Cosetta
COSETTA L'aria della camera da letto era pesante, densa dell'odore di legno vecchio e di qualcos'altro, qualcosa di stucchevole e dolce. Granelli di polvere danzavano nell'unico raggio di sole che penetrava le tende tirate, illuminando il logoro motivo floreale della carta da parati. Un debole scricchiolio echeggiava dal corridoio, un suono che faceva sempre stringere lo stomaco a Cosetta. Suo padre, Giovanni, entrò nella stanza, la sua ombra allungata e distorta sulle assi del pavimento. "Ancora sveglia?" chiese, con la voce un basso brontolio che vibrava nel silenzio. I suoi occhi, scuri e dalle palpebre pesanti, la scrutarono, indugiando sulla sottile spallina della sua camicia da notte. Cosetta tirò su il lenzuolo, un gesto inutile contro il freddo improvviso che le pungeva la pelle. "Non riuscivo a dormire." Un sorriso lento si diffuse sulle sue labbra, non un sorriso caldo, ma uno che sembrava sezionarla. Si mosse ulteriormente nella stanza, le assi del pavimento scricchiolavano sotto il suo peso. Il suo odore – tabacco stantio e qualcosa di muschiato – si fece più forte. "Pensieri agitati?" "Solo... pensieri." La sua voce era sottile, stridula. Desiderava che l'oscurità la inghiottisse completamente. Lui si sedette sul bordo del letto, il materasso che sprofondava sotto di lui. Le molle protestarono con un lungo, prolungato lamento. La sua mano, grande e callosa, si allungò, le punte delle dita le sfiorarono la guancia. Un brivido, non di freddo, ma di qualcosa di molto più profondo, la percorse. "Pensi sempre troppo, uccellino", mormorò, accarezzandole la pelle con il pollice. Il suo tocco era come un marchio. "A volte è meglio solo... sentire." Il suo respiro si fermò. Osservò i suoi occhi, pozze scure che riflettevano la luce fioca, mentre il suo sguardo si abbassava sulle sue labbra. Poteva sentire il calore irradiarsi dal suo corpo, un calore opprimente che soffocava l'aria. "Papà, cosa stai facendo?" La sua voce era appena un sussurro, una disperata richiesta di normalità. "Sto solo consolando mia figlia", rispose, con la voce come un filo di seta che le si intrecciava intorno. Le sue dita le percorsero la mascella, il collo, poi si infilarono sotto il tessuto sottile della camicia da notte. Le si accapponò la pelle. "Sei così bella, Cosetta. Proprio come tua madre." Un suono strozzato le sfuggì dalla gola. Il paragone le sembrò una violazione, una trasformazione del sacro in profano. Le sue dita le sfiorarono il seno, un tocco leggero e provocante che le irrigidì tutto il corpo. "Non farlo", gemette, spingendosi debolmente contro il suo petto. Le sue mani sembravano inutili, come piume contro la pietra. Lui ridacchiò, un suono basso e gutturale che sembrò vibrare nel suo petto. "Non essere timida, piccola. Siamo una famiglia. Non ci sono segreti tra noi." La sua presa si fece più forte sul suo seno, il pollice le circondò il capezzolo attraverso il tessuto. Le sfuggì un sussulto acuto. L'aria era improvvisamente troppo rarefatta, troppo calda. "Va tutto bene", sussurrò, il viso vicino al suo, il suo odore travolgente. Le sue labbra le sfiorarono la tempia, poi si spostarono sul suo orecchio. "Rilassati. Lascia che papà si prenda cura di te." La sua mano si mosse più in basso, spingendole la camicia da notte sulle cosce. L'aria fresca della notte le incontrò la pelle,poi i calli ruvidi e caldi del suo palmo. Un gemito la strappò. Chiuse gli occhi con forza, desiderando l'oblio, che il mondo semplicemente cessasse. Le sue dita trovarono la pelle morbida e sensibile tra le sue gambe, premendo, poi esplorando. Un sussulto, lacerante e rotto, le uscì dalle labbra. "Vedi?" mormorò, la sua voce un basso ronzio contro il suo orecchio. "Non è così male, vero?" Si chinò, la sua bocca coprendo la sua, un bacio aspro e prepotente che le tolse il respiro. La sua lingua, spessa e insistente, si fece strada tra le sue labbra, esplorando la morbida cavità della sua bocca. Sentì il sapore del tabacco, aspro e metallico, e qualcos'altro, qualcosa che non sapeva nominare ma da cui istintivamente si ritraeva. Le sue mani, ancora intrappolate tra i loro corpi, spingevano contro di lui, ma lui era un peso pesante, immobile. L'altra mano di lui si fece strada sotto la sua camicia da notte, sollevando il tessuto, arrotolandolo intorno alla sua vita. Le sue dita, ruvide ed esperte, trovarono la sua umidità, una viscida testimonianza del tradimento del suo corpo. Le strofinò il clitoride, una pressione brusca e insistente che le provocò una scossa simile al dolore, poi uno strano, sgradito calore. "Sei così bagnata per papà", le sussurrò contro la bocca, con la voce roca di desiderio. "Che brava ragazza." Si tirò indietro leggermente, quel tanto che bastava per guardarla negli occhi spalancati e terrorizzati. Si slacciò i pantaloni, il rauco scricchiolio della cerniera un suono assordante nella stanza silenziosa. Il suo pene si liberò, spesso e congestionato, un'ombra scura contro la sua pelle pallida. Lei spalancò ulteriormente gli occhi, il respiro le si fermò in gola. "Apri per papà", ordinò, con la voce che perdeva la sua setosità, diventando più ruvida, più esigente. Si posizionò, il pene premuto contro la sua entrata già umida. La punta, un fungo scuro e violaceo, la spinse contro. Lei gemette di nuovo, un suono strozzato e disperato. "Dai, uccellino", la incitò, i fianchi che cominciavano a spingere, un ritmo lento e deciso. "Proprio come ci siamo allenati." Un dolore acuto e bruciante la trafisse mentre lui spingeva dentro. Il suo corpo si contorse, un urlo silenzioso le rimase in gola. Lui grugnì, un suono di soddisfazione, mentre si affondava dentro di lei. Iniziò a muoversi, prima lentamente, poi sempre più velocemente, i suoi testicoli che le schiaffeggiavano il sedere a ogni spinta. L'aria era piena del suono umido e vischioso della carne contro la carne, del cigolio delle molle del letto e dei suoi stessi respiri affannosi. Si chinò, la sua bocca trovò il suo collo, succhiando e mordendo, lasciando una scia di baci crudi e ardenti. Il suo respiro si fece affannoso, le sue spinte si fecero più profonde, più frenetiche. Lo sentì gonfiarsi dentro di sé, una presenza calda e pulsante che la riempiva completamente. Un gemito basso gli rimbombò nel petto, poi un ultimo grido gutturale mentre si riversava profondamente dentro di lei, il corpo tremante per la forza del rilascio. Crollò su di lei, un peso pesante e soffocante. La stanza roteò, l'odore di sesso e sudore travolgente. Dopo un lungo istante, si ritirò, un suono umido e sguazzante echeggiò nel silenzio. Si sistemò i pantaloni, i suoi movimenti erano disinvolti, come se non fosse successo nulla di insolito. Si chinò, stampandole un bacio sulla fronte. "Dormi bene, uccellino", mormorò, con voce di nuovo dolce. "Papà ti ama." Si alzò dal letto, lasciandola con il corpo dolorante e la mente intorpidita. La porta si chiuse con uno scatto, immergendo la stanza in un'oscurità più pesante, più soffocante, di prima.
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