala: ingoiai tutto, senza perdere una goccia, e leccai dolcemente, dentro e fuori la figa. 
Sentii il mio corpo che si afflosciava in riposo, sprofondando nel letto, ed il suo che si rilassava sul mio appoggiandosi su tutta la superficie con ogni centimetro di pelle. Rimanemmo così, immobili ed ansanti, per una piccola eternità; poi lei scivolò via dal mio corpo e si sdraiò a fianco, in direzione opposta. “Che scopata … che amante …” ebbi la forza di dire; “… ed è solo l’anticipo … da stasera dormi con me …” rispose lei; poi, mentre si sollevava a sedere, aggiunse ridendo “ … se mai ci riuscirà di dormire …” Da quando mi sono trasferito a dormire nel letto di Maria, mia madre, le notti sono tutto tranne che tranquille: le piace scopare sempre, intensamente, in tutti i buchi, in tutte le posizioni, inventando tutte le perversioni possibili e immaginabili. 
Ma soprattutto le piace molto parlarmi di lei, di mio padre, delle loro scopate, regolari e irregolari. Ho scoperto così che anche mio padre era un fanatico amante del sesso, che era pronto a qualunque avventura e a qualunque esperienza, purché tenuta il più possibile sotto silenzio. 
Maria mi ha raccontato delle infinite volte che andavano in un grande parco della città vicina, nel posto meno raccomandabile, e andavano a caccia di giovanotti da scoparsi, nel senso che mia madre si lasciava fare di tutto, ma mio padre imponeva che si lasciassero inculare da lui o almeno lo spompinassero con grande impegno; mi ha raccontato delle frequenti visite ad un cinema a luci rosse, sempre nella città vicina, dove aveva provato tanti di quei cazzi da non poterli più contare: ed anche in questi casi, con mio padre che esigeva il pompino o l’inculata; delle soste in area di servizio tra i camionisti per ammucchiate selvagge, degli autostoppisti presi a bordo e portati in un motel per notti di fuoco. 
Maria, poi, raccontava tutto con dovizia di particolari, con descrizioni accurate e con evidente entusiasmo: la conseguenza, era che mi trovavo rapidamente con il cazzo che mi scoppiava, tanto era duro; ed erano scopate astronomiche, indimenticabili. 
Anche se non me lo diceva, capivo che, sotto sotto, c’era l’invito a prendere, anche in quel senso, il posto di mio padre. Ma io avevo molte perplessità, soprattutto perché non avevo il fisico e la sicurezza di mio padre. Le chiesi se avevano corso dei rischi; fece spallucce e disse che, si qualche volta c’erano stati dei problemi ma poi si erano risolti sempre. “Per esempio?” chiesi. Mi raccontò di quella volta che, in autostrada, lei aveva aperto la patta del pantalone a mio padre, gli aveva tirato fuori l’uccello e aveva cominciato a spompinarlo mentre lui continuava a guidare a oltre 120 orari: molti camionisti sorpassati si erano accorti della manovra e forse avevano lanciato un allarme: quando un poliziotto in motocicletta gli impose di accostare e di fermarsi su un’area di parcheggio, mia madre aveva ancora la bocca inondata di sborra e mio padre aveva il cazzo fuori dai pantaloni evidentemente bagnati; “e allora?” chiesi; Maria si mise a ridere “bastò fare anche a lui il servizietto … tra l’altro, aveva anche un gran bel cazzo e non fu affatto spiacevole … anzi …”. Ero sempre più sconvolto, non tanto per la vera personalità di mia madre, ma per quello che scoprivo su mio padre. 
Una volta le chiesi se c’era un cazzo che ricordava in maniera particolare; corrugò un poco la fronte, rifletté un attimo poi disse che, si, ricordava un ragazzo incontrato al parco, un giovane con un cazzo che doveva legare alla coscia, tanto era grande. L’avevano abbordato in un boschetto del parco e avevano inscenato una manfrina già collaudata: mio padre le palpava i seni e li tirava fuori dalla camicetta per leccarli con gusto, poi le infilava una mano tra le cosce e la masturbava sapientemente finché l’altro si decideva a prendere una qualsiasi iniziativa. Il giovane dell’occasione (inutile cercare di ricordare nome o volto: solo il cazzo era rimasto impresso nella memoria) aprì il pantalone e tirò fuori un arnese mai visto: per un attimo, esitarono, di fronte alle dimensioni decisamente pericolose, ma poi decisero che non c’era da farsi molti problemi, se si agiva con cautela. 
