Voci di condominio: la studentessa
A volte mi chiedo come sono riuscita a laurearmi.
***
“PORCO D**!! COSA CAZZO STAI FACENDO?!”
“VAFFANCULO! NON È COLPA MIA, PIANTALA DI FARE LO STRONZO! DIO C***!
Dal condominio di lato, che purtroppo distava solo tre metri dal nefasto condominio, giunsero improperi d’ogni sorta.
La ragazza sospirò e tornò sul suo manuale. Intanto dall’altro capo del muro continuava la piena di bestemmie.
***
Gisella ed Ettore. Che dire signori…
Dicono che l’amore sia cieco, ma, secondo me, fa finta. In questo caso, in effetti, ci vedeva benissimo. Infatti è riuscito a creare qualcosa di orrendo e perfetto allo stesso tempo.
Come sempre partiamo dal presupposto di tutte le mie storie: l’alcol.
Ormai avrete notato questo mio leitmotiv. Mi pare di vivere alle volte direttamente dentro una comunità. L’alcolismo è imperante ed è la causa della maggior parte dei mali di questo luogo maledetto. 10 appartamenti, 30 inquilini, di questi 30, 7 sono alcolisti o drogati o entrambi. Circa il 23% del condominio. In più ci si mettono pure i due vicini squinternati a bere come spugne. Insomma è un manicomio. Naturalmente è solo una fotografia di un momento preciso. La realtà è molto peggiore.
Speravate dicessi migliore, vero? Oppure no? Speravate proprio che dicessi peggiore, mascalzoni. Il degrado è il vostro pane.
Non riesco a ricordare bene la successione di tutte le persone disagiate che sono passate di qua, ma se dovessi fare una stima, quella percentuale lassù schizzerebbe molto più in alto.
Pensate che il complesso è fatto di tre condominii. Immaginate cosa succede nel terzo.
Comunque, perdonate la digressione, sembro uno di quei vecchi che comincia a ricordare la guerra a volte.
***
Gisella ed Ettore erano fatti l’uno per l’altra: erano entrambi sudici, sciatti, orrendi, isterici, puzzavano di alcol ed erano imbruttiti dalle badilate della vita, peggio del ritratto di Dorian Gray, eppure in un certo senso erano una coppia amabile.
Erano costoro degli alcolisti incalliti, bevevano ad ogni ora del giorno, e ai fiumi d’alcol seguivano sempre fiumi di insulti a nostro Signore. La giovane alla finestra li avrà visti entrambi sobri sì e no cinque volte.
Ma perché scegliere una normale coppia sposata nell’amore dell’alcol, invece di un interessantissimo santone del Benin?
Ebbene, ecco cosa è successo.
Un bel giorno di primavera, Ettore tornava avvinazzato alla magione. Sali un gradino, saline un’altro, Ettore si trovò davanti alla porta di casa. Per fortuna abitava al primo piano, non so se sarebbe riuscito ad arrivare più in là. Instupidito dall’alcol inforcò la chiave nella serratura e girò, ma non accadde nulla. Le serrature del vecchio edificio potevano risultare un po’ rognose a volte, così Ettore si mise a tirare, spingere e forzare finché ad un tratto…
PAC!
La chiave si era spaccata dentro la serratura. Ettore bestemmiò il buon Dio due o tre volte, poi diede un’occhiata critica al danno, tentando di tirar fuori con le dita il moncone di ferro. Non ci sarebbe stato verso di tirarla fuori a mano, avrebbe dovuto trovare un altro modo (chiamasi fabbro, ma va beh, ci sono arrivati dopo).
La porta a quel punto non si poteva aprire da nessuno dei due lati, quindi anche Gisella era bloccata dentro, ma lei ancora non lo sapeva. Ettore le citofonò.
“Ma che cazzo vuoi?! Non hai le chiavi?!” disse Gisella affacciandosi alla finestra.
(‘Na simpatia).
“Se ti suono è perché non posso entrare, cretina! Aspetta!” ma Gisella arrabbiata era già andata alla porta, che ovviamente non riuscì ad aprire.
“Ma che cazzo succede, cos’hai fatto pezzo di idiota?!”.
“Senti calmati eh, quella porta di merda non si apriva e per sbaglio ho spaccato la chiave nella serratura”.
“Ma che cazzo Ettore, è adesso come entriamo in casa?!” disse lei lagnosa, già nel panico da “circostanza inaspettata che non so gestire in modo normale perché sono un disadattato”. “È perché eri di nuovo ubriaco, vero?! Schifoso! Stai diventando un povero coglione!”.
“Ma stai zitta che sei sempre ubriaca anche tu!”.
