Marco. OraL et Labora

decurt
4 days ago

Stavo tornando a casa dal supermercato. Sentii delle urla. Riconobbi la voce: era Marco, il mio vicino. Mi precipitai alla sua porta e il rumore di una lotta all'interno mi fece battere il cuore. Aprii la porta spingendo con forza e ciò che vidi mi fece ribollire il sangue.

Tony, l'ex di Marco, lo teneva bloccato a terra, con i pugni alzati. «Sei una fottuta troia!». Tony sputò, la sua voce era un ringhio feroce. «Ti farò a pezzi, Marco. Ti inculerò a sangue».

Mi fiondai su Tony, tirandolo via da Marco. «Lascialo stare, cazzo!» Lui indietreggiò, con gli occhi sorpresi e impauriti. Non aspettai che si riprendesse. Lo buttai fuori dall'appartamento e sbattei la porta.

Marco perdeva sangue dal naso, aveva il volto livido e tremava come una foglia. «Diego», sussurrò, con la voce roca per l'emozione. «Grazie».

Lo aiutai a rimettersi in piedi, con la rabbia che ancora ribolliva. «Chi cazzo si crede di essere?». mormorai, con le mani ancora strette a pugno.

«Grazie, Diego. Sul serio… non so cosa sarebbe successo.» «Tutto ok? Vuoi che chiami qualcuno?» «No. Ho solo bisogno di una doccia» e aggiunse con un sorriso tirato «...e magari offrirti un pranzo domani, se ti va. Per sdebitarmi.»

Scossi la testa. «Non mi devi niente, Marco. Lascia perdere».

Ma Marco aveva altre idee. «Voglio ringraziarti, Diego. Come si deve».

 

L’indomani, poco dopo mezzogiorno. Marco aveva sistemato un tavolino con due sedie nel suo giardino. Ombrellone aperto, bottiglia già stappata. Il sole picchiava, ma si stava bene. Io mi ero messo in camicia leggera e pantaloni chiari. Marco no: pantaloncini larghi, torso nudo, pelle dorata e sudata.

«Non ti dispiace mangiare fuori, vero?» «Anzi. Ottima idea.»

Abbiamo mangiato, bevuto, parlato. E piano piano dopo una bottiglia di bianco già mezza finita, il tono si è fatto più diretto.

«Sai, Diego…» ha detto lui, passando lentamente il dito sul bordo del bicchiere, «sei un tipo interessante. Non penso che qualcun’altro avrebbe avuto il coraggio di mettersi in mezzo come hai fatto tu ieri.» «Non sopporto chi alza le mani. Punto.» «Lo so. Ma resta il fatto che mi hai salvato. E a me piace ringraziare bene chi si comporta da uomo.»

Silenzio. Ho bevuto. Lui mi ha guardato negli occhi. «Hai mai ricevuto un pompino da un uomo?»

Mi sono bloccato. Ho tossito piano. «No.» Deglutii a fatica. «Marco, non sono...».

«Gay?», mi interruppe, con un sorrisetto sulle labbra. «Lo so.».

Si è alzato, ha preso le nostre forchette e le ha portate dentro. Io sono rimasto lì, col cuore che batteva un po’ più veloce del normale.

È tornato e si è seduto accanto a me. Prima eravamo uno di fronte all’altro. Ora era troppo vicino.

«Nessun coinvolgimento. Solo una cosa fatta bene. E credimi, io sono bravo davvero.»

Non sapevo cosa dire. Ma non mi stavo alzando. Non mi stavo tirando indietro. Stavo per rispondere qualcosa quando alle nostre spalle si è sentito uno scatto secco. La portafinestra del giardino accanto. Era Lucia.

Era dall’altra parte della siepe, in piedi. Indossava un vestitino in maglina grigia, uno di quelli da casa, attillato, morbido. Niente reggiseno. I capezzoli spingevano contro il tessuto sottile, e si vedevano — appuntiti, provocanti. «Ciao, ti vedo… pensieroso. Giornata pesante? O troppo stimolante?»

Le ho sorriso, cercando di non fissare troppo. Ma la verità è che non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla forma che disegnavano quelle grosse aureole che increspavano la stoffa all’altezza del seno. « Tutto bene, Lucia. Solo… un pranzo fuori dal solito.»

Lei si è avvicinata alla siepe, piegandosi leggermente in avanti, fingendo di controllare una pianta. Le punte dei seni sembravano volermi saltare addosso. «Mh… immagino. Con Marco, poi. È… fantasioso.»                                                                                                    «Uh… occhio, Diego. Una volta che ci entri in certi giri… tornare indietro non è facile.»

È rientrata piano. Quel culo largo e fiero ondeggiava sotto la maglina come un pendolo, e con la certezza che anche questa volta non avesse le mutande, io l’ho seguito con lo sguardo finché non è sparita.