Maria allora partì decisa, si accostò al giovane e cominciò a guardare con insistenza il cazzo che l’altro le proponeva; lo prese con una mano e cominciò a menarlo, mentre l’altro roteava gli occhi e dava segni di estasi; a mano a mano che lo manipolava, il cazzo si gonfiava, diventava sempre più grosso ed aggressivo e Maria dovette prenderlo con le due mani: ma ormai ci aveva preso gusto e non lo avrebbe mollato; si accovacciò davanti a lui, tirò la pelle del cazzo un paio di volte avanti e indietro, poi accostò la lingua alla punta; l’altro gemette languidamente. Allora Maria cominciò a leccarlo per tutta la lunghezza e per tutta la larghezza, inebriandosi della consistenza di quel randello unico che a malapena riusciva a manipolare. Poi lo prese tra le labbra e lo fece penetrare in bocca quanto poteva (almeno la metà, mi disse). Mentre succhiava il cazzo, mio padre si accostò al giovane, gli aprì del tutto i pantaloni e gli infilò il dito medio nel culo; il giovane reagì di scatto e si ritrasse: 
“ Se vuoi scoparti lei, devi fare scopare me” fu la proposta; “Se ti devo dare il culo, anche lei deve darmi il culo” fu la controproposta. Seguivo il racconto quasi allucinato per la surrealità della situazione. I coniugi si scambiarono una lunga occhiata, Maria soppesò un attimo la clava che stringeva in mano e aggiunse la postilla “Solo quel tanto che riesco a sopportare”. Accordo fatto. Mio padre si andò a posizionare alle spalle del giovane, gli umettò il culo con la saliva, accostò la cappella all’ano e spinse: dalla facilità con cui l’asta (non indifferente) penetrò fino in fondo, si rese conto che molti treni erano già passati da quel tunnel. 
Maria intanto si dedicava appassionatamente ad un pompino assai difficile. Con pochi colpi, mio padre raggiunse l’orgasmo scaricando nelle viscere dello sconosciuto una lunga sborrata; il ragazzo allora prese Maria per le braccia, la fece sollevare e le appoggiò l’enorme cazzo tra le cosce, direttamente sui peli della figa (per abitudine, in quei casi Maria non portava intimo); poi cominciò a muoversi strusciando la mazza sulle piccole labbra; Maria ebbe rapidamente un orgasmo, al culmine del quale il ragazzo la fece girare e rimise il cazzo fra le cosce, dalla parte del culo, sfregandolo contro i peli della figa; poi si trasse indietro di un poco, guidò con la mano la cappella verso la vulva e cominciò a penetrarla in figa lentamente, quasi con dolcezza. Maria si piegò verso suo marito e gli prese il cazzo nella bocca mentre l’altro pompava ed entrava sempre più profondamente nella vagina. Mentre mi raccontava l’episodio, Maria mi disse ridendo che poi sarebbe stata rimproverata da suo marito perché, mentre il ragazzo le stava in figa, non aveva esercitato la sua abilità per farlo sborrare rapidamente; ma lei, mi confessò, aveva cominciato a pregustare l’idea di sentire quel mostro di carne violarle l’intestino. Intanto, il vai e vieni in figa aveva avuto l’effetto di farla sborrare più volte, lo sfintere dava segno di rilassarsi e di prepararsi a ricevere l’asta e il cazzo risultava ampiamente lubrificato; si unse, per sicurezza, con molta vasellina (ne portavano sempre in abbondanza) e lasciò che il ragazzo sfilasse il cazzo dalla figa e appoggiasse la cappella all’ano. Maria mi raccontò che aveva provato sensazioni uniche ed indicibili mentre la verga si faceva largo nei tessuti del suo intestino: fastidio ne provava, anche se era abituata alle inculate, ma soprattutto prevaleva la sensazione di intenso piacere che il cazzo, toccando tessuti mai esplorati, le procurava. 
