Il secondo lavoro di Vincenza

Capitolo 7 - La nuova vita di Vincenza

I freni del pullman stridono e solo l’aver afferrato il palo accanto alla scaletta di discesa mi salva dal finire contro il parabrezza. L’autista farebbe meglio a guardare la strada e non il mio culo, così da non mancare la fermata. Le porte si aprono a soffietto e scendo dal mezzo.

Il marciapiede è deserto, la gente è al lavoro da un’ora, e oggi comincio anch’io il mio nuovo impiego. Per lo meno, come escort pagata per i miei servizi.

Mi getto il borsone da palestra sulla spalla e mi avvio lungo il vicolo. Mi sembra di essere il tipico marine dei film americani, ma invece di andare in Vietnam o in qualche altro posto dell’Estremo Oriente, io andrò a fare un servizio fotografico per il sito dell’agenzia di escort. «Non male, come inizio di lavoro…»

La pavimentazione è formata da sanpietrini, alcuni mancano lasciando fori nel marciapiede. Da una farmacia esce un uomo con in mano un sacchetto di plastica. Si ferma sulla porta automatica, la sua testa mi segue per potersi mangiare con gli occhi le gambe che i pantaloncini non stanno coprendo. Gli lancio un’occhiata: ti piacerebbe aprirmele e scoparmi, vero? Gli faccio l’occhiolino: se paghi…

Lui accenna un sorriso, si morde le labbra. Mi contempla entrare nella porta del condominio accanto: sono pronta a scommettere che lo vedrò spesso a fare incetta di medicinali in quella farmacia, o rifare chiavi nel ferramenta accanto, o verdura dall’ortolano in fondo alla via d’ora in poi.

Entro nel condominio e imbocco le scale; l’anziana donna che sta pulendo gli scalini mi saluta con un cenno, ma non riesce a nascondere un pizzico di invidia. Chissà se ha idea che al primo piano c’è la sede di un’agenzia di accompagnatrici.

Mi tolgo la sacca dalla spalla e la lascio penzolare al fianco. Non ci ero mai entrata nemmeno io, prima che Stefano mi abbordasse al bar, un mese fa. Non è esattamente un adone… no, decisamente. Ma si veste bene, parla anche meglio, e possiede un magnetismo che ho incontrato poche volte nella vita.

Un’ombra venne a fermarsi sul tavolino del bar, sul bicchiere di spritz che conteneva ancora un dito di liquido arancione. Sollevai lo sguardo verso l’ennesimo bavoso venuto a cercare di rimorchiarmi dopo una giornata passata a pulire gabinetti. Sollevai le sopracciglia, sorpresa: il sorriso che aveva sulle labbra illuminava i suoi occhi castani.

Allungò una mano verso di me, il pollice e il medio si protesero tenendo un biglietto da visita azzurro. «Ti stavo guardando. Hai un corpo meraviglioso.» Il sorriso divenne ancora più intenso, parve catturare la luce nel bar. «Hai mai pensato di sfruttarlo per guadagnare?»

Scoppiai a ridere per la domanda imprevedibile. «Sì, lo uso per portare i secchi pieni di acqua lurida!»

«Sei simpatica, è un altro punto a tuo vantaggio.» Appoggiò il biglietto sul tavolo accanto al mio bicchiere con la scritta verso il basso. «Se vuoi qualcosa di meglio, sia come esperienza che come paga, mandami una e-mail.»

Sollevai il biglietto da visita. In un carattere elegante e moderno, compariva il nome e un indirizzo e-mail. Nient’altro. «Non c’è su cosa…»

Il suo sguardo mi fece sentire nuda e desiderata. O forse ero io a desiderare qualcuno con un magnetismo simile. Annuì. «Non gettarlo, e ricordati di contattarmi…»

La mia bocca si aprì ma non ne uscì una sola sillaba. Lo seguii voltando la schiena mentre si allontanava e usciva dal locale.

La barista, una bionda magra e alta, il viso affilato, si era avvicinata a me. Portava davanti al seno generoso un vassoio con uno spritz.

Indicai con un cenno del capo l’uomo appena uscito. «Chi è?»

La voce della bionda aveva un forte accento dell’Europa dell’Est. «Ti ha lasciato un biglietto?»

Glielo mostrai.

«Ottimo.» Scambiò il mio bicchiere quasi vuoto con quello pieno. «Chiamalo, fidati.»

Corrucciai le sopracciglia. Indicai il nuovo spritz. «Non ne ho ordinato un altro.»

«Offriamo noi.» Si voltò e tornò dietro al bancone.

Premo il campanello dell’appartamento di Stefano. Che è anche l’ufficio dell’agenzia di accompagnatrici, o, da quanto mi ha spiegato Morena, più esattamente lo è un computer portatile.

Non sono mai entrata in nessun’altra agenzia di accompagnatrici, ma dubito siano come le concessionarie di auto, gigantesche e con le ragazze in topless che aspettano di essere scelte, con un’insegna sul muro che si affaccia sulla strada e i cartelloni pubblicitari lungo la Statale. Probabilmente, l’unica differenza con questa, è che gestiscono più donne e hanno una segretaria che non è un bot di Chat GPT o qualcosa di simile.

Qui ci sono stata una sola volta, quando ho fatto il colloquio e lui ha voluto assicurarsi che ci sapessi fare con il sesso. Ha fatto un controllo piuttosto approfondito di ogni mio buco, lo stronzo… E soprattutto come me la cavassi con i pompini. Non ha osato lamentarsi di nulla, e mi ha dato due settimane di prova.

