Elisa
Mi chiamo Elisa ed ho 42 anni e sono sposata da 12 anni con Mario, un matrimonio d'amore che mi soddisfa in pieno. Purtroppo non abbiamo figli perché io non posso averne e questo ci ha però consentito di vivere le nostre frequenti serate di sesso il piena libertà. Amavo troppo mio marito e volevo accontentarlo in una delle sue fantasie più ossessive. Dopo anni di rifiuti e ripensamenti finalmente mi decisi di fare il grande passo. Voleva vedermi fare sesso un con un altro uomo e una notte, mentre facevamo sesso, nel pieno dell'eccitazione, gli giurai che lo avrei fatto. Mi sarei data da fare per trovare l'uomo adatto che mi sarebbe dovuto piacere anche sul piano fisico. Lui in questo mi diede carta bianca. Era troppo felice per porre condizioni o limitazioni. Una mattina mentre facevamo colazione dissi: "Mario, ieri ho conosciuto una persona alla fiera del libro, Mi ha fissato tutto il tempo che sono stata nello stand". Mio marito mi guardo con interesse e notò l'arrossamento delle mie guance. Non era imbarazzo. Era calore. Un calore che non vedeva da anni. Le mie ginocchia premettero contro il tavolo di legno grezzo, scavato da anni di coltelli e pentole. "Ci hai parlato?" chiese, la voce più bassa di un sussurro. "Sì" dissi alla fine. "Ha uno stand di libri antichi. Cartine geografiche del settecento. E stampe erotiche..." Notai subito in lui una certa tensione che non capivo fosse timore o eccitazione. La sua mano tremava quando prese il mio bicchiere per bere un sorso d'acqua ."Mi ha chiesto se fossi sposata". Le mie tempie pulsavano come tamburi sotto la pelle sottile ."E tu?" mi chiese. Il silenzio che seguì fu più denso della pioggia sui vetri. Guardai verso il frigo, dove la lista della spesa era appesa sotto una calamita a forma di fragola. "Gli ho detto si, ovviamente. ""Non poteva essere diversamente." mi ha risposto e poi ha agginto: " Una donna affascinante come lei non poteva essere single.""Mi ha porto la mano, si è presentato e m ha dato il suo biglietto da visita".Feci scivolare le mie dita sotto il grembiule floreale. Ne estrassi un rettangolo di cartoncino spesso, bagnato ai bordi. Lo posai sul tavolo. Il nome era scritto in caratteri gotici: Lorenzo De Santis. Libraio Antiquario. Un numero di telefono. E una nota scritta a penna sotto: "Chiamami quando vuoi. Anche di sera"."Lo hai visto anche oggi?" mi chiese Mario"No" risposi concentrandomi sul suono della pioggia sul tetto della veranda. Aprii il cassetto dei coltelli per mettere via la forchetta sporca di torta."Però nel pomeriggio torno al suo stand, devo comprare un libro, forse lo rivedrò.""Ti piace? mi chiese."Si, sembra un tipo interessante e anche molto attraente. Con lui forse lo farei."Smisi di riordinare le tazze. Sentii l'odore della terra bagnata che saliva dal giardino, quel profumo di radici e foglie marce che sapeva sempre di segreti."Magari dopo che lo vedo oggi e ci parlo deciderò se andare avanti o lasciare stare.""Come vuoi, ma se ti piace non perdere l'occasione.""Ti faro sapere" Non aggiunsi altro. Non dissi che l'uomo mi aveva già scritto un messaggio sul cellulare alle tre di notte. Né che gli avevo risposto alle cinque del mattino, nascosta nel bagno con il rubinetto aperto per coprire il tintinnio della tastiera. Né che aveva già prenotato una stanza nell'albergo dove lui aveva un convegno sabato prossimo e che mi aveva invitato per quella notte. Il mio cuore batteva forte nel petto mentre immaginavo quello che stava per accadere. Se lo dovevo fare, la prima volta volevo farlo da sola, senza la supervisione di mio marito, sentirmi libera di comportarmi e fare quello che volevo, senza condizionamenti. Dopo gli avrei detto tutto e, se anche Lorenzo fosse stato d'accordo lo avremmo fatto davanti a lui, sarebbe diventato il nostro compagno di giochi. "Ti accompagno?" chiese Mario mentre infilava la giacca da pioggia. Il tessuto di nylon strideva sulle sue spalle larghe. Avevo bisogno di quel silenzio, di quel momento vuoto tra il "sì" e il "no". Guardai fuori dalla finestra dove le gocce rigavano il vetro come artigli trasparenti. Non era ancora ora di dire tutto. Non quando la mia bocca sapeva ancora di caffè amaro e bugie. "Vorrei vederlo almeno da lontano mentre ti avvicini al suo stand per parlargli." "Va bene." dissi io indossando il soprabito per uscire insieme a lui. Alla fiera del libro l'odore di carta vecchia mi colpì. Mario si appostò dietro una colonna coperta di locandine mentre io camminavo verso lo stand delle stampe antiche. Lorenzo era là, piegato su un volume rilegato in pelle. Le dita lunghe sfioravano le pagine ingiallite con devozione. Quando sollevò lo sguardo, i suoi occhi grigi brillarono come monete d'argento sotto le luci al neon. "Elisa." Il mio nome nella sua bocca sembrò un accordo musicale. Mi strinse la mano e trattenni un brivido quando il pollice mi sfiorò il polso. La pelle di Mario che osservava da venti metri bruciava sulla mia nuca più del riscaldamento sopraelevato."Dicevi di avere un'edizione del Kamasutra..." La voce mi uscì più roca del previsto. Mi mostrò una cartella chiusa da nastri di seta. Sfogliando le incisioni del 1780 - corpi intrecciati in posizioni impossibili - la sua spalla sfiorò la mia. Il calore del suo respiro sull'orecchio mi