La festa

Peccati e Guai
3 days ago

Ieri sera siamo stati invitati a una festa in piscina a casa del moroso della sorella della mia ragazza.

Un giardino enorme, piscina illuminata da luci soffuse e colorate, musica a palla, una trentina di ragazzi e ragazze mezzi nudi, ubriachi, caldi, sudati, con la sola voglia di dimenticare ogni freno. L’alcol scorreva come se il giorno dopo non fosse previsto. Birre gelate, bottiglie di prosecco svuotate in dieci minuti, cocktail improvvisati, vodka che girava di bocca in bocca. Il sole picchiava ancora forte, e le ragazze sembravano sciogliersi nei loro micro costumi: pezzi di stoffa bagnati e trasparenti che ormai non nascondevano più nulla.

Tette che sfuggivano ai triangolini, capezzoli in bella vista, risate sguaiate, sguardi lenti e porchi. Sembrava un'orgia travestita da festa. E la cosa peggiore — o migliore — era che a nessuno sembrava importare.

Io e la mia ragazza ci eravamo sistemati su uno dei lettini vicino alla piscina. Lei già allegra, mezza cotta, le guance rosse, il costume nero che lasciava il culo quasi del tutto scoperto. Ci stavamo rilassando dopo l’ennesimo drink. Con noi, sdraiata accanto, c’era anche lei.

Anna.

Diciott’anni appena compiuti. Bionda, occhi chiari, sorriso da puttanella esperta nel corpo di una ragazzina angelica. Il costume era bianco. Bagnato, incollato addosso. Trasparente. E sotto non portava nulla. Due tette enormi. Una quinta naturale, sode, alte, che sembravano voler esplodere a ogni suo respiro. I capezzoli si vedevano netti sotto il tessuto. Il culo… cazzo, il suo culo era perfetto. Alto, tondo, scolpito. Quando camminava, sembrava ondeggiare apposta. E sapeva benissimo di essere osservata. Da me, soprattutto.

Già da ore ci stavamo mangiando con gli occhi. Lei mi fissava, poi distoglieva lo sguardo ogni volta che la mia ragazza si girava. Ma non smetteva mai. E il bello era che anche io non ci provavo nemmeno a nascondere quanto la desiderassi.

Le ore passavano. La festa degenerava nel modo migliore: alcool, corpi sudati, urla, schiaffi sul culo, gente che limonava in piscina, musica troppo alta per parlare. Io ero lì, sdraiato tra due donne: la mia ragazza da una parte, Anna dall’altra. Io in mezzo. Il paradiso in una pozza di sudore e tentazioni.

La mia mano appoggiata distrattamente sulla coscia di Anna. Lei non si spostava. Anzi. La sentivo avvicinarsi. Millimetro dopo millimetro. Il suo respiro rallentava quando le nostre pelli si toccavano. Ogni tanto, rideva a qualche battuta a tre, con doppi sensi sempre più sfacciati. Faceva finta di niente, ma ogni suo gesto era calcolato per far salire la mia eccitazione.

La mia ragazza era sempre più andata. A un certo punto si è accasciata su di me. La testa sul mio petto, le gambe distese, molle. Si era addormentata.

Io l’ho coperta con un telo, le ho dato un bacio in fronte, e sono scivolato via. Con il cazzo già mezzo duro.

Sono tornato verso il casino. Il giardino era ancora pieno di superstiti mezzi nudi, mezzi sbronzi, che urlavano, ballavano, si tuffavano, bevevano l’ennesimo shot. E in mezzo a tutto quel delirio, lei. Anna.

Era di nuovo lì. Sempre più vicina. Sempre più pericolosa. Aveva cambiato postura: le gambe incrociate, il culo praticamente fuori dal costume, i capelli bagnati incollati al collo. Rideva a ogni mia battuta. Mi toccava il braccio con la scusa di parlarmi all’orecchio. Ma i suoi occhi… no, quelli non mentivano. Mi guardavano dritto in faccia. Poi si abbassavano, lentamente, fino al cazzo. E lì si fermavano un secondo di troppo.

Sapeva benissimo che ero duro.

Poi una voce mi arrivò alle spalle. Chiara. La sorella della mia ragazza. Bicchiere in mano, occhi lucidi ma svegli. Mi guardava da lontano. Si avvicinò piano, un sorrisetto da stronza sulle labbra.

«Attento a quella lì… fra poco ti mangia.»

Sorrisi, cercando di sdrammatizzare.

Lei continuò: «Guarda che potrei anche essere gelosa.»

Alzai un sopracciglio. «Ah sì?»

Fece un mezzo sorriso. «Per la mia sorellina, ovvio…»

Mi fece l’occhiolino. E se ne andò ondeggiando, lasciandomi con il cazzo sempre più gonfio e la testa ancora più incasinata.