Marco era riapparso subito dopo, con due bicchieri in mano. « Che ti ha detto la signora?»                                                                                                                                                  «Che devo stare attento.»                                                                                                                                                                     «Ha ragione. Ma ormai sei fregato. Hai la faccia di uno che vuole capire cosa si è perso per troppo tempo. Andiamo dentro. Fa troppo caldo qui fuori. E poi… c’è più privacy.»

L’ho seguito. Entrando, la temperatura era più fresca, ma l’atmosfera era decisamente più calda.

Marco ha poggiato i piatti sul lavello, poi si è avvicinato. Molto. «Dicevi che sei curioso, no?» «Non ho detto esattamente così.» «No. Ma non ti sei nemmeno tirato indietro.»

La sua voce era più bassa. Lo sguardo dritto nei miei occhi. Mi ha sfiorato la cintura con due dita. «Puoi ancora dire di no. Ma se resti fermo così, vado avanti.»

Non ho detto nulla. E non mi sono mosso. Non avevo mai sentito nulla di simile. Era un misto di imbarazzo, eccitazione e… qualcosa che non sapevo nominare.

«Tranquillo, Diego. Non devi fare nulla. Lascia fare a me. E fidati… ti dimenticherai anche di essere etero.»

Poi, senza una parola, si è avvicinato e mi ha sfiorato il petto, ancora coperto dalla camicia. Le sue dita sono passate lente tra i bottoni, aprendoli uno a uno. Quando le sue labbra hanno sfiorato il mio collo, ho chiuso gli occhi. Un brivido mi è salito lungo la schiena. Non pensavo che potesse essere così.

Mi ha spinto con delicatezza verso il divano. Non c’erano ordini, solo inviti silenziosi. Mi sono lasciato andare. Il suo corpo si è fatto più vicino, caldo, sicuro. Le sue mani hanno cominciato a esplorare, lente, precise, come se sapessero già dove andare.

«Lascia fare a me…».

Si inginocchiò davanti a me, senza mai staccare gli occhi dai miei. Prese in mano il mio cazzo che si stava indurendo, accarezzandolo dolcemente. Si chinò verso di me, il suo respiro caldo contro la mia pelle. Mi guardò, con gli occhi pieni di desiderio. «Sei pronto?», chiese, la sua voce era appena un sussurro.

Annuii e lui me lo prese in bocca. La sensazione fu travolgente. La sua lingua vorticava intorno al mio cazzo, le sue labbra si stringevano intorno alla mia asta. Lo prese più a fondo, la sua gola si strinse intorno a me. Ansimavo e le mie mani si infilavano nei suoi capelli.

Il suo ritmo era costante. Succhiava più forte, incavando le guance. Con la mano mi accarezzò la base del cazzo, le dita mi stuzzicarono le palle. I miei fianchi si muovevano involontariamente. Era bravo, così fottutamente bravo.

«Ti piace, vero?». Marco mormorò, tirandosi indietro quel tanto che bastava per parlare. «Ti piace la mia bocca sul tuo cazzo».

Non potevo negarlo. Ero perso nelle sensazioni, il mio corpo era in fiamme. Marco lo riprese in bocca, ancora più a fondo, la sua testa si muoveva mentre mi succhiava. Le sue mani mi afferrarono il culo, tirandomi più vicino, esortandomi a scopare la sua bocca.

Mi adeguai, muovendo i fianchi in un ritmo costante. La bocca di Marco era un paradiso, bagnata, calda e stretta. Sentivo il mio orgasmo crescere, le mie palle stringersi. Marco gemeva intorno al mio cazzo.

Venni con forza, il mio cazzo pulsava mentre riempivo la bocca di Marco. Ingoiò ogni goccia, senza mai staccare gli occhi dai miei. Quando finalmente lo tirai fuori, si leccò le labbra, con un sorriso soddisfatto sul viso. «Hai un sapore così buono» disse, con voce roca. «Ti avevo detto che avresti trovato un piacere che non hai mai conosciuto», disse, la sua voce piena di soddisfazione.

Lo guardai, con il corpo ancora formicolante per le conseguenze dell'orgasmo. Sorrisi, un sorriso malizioso si allargò sul mio viso. «Forse dovrei ringraziarti», dissi, con la voce piena di desiderio.

Marco rise, con un suono basso e sensuale. «Forse dovresti», disse, con gli occhi pieni di promesse. «Non ho mai avuto un cazzo così grande e grosso. Potrai scoparmi quando vuoi».

Abbassai lo sguardo su di lui, ancora ansimante. «Marco, io...».

«Non devi dire nulla», mi interruppe, alzandosi in piedi. «Sappi solo che sono qui. E la prossima volta, forse vorrai scoparmi. Forse vorrai sentire il mio culo stretto intorno al tuo cazzo».

Marco si chinò, le sue labbra sfiorarono le mie. «Pensaci, Diego. Pensa a quanto potrebbe essere bello».