fece dimenticare Mario, il rumore della fiera, perfino l'odore della carta."Questa è la copia di Casanova" sussurrò indicando un ex libris. Le sue nocche sfiorarono l'incavo del mio gomito. Un gesto che sembrò involontario ma che fermò il mio sangue per un istante. Dal mio angolo, Mario vide il mio collo arrossarsi come un tramonto.Lorenzo abbassò la voce piegandosi sul bancone. "Sabato sera, stanza 312 ti aspetterò in camera alle "21:00. ." "Non posso venire a quell'ora, ti ho detto che sono sposata, non saprei che scusa trovare per uscire, non è mai successo in dodici anni di matrimonio."Allora vediamoci prima. Dimmi tu un orario.""Alle 17:00." dissi io sottovoce per paura che potesse sentirmi Mario, anche se era impossibile data la distanza."Ho voglia di baciarti." mi disse."Non possiamo, c'è mio marito nei paraggi , sta visitando un altro stand. Potrebbe vederci. Lo farai Sabato in Hotel lontano da occhi indiscreti."Non disse altro ma i suoi occhi promettevano tutto quello che i libri intorno descrivevano. La carta bruciava nella mia borsa mentre mi allontanavo, le ginocchia molli.Mario mi raggiunse vicino alla scala antincendio, l'odore di umido penetrante nella giacca. "Beh?" chiese, gli occhi scavati dall'apprensione. Sentii la punta della sua scarpa spingermi contro la caviglia sotto la gonna, un gesto possessivo che non aveva mai fatto prima. "Ha una collezione interessante" mentii, osservando una macchia di caffè sul pavimento cementato mentre le mie dita stringevano la borsa che celava il Kamasutra acquistato. Il biglietto dell'albergo bruciava nella tasca interna della mia borsetta.Una pioggia gelida ci accolse all'uscita. Mentre Mario alzava l'ombrello sopra di noi, il mio sguardo scivolò oltre le vetrine fumose verso lo stand di Lorenzo. Lui stava già fissandomi, una sigaretta spenta tra le dita mentre leggeva dietro i suoi occhiali a mezzaluna. Un lieve cenno del capo. Promessa indelebile che sabato alle cinque sarei diventata la sua tavolozza.In macchina, il calore del riscaldamento non sciolse il silenzio. Mario guidava con le nocche bianche sul volante, il polso rigido mentre cambiava marcia. "Che libro hai comprato?" chiese all'improvviso al semaforo. L'autobus accanto spruzzò fango sul parabrezza come un presagio. Scelsi la verità per frammenti: "Un trattato del Settecento. Figure... particolari". Mentre frugavo nella borsa per mostrargli la copertina, il biglietto dell'hotel scivolò tra il sedile e il bracciolo. Mario vide. Il suo respiro si fermò mezzo secondo prima del clacson dietro di noi. "Ti cade tutto oggi" commentò accelerando brusco, mentre raccoglievo e riponevo il bigliettino nella borsa. La mia guancia destra bruciava dove il suo sguardo s'era posato.Sabato mattina un sole accecante si rifletteva su pozzanghere ghiacciate. Preparai la valigetta come per un convegno di lavoro, mutandine di pizzo nero sotto il tailleur grigio da impiegata. Mario apparecchiava la colazione quando scesi. "Hai la riunione fino a tardi?" chiese versando il caffè con troppa concentrazione. Le sue dita lasciarono un'impronta umida sulla brocca. "Non so quanto durerà" mentii mentre addentavo un cornetto vuoto. Quando mi accompagnò alla porta, la sua mano sulla mia schiena fu un attimo di troppo. "Divertiti" sussurrò contro i miei capelli. La frase vibrava di significati nascosti.Alle 17:23 bussai alla porta della stanza 312 dell'Hotel . Odore di legno verniciato e sigaro spento. Lorenzo aprì in camicia sbottonata, i polsi nudi come promesse. "Sei in ritardo" disse senza rimprovero, tirandomi dentro mentre la valigetta cadeva sul parquet. "Sono stata trattenuta al lavoro, Ho dovuto fare una corsa per arrivare il prima possibile."Le sue labbra sulla mia nuca bruciarono più del cognac che aveva bevuto. Mi spinse contro la parete ricoperta di damasco rosso. Un quadro con putti barocchi traballò sopra di noi quando il mio ginocchio gli sfiorò l'inguine. "Prima un patto" ansimai, girando la testa per sottrarmi ai suoi denti sul collo."Che patto.""Mio marito Mario vuole incontrarti"."Tuo marito?" "Voglio dirti la verità. Noi stimo cercando un amico da inserire nei nostri giochi amorosi. Io avrei dovuto sceglierne uno pero avrei dovuto farlo sempre in sua presenza.""Ho conosciuto te, mi sei piaciuto subito, sembri la persona giusta per me, ma prima la prima volta volevo farlo da sola, senza la sua presenza e senza condizionamenti. Per questo ho accettato il tuo invito e se accetti di essere tu il nostro amico di giochi, lui non dovrà sapere di questo incontro""E se non accetto?""Se non accetti, dopo