Riuscì a prenderne quasi la metà, poi gli disse di fermarsi; l’altro obbedì e cominciò a pompare con la stessa delicatezza. Maria sentì che il corpo quasi le si scioglieva dal piacere, cedette ogni difesa e si abbandonò agli orgasmi che si susseguivano incalzanti senza sosta: sborrò almeno una decina di volte mentre l’altro pompava e penetrava più a fondo. Quando il ragazzo esplose nelle sue viscere con una sborrata che non voleva mai finire, Maria si rese conto che aveva ricevuto nel culo tutto intero quel cazzo che sembrava improponibile: ne provò una gioia infinita. Gli impose di stare fermo e se lo assaporò per un poco nel corpo, prima di cominciare ad espellerlo con piccole pressioni dell’intestino. Quando con un “plof” la cappella sfuggì dall’ano, le sembrò che tutto il pacco intestinale fuggisse via, mentre un grosso fiotto di sborra le sgorgava dall’ano. Mentre Maria mi raccontava l’episodio, non ero stato fermo e l’avevo spostata delicatamente su me che stavo supino, avevo appoggiato il suo culo sul mio inguine e avevo guidato il cazzo verso il buco del culo: avevamo già scopato molto, quella sera, e la penetrazione fu delicata, semplice, naturale. Quando realizzò che la stavo inculando, Maria sorrise dolcemente, mi accarezzo il viso e mi disse “la dimensione ha senz’altro il suo peso … ma l’amore che ci mettiamo noi non ha confronti …”; ne fui molto contento e cominciai a pomparla con grande sforzo, dal basso verso l’alto; lei mi fermò, si accomodò sul cazzo e cominciò a manovrare coi muscoli dell’intestino facendo qualcosa che stava tra il pompino interno, la scopata e l’inculata classica: l’orgasmo sopraggiunse in un vortice di sensazioni consecutive e violente che mi portarono rapidamente all’estasi. Quando lei si sciolse dalla penetrazione e si stese al mio fianco, “sai” le dissi “ c’è un ragazzo che conosco che ha un problema simile …” mi guardò con aria interrogativa “… il cazzo così grosso da portarlo legato …” completai; gli occhi le brillarono: “che ne diresti di farmelo conoscere?” era la domanda che temevo o che, forse, aspettavo per diventare ancora più suo complice. 
Francesco non era quello che si definisce comunemente un amico; l’avevo incontrato ad una lezione all’Università ed avevamo scambiato solo poche battute di convenienza. Di lui si diceva che fosse un gran bravo ragazzo, proveniente da un paesino dell’interno, sicché era costretto alle peripezie del fuorisede con grossi problemi di alloggio e di vitto; ma si scherzava anche molto su una dote naturale (la “virtù meno apparente” del giudice di De Andrè) ma non era certo che non si trattasse solo di una leggenda metropolitana. Lo verificai direttamente, invece, una volta che mi trovai con lui agli orinatoi: effettivamente aveva un cazzo di dimensioni sicuramente smisurate; quando me ne accorsi, sorrisi e, passandogli accanto, gli battei una pacca sulla spalla e gli feci i complimenti per la dotazione. Sospirò quasi rassegnato e si schernì; di fronte alla mia meraviglia, mi spiegò che “la dotazione” gli portava solo rogne, visto che nessuna ragazza accettava nemmeno di prendere in mano un arnese di quel genere e che, mancandogli i soldi per andare a puttane … concluse col pungo chiuso su e giù, in un gesto molto significativo. 
Da quella volta, comunque, cominciammo a incontrarci più spesso e a scambiare impressioni meno banali e di convenienza, comprese le confidenze sulle sue difficoltà di rapporti. Quando avevo fatto la battuta con mia madre (“conosco uno che ce l’ha così grosso”) non avevo pensato affatto di dare seguito alla boutade; ma Maria aveva recepito con molta convinzione l’informazione e, più o meno apertamente, mi chiedeva spesso quando glielo avrei fatto conoscere. In qualche modo, mi pareva di ritrovare in me i cromosomi che avevano spinto i miei in mille pericolose avventure sessuali; dissi chiaramente a Maria che non intendevo sostituire mio padre anche nella funzione di paraninfo per la sua evidente ninfomania; sorrise, mi accarezzò il viso e osservò candidamente che non mi chiedeva niente e che ero io a decidere cosa fare e se farla. Inutile aggiungere che finì in una grande scopata, con implicita ammissione che il sesso era anche per me un tarlo fisso. Una mattina, in facoltà, incontrai Francesco più mogio del solito; sollecitato da me, mi confidò che lo aspettava un fine settimana orribile, dal momento che non poteva tornare in paese e l’idea di fermarsi in città a girarsi i pollici lo mandava in bestia. 
