Virginia. Puttana in prestito d'uso

decurt
7 days ago

Era quasi l’ora di cena. Stavo per mettermi a tavola quando qualcuno bussò alla porta.

Aprii, e davanti a me c’era Roberto, il professore del piano di sopra. Camicia abbottonata fino al collo, capelli pettinati all’indietro, lo sguardo più nervoso del solito.

«Buonasera Diego… scusa se disturbo, ma avrei un favore da chiederti.»

Non mi aveva mai cercato per nulla. Era uno di quelli che uscivano solo per la posta o per il medico.

«Dimmi pure.»

«Avrei dovuto ricevere… una visita. Un’abitudine che ho da qualche anno, da quando è mancata mia moglie. Una donna, discreta, gentile. La pago per tenermi compagnia una volta al mese. Nulla di scandaloso, ma…» fece una pausa, «questa sera non riesco a… partecipare. E non mi va di farla tornare indietro. È già stata pagata.»

Lo guardavo in silenzio. Pensavo fosse uno scherzo. Poi lui abbassò la voce. «Vorrei sapere se… potresti sostituirmi.»

Alzai un sopracciglio, accennando un sorriso incredulo. «Professore, guarda, apprezzo la fiducia, ma non mi sembra il caso. Magari un’altra volta…»

«Diego…» mi interruppe lui, «non devi fare nulla che non vuoi. Ma… eccola.»

Mi voltai. In fondo al corridoio, illuminata dalla luce gialla del pianerottolo, c’era lei. Capelli biondi, mossi, lunghi fino a metà schiena. Occhi azzurri, profondi. Un vestitino cortissimo, color crema, aderente come una seconda pelle. Le gambe lunghissime. Tacchi alti. Un corpo da copertina.

Mi sorrise con calma. E quel sorriso bastò a far saltare ogni intenzione di rifiuto.

Si avvicinò, porgendomi la mano. «Tu devi essere Diego.» La sua voce era morbida, calda, con una leggera inflessione straniera. «Virginia.» «Piacere… in tutti i sensi, spero.»

Il professore tossicchiò. «Io sarò solo… spettatore. Nessuna interferenza.»

Un attimo dopo eravamo dentro casa sua. Il soggiorno era in penombra, luci soffuse, tappeto persiano, un divano lungo e una poltrona di pelle più in fondo, dove lui si sedette senza dire altro.

Virginia si avvicinò a me e sorrise. «Abbiamo un’ora, Diego.» «Se sei a disagio… lo dici. Ma non sembri il tipo che si tira indietro.»

«Va bene,» dissi solo.

Lei mi prese la camicia e iniziò a sbottonarla lentamente.

Poi si girò, di spalle. Con una lentezza studiata, lasciò che le spalline del vestito le scivolassero giù dalle braccia. Il tessuto cadde ai piedi, come liquido. Sotto: niente. Nuda. Fiera. Il suo corpo sembrava disegnato: gambe lunghe, vita sottile, fianchi larghi e pieni. Il culo, tondo e fermo, perfetto.

Si voltò, completamente nuda. «Ti piace quello che vedi?» Annuii. Non serviva altro.

Si avvicinò al divano, si sedette sulle mie gambe e mi baciò piano. Non era un bacio veloce. Era lento, profondo, pieno. Le sue mani scorrevano lungo il mio petto, le mie vagavano sulla sua schiena, lungo le curve morbide.

Quando le mie dita scesero tra le sue gambe, lei non si tirò indietro. Anzi. Si aprì leggermente. «Non avere fretta», sussurrò.

Dopo lunghi minuti così, si tirò su in ginocchio, nuda sopra di me, e mi sfilò i pantaloni lentamente, come se fosse un rituale. Non lo faceva per correre. Lo faceva per accendere, poco alla volta.

La sua mano riuscì a malapena ad avvolgere la mia asta. «Sei più grosso di quanto mi aspettassi».

Poi, si chinò. La bocca calda, le mani morbide che mi tenevano fermo. La testa che si muoveva lenta. Non era solo piacere fisico: era tecnica, era maestria. Ogni tanto sollevava gli occhi e mi guardava.

Il professore non parlava. Solo un respiro lento, distante, quasi rispettoso.