questo pomeriggio non mi vedrai più.""Mi piaci troppo per rifiutare di diventare il tuo amico di letto. Accetto, di a tuo marito che sarò felice di conoscerlo. Ora non pensiamo più a lui"Le sue mani sotto la giacca mi scoprirono la schiena sudaticcia mentre la bocca divorava le mie parole. La gonna tubino nero salì sopra i fianchi da sola, costretta dalle sue dita affamate. "Dimmi dove ti piace" mormorò contro la mia bocca. Il profumo del suo sudore sapeva di biblioteca proibita e desiderio antico. Allungo la mano sotto la mia gonna mentre la sua lingua si faceva strada dentro la mia bocca. Le sue dita già frugavano fra le pieghe della mia fica bagnata, trovando il clitoride gonfio come un seme sotto il pizzo. Gemetti contro le sue labbra quando un dito penetrò nel mio culo, proprio nel punto esatto dove il bisogno pulsava, . Lo cercavo da quando aveva sfiorato quella stampa alla fiera. L'odore acre della mia eccitazione si mescolava al tannino della carta che impregnava le sue unghie. La sua lingua abbandonò la mia bocca per scendere lungo il collo, aprendo i bottoni della camicetta bianca con i denti. I capezzoli induriti sbatterono contro il tessuto umido quando mi spinse sullo scrittoio di mogano. La carta intestata dell'hotel si attaccò alla pelle nuda delle cosce. "Ti piace nel culo?" chiese con voce rotta dall'ansimare, mentre una mano mi costringeva a piegarmi sul ripiano. Le sue dita scivolarono giù dalla schiena, oltre l'elastico delle mutande strappate dal ginocchio fino alla piega segreta dove tutto pulsava. Lo sentii annusare la mia pelle come un vino raro. La domanda mi attraversò la pancia come un coltello caldo. Ero stata preparata per anni da quelle notti con Mario e i suoi giochi, ma qui ora..."Si, adoro essere scopata nel culo." ansimai afferrando il bordo del tavolo mentre la sua saliva fredda mi scorreva lungo la colonna vertebrale. Le mani di Lorenzo s'infilarono sotto il mio ventre sollevandomi i fianchi. Tra noi solo il rumore dei nostri polmoni e il cigolio del legno sotto il peso. Non un preliminare gentile, non un dito preparatorio - solo il crudo sfregare del suo pube contro le mie natiche mentre sfoderava la sua arma. Un gemito strozzato mi sfuggì quando la punta cercò l'ingresso stretto. L'odore di pelle sudaticcia e cognac riempì le narici. "Respira" ordinò schiacciandomi la schiena contro il petto mentre il dolore mi squarciò in due. Le dita mi affondarono nei fianchi lasciando lividi sotto la stoffa quando mi impalò fino all'ultimo centimetro. Grande. Più grande di qualsiasi cosa avessi mai conosciuto. Più largo del polso di Mario. I tendini dei miei polsi si tesero mentre graffiavo la carta intestata dell'hotel sopra il tavolo mentre lui iniziava a spingere. "Dio, sei enorme" rantolai sentendo il mio corpo adattarsi a quell'invasione brutale. Le lacrime bruciarono gli occhi quando iniziò a muoversi - pugni lenti che martellavano senza pietà il punto cieco dentro di me. Ogni ritirata lasciava un vuoto da urlare, ogni spinta sapeva di bruciore e piacere impossibile. La mia coscienza si frantumava tra il dolore nella pancia e il godimento che saliva dalle viscere. Non assomigliava a nulla. Non alla tenerezza di Mario, né ai giochi controllati nel nostro letto. Questo era possesso animale. Annientamento. "Ecco... così..." ansimò Lorenzo contro la mia schiena curva mentre le sue mani sollevavano i miei fianchi. La sua voce era un ringhio soffocato. Ogni movimento del suo bacino spingeva il mio corpo contro il bordo tagliente del legno. Il ritmo si fece più rapido, più profondo. Ora il dolore si trasformava in piacere. Mia madre diceva che certe cose erano contro natura, ma lei non aveva mai sentito questo, quel crampo divino che si allargava dall'ano fino alle ovaie. "Spingilo tutto dentro!" implorai mentre le unghie si piantavano nel mogano. "Rompimi pure!" Sentii la sua risata soffocata nel mio collo sudato mentre affondava fino alle palle. Le mie gambe tremavano come foglie d'autunno quando il suo pollice trovò il clitoride schiacciato contro il tavolo. Uno strofinio crudele, sincronizzato con la penetrazione. Un'onda di piacere sporco mi sollevò. Gridai contro i suoi pugni nel mio interno mentre la stanza girava vertiginosa."Più veloce! Sto per venire..." gemetti sentendo la tensione esplodermi nell'addome. Le sue dita mi strozzarono i capezzoli attraverso la camicia strappata. Un gesto brutale che mandò scintille lungo la colonna vertebrale. Il rumore del suo corpo che mi martellava era bagnato, animalesco. Il profumo di sudore nell'aria ci avvolse come una coperta sporca quando lui trattenne il respiro. Sentii il suo sussulto violento dentro di me - un getto rovente che riempiva le mie viscere contratte. "Sì! Sborrami tutto dentro..." sibilai mentre il mio orgasmo mi piegava in due sotto il suo peso. Ondate di piacere mi percorsero dal culo alla punta dei capelli. Tremavo come una foglia mentre il suo seme colava lungo le mie cosce insieme al sangue che non avevo previsto. Mi lasciò cadere sullo scrittoio sporco fluidi corporei. Le gambe mi cedettero quando tentai di reggermi. "Cristo..." ansimò lui, appoggiando la fronte alla mia schiena tremante. Il suo respiro caldo sulla pelle umida mi fece rabbrividire. Mi pulì con un fazzoletto di seta che sembrava antico quanto le stampe. "Non ci sarà bisogno di pulizie profonde" sussurrò asciugandomi le cosce con delicatezza sorprendente dopo la violenza. Le mutandine strappate giacevano sul pavimento come un trofeo. "Di a tuo marito che sono pronto a conoscerlo." Mi alzai a fatica, le gambe molli mentre il seme continuava a colarmi lungo la coscia destra.Nella doccia dell'hotel, l'acqua bollente scottava le ferite nascoste. Osservai il sangue mescolarsi al sapone liquido nel pozzetto di scarico, rosso vivo contro il bianco porcellana. Mi tastai l'ano gonfio con cautela. Ogni sfioramento bruciava. Quando asciugai il vapore dallo specchio, la mia immagine mi fissò con occhi differenti, più