Sottomissione di una manager 3 - Pericolo in vista
- Sfidata? – a quel punto ero veramente nel pallone – Ma che cazzo vuol dire... quale sfida? Ma io chiamo la Polizia, qui siete tutti matti... – diventai veramente furiosa. Ora ce l’avevo anche con quel coglione di Nunzio: ad un tratto lo sentii estraneo, lontano. Dopotutto, la nostra non era una storia d’amore... quindi tra noi, a parte l’amicizia e una buona intesa sessuale, non c’era altro.
Lui mi fece segno di calmarmi, ma non ne volevo sapere, la mia mentalità “estremamente civile” poteva pure ammettere una litigata improvvisa, ma una sfida no... ma che roba. Roba da terzo mondo, da ghetto: trovavo la sola idea del tutto repellente.
Mi girai per uscire, dandomi un contegno di superiorità, ma alle mie spalle c’erano i due buttafuori di prima... deglutii per la paura.
Quelli non erano “ragazze”. Avevano le braccia conserte e l’espressione decisa, ogni loro mano era grande quanto il mio avambraccio.
L’attesa della gente era palpabile e, forse era solo un mia impressione, ma mi sembravano, tutti, sull’incazzato. Per di più, quel maledetto locale si riempiva nella notte, invece di svuotarsi.
Una sensazione di irrealtà mi prese e mi fece provare le vertigini; chiusi un attimo gli occhi e provai a respirare profondamente, per riprendermi.
Nunzio si frappose tra me e i due buttafuori, fece segno di prendere tempo, e quelli sembrarono ammansirsi.
- Gioia, purtroppo è andata così... mi spiace – disse piano – ma conosco questa gente, non ci mollano. Devi batterti con quella, credimi è la cosa migliore... solo in questo modo ce la caveremo senza danni.
“Che cavaliere!” pensai. Strinsi gli occhi in una espressione di odio e di rabbia cieca. D’improvviso la mia situazione mi cadde addosso, in tutta la sua drammaticità. Fu come quando, in un sogno, l’ambiente familiare che ti circonda, all’improvviso, diventa terrorizzante e ostile. Provai paura.
In pochi minuti ero piombata dalla certezza pacata della civiltà al fondo della barbarie... ecco perché ci avevo messo tanto a razionalizzare l’accaduto.
Mi ritrovavo a miglia e miglia da casa, in un locale malfamato, nel bel mezzo di un quartiere malavitoso, di una città straniera e sconosciuta.
Il top, insomma!
Con me c’era un eccellente illustratore pubblicitario milanese, abbastanza fighetto da sembrare una checca giuliva, tra quella gente rude: già le femmine erano più virili e violente di lui.
L’adrenalina si scaricò nel mio corpo e mi donò una certa lucidità... quantomeno mi aiutò a ritornare con i piedi per terra.
Non ce l’avevo con Nunzio, se non per avere sbagliato locale; ormai avevo capito che su di lui non potevo contare... era di certo inadeguato alla situazione. L’ombra di un dubbio, però, mi sfiorò la mente, ricordando che, comunque, il mio uomo, non era un imbecille. Ma ora il pericolo era così incombente, che non mi potevo permettere di abbandonarmi alle riflessioni.
- Che fare? – gli chiesi, visto che, comunque, lui qualche parola la conosceva, di quella loro lingua tagliente – Dobbiamo prendere tempo... per cercare di scappare. – sussurrai.
- Tesoro, sono le tre di notte – disse – dove credi che arriveremmo? Ascoltami, io ci sono già stato in questi posti: stai al gioco! Queste risse sono più una scaramuccia di pose, una specie di balletto... ma non credo che raggiungano mai fasi violente.
- Mi aiuti molto, sai? – dissi piena di sarcasmo – Ma insomma, che cazzo vogliono?
- La grassona ti ha sfidato, adesso io provo a chiarire la cosa... ma ti prego non essere troppo preoccupata, per loro è uno spettacolo, una forma di bullismo...
Nunzio si voltò per affrontare il gruppetto di energumeni che si era stretto intorno a noi; in fondo al locale, sul quadrato che avevo notato all’inizio della serata, la grassona si era quasi spogliata, restando in mutande e reggiseno verdognolo, il tessuto era grezzo, probabilmente di provenienza militare.
Se ne stava in quella piccola arena, ora illuminata a giorno... il pavimento era bianco e antiscivolo, con le fughe e i bordi arrotondati.
Al centro, notai una grata di scolo, del tutto fuori luogo e per niente rassicurante.
La donna batteva i pugni, come volesse scaldarsi, sembrava l’incredibile Hulk.
I matti del locale, si erano fatti tutti più vicini, a favore di quella specie di ring. Sembrava scontato: volevano un bagno di sangue.
Vidi anche Nunzio che provava a spiegarsi con quella gentaglia e, poi, gli sentii alzare la voce, ma questo fu un errore: venne spintonato in malo modo, verso un lato e quattro braccia robuste lo immobilizzarono, facendogli capire efficacemente di starsene buono, per evitare il peggio.
Più passavano i minuti, più quella situazione diventava grottesca.
Un momento dopo, toccò a me essere spinta in avanti, verso quella specie di buca, allora capii che non avevo modo di sottrarmi a quella pericolosa avventura.
Quando arrivai a favore delle luci, la calca prese voce e si eccitò; arrivò quella che sembrava una badante e mi disse in italiano:
- Ok, vai su palco, adesso, e dimostrati forte e coraggiosa – sorrise maligna – non cagare sotto e non chiedi tu pietà... perché a tuo fidanzato gli strappano le palle! Vuoi tu questo? – Il sorrisetto si trasformò in una risata sguaiata. Poiché queste battute le aveva dette ad alta voce, i giovinastri li intorno le trovarono oltremodo divertenti, tra l’altro erano pure mezzi ubriachi.
Mentre avanzavo ancora, la biondina mi tolse di dosso la camicetta, strappando gli ultimi due bottoni sopravvissuti dopo la colluttazione.
- Questa solo te impiccia. Vai ... combatti, italiana!
Un ultimo sguardo intorno: la russa grossa mi aspettava per massacrarmi e il suo sguardo diventava a ogni attimo più minaccioso.
Lo sconforto mi pervase ancor di più quando mi accorsi che, sulle scalette di ingresso, da dove eravamo entrati, tra gli spettatori occasionali, c’era anche una coppia di poliziotti. Probabilmente, reduci dalla ronda notturna, si erano defilati, per farsi un sorso “a sbafo” approfittando dell’ora tarda.
L’indifferenza divertita e il distacco con cui sorseggiavano le loro birre, mi fece capire che qualsiasi ribellione sarebbe stata inutile... ero nelle loro mani.
Prima di entrare sotto le luci, feci un gesto, dimenticato ma scolpito nella mia memoria infantile: mi segnai con la croce e, a testa bassa, scesi nel quadrato, sotto i riflettori abbaglianti.
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