Non c’era fretta. C’era solo un crescendo continuo. Un gioco silenzioso tra lei e me, e quel terzo sguardo in fondo alla stanza che, paradossalmente, rendeva tutto ancora più intenso.

Dopo un po’, si fermò. Salì di nuovo sopra, con calma. Poi si abbassò piano, e quando mi prese dentro, un lungo sospiro le uscì dalle labbra. «Oh… mi sento piena. Cazzo Diego, è proprio grosso il tuo fratellino» La penetrai con forza, il mio cazzo scivolava dentro e fuori dalla sua figa bagnata. Gemeva e si dimenava, le sue pareti si stringevano intorno a me mentre si avvicinava al suo primo orgasmo. Le mie palle si contraevano mentre la scopavo più forte e più velocemente.

Le mani del professore strofinavano con fermezza il suo cazzo, sperando in una erezione che continuava a mancare. Lo sguardo, calmo. Ma attento. Viveva la scena attraverso di noi. Ma non parlava. Non era necessario.

Quando Virginia venne, lo fece senza urla. Ma si sentì tutto. Il tremore delle gambe, la pressione delle unghie sulle mie spalle, il respiro spezzato. Si fermò un attimo sopra di me, ancora a cavalcioni, il respiro un po’ più corto. Poi si sollevò. In piedi. Sul divano. Nuda. La pelle abbronzata lucida di sudore. Le gambe leggermente divaricate, il sesso umido che brillava sotto la luce soffusa del soggiorno.

Mi guardò dall’alto, dominandomi. «Assaggiami, Diego.»

Mi alzai leggermente e la presi per i fianchi. Lei si piegò appena in avanti, portandomi il bacino contro il viso. Il profumo era intenso. Il sapore, ancora meglio. Le mie mani stringevano la carne viva delle sue cosce mentre la lingua si muoveva lenta, esplorando, affondando. Lei gemeva piano, muovendosi con piccoli scatti, guidandomi.

«Lì… proprio lì…» sussurrava, con voce roca. La sentivo fremere, inarcarsi, premere contro la mia bocca.

E poi, senza dire nulla, si abbassò. Scese lentamente, lasciandosi guidare dal mio corpo. Con precisione, si sedette su di me. E se lo prese tutto.

Il calore della penetrazione fu immediato. Era bagnata. Calda. Stretta.

Poi cominciò a muoversi. Prima con lentezza, come se volesse sentire ogni centimetro, poi con più ritmo, cercandomi, stringendomi con le cosce, con il ventre, con tutto il corpo. La guardai. Era bellissima. Una Dea, come avevo pensato appena l’avevo vista nel corridoio. Ma ora non era più una visione: era carne, sudore, odore, suono.

Il professore osservava. Immobile, ma con gli occhi pieni di qualcosa di difficile da decifrare: forse rimpianto, forse invidia, forse solo gratitudine.

Virginia venne una seconda volta. Forte. Poi si lasciò andare su di me, respirando ancora più veloce. Mi sussurrò qualcosa che non capii. Forse una parola in un’altra lingua. O forse solo un suono di piacere.

Poi si spostò. Mi fece sdraiare sul divano, le gambe larghe, e si chinò di nuovo. Mi prese in bocca. Ancora. Questa volta senza lentezza. Decisa. Come se volesse chiudere quel cerchio iniziato un’ora prima. Lo fece finché non esplosi. Forte. Dentro la sua bocca. Lei non si tirò indietro. Non smise.

Quando si tirò su, si passò la lingua sulle labbra e sorrise. «Perfetto. Al minuto giusto». «È stato fantastico. Il tuo cazzo è fottutamente incredibile».

Sorrisi, provando un'ondata di orgoglio.

Poi si alzò e si diresse verso il Professore. Si mise in piedi di fronte a lui e indicò la sua fica ancora bagnata dai suoi umori. Quando si tirò su, si passò la lingua sulle labbra e sorrise. «Ora tocca a te. Datti da fare».

Il professore inizio a leccarla poi si fermò un attimo, alzò lo sguardo e incontrò i miei occhi. «Grazie, Diego». «Non hai idea di quanto questo significhi per me».

Annuii.

E mentre Virginia gemeva e si contorceva sotto la lingua del professore, mi rivesti e uscii dall’appartamento.