scuri, più vivi. Non ero più Elisa di prima. I segni viola sull'anca sembravano impronte fossili. Indossai un paio di mutande di ricambio senza guardarmi oltre. Il profumo di Lorenzo mi perseguitava ancora sulla pelle nonostante il sapone. Fuori pioveva già crepuscolo quando scesi dal taxi. Dovevo costruire la bugia perfetta. Controllai il cellulare: tre messaggi da Mario. "Come è andata la riunione?", "Hai bisogno che vengo a prenderti?", "Ti amo". Ogni parola era una puntura sotto le costole. La chiave girò nella serratura .Trovai Mario ai fornelli. Il profumo di aglio dorato e basilico fresco copriva ancora l'odore di cognac che mi usciva dai pori. "Ero in pensiero" disse senza voltarsi, scuotendo la padella di ghisa. Le sue nocche erano bianche sul manico. "Il traffico era orrendo" mentii lasciando cadere la valigetta nell'ingresso. La camicia strappata sotto il soprabito mi scorticava la pelle dove Lorenzo mi aveva morso. Si girò con un cucchiaio di legno fumante in mano. Gli occhi gli scesero lungo il collo, fermandosi sulla chiazza viola sotto l'orecchio. "Ti sei ferita?" chiese toccandomi il livido con la punta delle dita unte. Il contatto mi fece trasalire. "Ho sbattuto contro uno scaffale negli archivi". La bugia sapeva di metallo sulla lingua. Lui annusò l'aria come un segugio. "Puzzi di sigari e di ....". Si trattenne dal dire che odoravo di sborra fresca. Il cucchiaio tintinnò sul bordo del lavello mentre mi afferrava i fianchi. Le sue dita scavarono nei lividi nascosti sotto la gonna. Un guizzo di dolore mi strappò un sospiro.Mi Infilò la mano nelle mutandine. "Stamattina le avevi nere di seta" mormorò schiacciando la bocca contro il mio orecchio. Le dita mi sollevarono l'orlo della gonna lungo i fianchi, scoprendo l'elastico beige delle mutandine nuove. "Quelle che indossi ora sono beige". Mi bloccai contro il piano cottura mentre la sua mano scivolava dentro l'elastico, cercando il calore umido sotto. Le unghie graffiarono il pelo pubico. "Perché le hai cambiato?" Le labbra gli tremarono per la rabbia repressa. Sentii la cucitura delle nuove mutandine cedere sotto la pressione delle sue dita affamate. "Si erano strappate." risposi io. "E stato Lorenzo a strappartele?" Non volevo mentire oltre, non lo meritava. "Siediti ti racconto tutto." "Dopo essere stata alla riunione, ho incontrato Lorenzo, aveva un convegno all'Hotel Excelsior e mi ha chiesto se volevo accompagnarlo ed assistere al suo intervento. Dovevo trovare il modo di dirgli di venire a casa per conoscerti, cosi ho accettato l'invito e sono andata con lui al convegno. Alla fine mi ha invitato a bere qualcosa nella stanza che l'hotel gli aveva messo a disposizione, come ad ogni altro partecipante al convegno. Amore perdonami, avevo bevuto due martini e mi sono fatta prendere dall'eccitazione e non ho saputo resistere alle sue avances."Mario si sedette di fronte a me, la bocca serrata in una linea sottile. "Hai già fatto tutto con lui?" La sua voce era piatta, senz'anima. "Non tutto, solo nel culo." sussurrai. Le dita mi arrotolarono l'orlo della gonna mentre gli raccontavo il resto - il tavolo di mogano, la penetrazione violenta, la promessa fatta a Lorenzo di presentarlo. Il silenzio si fece tombale dopo l'ultima parola. Mario si alzò lentamente. "Almeno ora il ghiaccio e rotto, spero almeno ti sia piaciuto e che tu voglia continuare a farlo come avevamo deciso." Raccontami, come ti ha scopato, cosa ti diceva, dove ti ha sborrato.""Lo abbiamo fatto sul letto, nel culo come volevi tu. Mi ha sborrato li. Credo di avere ancora il suo sperma dentro."Stenditi sul divano fammi vedere il tuo culo com'e ridotto"Obbedii tremando. Sollevai la gonna sopra i fianchi scoprendo le mutandine di cotone macchiate di sangue e sperma essiccato. Le sue dita mi strapparono via l'ultima barriera di stoffa. Un sibilo gli sfuggì quando vide l'ano gonfio e viola, i lividi a forma di
dita sui glutei. "Cazzo..." mormorò, i pollici che mi aprivano le natiche senza pietà. La luce del lampadario illuminò crudelmente le lacerazioni interne." L'ho fatto per te, amore?" dissi languidamente. Il suo dito mi penetrò senza preavviso. Un dolore acuto mi fece contorcere contro i cuscini di lino. "Ti ha rotto il culo, troia..." ansimò lui, frugando nel canale ancora dilatato. Le sue nocche sfiorarono le ferite aperte. "Senti quanto sei ancora aperta" "Non era quello che volevi?" sussurrai con una celata eccitazione. La punta del dito che raccoglieva tracce di seme rappreso. "Ha fatto proprio un lavoro accurato." La sua mano tremava quando la ritrasse coperta di sangue. "Hai goduto." "Si, ho goduto tanto. Ti dispiace?" "
