l'istinto di una troia

Non so cosa mi sia preso ma ho accettato l’invito per la festa dei vent’anni dal diploma, nemmeno ricordo i miei compagni, perché cazzo ho accettato, in un ristorante con una trentina di quarantenni , o quasi, semisconosciuti.
È un sabato, avrei potuto andare a fare un week end in montagna, la mia vicina, che ha anche lei un monolocale a Montecampione, dice che c’è una bella neve e che stanno facendo lavori per migliorare la località che è un po’ calata di qualità, invece sono qui a decidere cosa mettere a questa cena, magari avrei conosciuto un affascinante maestro di ski e avrei passato una notte di sesso sfrenato con lui, invece ero a Milano, a casa mia, davanti al mio armadio.
Ho un negozio di articoli sportivi, soprattutto abbigliamento da donna, ho lasciato la chiusura alla mia commessa per poter essere libera prima e poter andare dalla parrucchiera che, alla fine ha deciso di acconciarmi cercando di controllare la mia massa di capelli ricci e neri e il risultato, allo specchio, non mi dispiaceva, optai poi per un vestito sopra il ginocchio, molto sopra il ginocchio, che mi lasciava le spalle nude ed era molto aderente con degli stivali, sempre neri con tacco 8, un leggero collier d’oro con orecchini e bracciale in parure , sotto un reggiseno senza spalline collegato al vestito un perizoma nero e calze leggermente velate color carne autoreggenti. Nel complesso mi piacevo, una mantella grigia e nera completava il tutto.
Il locale non era male, come pensavo non riconobbi quasi nessuno a parte una che era stata mia vicina di banco e, a parte il colore dei capelli era uguale, avevano preparato una lunga tavolata senza nessuno ai due capo tavola, in modo che fossimo tutti di fronte a qualcuno, la disposizione classica uomo, donna, uomo mi collocò tra un mio compagno pelato con gli occhiali che non ricordavo ed il gigante della classe alto quasi 2 metri ed altrettanto stronzo da quello che ricordavo, il vocìo era notevole, il mio vicino che no ricordavo parlava continuamente, io mangiavo, facevo finta di ascoltare annuendo e bevevo, il vino rosso era buonissimo, il gigante dall’altra parte parlava poco però avevo lanciato uno sguardo al suo piatto ed era sempre pieno, eravamo un po’ stretti e la sua gamba premeva contro la mia, ma non ci feci caso, feci caso, invece, anche se un po’ su di giri per il vino, alla mano che risaliva la mia gamba e si infilava all’interno della mia coscia, cercai di stringerle ma la pressione era forte, allora ci infilai la mia mano destra per aiutarla ma venne bloccata per il polso, una stretta d’acciaio , ed un sussurro all’orecchio
- Mi ricordo le seghe che facevi a quelli più grandi, adesso fanne una anche a me, sei sempre stata una troietta, non ti ho dimenticato
La mia mano, tenuta per il polso, toccò il suo cazzo che aveva tirato fuori dai pantaloni e coperto con il tovagliolo, dovetti impugnarlo e cominciare a segarlo, poi, una volta iniziato lasciò il mio polso e tornò alle mie cosce insinuandosi sotto il mio perizoma e pizzicandomi la figa con le sue grosse dita, con l’altra mano strinse la mia che lo stava segando seguendone il movimento e, rivolto verso di me mi sorrideva.
I nostri maneggi erano coperti dalla lunga tovaglia ma le sue dita stavano ravanando nella mia figa che stava colando umori e facevo fatica a non fare smorfie che potessero tradirmi, mi si il tovagliolo davanti alla mia bocca usando l’altra mano, intanto il suo grosso uccello, aveva tutto di grosso accidenti, schizzò sul tovagliolo che lo copriva il suo sperma che mi impiastricciò tutta la mano, lui si chinò verso di me e mi baciò sul collo raccogliendo poi, con la sua mano il mio orgasmo e poi mi sussurrò
- Ricordavo bene che eri una troietta e non sei cambiata, andiamo via insieme così ti scopo contro un muro
La cena finì, saluti baci e lui, Arturo, non si staccava dal mio braccio
- È inutile, non verrò mai con te
- Scommettiamo? Ma prima di scoparti mi devi fare un pompino
- Tu sogni
Usciamo insieme verso il parcheggio, passa un taxi e alzo la mano per chiamarlo ma mi abbraccia stringendomi forte e poi mi porta verso un SUV bianco, mi spinge dentro e blocca le portiere.
