Violenza

Lavoro in una palestra in zona ex fiera di Milano come personal trainer e ho 27 anni, il mio compagno, Luca, lavora come web designer presso una casa editrice, ormai viviamo insieme da quasi un anno, come tutte le coppie abbiamo i nostri momenti no ma abbiamo la buona abitudine o l’intelligenza di esternare i nostri problemi o dubbi parlandone, quello che, sicuramente, non ci manca è il dialogo e questo ci permette di superarli, oltre ad una complicità ed intesa sessuale ottima.
Dopo aver cenato, di solito, portiamo fuori Carlotta, la nostra cagnolina, l’abbiamo adottata in un rifugio, dovrebbe avere circa 5 anni ed è molto affettuosa, la vicinanza con il parco ci permette di farla sfogare, durante il giorno abbiamo una dog sitter che ci pensa ma la sera, a meno che non ci sia brutto tempo ed allora ci pensa Luca, è l’occasione per fare una passeggiata tutti e tre insieme.
Quella domenica sera siamo usciti come al solito verso le 22 e ci siamo addentrati nel parco mentre Carlotta cominciava a correre avanti e indietro, è una meticcia di taglia media, non fa paura a nessuno, con lei possiamo stare tranquilli non è assolutamente una cagnolina mordace quindi anche sentirla abbaiare furiosamente come fece quella sera ci sembrò strano, a meno che non avesse trovato un altro cane, dietro la curva di un sentiero, sotto a degli alberi era davanti ad un uomo, la chiamammo ma non si schiodava, una volta arrivati vicino a lei, da dietro gli alberi spuntarono altri due uomini, illuminati dalle luci fioche dei lampioncini del parco, Luca sui mise subito davanti a me, come per coprirmi, sapevamo bene che, in quei casi, non bisognava opporsi era meglio dargli i soldi per evitare guai peggiori.
Dovevano essere fatti di qualche sostanza, sembravano sovraeccitati, ci fecero fretta per avere i nostri soldi, gli orologi, i cellulari e quello di valore che avevamo addosso che consisteva solo in un anello ed una collanina e ci urlavano di far smettere il cane, due di loro avevano delle spranghe, sembravano di metallo ed uno un lungo coltello, uno dei tre fece per colpire Carlotta e Luca, automaticamente, intervenne, quello fu l’inizio della fine, cominciarono a picchiarlo e lo fecero anche con me quando cercai di aiutarlo, mentre ero a terra vidi Luca che accasciato perdeva sangue dallo stomaco, Carlotta, stesa vicino a lui, che non si muoveva più e i tre uomini, in piedi intorno a loro, dopo si occuparono di me, tutti e tre, a turno.
Mi risvegliai in ospedale, avevo male dappertutto, un braccio rotto, 2 costole incrinate, lividi e tagli vari e la mascella slogata, seppi solo dopo un paio di giorni, quando uscii dall’effetto dei sedativi, che Luca non c’era più e neppure Carlotta e mi dissero che se non fossero arrivati un gruppo di clienti di un locale che era nel parco, forse non ci sarei stata neppure io. Non potei partecipare ai funerale di Luca, venne suo padre in ospedale a trovarmi dopo. La polizia mi interrogò, gli descrissi quegli uomini, per quello che ricordavo, ma quando uscii dall’ospedale, dopo un mese circa, mi dissero che non avevano nessuna novità.
A casa , la notte, non riuscivo a dormire, durante i miei incubi notturni vedevo chiaramente le loro facce che incombevano su di me mentre mi violentavano ridendo e sbavando in un italiano stentato ed approssimativo chiamandomi troia e puttana e chiedendomi se mi piaceva mentre mi scopavano e mi rompevano anche il culo. Solo con i sonniferi riuscivo ad addormentarmi per qualche ora senza sogni.
Ci volle qualche mese perché riacquistassi forze e salute mentale. Nella mia palestra seguii un corso di difesa personale, chissà perché a queste cose si pensa sempre e solo “dopo”, ma il mio intento era essere pronta semmai mi fosse capitato di nuovo qualcosa del genere, poi presi una decisione che avrebbe per sempre cambiato la mia vita.