No, lo sai che lo volevo." poi mi prese la mano e se la porto sul patta dei pantaloni che evidenziava un cazzo gia duro e pronto per la battaglia. Mi inginocchiai infilai la mano nella patta e lo tirai fuori.Il suo pene pulsava nella mia mano calda, teso come una corda d'arco. Lo guidai fra le mie labbra socchiuse, la punta sfiorando il palato mentre il sapore salato mi invadeva la bocca. Non era Lorenzo, non quella violenza sacramentale, ma la familiarità di Mario - la curva che conoscevo, i peli rossicci contro le mie dita. "Succhialo..." sibilò lui affondando una mano nei miei capelli ancora umidi di doccia d'hotel. Ogni spinta in gola mi ricordava l'altro, le dimensioni spropositate che avevano lasciato lividi interni. Quando le sue dita mi strinsero la nuca costringendomi ad ingoiare tutto, il dolore nell'ano si mescolò al piacere della bocca piena.Si alzò di scatto, lasciandomi boccheggiare sul tappeto persiano. "In camera" ordinò strappandomi la giacca. La luce dell'atrio illuminò le mie cosce mentre salivamo scale di marmo, serena. Nell'armadio a specchio della camera, vidi riflessa la mia schiena nuda: lividi viola a forma di mani sopra i glutei, il segno dei ditti sotto la scapola sinistra. Mario aprì il cassetto del comò. La carta velina scricchiolò quando estrasse un frustino di cuoio nero che non avevo mai visto. "Ti ha riempito di lividi" disse accarezzando la mia natica destra col manico, "ora lo faccio anche io". Il primo colpo cadde sulle chiappe ancora aperte con un suono di carne viva. Un urlo mi si strozzò in gola trasformandosi in singhiozzo quando il dolore irradiò dall'ano alla schiena. "Conta!" ringhiò afferrandomi i fianchi.Tre. Quattro. Cinque. I numeri uscivano frammentati tra i respiri rotti. Il cuoio sibilava nell'aria umida prima di schioccare sulle natiche in fiamme. Ogni frustata riapriva le microferite lasciate da Lorenzo, mescolando sangue fresco a sudore. La mia immagine nello specchio era una maschera deformata: mascella contratta, capelli appiccicati alle tempie, gli occhi dilatati dal terrore e da un piacere perverso che mi gonfiava il basso ventre. "Più forte!" implorai quando il settimo colpo mi fece piegare le ginocchia e iniziai a godere. Mario ansimava contro la mia nuca, il respiro affannoso che spostava ciocche dei miei capelli umidi. Sentii il suo pene indurito premermi contro i lividi mentre il frustino cadeva di nuovo. Otto. Nove. Dieci. Il numero dieci mi strappò un gemito lungo e rauco mentre le gambe cedevano e venni. Un piacere mai provato per quel dolore che mi legava ancor piu ami mio grande amore, a Mario. Caddi sul tappeto orientale odoroso di naftalina, il sapore del sangue in bocca."Ora basta amore," dissii sollevando una mano tremante verso il suo polso rigido. "Mi hai punito abbastanza." La pelle delle mie natiche pulsava come carne cruda esposta all'aria. Scivolai sul pavimento girandomi a pancia in su, offrendogli la vista del mio sesso gonfio tra le cosce aperte. "Adesso scopami. Voglio vederti godere come tu hai fatto godere a me" Le parole uscirono più come un ordine che una supplica. Mario lasciò cadere il frustino con un tonfo sordo. I suoi occhi - quelli stessi occhi che per dodici anni avevano guardato la mia pelle con devozione - erano pozzi neri di brama. Si inginocchiò tra le mie gambe tremanti, le nocche bianche mentre affondava le dita nei miei capelli strappandomi la testa all'indietro. "Dove vuoi la mia roba?" ringhiò contro la mia bocca aperta. "lo sai dove la voglio. Nel culo, sfondami come sai fare tu."Sentii la punta del suo cazzo premere contro l'ingresso ancora lacerato dal primo incontro. Un gemito mi sfuggì quando mi penetrò con un solo colpo secco, senza preparazione né pietà. Non era Lorenzo. Non quella brutalità quasi sacra, ma la furia familiare di un marito tradito che rivendicava il suo territorio. Le mie unghie scavarono il tappeto mentre il suo bacino schiacciava i miei lividi freschi. Ogni spinta martellava le ferite interne lasciate dall'altro, mescolando il sangue nuovo col seme rappreso. "Così?" ansimò lui affondando i denti nella mia spalla mentre mi inchiodava al pavimento. Il dolore si torceva nel piacere quando le sue dita trovarono il clitoride ancora sensibile. Una scossa elettrica mi percorse dalla nuca alle caviglie.Fuori dalla finestra aperta, un temporale scatenò la sua furia. Fulmini squarciarono il crepuscolo violetto. Il rombo del tuono coprì i rumori umidi dei nostri corpi, gli schiaffi della carne contro carne, il rantolo sincopato di Mario mentre spingeva più a fondo, più veloce. Il suo sudore mi colava lungo la schiena come pioggia calda. Sentivo le lacrime bruciarmi le tempie, non sapevo se di dolore o eccitazione. Lui mi sollevò i fianchi scoprendo lo spettacolo nello specchio dell'armadio: il mio ano viola ancora aperto come una ferita di guerra, le sue cosce muscolose che mi spingevano contro il pavimento, le mie mani che cercavano disperatamente una presa sul tappeto scivoloso. "Guardati!" ordinò lui con voce roca. "Guardati, voglio che diventi la sua puttana." "Lo diventerò, se ti fa piacere." La mia immagine riflessa aveva gli occhi stravolti di una lupa in calore.Un lampo illuminò i lividi sulle mie cosce mentre lui mi girava bruscamente a pancia in su. Le mie gambe si allungarono sulle spalle mentre si spingeva dentro di me senza pietà. Ognuno dei suoi colpi era una punizione, ogni gemito una confessione. "Sei tutta mia e lo sarai sempre, anche se diventerai la sua puttana!" ringhiò affondando i denti nella curva tra il mio collo e la spalla. Il dolore si mescolava alla corrente elettrica che saliva dal clitoride martellato dalle sue pelviche sfuriate. Mi aggrappai alle sue braccia mentre il secondo orgasmo mi scuoteva, ondate più violente del temporale fuori. Sentii i suoi muscoli irrigidirsi sotto le mie dita, il suo respiro spezzarsi quando esplose dentro di me. Caldo. Più caldo di