“Non è vero!”.
“Sì che è vero, bugiarda!” la accusava col dito puntato Ettore.
“Non è vero!” si sgolava Gisella.
Non è vero, non è vero, l’amore è peggio del veleno…
Dopo aver fatto i bambini di cinque anni per cinque minuti, infine:
“E adesso che facciamo?” chiese Gisella ancora un po’ alterata.
“Ti ho detto che non devi parlarmi così!”.
“Io ti parlo come mi pare!”.
“Stai zitta e vai a prendere la scala”.
Gisella obbedì e qualche momento dopo tornò con una scala da elettricista, che calò a fatica dal balcone in mano al marito. Ettore la posizionò vicino alla ringhiera e salì in casa barcollando.
Quella sera erano ancora entrambi arrabbiati, quindi si diedero all’alcol ovviamente, finché non fu ora di andare a letto. Gisella si era già messa sotto le coperte, in un orrendo pigiama a righe rosa e bianche. Ettore la raggiunse poco dopo, con delle grige ciabatte sgualcite ai piedi e dei pantaloncini delle stesso colore. Il ventre irsuto e rigonfio all’alcol toccò le coperte subito dopo le ginocchia, poi il resto del corpo si lasciò andare sgraziatamente sul letto, manco Dante in riva all’Acheronte. Il movimento fece sobbalzare tutto il letto e anche Gisella che si voltò lentamente, mandando un lamento scontento.
“Dai, c’era bisogno di far muovere tutto?!”
“Che palle che sei, non ti va bene niente. Ma lo so io cosa ti andrà bene”.
Detto questo le spiaccicò una mano sul culo. Gisella mandò un gridolino sorpreso e indignato.
“Ma sei cretino?!” gridò lei girandosi verso Ettore.
Questo intanto aveva avvinghiato le gambe intorno a quelle di Gisella e si stava strusciando scoordinatamente contro la sua coscia.
“Eh dai, è un sacco che non lo facciamo” disse Ettore tirandosi giù i pantaloncini e facendo rimbalzare il cazzo semiduro sulla chiappa della moglie.
“Forse perché sei sempre così ubriaco che non ti tira” abbaiò lei corrucciata mentre gli prendeva in mano il membro.
“O forse perché TU sei sempre così ubriaca che ti viene tutte le volte troppo mal di testa” rispose lui velenoso, mentre usava la mano di Gisella come una figa e ci pompava dentro sempre più eccitato.
“Il mal di testa me lo fai venire tu, con le tue stronzate, non dare sempre la colpa all’alcol!” rispose Gisella ansimando, mentre Ettore le strizzava i capezzoli e le tette attraverso l’orrido pigiama.
“Senti chi parla! Anche tu dai sempre la colpa all’alcol quando combino qualcosa, invece quando fai qualcosa tu dopo che hai bevuto come una merda è sempre colpa di qualcos’altro” le sue dita avevano trovato il clitoride di Gisella e lo stavano pizzicando deliziosamente.
“Sì certo come dici tu. Adesso datti una mossa!”.
Gisella allentò un po’ la presa e cominciò a a segargli la cappella più velocemente. Sapeva come far tacere il suo orco. Nel frattempo anche Ettore si stava dando da fare e stava facendo scivolare le dita tra le pieghe bagnate della figa di sua moglie per poi tornare su al clitoride.
Gisella venne inaspettatamente tra le sue dita con un gridolino, sussultò un po’ e poi si lasciò ricadere sul cuscino.
“Beh, vuoi godere solo tu?” disse Ettore impaziente, facendole ballonzolare il cazzo nella mano.
“Sì sì, che palle, dammi un momento”.
Gisella ricominciò a segarlo. Non ci volle molto per fortuna; ora che avevano finito aveva la testa che le rimbomba a e voleva solo dormire. Ettore le afferrò il polso e dettò il ritmo delle ultime spinte, mentre con la sinistra si stringeva le palle, poi si venne sulla pancia e rimase così supino a riprendere fiato.
“Se hai finito di rompermi le scatole, pulisciti. Non addormentarti così eh, non voglio quella roba spalmata addosso mentre dormo!”.
Ettore sbuffò, armeggiò con un fazzoletto sul comodino e si pulì, poi lasciò cadere il fazzoletto per terra e fece il verso alla moglie borbottando.
“Cosa vuoi fare per la porta?” chiese assonnata Gisella, già quasi addormentata.
“Domani ci penso, adesso non rompere, ti sei già lamentata abbastanza”.
***
La scala rimase sotto il balcone per tre giorni.
Selezionato dalle storie di @Doriella12
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