Con Maria avevamo stabilito di andare al mare, approfittando di una stanzetta che alcuni amici le facevano usare quando ne avesse voglia (certamente anche per i suoi incontri più o meno clandestini); mi venne allora l’idea balzana (forse il cromosoma paterno che spingeva) di chiedere a Francesco se gli interessava venire al mare con me e con una mia amica. S’illuminò di gioia e si profuse in mille assicurazioni che non avrebbe recato nessun disturbo alla nostra privacy; lo rassicurai che non c’erano problemi di quel genere e telefonai a Maria per annunciarle il terzo ospite al fine settimana. 
Disse semplicemente che le stava bene e che sarebbe passata, come d’accordo, a prendermi all’Università, … insieme a lui, naturalmente. Sorrisi. Arrivò puntuale e notai subito che il sedile anteriore riservato al passeggero era inutilizzabile perché stipato di oggetti; la guardai con aria interrogativa e si limitò a dirmi che avrei guidato io; lei e Francesco si sistemarono sui sedili posteriori. Le presentazioni furono rapide e allusive. 
Mentre attraversavamo la città, il traffico intenso non mi consentì di osservare i passeggeri sul sedile posteriore; ma, appena fuori, dal retrovisore osservai la faccia di Francesco letteralmente congestionata. Con mille assurdi movimenti riuscii alla fine a osservare che Maria aveva sollevato quasi fino in vita il leggero vestito di cui era coperta e teneva una mano di Francesco decisamente ferma sul suo inguine; poco più oltre, riuscii a realizzare che lui aveva ceduto e che anche Maria aveva adesso una mano sulla patta di lui; accesi la radio per distrarmi, ma l’occhio continuava a cercare lo spettacolo dei due alle mie spalle: non avevano fatto progressi, ma continuavano ad accarezzarsi reciprocamente, lui ancora completamente serrato nel vestito. Su un tratto libero di campagna, Maria mi chiese di fermare un momento; scesero tutti e due e li vidi dirigersi ad un albero: per un attimo temetti che volesse farselo lì in aperta campagna, ma si limitarono a riassettare i vestiti e tornarono a bordo bofonchiando qualche scusa sul fatto che lui aveva dovuto riassettarsi non so che (ma era facile pensare alla mazza che gli premeva troppo negli slip). Mi ricordai ad un tratto di un meccanismo che i miei avevano fatto installare sull’auto per favorire i loro giochi erotici (Maria me ne aveva parlato, tra le altre cose, in uno dei suoi racconti piccanti); non mi fu difficile individuare il visore in un angolo sopra la pedaliera e bastò un clic per avviarlo. 
La parte posteriore dell’abitacolo apparve perfettamente a fuoco e dalla prima scena scoprii che avevano fatto molti progressi: Maria aveva il seno nudo, al quale Francesco si era attaccato con bramosia mentre una sua mano grufolava fra le cosce della donna; lei, invece, aveva liberato il mostro dai pantaloni e se lo gustava con gli occhi e con le mani ammirandone la forza enorme. Non era facile guidare, in quelle condizioni, e preferii chiudere il visore e dedicarmi alla strada. Per fortuna eravamo ormai vicini ed annunciai che l’arrivo era prossimo; sentii che si ricomponevano. Mentre sistemavo la macchina sotto una tettoia, Maria si era già avviata alla porta e aveva portato con sé Francesco che si muoveva imbarazzato dal cazzo duro che gli deformava ampiamente il pantalone. La “casa al mare” non era altro che un monolocale dove tutto era sistemato col massimo criterio di economia, dall’angolo di cottura ai mobili che nascondevano il letto matrimoniale al tavolino e alle poche sedie in giro; in compenso, aveva una vista diretta sul mare e, con la porta-finestra, si poteva praticamente vivere all’aperto, in caso di necessità anche con sacchi a pelo sulla sabbia. Maria doveva conoscere bene il posto, visto che rapidissimamente aveva aperto finestre, sbaraccato sedie e aperto il letto; quando entrai, Francesco vi stava già sdraiato supino, mentre Maria gli apriva il pantalone per sfilarglielo. 
