Nuova fidanzata, vecchie perversioni

Ieri sera è cominciato tutto con un paio di aperitivi.
Poi, come sempre quando l’atmosfera si scalda, abbiamo aperto una bottiglia di vino.
Elena era splendida.
Capelli sciolti, occhi vivi, labbra lucide.
Il rosso le accendeva le guance. E il fuoco le saliva tra le gambe.
«Sono ubriaca», mi disse, avvicinandosi con un sorriso storto e malizioso.
Mi baciò, lenta. Profonda.
E con una mano mi afferrò il cazzo sopra i pantaloni, stringendo piano.
Senza dire una parola si lasciò cadere in ginocchio, proprio lì davanti a me, con lo sguardo basso e provocante.
Sembrava una cagnetta in cerca di coccole.
Mi guardava come se non aspettasse altro che il mio comando.
Lo capii.
E lo dissi.
«Succhiami il cazzo.»
Obbedì.
Con lentezza, tirò giù la zip, lo tirò fuori.
Era già duro. Lo baciò sulla punta, poi se lo infilò in bocca con un gemito sottile.
La presi per i capelli.
Le guidavo la testa avanti e indietro, affondandole il cazzo in gola come se fosse una cosa naturale.
E lo era.
Nonostante abbia solo venticinque anni, Elena sa usare la bocca come poche.
Spariva fino alla base, sbavando, succhiando, gemendo.
Una troia addestrata alla perfezione… ma per chi?
E poi… qualcosa di nuovo.
Iniziò a segarmi con una mano, mentre con l’altra si portava le palle in bocca.
Le leccava, le succhiava, ci giocava con la lingua.
Non l’aveva mai fatto prima.
Non così.
La guardai.
Mi chiesi dove avesse imparato.
Ma la verità era una sola: non volevo saperlo.
Volevo solo che continuasse.
«Sì, brava… leccami le palle… tutta la lingua… così, amore mio…»
La tirai su per i capelli.
Volevo usarla.
La trascinai sul divano.
Mi tolsi i pantaloni.
Si rimise a succhiare, più vogliosa di prima.
Mi leccava, mi pompava, mi divorava.
Poi un’altra sorpresa.
Una mano scese dietro.
Mi sfiorò l’ano.
Io trattenni il fiato.
Non l’aveva mai fatto.
Ma stavolta era come posseduta.
Mi guardò mentre mi infilava un dito.
Il mio cazzo si gonfiò ancora.
L’eccitazione mi faceva tremare le cosce.
«Sì… continua… sei una brava troia… scopami il culo…»
E lei lo fece.
Mi scopava con le dita.
Due, poi tre.
Il suo dito mi penetrava mentre la bocca mi succhiava come se volesse risucchiarmi l’anima.
Non ero più in me.
Ero solo suo.
«Amore… sto venendo… non ingoiare. Tienila. Voglio limonarti con la mia sborra.»
Lei accelerò, si fece feroce.
E io esplosi.
Una raffica di getti caldi, densi, le riempì la bocca.
Lei si staccò, mi guardò… e poi spalancò le labbra.
Mi sputò tutta la sborra in bocca, diretta, filante, viva.
Mi colò sulla lingua, mi scese in gola.
Poi mi baciò.
Profonda. Aggressiva.
Mi limonava come se volesse marchiarmi.
«Ti amo», mi disse.
Io non risposi.
Nella mia testa c’era un’immagine fissa.
Elena a quattro zampe, e un altro cazzo — grosso, scuro, pulsante — che le spaccava la figa e le riempiva il ventre.
Io dietro, a guardare.
A leccarla dopo.
Sognavo quella scena da giorni.
E ora… la desideravo con tutto me stesso.
Elena lo sapeva.
E rideva, con la bocca ancora sporca del mio seme.
Perché sapeva che stava alimentando tutte le mie perversioni.
E fu in quel momento, col sapore della mia sborra ancora in bocca, che un ricordo esplose nella mia mente.
Lucrezia.
Quel suo modo perverso di provocarmi.
La prima volta che l’avevo leccata dopo essere stata riempita da un altro.
Il suo sguardo mentre godeva con un altro cazzo dentro e il mio desiderio che cresceva anziché spegnersi.
Ero lì, con Elena che mi dominava.
Ma nella mia testa per un attimo c’era Lucrezia.
Il passato e il presente si mescolavano come due sborrate nella stessa figa.
E mi eccitava ancora di più.
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