Il secondo lavoro di Vincenza
Capitolo 4 - Animali da compagnia
Afferro i lembi del sacco della spazzatura e lo sollevo, ma è talmente gonfio di bicchierini del caffè e carte di merendine che non passa dalla bocca del bidone di plastica. Smuoverlo fa sollevare un tanfo di caffè di pessima qualità, sigarette ancora peggiori e qualcosa di marcio che mi riempie il naso e smuove lo stomaco. Un paio di bicchierini cadono a terra, rotolano sulle piastrelle sporcandole di caffè e finiscono la loro corsa contro la macchinetta degli snack.
Discosto il capo e lascio il sacco. Mi strofino le mani sui pantaloni, c’è qualcosa di bagnato su quella plastica, e non voglio sapere cosa diavolo è.
«’fanculo… Ma gli uffici sono sempre così lerci?»
Alessia si avvicina e prende un rotolo di carta adesiva dal tascone del grembiule. Afferra il sacco con i guanti, chiude i lembi che si sovrappongono per poche dita, li arrotola e li blocca con un paio di giri di nastro. «E non sei mai stata in una clinica…» Mi passa il rotolo, solleva il bidone e il sacco della spazzatura si ribalta a terra. «Potrebbero cambiarlo da soli lungo la settimana, prima che inizi a puzzare, comunque…»
Metto il rotolo in una tasca e sollevo il sacco. Pesa forse un paio di chili, è pieno solo di carta e alluminio. E qualcosa che puzza come un topo in putrefazione. Lo pongo nell’ascensore nel mucchio nero che abbiamo accumulato nei tre piani che abbiamo già passato oggi pomeriggio. Ne mancano altri due, per concludere al meglio la domenica. Per sera l’ascensore sarà pieno di sacchi, con un profumino che invoglierà a farsi le scale.
Alessia si toglie un guanto e si passa la mano a pugno sulla fronte, massaggiandosela e stirandosi. Sbuffa: è tutto il pomeriggio che si muove come se fosse stata in piedi da giovedì a lavorare, ancora più svogliata del solito.
La cosa risveglia il mal di collo e la stanchezza alle spalle che mi porto da questa mattina. Strappo un sacco nuovo dal rotolo e lo sbatto in aria, aprendolo. Io questa notte sono andata a letto alle quattro e mezza, di certo tu non hai fatto questi orari…
Sospira, sembra si stia svotando. Un malinconico sorriso appare al lato della sua bocca. «Peccato che non c’eri, ieri sera, Vincenza. La cosa si è conclusa meglio di quanto sperassi.»
Rimette a posto il bidone in plastica e vi infilo il sacco. Abbasso il cerchio che lo blocca in posizione. Un paio di cartacce di merendine sono rimaste a terra, accanto ad una tazza di carta che ha sparso la cioccolata, lasciando una macchia marrone sul pavimento. Andrà lavata, che palle...
Afferro il mocio e lo sollevo dall’acqua lurida. «Allora ho fatto bene a non venire ieri: non avrei voluto essere di troppo.»
Alessia mi prende il braccio, me lo stringe contro il suo seno. Il suo sorriso splende come un faro piantato negli occhi. «Ma no, Vincenza, c’era anche Lucio, oltre a Michele. Sareste stati una bella coppia. Un po’ mi è dispiaciuto che restasse a reggere il moccolo, mentre io e Michele flirtavamo. È rimasto al pub quando noi siamo andati a casa di Michele.»
Strizzo la testa del mocio con la sola mano libera. Nel secchio si riversa un liquido grigiastro: sarà meglio passare nei gabinetti e cambiare l’acqua. «Sono felice per te…»
«Mi dispiace che tu abbia invece passato la serata a casa, a guardare la tv…»
Le lancio un’occhiata. Non ha idea di quanto avrei preferito buttare la serata a guardare merda su Netflix, piuttosto che restare per venti minuti inginocchiata con il cazzetto di un quasi settantenne in bocca, e poi a pecora ad aspettare che sparasse il secondo colpo, su un divano coperto dal tessuto più irritante che abbia mai toccato. Mi prudono ancora le ginocchia, all’idea. E non è nulla al pensiero che la mia prestazione è sembrata quella di un’incapace: quel vecchio stronzo si lamenterà con Stefano.
Fingo un sorriso che non fregherebbe nemmeno un cieco. «Sarà per la prossima volta, Ale.»
