Il sentiero del Peccato - Giorno 2

Il sole cominciava a scendere e l’aria tra gli alberi era ferma, pesante, carica. Il rumore dell’acqua del fiume in sottofondo sembrava lontano. Camminavo sul sentiero con un solo pensiero fisso: rivederle. Quelle due troiette di ieri. La pelle mi pizzicava, il cazzo già mezzo duro nei pantaloni, spinto in avanti dall’aspettativa, dalla fame.

Quando scostai i rami e le vidi, capii subito che stava per essere peggio.

O meglio. Molto meglio.

Erano in quattro.

Greta e Lena ridevano sul telo, mezze sdraiate, gambe scoperte, i top aderenti che lasciavano intravedere i capezzoli. Accanto a loro c’erano due nuove. Più giovani. Più curiose. Anche loro vestite leggere, ma con quegli sguardi sporchi che avevo imparato a riconoscere.

Greta mi vide subito.

Mi indicò col dito.

«È arrivato.»

Tutte e quattro si girarono verso di me.

Quattro paia di occhi puntati addosso.

Quattro bocche che sembravano già aperte.

Mi avvicinai. Camminavo lento, con la sicurezza di chi sa di essere l’unico maschio, l’unico cazzo, l’unico che avrebbe deciso chi godrà prima e chi dopo.

Il cuore mi batteva forte. Il cazzo spingeva contro la zip dei jeans come un animale in gabbia.

Greta si avvicinò per prima. Mi poggiò una mano sul petto, mi guardò dritto negli occhi.

«Lei è mia cugina, Sabrina… e questa è la sua amichetta Laura. Ieri sera abbiamo parlato di te. Hanno sentito tutto. E vogliono quello che ci hai fatto. Anzi… vogliono anche di più.»

Sabrina era seduta, un po’ più indietro.

Vestitino chiaro, gambe piegate al petto, occhi bassi. Ma lo sguardo… fisso. Sul mio pacco. Ogni tanto si mordeva il labbro. Non parlava, ma bastava guardarle le cosce, leggere, lisce, leggermente aperte, per capire tutto.

Laura invece era già una troia dichiarata: top aderente senza reggiseno, shorts cortissimi, piercing al capezzolo, lingua sul labbro. Mi scrutava con l’aria di chi non vede l’ora di leccarlo a fondo.

Mi sedetti su una grossa pietra piatta.

Greta sorrise.

«Facciamolo aspettare un po’.»

Le due si avvicinarono tra loro. Laura prese Lena per la nuca e la baciò in bocca. Le infilò le mani sotto il top e le tirò fuori le tette: enormi, sode, gonfie.

Seni così non mentono. Vogliono solo essere presi a morsi.

Greta si spogliò lentamente. Il suo seno uscì con lentezza, i capezzoli già duri. Si mise a sedere, allargò le gambe, infilò due dita sotto gli shorts e cominciò a toccarsi, guardandomi fisso.

E Sabrina?

Era ancora lì. In disparte. Silenziosa.

Ma poi, con un gesto lento, tirò su il vestitino fino ai fianchi.

Niente mutandine. Solo quel cespuglio biondo, morbido, disordinato, che spuntava tra le gambe piegate.

Mi si bloccò il respiro.

Il cazzo sobbalzò da solo sotto i pantaloni.

Il pelo. La mia fottuta ossessione.

La guardai fisso.

«Cristo… appena ho visto quel pelo, ho pensato solo a una cosa. Farcirtela. Riemperti la figa fino a gocciolare di me.»

Lei arrossì. Ma non disse nulla.

Allargò leggermente le gambe.

Mi mostrò la figa pelosa, stretta, bagnata.

Poi sussurrò:

«È tua...»

Non mi mossi. Ma sapevo già che sarei esploso dentro di lei.

Nel frattempo, le altre tre si muovevano come gatte in calore.

Mi si avvicinarono. Mi spogliarono. Il cazzo balzò fuori duro, lungo, venato. Un’asta piena di voglia e rabbia.

Laura lo guardò con un sorrisetto.

«Questo fa male. Siamo strette.»

Greta lo prese in mano.

«Tu ci spacchi, ma poi ci fai venire da star male.»

E così iniziarono. Una mi leccava il glande. L’altra le palle. Un’altra la base.

Poi si baciarono tra loro. Si leccarono le fighe, i capezzoli, si succhiarono la lingua.

Mi stavano preparando.

Ero pronto. Ma ora toccava a loro.

Greta si mise a quattro zampe.

«Prendimi per prima. Aprimi.»

Mi inginocchiai. Le allargai le chiappe. Il glande sulla figa bagnata. Spinsi.

Entrai.

Stretta. Calda. Succhiante.

«Sì… spaccami…»

Ogni colpo la faceva urlare.

La figa si adattava a fatica al mio cazzo oversize.

Le palle sbattevano sul clitoride.

Poi, il primo orgasmo.

«Vengo! Cazzo… Vengoooo!»