Mi feci crescere i capelli e ne cambiai il colore, tramite un amica riuscii a comprare un piccolo revolver calibro 22 non registrata e mi iscrissi in poligono per imparare a sparare richiedendo un porto d’armi ad uso sportivo e poi acquistando anche un arma regolare, poi cominciai a girare i locali della zona fino alla stazione centrale cambiando anche il mio modo abituale di vestire e frequentai anche le zone dello spaccio che, scoprii, a Milano, essere molto diffuse.
Anche se non avevo molte speranze di trovare i tre uomini che avevano rovinato la mia vita mi feci una cultura sull’ambiente da cui provenivano loro ed altri come loro, la maggioranza erano stranieri irregolari, molto dello spaccio era gestito da Nigeriani che, però, non ne facevano consumo ed erano quelli più pericolosi, poi c’erano i piccoli spacciatori che anche la usavano e poi quelli che solo ne facevano uso, tra questi ultimi dovevano esserci i tre che andavo cercando.
Sono sempre stata appassionata di moto, anche se non ci andavi più molto spesso avevo ancora la mia Hornet in box che rimisi in pista, oltretutto una tuta ed il casco mi avrebbero permesso una sorta di anonimato e di, relativa, protezione.
Barman e buttafuori erano un ottima fonte di informazioni e, per averle ero disposta a tutto, anche a farmi scopare contro il muro di un corridoio o a fare un pompino seduta sul wc del bagno degli uomini di un locale, il primo uomo al quale ho sparato pensava gliene avrei fatto uno perché era figo, si vantava di scopare ragazzine di 14/15 anni di una scuola superiore in cambio di pasticche o di una dose, aveva già l’uccello di fuori quando il primo colpo lo colpì proprio lì ed il secondo in mezzo alla fronte, dopo una decina di minuti dovetti fermarmi per vomitare, ma, ormai, non si tornava più indietro.
Un barista del “boyfriend” mi indirizzò, dopo avermelo messo nel culo, da un tizio albanese a Rogoredo, in un boschetto, che riforniva ragazzi marocchini che spacciavano vicino al Castello ma non riconobbe nessuno dei tre ritratti, che un amico aveva preparato su mie istruzioni, che gli feci vedere, morì guardandomi le tette che avevo scoperto abbassando la zip della tuta fino all’ombelico, bastò un unico colpo in uno degli occhi.
Intanto frequentavo settimanalmente il poligono di Piazzale Accursio, in modo da giustificare i residui di polvere da sparo sulle mie mani oltre che per perfezionare la mia mira.
Dopo tre mesi ed un terzo spacciatore lasciato a terra non avevo ancora trovato nessuno dei tre responsabili della morte di Luca, fin ché lessi di una ragazza che era stata rapinata, picchiata e violentata da tre stranieri vicino al locale “Just Cavalli” al Parco Sempione e che uno dei tre in evidente stato di alterazione era stato fermato dalla polizia perché, probabilmente, troppo fatto per riuscire a dileguarsi come gli altri due, la ragazza però non lo riconobbe e dopo pochissimo era stato rilasciato , comunque era stato identificato, lei non lo riconobbe ma io sì, era uno dei tre.
Una volta individuato inizia a pedinarlo, passava molto tempo nei giardini della Stazione Centrale dove anche, visto il periodo estivo, dormiva, mangiava in un centro “Caritas”, ero convinta che , prima o poi, si sarebbe riunito agli altri due, poi, durante una specie di retata alla Stazione venne raggiunto da un decreto di espulsione che, comunque, lasciò il tempo che trovava, solo diventò più difficile seguirlo perché passava molto del suo tempo in un fabbricato occupato in zona Farini, senza andare in giro; lì dentro ci saranno state una cinquantina di persone ma, durante i miei appostamenti, non vidi mai anche gli altri due, entrare per esserne sicura non era consigliabile, non vidi mai nessuna donna frequentare quel posto.
La mia vita privata, era completamente cambiata, dopo qualche ora al lavoro rientravo a casa, una casa vuota e silenziosa, mi truccavo e cambiavo secondo quello che avevo in mente di fare, uscivo e mi univo al popolo della notte con lo scopo di trovare qualcuno, seguire qualcuno, uccidere qualcuno, disposta a fare qualsiasi cosa per raggiungerlo.