Feci tutto con disciplina: portai dentro i bagagli e chiusi la porta; andai a pisciare nel minuscolo bagno; mi sfilai gli abiti restando in mutande e mi diressi anch’io al letto. I due erano già completamente nudi e Maria si stava dedicando alla conoscenza del cazzo di Francesco: lo accarezzava dalla radice alla punta, lo solleticava sotto le palle, lo menava sapientemente strappando gemiti al ragazzo; poi si abbassò e lo leccò con la punta della lingua: Francesco ebbe un fremito, come colpito da una scossa elettrica che divenne quasi un urlo quando lei aprì la bocca e cominciò a farci entrare l’asta; non poteva prenderlo tutto - era evidente - ma si sforzò di ingoiarne quanto poteva; si era accovacciata a fianco a lui e il culetto sodo e puntuto si sporgeva promettente verso il bordo: mi sfilai le mutande, mi menai per un poco il cazzo e mi accostai a lei. Quando avvertì la punta del cazzo fra le cosce, Maria aspirò con più foga il cazzo che succhiava e sporse il culo ancora più indietro; senza esitare, infilai li medio fra le cosce e mi feci strada nella vulva già bagnata; stimolai per un po’ le piccole labbra e il clitoride, mentre lei affondava con più forza il cazzo nella gola e Francesco gemeva come se piagnucolasse. 
Quando infilai decisamente il cazzo, sobbalzarono insieme e dalla figa sgorgò una copiosa sborrata: doveva essere particolarmente eccitata. Un paio di colpi servirono solo a riscaldarla; mi sfilai da lei, la presi per i fianchi e, senza che mollasse il cazzo dalla bocca, la spostai fino a che scavalcò con una gamba il viso di Francesco; premetti sulla schiena e la feci abbassare finché i suoi peli inondarono la bocca del ragazzo che, quasi solo allora comprendendo, si lanciò in una leccata energica e quasi violenta delle grandi labbra, dell’interno cosce e infine del clitoride che catturò e cominciò rumorosamente a succhiare. Mi sistemai dietro a Maria, sulla testa di lui, e puntai il cazzo sul buchetto del culo: per l’ennesima volta guardai ammirato le “tredici pieghette” (come lei scherzava) che si aprivano e dilatavano l’ano per accogliere l’asta che entrava. Maria reagì con una rapida e leggera sborrata nella bocca di Francesco che bevve di gusto; lui, invece, si contorse tutto e spinse naturalmente il cazzo in alto, nella bocca di lei, che lo fermò per non essere soffocata. Cominciai a pomparla nel culo quasi con metodo, con dolcezza, lentamente, per farle gustare la penetrazione; ma Francesco ebbe delle vibrazioni che accennavano ad un orgasmo: non vidi, ma capii che gli aveva strozzato le palle, perché diede un urlo soffocato nella figa che aveva in bocca e si rabbonì. Maria sollevò la bocca dal cazzo che stava spompinando e mi chiese di sfilarmi, per favore; capii che voleva una sosta e l’accontentai. Mi alzai dal letto e mi fermai a guardarli, lei fresca e dolce come sempre, sdraiata sulla schiena con le gambe oscenamente aperte e la figa che brillava degli umori già versati; anche lui supino col cazzo eretto come un vessillo, il volto congestionato e la bocca impastata di umori. Andai in bagno a rinfrescarmi le palle, lei lo fece dopo di me e infine Francesco raffreddò i bollenti spiriti anche se, evidentemente, la voglia di concludere gli impediva di abbassare del tutto l’erezione. Come se fossimo arrivati solo in quel momento, Maria indossò una leggera vestaglia e cinguettò vezzosamente “Qualcuno ha fame, qui?” ridemmo di gusto. 
Tirò fuori dei cibi precotti, li passò al microonde e in pochi minuti servì in tavola un pranzo completo. Mentre lei preparava, Francesco mi rivolse un profondo sguardo interrogativo quasi per chiedermi se fosse vero e regolare quel che viveva. Mi limitai e fargli OK con le dita, tutto era a posto Non fu un pasto consumato regolarmente: il vino passava dai capezzoli di Maria, dove ciascuno di noi andava ad attingerlo, o dai nostri cazzi che lei succhiava alternativamente; le patatine si prendevano direttamente dalla figa dove le aveva infilate una ad una e così le fragole: insomma, il pasto fu un’orgia continua che aveva il vantaggio di non portare all’orgasmo ma di sollecitare allo spasimo la libidine di ciascuno: io sentiva il cazzo che mi doleva, tanto forte era l’erezione e tanto lunga la durata di quella condizione; il cazzo di Francesco, poi, gli batteva fin sopra lo stomaco, tanto era rigido e gonfio; credo che gli provocasse altrettanto dolore; solo Maria si muoveva come se stesse giocando, manipolando prima l’uno poi l’altro, facendo piccole seghe, facendosi leccare figa, tette culo e tutto quello che ci passasse davanti.