Il corpo le tremò, le gambe le cedettero.

Ma non mi fermai.

La presi ancora più forte.

Lei urlò.

«Sto venendo di nuovo!»

Le gambe le scattarono, i fianchi sussultarono.

Due orgasmi. Uno dopo l’altro.

Lena si mise a pancia in su.

Le tette rimbalzavano mentre si toccava.

«Fammi male. Voglio venire come ieri. Ma più forte.»

La figa era umida, stretta, viva.

Entrai.

Lei si aggrappò al telo.

«Oh Dio… è enorme… mi spacchi…»

La sfondavo a colpi pesanti. Le tette le saltavano. Il ventre si alzava.

Poi il primo orgasmo.

«Sì! Sì! Sto venendooo!»

Il corpo le tremava. La figa mi stringeva come un pugno.

Continuai.

«Ancora! Non fermarti!»

Il secondo le uscì con un urlo.

Gli occhi chiusi, il respiro spezzato.

Laura si girò. Mise il culo all’aria.

«Prendimi nel culo. Fammi godere.»

Sputai. Premetti.

L’ano si aprì a fatica.

Spingevo centimetro dopo centimetro.

«Mi spacca! Sì! Così! Fammi male!»

La presi fino in fondo.

E lei…

«Oh Dio! Sto venendo! Vengo col culo!»

Il primo orgasmo le piegò la schiena.

Le cosce tremavano.

La girai. Glielo infilai in figa.

Sfondata.

Poi il secondo.

«Sto venendo ancora!»

La figa le schizzò. Un fiotto bagnò le mie palle.

Una troia che spruzzava. Come una fontana.

Poi, finalmente, Sabrina.

Era lì. Sdraiata.

Il vestitino sollevato. Le gambe aperte.

Il pelo intriso.

La figa stretta. Umida. Viva.

Mi inginocchiai tra le sue cosce.

Glielo posai sopra. Spinsi.

Entrai.

Sentii ogni millimetro che si apriva, mi stringeva, mi succhiava.

«Sì… voglio venire con te dentro…»

La presi. A fondo.

I colpi le scuotevano il ventre.

Le tette si muovevano, il pelo si incollava alla pelle.

«Vengo! Vengo! Mi esplode la figa!»

Il primo orgasmo le piegò il corpo.

Il secondo arrivò mentre la riempivo.

Sì. Le venni dentro. Tutto.

La sborra schizzò a fiotti profondi.

Farcita. Piena. Gocciolante.

Mi ritirai.

La figa pelosa colava di sperma.

Le altre tre si avvicinarono.

Lingue tra le gambe.

Una le apriva la figa. Un’altra le leccava il pelo. L’altra succhiava direttamente da dentro.

«Mmmh… è calda… è densa…»

Se la passavano. La raccoglievano.

Le bocche incollate alla sua figa.

Leccavano. Succhiavano. Pulivano.

E lei… veniva di nuovo.

Con la mia sborra dentro. E tre lingue addosso.

Mi chinai, le sussurrai all’orecchio:

«Non sarà l’ultima volta.»

Lei annuì.

Sorrise.

Poi, con un filo di voce:

«Fai attenzione tu… io… quando vengo… potrei non volerti più lasciare andare.»

Le passai una mano sul pelo, lento.

Lo sentii ancora caldo, ancora umido.

Ancora mio.

Proprio in quel momento il suo cellulare vibrò.

Lo prese dal telo, ancora con le cosce aperte. Sullo schermo comparve un nome. Non serviva leggerlo.

Rispose con voce dolce.

«Ciao, amore…»

Tirai fuori di nuovo il cazzo.

Era già duro.

Lei lo vide.

Senza dire nulla, lo prese in bocca.

Avida. Famelica.

Mentre parlava con lui.

«Sì… stiamo rientrando ora…

Fra un’oretta sono da te, ok?

Ho tanta voglia di vederti…»

La bocca le scorreva sull’asta lucida.

Mi succhiava come una troia affamata.

Le altre tre erano immobili.

«Sta parlando con lui… mentre lo succhia…»

La presi per i capelli.

Le venni in faccia.

Tre fiotti caldi.

Sul naso. Sulle guance. Tra le labbra.

Sul telefono.

Lei non smise la chiamata.

Ingoiò. Leccò le dita.

Poi chiuse con dolcezza:

«Ti amo.»

«Sei una troia», disse una.

«La più fantastica», aggiunse un’altra.

Poi la baciarono.

Leccavano la mia sborra dal suo viso.

Si baciarono tra loro.

Lingue sporche. Sorrisi sporchi.

Uno scambio di seme. Di pelle. Di vizio.

Mi avvicinai.

Le baciai tutte.

Baci lenti, stanchi, profondi.

Poi mi rivestii.

Mi voltai verso il sentiero.

Mi incamminai verso casa.

Con la mente piena.

E il numero di una troia pelosa e infedele salvato nel telefono.