Lorenzo. Più familiare. Più mio. Il seme mi riempiva le viscere mentre lui collassava sul mio petto sudato. Dormimmo profondamente fino al mattino.Turante la colazione, mentre preparavo il caffe, si avvicinò a me. Si appoggiò col cazzo, gia duro a prima mattina, sulle mie natiche infilando la mano nelle mutandine fino a toccarmi il buco del culo. "Ti fa ancora male." disse sussurrandomi all'orecchio.. Il calore del suo alito mi colpi sulla nuca mentre mi sfregava il cazzo sul sedere spalmato di crema."Si." sospirai appoggiandomi sul piano della cucina. "Ma non importa." Mi abbassai le mutandine lasciando scoperto il culo e mi sporsi verso di lui offrendogli il mio ano gonfio. "Vuoi entrare?""Non aspetto altro." dissiUn dito freddo mi penetrò delicatamente mentre si abbassava i pantaloni della tuta. Sentii la punta del suo cazzo premere contro l'ingresso stretto. Le mie cosce tremavano quando mi penetrò lentamente, rispettoso del dolore bruciante. Era una sensazione strana, dolore e piacere che si fondevano. Le mie dita si aggrapparono al bordo pianpo cottura mentre lui si muoveva dentro di me con un ritmo lento, quasi affettuoso. Le sue mani mi accarezzavano i fianchi, le sue labbra sfioravano le mie scapole. Ogni spinta era un sollievo dopo la brutalità della sera prima. "Si amore, cosi... lentamente, spingilo dentro, tutto... non mi fa più male. L'odore del caffè si mescolava al sudore. Con la mani mi tastava il clitoride regalandomi una sensazione di piacere infinito. "Si, così...sto per venire... fai piu, veloce...ancora. Siii cosi... ahhh. Quando venni, fu con un gemito soffocato contro la tovaglia a quadri. Lui seguì poco dopo, i denti che affondavano nella mia spalla come un sigillo di possesso. "Devi chiamarlo oggi, stasera ti voglio vedere con lui" disse estraendosi con un sospiro roco. Lo sperma mi colava lungo la coscia mentre mi rialzavo. "Si amore, piu tardi andando in ufficio passo da lui e lo invito a cena.Ero ancora fremente di piacere mentre digitavo il numero di Lorenzo sullo schermo del telefono. L'odore del caffè si mescolava al ricordo del suo cognac sulla lingua. Dall'altro lato, la voce roca dell'antiquario sembrò accarezzarle l'orecchio:"Aspettavo la tua chiamata". Gli occhi di Mario bruciavano sulla sua schiena mentre fissava il calendario sullo schermo. "Stasera per le otto, a casa mia. Quando esco dall'ufficio passo dal tuo negozio a prenderti " sussurrai
giocando col cordone della veneziana. "Mario vuole conoscerti... ufficialmente". Un silenzio carico di promesse attraversò la linea prima che Lorenzo rispondesse: "Porta le mutandine strappate che ho lasciato in Hotel." In ufficio, i fogli si confondevano sotto le mie dita. Ogni volta che mi sedevo, il dolore nell'ano ricordava la doppia violenza subita. Il pensiero di rifarlo la sera con Lorenzo mi metteva addossi una eccitazione incontrollabile .Alle 18.30 bussai alla vetrina dell' antiquariato . Lorenzo stava chiudendo le serrande, il profumo di cera d'api e vecchia carta mi avvolse quando mi fece entrare. Senza parole, la sua mano scivolò sotto la mia gonna, accarezzandomelo da sopra le mutandine di seta. . Le sue dita entrarono nelle mutandine e cercarono nell'ano ancora gonfio con una familiarità che mi fece gemere contro gli scaffali di libri rari.In macchina verso casa Lorenzo guidava con una mano sul mio ginocchio scoperto, il pollice che disegnava cerchi sul mio' nguine. "Tuo marito..." iniziò io. "Sa che vengo per cena?" "Certo è stato lui a volere che ti chiamassi. Vuole assistere alle nostre evoluzioni. Hai portato le mutandine strappate? Le vuole conservare come ricordo della mia prima volta con un altro uomo."Alle 19:45, l'ascensore dell'atrio odorava di disinfettante e nervi. Premetti il pulsante del sesto piano sentendo la pressione delle cuciture delle mutandine sul livido a forma di stella sopra l'ano. La porta si aprì su Mario in camicia nera, la barba rasata di fresco. "Lui è Lorenzo" dissi, indicando l'antiquario che stringeva una bottiglia di Amarone. Gli uomini si studiarono un attimo troppo lungo, le mani che si strinsero. "Accomodati, mettiti a tuo agio." La tavola era apparecchiata per l'apocalisse: cristalli taglienti, coltelli da carne affilati come rasoi, il salmone in crosta che fumava sotto la lampada al sale. Lorenzo osservò la foto di nozze sul mobile cinese. "Eri bellissima con quel velo", disse, le dita sfiorando il vetro della cornice. Mario versò il primo bicchiere. Il bordo del calice tremò quando lo porgemmo all'ospite. "Allora". Schioccò la lingua sulle labbra scrutando Lorenzo. "La mia donna ti è piaciuta?" Lorenzo sorseggiò senza rompere il contatto visivo. Le sue dita sfiorarono il bordo della tovaglia verso la mia gamba sotto il tavolo. Sentii il polpastrello caldo sul ginocchio, poi salire lungo la coscia mentre Mario osservava il percorso sotto la stoffa leggera. Il pollice di Lorenzo scavò nell'inguine, premendo contro l'elastico delle mutandine di pizzo che Mario mi aveva fatto indossare per lui. Trattenni il respiro quando la punta del dito scivolò dentro il tessuto umido, sfiorando il livido a forma di stella sull'anca destra. Con frivolezza dissi: "Sai che per colpa dei lividi che mi hai fatto ieri, mio marito mi ha punito" "E che punizione ti ha dato?"