Sposto con un piede il bidone di plastica e passo il mocio sulla macchia marrone. Qualche frammento si stacca, una parte si scioglie e si spande seguendo il movimento dello spazzolone. «Merda…»
Alessia si avvicina, fa schioccare il guanto nella sua fastidiosa abitudine, quasi fosse la posa di una streghetta degli anime quando si è appena trasformata e sta per fare il culo a strisce al cattivo. S’inginocchia accanto al pasticcio marrone che sto facendo. «Sei un po’ nervosetta, oggi, Vinci…» Raccoglie la tazza di carta e le due confezioni di alluminio e le getta nel bidone.
La ragazza si alza e mi guarda. Mi fa un sorriso che definirei paternalistico. «Sai, Vinci… come dire… ci sono cose che possono rendere una donna della nostra età… uhm, soddisfatta, come avere con sé un’animale: un cane, un gatto, un criceto… un uccello.» Accompagna l’ultima parola con un occhiolino.
Un uccello? «Non credo che avere un canarino… e poi non ho il tempo di—»
Alessia sospira. «Già, sei del sud… come dite, voi? Ah, giusto: un pesce.»
Continuo a capire sempre meno cosa sta blaterando. «Se ho detto che non posso gestire un canarino, di certo non posso stare appresso ad un acqu—» Un paio di contatti nella mia testa scattano. Oh, porca puttana, che stronza…
Faccio un passo indietro da lei, stringendo il palo del mocio. «Ma vaffanculo, credi che fotti solo te?» Tu lo fai per passatempo, io come secondo lavoro, zoccolina…
Le labbra di Alessia si stringono. «Beh, scusa… tutte le volte che ti invito a passare una serata a fare qualcosa sembra sempre che crolli dal sonno, pensavo…»
Mi volto e riaggancio il mocio al secchio. «E tu non pensare, che penso già io abbastanza per i fatti miei.»
Alessia si toglie i guanti, li arrotola e li caccia nel tascone del grembiule. «Cerco di essere carina con te… sembravi l’unica simpatica del gruppo, ma da qualche mese sembra che tutte le volte che ti si rivolge la parola ti si faccia un affronto.»
Questo posto diventa sempre più uno schifo. Non bastava Teresa a urlare per qualsiasi cosa, adesso pure questa ragazzina che vuole fare l’offesa.
Stacco il mocio dal gancio del secchio e lo sollevo dall’acqua lurida. “Dovresti scopare di più, Vincenza, così ti passa il nervoso.” Ma andatevene a cagare.
Strizzo la testa dello spazzolone e uno scroscio di liquido puzzolente cade nel secchio. Ha un odore quasi peggiore del sacco della spazzatura. Invece di stare qui a vantarsi di essere quella che scopa come una pornostar, Alessia potrebbe andare a cambiare l’acqua.
Lei mi sta guardando come se fissasse un piatto che non le piace ma le tocca mangiare. Ha le spalle basse e una smorfia poco piacevole sulle labbra.
Sospiro. L’odore di chimico e sporcizia del mocio mi scende in gola peggio del cazzo grosso come un avambraccio di Simone che ieri si è scopato Morena. «Senti, Ale, facciamo la pace… già questo posto è una merda, io ho tanti di quei c—… problemi per la testa, e non voglio rovinarti la giornata, almeno a te.»
Lei nemmeno mi guarda, si limita a tenermi nel suo campo visivo.
Stringo il bastone del mocio con entrambe le mani forte quanto i miei denti. Andatevene tutti a cagare…
Indico con un cenno della testa la riga di caffè lasciata dalla tazzina caduta dal sacco. «Pulisci quello.»
Alessia mi mette a fuoco e sbuffa. «Non sei il mio capo», sibila, ma prende ugualmente uno straccio e lo spruzzino dello smacchiante e si inginocchia.
Mi avvicino al bidone della spazzatura, lo sposto con un colpo di piede e passo la testa del mocio sulla macchia di cioccolata. Qualche frammento si stacca, buona parte si scioglie e lascia una scia marrone sulle piastrelle.
La stanchezza di ieri sera mi crolla sulle spalle come una coperta bagnata. Sospiro e le spalle mi si abbassano: che senso ha tutto questo?
«Ma che cazzo state facendo?»
Teresa è sulla porta dell’ufficio accanto, rossa in volto. È una mingherlina con più anni di mia madre, ma mi sembra di avere davanti una culturista incazzata, pronta ad azzannare alla gola.
Entra nella zona relax, studiando ogni singola cosa fuori posto, macchia sui vetri o briciola per terra. Se vede com’è lercia l’acqua ci pianta un cazziatone che nemmeno quando ho lasciato aperto il cancello a cinque anni ed è scappato il cane del nonno.
«Ma pensate che vi paghino per stare qui a raccontarvi le vostre balle? Vi si sente solo ciarlare! Non avete un minimo di professionalità? È un’ora che state qui e questa saletta è più sporca di prima.»
