Il secondo lavoro di Vincenza

Capitolo 2 - Lavorare il sabato

Oggi, Treviso…

Alzo lo sportello del distributore automatico e prendo il bicchiere di caffè fumante. L’aroma di caffè si spande nelle mie narici, ma non riesce a coprire quello di limone chimico che si solleva dal pavimento del corridoio ancora bagnato. Appoggio il mocio accanto alla finestra aperta e accosto la tazza di carta alle labbra.

Di certo, nemmeno lavorare il sabato mattina in ufficio può essere peggiore del passare il pomeriggio dello stesso giorno a pulirli.

Il caffè è forte, ma non ha nemmeno lontanamente il sapore di quello che bevevo da mia nonna a Sorrento quando andavo giù con la famiglia, in estate. Se dopo lo scandalo della gara di pompini sono dovuta andarmene da Caregan per la vergogna, di sicuro non oserò farmi vedere dai miei parenti al sud.

Mando giù un altro sorso. Mi merito un attimo di riposo, dopo una settimana così intensa e, se mi va di lusso, questa sera la passerò a sonnecchiare sul divano davanti a Netflix. Sospiro: belli i tempi che restavo in giro fino alle due di notte, il sabato…

L’occhio mi cade sulla pila di riviste appoggiate al tavolino. Un moto di rabbia solleva le mie labbra: sulla copertina del primo rotocalco compare il volto di Francesca Tadini: la nuova stella della televisione italiana, la domenica sera a condurre “Calcio d’angolo”, lungo la settimana come ospite nei talk show a far sfoggio delle sue tettone. L’hanno preferita perfino alla Mazzoleni, che è scomparsa dalla tv… Il braccio che regge la tazzina mi vibra dalla furia.

Lancio un’occhiata lungo il corridoio. Non c’è nessuno. Prendo la rivista dalla pila. Lei sorride, la stronza… è l’unica che ha saputo cavalcare l’onda mediatica dello scoop della gara di pompini che aveva infuriato per il Paese per un paio di settimane. Beh, è difficile non farsi notare con quelle bocce…

«Lei era una bestia a scuola e ha un programma in tv, io pulisco cessi!» Scaglio la rivista contro il muro accanto alla macchinetta in un frullio di fogli, impatta e cade nel cestino. «Fottiti, puttana!» sibilo.

Il telefono trilla nella mia tasca. Lancio un’occhiata alla porta dell’ufficio dove si è infilata a pulire Teresa: non voglio che scopra che sto contravvenendo ai suoi ordini portandomi il mio vecchio smartphone durante il servizio.

Lo cavo dalla tasca e controllo le notifiche: è un messaggio di mia madre. Spero non voglia ancora pregarmi di tornare a casa.

Non ho intenzione di farlo, non voglio vedere più il barlume di derisione che brilla negli occhi di chi mi conosce. Resterò qui, anche se per vivere dovrò davvero passare il resto della mia vita a succhiare cazzi a destra e a manca, come molti insinuavano facessi prima che me ne andassi…

Sono spinta dal desiderio di rimettere il telefono in tasca e tornare a lavorare, ma… chiudo gli occhi e sospiro. È pur sempre mia madre, e sarebbe troppo non rispondere ai suoi messaggi. Tocco la notifica.

Si apre Whatsapp.

Mamma
Hai sentito di tuo cugino Gaetano?

Sbatto le palpebre. Gaetano? Sono anni che non penso a quello stronzetto, una palla di lardo che passava il tempo a ficcarsi nei guai. La vicina di casa di nonna non poteva vederlo dopo che aveva quasi dato fuoco al suo cane. Adesso cos’ha fatto? È finito in galera? Se lo meriterebbe.

Io
No, cos’è successo?

Mamma
Lavora per una fabbrica dei cinesi e ha fatto carriera. Oggi lo promuovono. Farà un sacco di soldi. Te lo ricordi, Gaetano, com’era simpatico?

Me lo ricordo sì, quant’era simpatico: avevo otto anni e mi tirava i capelli chiamandomi “cuginetta troietta”, quello stronzo palla di lardo. Il campione della simpatia, lui e il suo fratello tardo…

Mamma
Mi hanno mandato una sua foto. È diventato un bel ragazzo, vero?

Tocco la miniatura sotto il messaggio e lo schermo si riempie di una foto sfuocata. Scuoto la testa: al giorno d’oggi, chi riesce ancora a fare foto sfuocate con IA e robe simili caricate nei telefoni?

