sognando l'Africa

24 anni , appena laureata, dopo la festa tolsi il serto d’alloro dalla testa, e, nella mia mansarda cominciai a pensare che quello, era solo l’inizio, il mio apprendistato sarebbe cominciato dopo tre giorni presso lo studio di una veterinaria di Milano che era stata anche una delle mie docenti, la proposta, anche se non di tipo economico, era stata lusinghiera per me, anche se non sognavo di occuparmi di cani e gatti, io sognavo le grandi pianure africane, avevo fatto diverse domande ma non avevo mai ricevuto risposte.
Non avevo più genitori che potessero congratularsi con me, solo una bottiglia di Veuve Cliquot che aspettava di essere aperta ed il mio tablet pieno di immagini di animali africani catturati nel loro habitat naturale.
Amavo gli animali, con la loro innocenza, dopo tre mesi in ambulatorio iniziai anche ad eseguire qualche piccolo intervento ricevendo i complimenti dei colleghi, ma come sarebbe stato curare un leone ferito anziché sterilizzare un gatto? Probabilmente non lo avrei mai saputo.
Ottenni uno stage estivo presso lo zoo di Berlino, un mese di lavoro con animali diversi e accolsi con gioia la proposta, non dovetti fare nessun intervento particolare, solo interagire con animali diversi dai gatti e cani ai quali ero abituata, fu molto istruttivo e tornai in Italia con il morale più alto.
Per Natale ricevetti come regalo, un invito a partecipare, vicino Nairobi, ad uno stage di 15 giorni circa i danni causati dal bracconaggio, sicuramente qualcuno da Berlino ci aveva messo una buona parola per me.
Avrei partecipato sicuramente ad una serie di conferenze con contributi visivi che, sicuramente, avrebbero chiarito le dinamiche e le motivazioni del contrabbando di animali.
La cosa interessante era che molti erano africani, interessanti quindi al futuro delle specie che abitavano i loro territori, io me la cavavo con il mio inglese un po’ pressapochista ma poi distribuirono delle pubblicazioni con i testi delle conferenze. Ci raccontarono anche che c’erano bande organizzate che lavoravano per committenti, per lo più stranieri, per procurare loro quello che gli serviva, pagate , per lo più molto poco che non disdegnavano quindi vivere anche di altri espedienti, decisamente poco legali, una prospettiva poco piacevole quella di averci a che fare.
Tornata a Milano, a parte la temperatura, non mi sembrò ci fosse un grosso cambiamento, dove ti giravi erano neri, per le strade, in metropolitana, sui tram, nelle piazze, quello che cambiava era lo sguardo che avevano quando ti guardavano, non quello fiero delle proprie origini ma quello lascivo che induceva pensare quello che ti avrebbero fatto.
Tanto sicura mi sentivo a girare a Nairobi tanto meno a girare a Milano, erano continui gli apprezzamenti che subivo per strada, come i tentativi di approccio, nonostante lo spray al peperoncino non m sentivo affatto sicura, una volta fu un poliziotto a togliermi dall’imbarazzo ma non c’era un agente ogni volta.
Quella volta fui disattenta, dopo una serata con compagni di università mi avviai verso la mia auto al parcheggio , veramente non molto distante dal locale, un centinaio di metri, sono sempre stata appassionata di pulmini volkseagen e ne ho uno semicamperizzato, arrivata visino alla portiera, già con la chiave in mano, una spinta da dietro mi fece sbattere contro la carrozzeria e le chiavi tolte di mano, mi ritrovai spinta all’interno con uno che mi stava addosso mentre sentivo il mio pulmino mettersi in moto e partire, non fu un percorso lungo ma sicuramente scomodo schiacciata com’ero sul pavimento.
I sobbalzi mi fecero capire che eravamo su una strada di campagna, poi il pulmino si fermò e mi trascinarono giù, alla luce del furgone vidi che ne avevo intorno tre, a parte uno più basso gli altri erano alti e grossi e chiaramente, tutti neri, il più piccolo aveva in mano quello che mi sembrava un machete, ridevano tutti e tre con i loro denti sdentati, io in piedi con la schiena contro il pulmino tremavo davvero di paura, me la feci nelle mutandine, lo ammetto, forse fu quello a farli ridere ancora di più.
Volevano divertirsi, il piccolo passò la lama del machete di piatto sulla mia faccia poi scendendo fece saltare i bottoni della mia camicetta mostrando il mio reggiseno che poi tagliò sul davanti, gli altri due strapparono quello che restava buttandolo per terra, poi mi spinsero all’indietro facendomi sedere sul pianale del pulmino ed uno dei tre estrasse l’uccello dai pantaloni della tuta e me lo spinse in bocca, sentivo la puzza ma non potevo fare altro che succhiarlo, respirando profondamente con il naso perché era grosso, intanto sentivo delle mani che palpavano il mio seno stringendolo ed un'altra che si infilava sotto la mia gonna per poi artigliare e strappare le mie mutandine. La mia speranza era solo di rimanere viva, in quel momento.
Poi venni spinta all’indietro a sdraiarmi, le mie gambe prese e tirate in avanti fino a che sentìì tra le cosce il cazzo di quello che prima avevo in bocca spingere e penetrarmi di colpo facendomi mancare il respiro, e poi iniziare a scoparmi con un’irruenza dolorosa, era grosso e deciso nei suoi affondi non potevo non urlare ad ognuno di essi, fu il piccolo a salire sul mezzo e ad infilarmi, questa volta, il suo cazzo in bocca mentre l’altro mi scopava, se possibile puzzava ancora di più, l’altro era sparito dalla mia visuale.
Dopo che il primo mi aveva inondato con il suo sperma e si era allontanato fu il piccolo a farmi girare e mettermi in ginocchio con la pancia appoggiata al pavimento del pulmino e mi prese da dietro, con la stessa irruenza del primo, fu il fatto che il terzo che ora vedevo, mi teneva con il suo cazzo in bocca a non farmi andare avanti ad ogni colpo del piccoletto che non fu per niente più veloce del primo ma decisamente prodigo di sperma anche lui, il terzo ci mise più tempo e più calma e mi morse anche intorno ai capezzoli, mai ero stata scopata così, provai anche piacere naturalmente, ne sono consapevole, ma quasi non me ne accorsi. Restai stesa sul pianale del mio furgone mentre i tre bevevano birra e pisciavano di fianco al furgone sperando che avessero finito ma non fu così, si ripresero e mi fecero uscire dal pulmino, mi legarono in piedi le mani al portapacchi sopra il tetto in modo che rimanessi in piedi con la pancia contro la carrozzeria e i due più grossi mi si misero dietro, il dolore fu forte quando uno per uno sverginarono il mio culetto aiutandosi uno con l’altro e le dita di una e dell’altro, mentre lo facevano si infilavano nella mia figa già martoriata, per l’ultimi mi fecero piegare in due inginocchiandomi praticamente per terra in modo che potesse comodamente sistemarsi dietro di me e fare i suoi porci comodi. Quando se ne andarono lasciandomi lì per terra sporca di sperma e sangue portarono via anche il mio pulmino ma mi gettarono sopra una coperta che usavo come coprisedile. Le prime luci del sole mi dettero la forza di trascinarmi usando la coperta come indumento nella direzione in cui era andato il furgone, mi trovarono, grazie ad un agricoltore due ore dopo portandomi in ospedale. Nei miei sogni c’è sempre l’Africa ma ho sostituito lo spray al peperoncino con una calibro 22, sarei stata capace di usarla? Non lo so, direi una sciocchezza, però ce l’ho
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