Alessia si alza in piedi con la testa abbassata. Starà pensando che è colpa mia.
Le narici di Teresa fremono: la sua attenzione è tutta sulla macchia di cioccolata, la contempla come se fosse un’opera d’arte, ma al contrario. Si volta verso di me, le fiamme escono dai suoi occhi.
«Cos’è quella merda? Ci hai cagato, lì?»
Alessia pigola qualcosa come “quella macchia c’era già…”
Teresa la fulmina con lo sguardo. Le punta un dito contro. «Sto parlando con te, signorina? Lo faccio dopo, ho da dirti parecchie cose!»
Allento la presa sul manico del mocio prima che questo o le mie dita si rompano. Lo abbasso o rischio davvero di spaccarlo sulla testa di Teresa, questa volta. «Non permetterti di—»
Il volto di Teresa è spaventoso come quello di un mostro, mi si liquefanno gli intestini di fronte a quello sguardo di rabbia. «Tu taci!» Il dito ora è puntato contro di me. Schizzi di saliva escono dalla bocca dell’indemoniata. Se uno mi arriva in viso le tiro un pugno che la lascia a terra, ‘sta stronza… «Da quando ci sei tu non ho mai visto lavorare così male la mia squadra!»
Mi strappa di mano lo scopettone, sono certa che lo userà per picchiarmi, invece lo tiene lontano da noi. «Devi averlo succhiato bene al capo per essere stata assunta, o n—»
Avvampo. Non hai idea di quanto gliel’abbia succhiato bene, vecchia stronza, di come l’abbia fatto urlare di godimento quel bastardo, ma non osare accusarmi di qualcosa di simile davanti alle altre! «Non permetterti di…»
Teresa non mi guarda nemmeno. «Vai a pulire i gabinetti, muoviti,» ordina ad Alessia.
La ragazza incassa la testa tra le spalle e si allontana.
È un bene che la vecchia mi abbia portato via il mocio, o ci sarebbe poi da pulire anche il suo sangue.
Si volta verso di me. É rossa in volto e sembra tremare dalla rabbia. «Non ti voglio più nella mia squadra.» Muove una mano come se stesse tagliando l’aria o sottolineando quanto ha appena detto. «Questa sera chiamo il capo e gli dico che devi sparire da qui.»
Mi irrigidisco, il fiato mi si mozza. Stronza maledetta!
«Non mi importa se ti manda a casa o ti trasferisce in un'altra squadra, io non ti voglio più vedere.» Si guarda attorno con un’espressione di disgusto, nemmeno fossimo in un mattatoio o in una fogna. «Qui pulisco io, che non posso lasciare questo schifo. Tu vai a portare via i sacchi neri, e fai meno casini che puoi.»
⁂
La porta dell’ascensore si apre, mostrando il piano interrato dell’edificio, buio se non per qualche luce verde delle uscite di emergenza. Il posto ideale per inscenare un’aggressione in un film da parte di un omaccione ai danni di una povera ventiduenne indifesa.
Afferro un sacco della spazzatura e lo strappo dal pavimento in metallo. «Se qualcuno mi mette le mani addosso, giuro che lo portano via nei sacchetti del frigorifero!» Faccio un passo fuori dall’ascensore e le luci si accendono in automatico.
Attraverso il parcheggio sotterraneo e lancio il sacco nel cassone della nettezza urbana. Una pioggia di gocce gronda da un angolo e lascia una scia sul cemento, tra sgommate e macchie di olio di motore.
Torno all’ascensore e ne prendo due, che trascino sul pavimento. Non pesano praticamente nulla, l’unica pecca è che sono scivolosi sia a mani nude che con i guanti.
Ne sollevo uno, attenta che la merda non mi piova addosso. Lo lancio e il sacco cade con un tonfo sul metallo del cassone. «Perché quella vecchia troia ce l’ha così tanto con me? Che cazzo le ho fatto?»
Butto anche l’altro, che rimbalza sul precedente e rotola in un angolo.
«Sta andando tutto a puttane… Il vecchio si lamenterà con Stefano che non so fare un pompino…» Lancio un’occhiata alla porta dell’ascensore. È ancora aperta, l’ho bloccata per tirare fuori i sacchi neri: Teresa non può raggiungermi se non con le scale. «Io che ero alla finale della gara di pompini, non essere in grado… ma vaffanculo… Quell’altra carogna che vuole farmi mandare via pure da qui…»
Prendo un sacco e lo scaglio verso il cassone. Colpisce il bordo, la plastica si strappa e cadendo a terra getta bicchierini attorno, che rotolano da tutte le parti. «Vaffanculo!» Gli assesto una pedata, il sacco fa una parabola come una cometa di pattume con una coda di immondizia, spargendone per tutto il tratto di volo.