La porta si apre e mi trovo davanti la barista. «Ciao, Vincenza, ben arrivata.» Mi sorride e mi bacia su una guancia. È molto… espansiva. Almeno con me.

«Ludmilla.» Sorrido a mia volta.

Non ho mai avuto la possibilità di lavorare in sua compagnia, ma ho la sensazione che, in caso contrario, avrebbe spinto i nostri contatti a qualcosa di più intimo di un bacio su un lato del viso. È alta poco più di me, incredibilmente magra e con gli occhi azzurri e i capelli biondi: il prototipo della bella ragazza europea che non ha avuto la fortuna di nascere sulla penisola sorrentina. Le bocce sono un po’ troppo abbondanti, ho i miei dubbi sul fatto che siano totalmente naturali.

Mi pone un braccio attorno alla vita e mi accompagna nell’appartamento. «Vieni, cara, dobbiamo festeggiare il tuo ingresso nella nostra agenzia.»

Il resto del personale è in salotto: Stefano è davanti al computer accanto al quale una stampante sta sputando un documento. Morena è seduta sul tavolo, le gambe incrociate – strano, non credevo fosse in grado di fare altro che aprirle – e Kimberly è su una sedia, il suo iPhone con la cover con i brillantini che luccicano in mano, e mi saluta con una mano.

Stefano si gira. Sorride. «Oh, è arrivato il nuovo membro della Spicy Goddess!»

Morena ride. «Mi sembra più giusto dire che lo ha preso lei un gran bel membro, domenica scorsa.»

Un angolo della mia bocca si solleva appena, e su mia volontà. Perché Morena mi sta tanto antipatica? «Beh, il giorno prima ne hai preso tu uno ben più grande.» È stato divertente sentirti urlare mentre il timido Simone ha finalmente usato quel palo del telefono che ha in mezzo alle gambe.

Stefano prende il foglio dalla stampante e lo controlla. «Morena non intendeva quello.» Appoggia il documento sul tavolo e mi guarda. «Il tipo che hai intrattenuto domenica mi ha contattato il giorno dopo che ti ho chiamata per dirti che ti avrei assunta. Ha prenotato tutte voi per un finesettimana al mare, con lui e altri tre dirigenti della… dell’azienda cinese come-si-chiama.»

Apro la bocca per lo stupore, lui equivoca e si corregge. «Coreana, lo so.»

Ludmilla intreccia le dita delle sue mani con le mie, mi si avvicina con il volto. Il suo alito sa di vaniglia. «Grazie, Vincenza, per averci fatto guadagnare un week end al mare.» Le nostre labbra si uniscono, i nostri seni si toccano. Le sue sono morbidissime, anche loro sanno di vaniglia. Mi prende il labbro inferiore e me lo succhia.

Il calore esplode dentro di me, ogni mia fibra si irrigidisce e un senso di relax si espande nel mio corpo. Il cuore batte contro la cassa toracica e la sensazione del mio utero che si prepara alla penetrazione non è mai stata così intensa. Il tessuto delle mutandine si fa fastidioso, la trama dello stesso è una tortura contro le mie piccole labbra.

«Ludmilla,» la richiama il suo superiore, incapace di trattenere una risata, «aspetta almeno che abbia firmato il contratto per poter fare sesso con una collega.»

La ragazza si stacca da me con una lentezza che ogni millimetro in più che ci separa raddoppia il dolore per l’interruzione di quel bacio. Deglutisco. Non riesco a staccare gli occhi da quelli luminosi della bielorussa…

«Vincenza», Kimberly schiocca le dita per attrarre la mia attenzione. Vuole baciarmi anche lei?

La ragazza inglese sorride. «Breat— Voglio dire, respira.»

Cosa? Apro la bocca e inspiro profondamente: sono quindici secondi – o una vita, non riesco a capirlo – che sono in apnea e non me n’ero accorta. Scocco un’occhiata a Ludmilla: il suo sguardo lascia intendere che non ha intenzione di fermarsi a questo.

Non sono sicura che voglia vivere di nuovo un’esperienza simile… forse.

«Ok, prima dell’orgia di benvenuto a Vincenza,» Stefano prende una penna Bic da un vasetto bianco con la scritta Praga e l’immagine di un lungo ponte in pietra davanti ad un tramonto, «sarebbe meglio se prima rendessimo legale l’assunzione.» Mi allunga la penna e sposta il foglio più vicino a me.

Appoggio la sacca, afferro la penna e mi sporgo sul documento. È lo stesso che mi aveva mandato l’altro ieri per e-mail per controllarlo. Avevo risposto mandandogli a mia volta la foto dei documenti d’identità.

L’unica differenza è che ha aggiunto il nickname con cui essere conosciuta: Lara Croft. Gli avevo chiesto se ci sarebbero stati problemi di sorta per l’uso di nomi famosi, e lui aveva risposto che controllando bene su Internet era possibile scoparsi a pagamento praticamente tutte le protagoniste della serie di Resident Evil o Dead or Alive.

Un paio di firme e… adesso sono ufficialmente un’accompagnatrice. Mi si gonfia il petto all’idea che incontrerò uomini potenti, ricchi, desiderosi di sesso con ragazze belle e disponibili. La mia bellezza mediterranea li stenderà ai miei piedi, e ne sceglierò un paio di cui diventare amante ed essere mantenuta a vita con l’unico sforzo di aprire le gambe e inghiottire.

La nuova vita di Vincenza inizia oggi.