Sullo sfondo appare Positano, aggrappato alla scogliera sul mare, apprezzabile fino all’ultimo particolare, mentre sulla spiaggia si trova un ragazzo, dalle spalle larghe e i pettorali muscolosi. Sotto la folta capigliatura nera, i tratti del viso sono a malapena distinguibili, sembra la censura che Google Street View mette sulla faccia dei passanti; ma quello che calamita la mia attenzione è il costume blu: una strana ombra lo attraversa di lato, e sembra prossimo a spezzarsi sotto la pressione del suo contenuto.

Dopo quindici anni, i discorsi a mezza bocca delle mie zie e mia madre, quando parlavano di quel ramo della famiglia, con i risolini nascosti dietro la mano quando passava zio Nino, acquistano un senso…

Davvero quel bastardello è diventato questo bronzo di Riace? Da uno stallone simile mi farei scopare fino a perdere conoscenza… Ma se mi trovassi davanti lui, nudo, anche in uno stato simile, gli farei una Fatality degna del miglior Mortal Komb—

«Vincenza!»

Sobbalzo, il caffè rimasto nella tazzina lambisce il bordo ma non cade fuori. Faccio sparire il telefonino con la destrezza di un prestigiatore nella speranza che Teresa non l’abbia notato.

La donna avanza stringendo le mani sbiancate da decenni di uso di detersivi troppo aggressivi. Dopo tutti questi anni, i vapori al profumo di limone o fiori di lavanda le hanno di certo dato alla testa. E il continuo sollevare secchi d’acqua le ha fatto crescere delle braccia muscolose.

Mi si piazza davanti. «Che cazzo stai facendo? Ho forse detto che c’è una pausa?»

Da una porta lungo il corridoio compare la testa di Federica. Sbircia per un istante, riconosce la situazione e scompare: meglio non farsi vedere da Teresa quando è in modalità “stronza zitella”.

«Ho… ho appena finito di lavare il pavimento… e sto aspettando che si asciughi, così chiudo le finestre e non entrano gli insetti.» Qualcosa impatta un paio di volte contro la plafoniera piena di schifezze sopra di noi. Spero non la noti, almeno questa…

Teresa indica alle sue spalle con un cenno. «Noi ci facciamo il culo tutto il pomeriggio e tu stai qui a fare salotto?»

Rallento il respiro, entra nelle mie narici e scivola lungo la gola. Mi trattengo dal gettarle in faccia la tazzina di carta, ma giuro che la meno con il bastone del mocio se tira fuori ancora la storia che sono stata assunta perché ho spompinato il capo…

Cosa che ho fatto, e con grande soddisfazione del capo, o non avrei trovato lavoro a Treviso, ma vorrei che le colleghe non mi vedano anche loro come una troia al pari di chi mi conosceva già.

Lei sembra sul punto di dire qualcosa, ma si limita a indicare la finestra. «Chiudila e vai ad igienizzare i gabinetti con Alessia.»

Allungo la mano sul cestino e lascio cadere la tazzina. Gocce di caffè schizzano dovunque nel sacchetto nero. Tanto, toccherà a me cambiarlo. «Vado…»

Teresa si gira senza dire nulla, ma il suo linguaggio corporeo è di puro sdegno.

Sollevo la mano chiusa a pugno e allungo il dito medio. Vaffanculo, cagna, spero di andarmene il prima possibile da qui: il tuo capo non è l’unico che si è fatto un giro nella mia bocca con il suo pesce…

Chiudo la finestra e rimetto il mocio nell’acqua lurida del secchio. Raggiungo i bagni e li apro: un tanfo di merda e piscio mi stringe lo stomaco. Sospiro, e si rivela essere una pessima idea. Ma, ormai, che altro lavoro potrei cercare? Se ti presenti ad un colloquio di lavoro e dici di essere stata alle superiori di Caregan e non aver dato gli esami di maturità, il sorrisetto che compare sul volto di chi è seduto dall’altra parte della scrivania lascia comprendere che ha già fatto il collegamento nella sua mente. Quelli più educati evitano di chiedere se hai partecipato alla gara che si è tenuta nella vecchia segheria…

Infilo i guanti in lattice gialli e prendo la bottiglietta di gel antibatterico. Spero davvero che questa sera non ci siano chiamate…

Le pozzanghere tra le poche auto parcheggiate riflettono le luci gialle dei lampioni, la superficie mossa dalla gelida pioggerellina che cade da qualche ora. Mi stringo nella giacca nella giacca e cerco le chiavi della macchina in tasca.

Alessia mi saluta con un gesto della mano accanto alla sua Ka nera. «Allora, Vincenza, sei sicura di non voler venire con noi?»