Crollo inginocchiata, le mani sugli occhi, i gomiti appoggiati alle ginocchia. La testa mi scoppia e mi manca il fiato. Perché stanno capitando tutte a me? Cos’ho fatto di male? Sono troppo stupida? Troppo incapace? Troppo brutta, troppo bella? È perché ero nella gara di pompini?
Il mio respiro fa vibrare qualcosa nel mio naso, emette un suono simile ad una scoreggia. A stento passa nella mia gola, mi viene il vomito. Avrò modo di uscire da questa situazione in cui mi sono ficcata?
Il telefono vibra nella tasca della maglia. Spero non sia mia madre, perché non è il momento. Non lo è affatto.
Lo prendo. «Cazzo…» Sullo schermo appare il volto di Stefano. Prima Teresa che mi vuole scacciare, e lui che mi starà per dire che non sono adatta al lavoro di accompagnatrice.
A lui devo rispondere. Deglutisco qualcosa che ha la consistenza della gomma americana e mi passo la mano libera sugli occhi che mi bruciano. Accosto lo smartphone all’orecchio. «Pron—» Schiarisco la voce che sembra quella del vecchio tabagista di ieri sera. «Pronto, Stefano?»
«Vincenza, posso parlarti?» Il suo tono non è quello di Teresa che vuole mandarmi via, ma nemmeno quello di quando parla della scopata al colloquio di lavoro.
Resto accucciata. «Sì, dimmi pure…»
La linea resta in silenzio per due interminabili secondi. «Ha chiamato il cliente di ieri sera, il Pavan…»
Il petto mi duole, mi gira la testa. Ecco che arriva la sfuriata…
«…mi spiace dirti che non è stato molto soddisfatto della tua prestazione.»
Che stronzo… «Stefano… È… è un vecchio, non gli tira! Ho fatto del mio meglio! Ho…» Mi sento una merda, non mi è mai successo di non soddisfare un uomo… con il corpo che mi ritrovo, è qualcosa che non ho mai nemmeno pensato possibile!
Lui sospira. «Senti, Vincenza. In casi normali, saresti fuori. Il vecchio probabilmente ce lo siamo giocati, ma il nipote ha detto che è stato felicissimo con Morena.»
Inspiro emettendo un rantolo. Mi sento mancare. Apro la bocca per dire qualcosa, per chiedere la grazia di…
Stefano mi precede di un soffio. «Devo comunque ammettere che ci sai fare con la bocca – sai cosa intendo… - e hai un bel corpo da ventenne, e mi sentirei stupido a mandarti via per un anziano che non gli tira. Questa sera Ludmilla e Kimberly sono impegnate con clienti che definirei “storici” e Morena ha chiesto un giorno di ferie…»
Solo un giorno? Morena sembrava fosse stata scopata da un gruppo di Mutanti di Fallout, quando è uscita dalla camera da letto, mentre il vecchio stava ancora cercando di scoparmi a pecora. Se per la metà della settimana prossima riesce a stare in piedi le faccio i complimenti.
«…e poco fa mi è arrivata la richiesta di una ragazza.»
Balzo in piedi. Stringo il telefono tanto forte da sentire dolore alle dita. «Posso andare io!» Non mi metterò a pregarti per darmi un’ultima occasione… ti prego, non farti pregare!
Stefano non sembra ascoltarmi. «Potrebbe essere qualcosa di importante, come nulla di che, ma preferirei non perdere l’occasione di un nuovo cliente che possa dimostrarsi danaroso. Quindi, Vincenza, ho deciso di darti un’ultima possibilità: se domani chiamo il tipo e dice che sei stata ok, allora sei delle nostre.»
La gola si libera, il tanfo della spazzatura sembra salsedine marina. Porto il telefono davanti alla mia bocca, bacerei la foto di Stefano. Se mi tiene gli faccio fare un giro completo del mio corpo, sarò la sua puttana per tutto un fine settimana, lo lascerò fare qualsiasi cosa! «Grazie, Stefano! Ti giuro che domani il tipo mi riempirà di complimenti.»
La voce di Stefano è più soddisfatta. «Lo spero. Ti mando le informazioni via Whatsapp. E non preoccuparti, questo non è un vecchio.»
Chiudo la telefonata. Mi sento molto meglio. Sullo schermo del telefono, l’orologio segna le 16:37. Altre tre ore di lavoro e avrò la possibilità di cambiare la mia vita.
Questa volta non fallirò!
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