Una notte con Teresa

Quando glielo spinsi nel culo dalla sua bocca uscì un’imprecazione degna del peggior scaricatore di porto che maledisse ogni divinità mai immaginata sulla faccia della terra e tra le nubi del cielo. Ero abituato al turpiloquio se non che quella che stava sotto di me a quattro zampe era una suora. Suor Teresa, per essere precisi. E pure mia cugina, tanto per puntualizzare.
Ero andata a prenderla in convento per farle passare una breve vacanza con i genitori, avevo programmato un viaggio di qualche ora all’andata e altrettante al ritorno. Non avevo fatto i calcoli con il desiderio di Suor Teresa di godere un po’ di quella libertà che si era negata entrando in convento. Mi chiese di portarla a vedere il mare per respirare il suo profumo, camminare sulla battigia e sentire il tepore dalla sabbia sulle piante dei piedi nudi. Era strano passeggiare con lei, vestita da suora, con il sorriso luminoso di chi assapora ogni istante della vita. In quella specie di tunica, nata e cresciuta per annichilire il corpo femminile che conteneva, notai dei piccoli accorgimenti che le donavano una certa eleganza. La cintura un po’ più stretta di quella delle sue sorelle che avevo incontrato all’ingresso del convento, un ingresso che aveva richiamato in me il profumo di minestrone che aleggiava nei corridoi dell’asilo frequentato da bambino; l’ultimo bottone del colletto slacciato non appena chiusa la porta dell’auto; la cuffietta leggermente spostata indietro per mettere in mostra la ciocca bionda di capelli. Sembrava tutto lì per caso, ma dalla luce maliziosa che a ogni sguardo brillava nei suoi occhi, capivo che era tutto studiato.
Ci sedemmo in un ristorante in riva al mare. Teresa disse che al convento non si mangiava per nulla male, le cuoche sapevano il fatto loro e coltivavano gli ortaggi nel piccolo appezzamento di terreno adiacente, però era un po’ sempre la stessa minestra. Scelse delle linguine alle vongole e una tataki di tonno, mangiò con gusto ma rifiutò il vino bianco che il cameriere ci suggerì. Io, in vista del viaggio che ci aspettava, mi limitai a un calice, fresco e minerale.
Ci attardammo tra i vicoli del borgo ancora sonnolento nel principio della stagione ma già trepidante nell’attesa delle orde di turisti che andranno a riempire le stradine e il lungomare da qui a qualche mese. Era bello camminare con Suor Teresa, aveva un sorriso vivo e gioioso, aperto a ogni sfaccettatura della vita. Come desideravo che anche sulle mie labbra si disegnasse sempre quella pennellata gaia invece di portare sotto al mio naso la smorfia truce dell’insoddisfazione. Quanto avevo da imparare da quella mia lontana cugina che aveva scelto l’allontanamento dai piaceri mondani!
Ci attardammo e, quando finalmente imboccammo l'autostrada, ci ritrovammo in un ingorgo di proporzioni apocalittiche, imbottigliati nella sera che calava, ci fecero uscire sulla statale. Smarriti, decidemmo che sarebbe stato meglio fermarci per la notte e riprendere il viaggio con la luce del sole, trovammo un albergo di infima categoria con la proprietaria avvolta in una nuvola di fumo dalla quale emergevano solo mezze parole smozzicate e grugniti. Cercai di insistere per avere due camere ma Teresa fu più caparbia di me e volle una stanza sola, per risparmiare, disse. Lo disse con uno strano sorriso sulle labbra che, lì sul momento, faticai a interpretare ma che divenne più chiaro quando lei se ne uscì dalla doccia con indosso solo un asciugamano che lasciava libere le lunghe gambe e un turbante di spugna a contenere i capelli.
La Tv che stavo guardando, la stanza, la stanchezza, la frustrazione per quella sosta imprevista, tutto quanto sparì nell’immagine di suor Teresa incorniciata dallo stipite della porta del bagno. Balbettai qualcosa di intelligibile, non capivo, avevo la testa in un mare di schiuma e l’uccello che era balzato all’istante in piedi nelle mutande.