"Mi ha battuto col frustino..."
"Dove ti ha battuto?" chiese piano, gli occhi fissi sulle mie pupille dilatate. Mario tagliò il salmone con un coltello che scricchiolò sul piatto. "Frustata numero dieci" risposi col fiato corto, "dopo che gli ho mostrato il tuo lavoro sul mio culo"."Si vede che te le sei meritate." disse lui sorridendo. "Vero Mario? disse cercando la complicità di mio marito come due vecchi amici.La luce delle candele danzava sulle lame mentre l'antiquario raccontava storie di libri proibiti del '700. Le sue mani gesticolavano sopra la tovaglia di lino, ma sotto il tavolo, le dita mi scostavano le mutandine. Sentii l'aria fresca sulla pelle umida quando l'elastico scivolò lungo la coscia sinistra. Il suo indice penetrò senza preavviso nell'ano ancora gonfio - una scossa elettrica che mi fece rovesciare il vino rosso sulla tovaglia. "Scusa" balbettai, le dita che tremavano mentre asciugavo la macchia a forma di ferita. Mario osservò la scena con gli occhi di un falco, le narici che si dilatavano mentre Lorenzo mi puliva le ginocchia col tovagliolo, le sue nocche che sfioravano il mio pube attraverso la stoffa bagnata.Le pietanze avanzarono nel silenzio carico di promesse. Quando Lorenzo si alzò per passarmi il cestino del pane, il suo pacco eretto sfiorò la mia spalla. Un odore di legno di sandalo e desidero maschile si mescolò al profumo del risotto allo zafferano. "Permetti?" mormorò Mario, le sue dita che aprivano il bottone della mia blusa di seta nera sotto lo sguardo dell'ospite. Il tessuto scivolò sulle spalle scoprendo il reggiseno trasparente e le ferite viola lasciate dal frustino. Lorenzo trattenne il respiro osservando le mie mammelle che pulsavano libere nel reggiseno di pizzo. Le sue mani rimasero sospese a mezz'aria mentre inchiodavo il suo sguardo.Mario si alzò bruscamente, il coltello per il formaggio che tintinnò sul piatto di porcellana. Senza una parola, attraversò la stanza verso il giradischi d'epoca. Il bracciale di ottone scricchiolò quando sollevò il coperchio di mogano. Dal mobiletto sottostante estrasse un vinile: la copertina lisa mostrava Mina in bianco e nero. Le sue dita tremavano leggermente mentre posizionava l'ago sulla traccia esterna. Un graffio familiare precedette le prime note di "Amor Mio"."Perché non ballate?" propose con voce piatta, voltandosi verso Lorenzo. "Nel frattempo sparecchio la tavola". L'odore del salmone avanzato si mescolava all'aroma acre del sudore sulla mia nuca.Lorenzo mi prese senza preavviso. Un braccio di ferro avvolse la mia vita mentre l'altra mano affondava nei miei capelli, tirandomi la testa all'indietro. Sentii il suo cazzo duro premere contro la curva della mia schiena attraverso i pantaloni di lino, un'asta pulsante che seguiva il ritmo del vinile. L'istinto di girarmi svanì quando la sua guancia ruvida sfiorò la mia tempia. "Respira" sussurrò contro la pelle ancora dolente delle scapole. Le sue dita mi scostarono la gonna sollevando l'orlo sopra i glutei scoperti nel retro dove lui si appoggiò strofinandosi a me.Guardavo in faccia mio marito con un sorriso complice mentre Lorenzo dietro di me metteva una mano nelle mutandineLa stoffa di pizzo delle mutandine si incollò alla pelle umida quando il suo bacino, voltandomi, schiacciò il mio contro il mobiletto dei dischi. Ogni movimento strofinava il tessuto ruvido dei suoi pantaloni sull'ano gonfio, un dolore che diventava subito elettricità.Mario osservava dalla porta della cucina, le mani intrise di acqua saponata mentre strofinava il coltello da salmone. Gli occhi neri non lasciarono un istante il punto dove le mie dita si aggrappavano allo scaffale dei vinili, le nocche bianche contro il mogano lucido. Nell'ombra dei fornelli spenti, la sua bocca si dischiuse appena quando Lorenzo scosto la mia gamba destra poggiandola sulla mensola bassa, esponendo completamente il retro delle mutandine abbassandole fino al ginocchio sotto il suo sguardo muto. Ora il mio culo era ben esposto alla vista di mio marito e anche le dita di Lorenzo che iniziarono a penetrarlo. Un gemito mi sfuggì mescolandosi alla voce roca di Mina."Piano..." gli sussurrai all'orecchio. Le sue labbra bruciarono sulla nuca mentre mi frugava con metodo, la punta del dito che esplorava ogni piega dolorante con cruda precisione. Il riflesso nello specchio ovale sopra il mobiletto mi mostrò Mario che asciugava lentamente le mani sul grembiule toccandosi il cazzo evidentemente gia eccitato dalla scena. La musica copriva il suono umido delle dita che entravano e uscivano, ma non poteva nascondere l'odore acre di eccitazione che si spandeva nell'aria."Vuoi vedere meglio?" chiese Lorenzo improvvisamente