Non poteva evitare di domandarmelo sotto l’acqua? Ho già detto di “no” anche prima… Fingo il sorriso meno falso che riesco. «Guarda, ti ringrazio, ma ho solo voglia di gettarmi sul divano e addormentarmi davanti alla tele…»

Alessia annuisce «Va bene, sarà per un’altra volta.» Apre la portiera e la luce di cortesia si accende. Il motore si accende al primo tentativo.

La luce di cortesia della mia Clio di seconda mano non funziona nemmeno più. Chiudo la portiera e accendo una piccola lampada da lettura che ho agganciato al bocchettone dell’aria per vedere dove infilo la chiave dietro al volante. Devo ricordarmi di ricaricarla, non voglio ritrovarmela di nuovo scarica.

Il telefono suona nella giacca. Chiudo gli occhi e sbuffo. Che coglioni… Mi sporgo a sinistra, colpendo con la testa il finestrino gelido. Lotto contro i risvolti della tasca e tiro fuori lo smartphone.

Sullo schermo compare il nome di Stefano.

Dopo una giornata di merda come questa, ci mancava solo lui. Posso dire addio alla serata sotto il piumone a guardare Netflix… Magari ha un lavoro, ed è la volta buona che mi prende davvero come effettiva nella sua agenzia. Poi Teresa può andarsene a cagare, lei e i suoi detersivi maledetti.

Accetto la chiamata e avvicino il telefono all’orecchio.

«Ciao, Vincenza,» la voce dell’uomo è calda, come sempre, «disturbo?»

Lui, al colloquio di lavoro, con il cazzo non si è limitato a sondarmi solo la bocca. Ma è forse quello che mi farà uscire da questo inferno di gabinetti lerci e mocio puzzolenti. «No, dimmi pure. Hai un lavoro per me?»

«Te la senti? Potrebbe essere una cosa da nulla, un paio di ore di chiacchiere o un massaggio. Magari un pompino, cosa che tu sai fare piuttosto bene, o non saresti arrivata alla finale, giusto?»

Il lato positivo delle telefonate è che non sono obbligata a esibire un sorriso falso. Secondo questo bastardo dovrei scrivere sul curriculum vitae, sotto la sezione del pacchetto Office, che stavo per vincere la gara di pompini di Caregan? Chiudo gli occhi e lascio defluire la tensione insieme al respiro: se voglio entrare in un’agenzia di escort, avere l’abilità “pompino” a 95 conta più di aver cappato “Power Point”... «D’accordo. Sai dirmi qualcosa del cliente?»

«Mi ha chiamato un politico lo—»

Mi si mozza il fiato, forse ci siamo! «Va bene!» Se me la gioco giusta, divento l’amante di qualcuno con potere e soldi, e smetto di fare anche la puttana prima ancora di cominciare. «Dove e a che ora?»

La risata di Stefano prorompe dal telefono. «Mi piace il tuo entusiasmo, Vincenza. Ti mando un messaggio con l’indirizzo e l’orario. Ti aspetterà Morena, fuori dall’edificio.»

Morena? Cosa cazzo ci fa anche lei? «Dobbiamo essere in due?» Non ci provi nemmeno a portarmelo via!

«Sì, Pavan ha organizzato un diciottesimo come si deve al nipote – che secondo lui è ancora vergine – e mentre una di voi due gli fa scoprire che la figa è verticale, l’altra intrattiene il politico.»

A questo punto, il verginello lo lascio a Morena, io mi fiondo sull’uomo. «Va bene, ci sarò!» Poi ti manderò le cartoline dal mio appartamento con vista Colosseo per Natale.

«Brava, Vincenza. Se lavori bene, questa sera, potrei prenderti davvero nell’organico della mia agenzia di accompagnatrici.»

Chiudo la telefonata e getto il vecchio Samsung sul sedile del passeggero. «Se lavoro davvero bene, mi trasferisco a Roma, tutto spesato, altroché!»

La macchina tossisce e si mette in moto con un brivido.


✒️ Lascia il tuo pensiero! Condividi nei commenti cosa ti ha fatto vibrare in questo capitolo. La tua voce rende la storia ancora più viva!

💖 Fai battere il cuore! Premi il cuore se questa parte ti ha emozionato. Un piccolo gesto che accende la passione!

⭐ Valuta con 5 stelle! Regalami 5 stelle se il racconto ti ha catturato. La tua valutazione illumina il mio percorso!

📧 Scrivimi in privato! Mandami un’e-mail a william.kasanova@hotmail.com per condividere fantasie o suggerimenti. Ti aspetto!

📱 Raggiungimi su Telegram! Contattami su Telegram @WilliamKasanova per un dialogo intimo e diretto. Non essere timido!