Dopo un’altra birra, sentii lo stimolo. Mi avviai verso il bagno. La porta era chiusa. Appena la aprii, lei uscì. Anna.

Bagnata, con il costume incollato addosso, la pelle che profumava di cloro e desiderio. Il seno si muoveva a ogni respiro, capezzoli duri, viso un po’ sudato, un po’ truccato, un po’ porca.

Mi guardò un secondo. Poi mi spinse contro il muro. Mi baciò. Un bacio vero, violento, preso. La sua lingua dentro la mia bocca, le sue mani sul mio petto, sulle spalle, sulle braccia. Io le afferrai il culo con entrambe le mani. Nudo, sotto al costume. Sodo. Caldo. Reale. Lo strinsi forte. Lei gemette nel bacio.

Poi mi tirò per la maglietta. Entrammo in bagno. Chiuse a chiave. Silenzio.

Mi guardò. Si girò. Fece scivolare le spalline del costume. Lo fece cadere piano. Rimase nuda.

Il corpo più eccitante che avessi mai visto. La pelle liscia, lucida, bagnata. Le tette enormi, ferme, sode, perfette. I capezzoli rosa, tesi. La pancia piatta. Il bacino stretto. E tra le cosce, una figa depilata, lucida, visibilmente bagnata. La desideravo come non avevo mai desiderato nulla.

Tirai giù il costume da bagno in un secondo. Ero dritto come un palo, gonfio, il cazzo pulsava.

Lei si inginocchiò. Mi guardò dal basso. E iniziò a succhiarmelo.

Un pompino sporco. Profondo. Affamato. Lo prendeva in bocca con foga, lo succhiava forte, lo ingoiava fino in fondo. Tossiva, sbavava, mi stringeva le cosce con le mani piccole e calde. Io le tenevo la testa, la guidavo. Le spingevo il cazzo in gola. Sentivo il rumore del respiro che si spezzava.

Le lacrime le rigavano le guance. E non smetteva. Mi voleva tutto. E io glielo davo.

Poi si alzò. Senza dire una parola. Si voltò. Si piegò in avanti, afferrando il lavandino. Il culo alzato, la schiena inarcata, la figa completamente esposta.

Mi guardò dallo specchio. «Scopami. Adesso.»

Le aprii le gambe. La figa era zuppa, calda, pulsante, colante. La puntai. E entrai di scatto.

Un colpo secco. Lei urlò. Non di dolore. Di godimento. Il suo corpo tremava. Iniziai a muovermi subito. Forte. Violento. Dritto al punto.

La figa stretta mi avvolgeva il cazzo con una forza che non avevo mai sentito. Scivolavo dentro di lei, nudo, senza niente, sentendo ogni millimetro. Le sbattevo il bacino contro il culo. Il rumore era sporco, bagnato. La sua pelle sudata. Le sue mani che si stringevano al lavandino.

I suoi gemiti rimbalzavano sulle piastrelle. «Dio… sì… più forte… più forte…»

E io glielo davo. Tutto. Fino in fondo. La sbattevo come se non ci fosse un domani. Senza fermarmi.

Veniva. Una volta. Poi un’altra. Le gambe che le tremavano. Le urla che cercava di soffocare. E io che sentivo il piacere salire, impazzire.

«Voglio che mi vieni in faccia.» Si girò. Si inginocchiò di nuovo. Bocca aperta. Lingua fuori. Occhi che mi guardavano con fame.

Mi tolsi da dentro. Due colpi di pugno sul cazzo. E venni.

Tanto. Caldo. Ovunque.

Le sborrai sulla bocca. Sul viso. Sulle tette. Sul collo. Le colai addosso come lava. Lei rideva. Si passava la lingua sulle labbra, mentre il mio sperma le colava dalle guance alle tette.

Poi me lo ripulì tutto con la bocca, lenta. Come se volesse farmi venire ancora.

Ci baciammo. Lungo. Sporchi. Animali.

Poi si rivestì alla meglio, i capelli incollati di sborra, il viso lucido, le tette ancora che sobbalzavano. Io mi ricomposi. Aprii la porta.

E lì, nel corridoio buio… Chiara. Ferma. Brilla. Ma lucida. Ci aveva visti. Forse ci aveva sentiti.

Anna le passò accanto senza dire nulla. Io rimasi lì. Col cuore in gola. Il cazzo ancora mezzo duro.

Chiara mi fissò. Poi disse:

«Sei un porco.»

«Anna sembrava uno sborratoio. Ti sei svuotato addosso a una ragazzina e le hai lasciato i segni ovunque.»

Io risi. Lei pure.

Poi fece un passo avanti. Mi guardò negli occhi. E aggiunse: «Però l’ho vista bella soddisfatta. Beata lei che stasera va a casa contenta… E qualcun’altra invece cornuta.»

«Ti prego… non dirle niente…»

Chiara sorrise. «Ma scherzi? Io non giudico. Io sono come te.»