Faceva freddo e sono uscita in macchina anziché in moto, era quasi mezzanotte, passai vicino alla palestra e vidi la luce accesa, strano a quell’ora, di solito alle 21 chiudevamo, poi era sabato, chiamai al cellulare la proprietaria, Silvia, mi rispose il marito e mi disse che si trattava di tre ragazzi della polizia che potevano allenarsi solo la sera e che avevano dato loro le chiavi, mi disse che la moglie era dalla sorella per il fine settimana e mi ringraziò per l’attenzione e la telefonata, comunque, avevo la mia chiave e parcheggiai per dare un’occhiata, per sicurezza.
In effetti erano i tre poliziotti, in sala spalliere, sui materassini, li conoscevo di vista, 3 erano di colore ma italiani d’adozione quando erano ancora piccolini, chi non mi aspettavo di vedere era Silvia, la proprietaria quarantenne della palestra che avrebbe dovuto essere dalla sorella e che, invece, era impalata sul cazzo di uno dei tre che cavalcava tenendo nelle mani quelli degli altri due portandoseli alternativamente alle labbra, non avrei voluto essere vista ma i due poliziotti in piedi mi videro ed io ero, praticamente bloccata, immobile sulla porta della sala; uno dei poliziotti, volendo fare lo spiritoso ma, probabilmente anche lui sorpreso
- Jessica, sei venuta anche tu ad allenarti?
Anche Silvia si bloccò e si girò verso la porta, rimanendo però impalata sul cazzo che stava cavalcando
- Se vuoi, il posto c’è - l’altro poliziotto –
Andai vicino ad una panca, tolsi, senza rispondere, il giaccone e la sciarpa, gli stivaletti, i leggins imbottiti e il maglioncino, slacciato il reggiseno ed abbassati gli slip mi unii al gruppo ricevendo un bacio in bocca ed un paio di mani sui miei seni con un cazzo, già rigido che mi strisciava sulla coscia, ci volle un secondo perché venissi rovesciata sui materassini e mentre avevo ancora la lingua di uno dei due in bocca e le sue mani che stropicciavano i miei seni, un’altra lingua stava suggendo la mia figa che cominciava a sbrodolare, dopo brevissimo tempo le due lingue venero sostituite da due membri che iniziarono a scoparmi in bocca ed in figa con ritmo e profondità, quello che avevo in bocca mi arrivava, a volte, fino in gola ma non era grosso come quello che avevo tra le mie cosce che ad ogni affondo mi faceva mancare il respiro.
Io e Silvia ci trovammo a godere di quei tre giovani cazzi ovunque, a turno od insieme, in bocca, figa e culo, piene e sporche, dentro e fuori di sperma e dei nostri umori, erano le tre del mattino quando ci alzammo dai materassini per fare una lunga doccia, poi mi disse che sarebbe rimasta in palestra fino al giorno dopo, avrebbe dormito lì, allora la invitai da me, avendo una sola camera dormimmo insieme e, la cosa, mi piacque molto, Silvia fu dolcissima e ci addormentammo abbracciate.
Nei due mesi successivi non ci furono particolari novità, a parte un altro incontro di lotta notturno in palestra ed uno spacciatore nigeriano che venne trovato morto con due colpi di pistola nella schiena a Roserio. Iniziò la primavera, passavo due sere la settimana passeggiando nel parco Sempione e del Castello a cavallo della mezzanotte, cambiando giorni ogni settimana, poi successe, mi sbucarono davanti tutti e tre
- Puttana, dacci i soldi che poi ti facciamo divertire
Mi tolsi la borsa dalla spalla e, rimanendo a distanza, gliela lanciai davanti in modo che si distraessero, quando alzarono gli occhi stavo già sparando, tutti e sei i colpi del revolver andarono a segno, recuperata la borsa me ne andai in fretta perché il rumore era stato notevole.
La settimana dopo andai al cimitero e mi feci aprire il loculo con le ceneri di Luca e ci misi dentro una scatoletta di legno con i 6 bossoli esplosi con una foto di noi due con Carlotta ed un articolo di giornale che parlava di una guerra tra spacciatori per il controllo del territorio.
La relazione con Silvia e con i nostri tre poliziotti continua piacevolmente, ora ho anche un altro compagno, un gatto di nome Annibale estremamente possessivo nei miei confronti.
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