voltandosi verso Mario. Le sue parole tagliarono la musica come un coltello. Le mie dita si aggrapparono alla cornice dello specchio mentre mi girava completamente verso mio marito, sollevandomi la gonna sopra i fianchi per mostrare il mio corpo nudo dal ventre in giù, le mutandine abbassate alle ginocchia perforate dalla sua mano che continuava il suo lavoro nell'ano senza sosta. La punta delle sue scarpe di cuoio scricchiolò sul parquet quando avanzò verso la cucina. "Si avvicinati..." disse Lorenzo, la voce un ruggito soffocato mentre mi piegava sul tavolo della cucina liberato dalle stoviglie, le mani che mi aprivano le natiche esponendo completamente l'ano viola alla luce fredda dei neon alogeni. "Tienile le natiche aperte mentre la inculo".Mario obbedì, pose le mani sulle mie natiche e le allargò, mettendo in bella mostra, alla merce di Lorenz, il mio buco del culo." Ti piace vederla cosi?" gli chiese Lorenzo." Si, sfondale il culo."La punta del cazzo di Lorenzo scivolò grezza contro la mia fica prima di cercare l'altra entrata, lasciando una striscia umida sulla pelle infiammata. Sentii la sua mano appiccicosa premergli le palle contro il mio perineo mentre si preparava. Il primo centimetro entrò con uno strappo sordo, lacerando di nuovo la pelle sottile della sera precedente come una busta sigillata male. Le mie unghie graffiarono la superficie del tavolo freddo sotto il mio vis, poi Lorenzo affondò completamente con un singolo colpo brutale. Il suo enorme cazzo era sparito interamente dentro di me mentre mio marito lascio le mie natiche e si pario pantaloni iniziando a masturbarsi."Guarda come si masturba tuo marito" mi disse Lorenzo, digli quando ti piace e quanto sei troia."" Si mi piace , spingilo tutto dentro , sono la tua troia." poi sempre guardando mio
marito negli occhi, aggiunsi:" Amore e bellissimo, mi sta facendo godere tanto ,digli di continuare cosi voglio venire, voglio che mi spacchi il culo per il tuo piacere." A quelle parole Mario non riuscì a trattenersi e mugolando, "Si amore, ora sei la sua troia." mi sborrò in faccia tutto il suo sperma caldo. Venni anche io in un fremito infinito mentre sentivo Lorenzo che affondava sempre più dentro di me con violenza come se fosse un martelletto pneumatico. Ogni spinta mi sollevava sulle punte dei piedi, il mio corpo sbatteva contro il bordo del tavolo lasciando macchie di sudore sulla superficie lucida. L'odore dello sperma fresco di Mario si mischiava all'acre profumo della mia eccitazione mentre Lorenzo mi teneva i fianchi affondando la punta delle dita nei lividi viola. "Sborra anche tu." implorai sfinita verso Lorenzo" riempimi il culo con la tua sborra. Lorenzo impiegò ancora sette spinte profonde prima che il suo respiro si facesse un rantolo strozzato. Sentii il suo corpo irrigidirsi come un arco teso, poi un getto violento di calore che mi inondò le viscere in pulsazioni lunghe e vischiose. Rimase immobile per un secondo, il cazzo ancora pienamente sepolto nel mio ano gonfio mentre lo sperma colava lungo le mie cosce tremanti. Quando si ritrasse, un fiotto caldo sgorgò dalla mia apertura viola macchiando il pavimento sotto lo sguardo fisso di mio marito. Le ginocchia cedettero completamente mentre scivolavo giù dal tavolo, le mani che cercavano appiglio su una sedia di legno mentre il mio corpo tremava per l'adrenalina residua. Lo specchio sopra il lavello rifletteva la scena: Lorenzo che si aggiustava la cintura con un sorriso soddisfatto, Mario che si puliva le mani sporche di sperma sul grembiule, e io accovacciata sul pavimento con le gambe aperte, il rossetto sbavato e l'ano che pulsava aperto come una stella marina ferita. Un silenzio greve calò sulla cucina, rotto solo dal graffio infinito del disco che aveva finito la sua traccia. Mario si avvicinò lasciando cadere il grembiule macchiato. Le sue dita calde mi accarezzarono la guancia pulendo una goccia del suo sperma che ancora colava lentamente. "Ora puoi andare disse mio marito, rivolgendosi a Lorenzo." Lui capì e non obiettò, si vestì e andò via." Sei tutta sporca" mi disse, mi pese in braccio e mi adagiò sul divano pancia in giù. Mi fece allargare le gambe e inizio a leccare a fondo tutto quello sperma che grondava dal mio culo unitamente ai miei umori regalandomi un rinnovato piacere. Quando ebbe finito di pulire mi fece tirare su. Il suo cazzo era nuovamente duro, salii a cavalcioni su di lui e me lo infilai lentamente nella fica e in quella posizione, con movimenti lentissimi facemmo finalmente l'amore come non lo avevamo mai fatto prima. Ora ero tornata ad essere Elisa, l'amore della sua vita.
FINE
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