- a scuola facevi seghe e pompini a tutti ma mai a me
- ricordi male
- non credo
- sei sempre stato uno stronzo, anche a scuola, te la prendevi sempre con i più deboli
mentre parlavo aveva tirato fuori dai pantaloni il suo cazzo che, anche se in riposo era, comunque grosso, lo vidi bene perché mi prese per il collo spingendomi la faccia verso la sua cappella
- adesso succhia troia
chiudendomi il naso con le dita mi costrinse ad aprire la bocca e ci infilò il suo cazzo muovendomi la testa con la mano e quando si irrigidì spingendomelo fino in gola, facevo fatica a tenerlo in bocca tra le labbra, poi lo sentii tremare e poi mi scaricò in gola tutto il suo sperma caldo e denso costringendomi a berlo ed ingoiarlo
- ecco sei stata brava, lo sapevo, adesso andiamo da me
- voglio scendere
- dopo, dopo , tranquilla, ti porterò a casa tua ma prima voglio scoparti. Sono vent’anni che aspetto
mi spostai il più lontano possibile da lui, contro la portiera del passeggero, arrivammo davanti ad una serranda da garage che si aprì automaticamente e lui ci entrò con tutta l’auto
- casa tua?
- No il posto dove lavoro, la mia palestra, tu invece cosa fai?
- Ho un negozio
- Di?
- Abbigliamento sportivo da donna
- Lavoriamo in campi simili
- Ma io non sono stronza come te
- Vero, sei solo una gran troia, ho visto dalla tua faccia come godevi con le ie dita infilate nella figa, anzi, l’ho trovata un po’ stretta, come mai? Pensavo ti fossi data da fare parecchio negli anni.
Non risposi e mi prese per un braccio facendomi scendere e mi spinse verso dei materassini davanti ad una spalliera
- Adesso spogliati che voglio vederti bene, ma tieni gli stivali, mi attizzano
- Non ci penso proprio
- Se vuoi ti spoglio io ma poi non avrai niente da mettere per andare a casa. Mi dispiacerebbe strapparti quel bel vestito,
feci scendere la zip posteriore e lo lasciai scivolare a terra
- Sapevo che avevi le autoreggenti, il perizoma lo avevo già toccato, toglilo
Lui si slacciò la camicia, in effetti i suoi muscoli erano evidenti, aveva il tatuaggio di una tigre che gli prendeva un braccio ed una parte del petto, poi si sfilò pantaloni e mutande rimanendo nudo scalciando le scarpe,
- Ti piace? È grosso vero? Sempre stato, ecco cosa ti sei persa a scuola, ma ti faccio recuperare io
Mi venne vicino e mi costrinse in ginocchio sui materassini
- Forza, puttana fammelo intostare ancora
e mentre me lo ficcava in bocca allungò le mani sui miei seni strizzandoli fino a farmi male, mi pizzicò i capezzoli e poi li girò, rideva mentre sussultavo per il dolore, poi mi fece alzare e spinse all’indietro facendomi sdraiare su una panca per il sollevamento pesi, prese l’asta con due pesi attaccati, per lui non erano pesanti ma per me si, la tenevo con le due mani sopra il mio collo, le gambe allargate con i piedi a toccare terra ed il busto sdraiato sulla panca, lui mi venne sopra e mi penetrò an un unico affondo, mi mancò il respiro e, quasi, lasciavo scendere il manubrio sul mio collo, ma anche le sue mani lo stringevano mentre o suoi lombi spingevano quell’asta dentro e fuori dalla mia carne, non resistetti molto ed ebbi un primo orgasmo, sentivo qualcosa di strano ma non potevo spostare la mano per toccare il suo cazzo, dopo mi accorsi che aveva un anello di metallo alla base, venni altre due volte, la seconda urlando, prima che mi inondasse la pancia con la sua sborra grugnendo.
Rimasi distesa respirando forte con i miei umori e la sua sborra che mi colavano sulle cosce
- Ti è piaciuto eh, ho visto come hai goduto, avremmo dovuto rincontrarci prima ma adesso ti ho ritrovato, tranquilla
Riuscii a lasciare il manubrio dietro la mia testa e feci per sollevarmi, anche se a fatica
- Non vorrai lasciarmi mica così presto no?
- Dai piantala, hai avuto quello che volevi no? Adesso lasciamo andare a casa e chiamami un taxi
- Ho visto una cosa che non avevo notato prima e voglio proprio provarla
- Cosa stai dicendo?
- Hai un culo splendido, sodo, natiche strette, sarà una goduria rompertelo
- Non ci pensare neanche no, non l’ho dato quasi mai, non voglio
Mi venne vicino e mi tenne per un braccio con le sue mani d’acciaio, guardandosi attorno, poi sembrò aver preso una decisione e mi portò vicino ad un cavallo, di quelli che gli atleti saltano per fare piroette, mi ci spinse contro con la pancia e mi legò le mani alle gambe usando delle corde per saltare, poi fece lo spesso con le mia caviglie dall’altro lato
- Anche se urli nessuno ti sente e non è il caso che urli adesso, tieni il fiato per dopo
- No ti prego dai mi farai male, farò quello che vuoi ma questo no
- Farai questo e anche tutto quello che vorrò in seguito
Poi vidi che prendeva una di quelle clavette che si usano in ginnastica artistica e cominciò a strofinarla, dalla parte più larga, tra le mie grandi labbra. Impregnandola con i miei umori, poi, un po’ per volta, mi forzò, con quella, il buchino del sedere soffiavo respirando forte mentre mi penetrava con quella
- Ehi godi anche così, proprio un gran troia, quelle che preferisco
Portò dei materassini da un lato del cavallo in modo da essere alla giusta altezza, poi tolse la clavetta dal mio sedere e la spinse dentro la mia figa lasciandola li e poi sentii la punta del suo cazzo spingere all’entrata del mio sfintere, anche se la prima parte era stata preparata era comunque doloroso, e spingeva un centimetro dopo l’altro, non era lunghissimo ma grosso si, e arrivai a sentire i suoi coglioni sbattere sulle mie natiche, aveva i piedi saldi a terra mentre spingeva e stantuffava nel mio culo il suo attrezzo, e non contento, con una mano armeggiava con l’asta della clavetta scopandomi con quella.
Urlavo e gemevo, mi agitavo e godevo, ogni tanto una sberla forte e dolorosa sule mie natiche come sovrapprezzo, lo sperma di Arturo colpì il mio sfintere con la forza si un idrante e, quando sciolse i lacci delle mie braccia scivolai indietro come una bambola di pezza.
Rimasi non so per quanto tempo sui materassini, ormai slegata e libera, riuscii a guadagnare la porta dei bagni dove, tolsi gli stivali e le calze e mi ficcai sotto una doccia calda, quasi bollente, trovai dei teli da bagno su una mensola e mi asciugai e, quando uscii mi guardai intorno per cercare Arturo, non vidi lui ma i miei vestiti e la mia borsa che raccolsi, indossai ed uscii alla ricerca di un taxi.
Doveva aver preso il mio indirizzo alla festa, mi arrivarono, ogni giorno, dei mazzi di rose rosse per tutto un mese, su ogni biglietto il suo numero ed indirizzo di casa.
Era il primo marzo quando, senza chiamarlo mi presentai a casa sua, un attico in zona San Siro, cosa volevo? Non lo so, cosa ottenni? Una notte di sesso che poi fu la prima di tante altre.
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