“Cosa ne pensi?” mi chiese spostando leggermente una gamba davanti all’altra per mettere in mostra il profilo della sua coscia che si concludeva in una natica tonda e perfetta.
Cosa potevo mai pensare. C’erano cose dentro di me che esulavano dalla realtà. Nemmeno nei miei sogni più spinti avevo mai immaginato di trovarmi a tu per tu con una suora, nuda, discinta e, a quanto pareva, disponibile. Tornai a balbettare qualcosa che suonava come “tu... io... ma cosa stai facendo?... credi sia una buona idea?...” lei non mi diede il tempo di rispondere e si avvicinò al letto facendo scivolare a terra il turbante di spugna e scuotendo la testa per liberare i lunghi capelli, l’asciugamano lo seguì. Le curve del corpo di Teresa brillavano nella fioca luce che arrivava dal bagno e dal tvcolor, le sue forme sinuose fecero esplodere ogni mio barlume di raziocinio e mi sentii in balia degli eventi sconosciuti che si stavano per avverare.
La sua pelle fu contro la mia, le sue labbra avvolsero le mie in una passione profonda, una sorta di misticismo erotico mi attraversò; Teresa lasciò che le mie mani la accarezzassero per tutta la sua lunghezza e io potei percepire la sua pelle candida sotto i miei polpastrelli. Quando la sua mano raggiunse la mia protuberanza e la liberò dal cotone degli slip, ero così eccitato che venni come un adolescente alle prime armi. Mi vergognai da morire e cercai di sottrarmi, scusandomi per quella defaillance. Teresa mi consolò, baciandomi ancora e spalmando lo sperma sulla pancia e intorno al pene.
“Non ti preoccupare.” mi disse mordicchiandomi il lobo dell’orecchio, “Capita quando sei troppo eccitato e io non ti ho lasciato il tempo di assorbire l’emozione.” Era esperta in certe cose?, aveva già avuto altre esperienze?, le suore al convento non erano così caste come avrebbero dovuto?, oppure era lei che sapeva come aggirare le ferree regole dell’ordine e aveva soddisfatto le sue voglie con gli uomini dei dintorni? Me ne restai chiuso in quelle domande mentre Teresa si allontanava da me per gettarsi voluttuosamente sul mio uccello mezzo moscio e umido di sborra, appoggiando poi la sua vagina non depilata ma accuratamente rasata sul mio volto. “Ci sono molti modi per dare e ricevere piacere.” disse prima di far sparire la mia cappella tra le sue labbra.
Sentii il caldo delle sue labbra avvolgere il mio sesso mentre nella mia mente continuava a turbinare una moltitudine di domande; tutte vertevano sul fatto che Teresa fosse una suora e contemporaneamente fosse esperta come una navigata tigre del ribaltabile. Appoggiai tutte queste questioni sul comodino e mi gettai voluttuosamente sul suo sesso appeso come un cielo di stelle sopra di me. Il suo umido calore dilagò sulla mia lingua facendomi scordare ogni cosa; mi persi tra le sue mille vie come in un bosco oscuro e senza sentieri. Teresa, intanto, volava di fronda in fronda sull’asta del mio uccello, tornato dritto grazie alle sue arti.
Ci stringemmo nell’abbraccio della passione conducendoci l’un l’altra verso lidi di piacere immenso. La presi “canonica” e questo mi fece piuttosto ridere perché lei faceva parte di un ordine monastico, ma ciò non le impedì di spingermi un piede in bocca e chiedermi di succhiarglielo mentre la chiavavo stringendole le gambe al petto. Avrei preferito che avesse le unghie smaltate, ma non potevo chiedere di più, già stavo facendo sesso con una suora, mia mezza parente, per giunta; accontentarsi mi sembrava il minimo.
La sborrata da adolescente aveva avuto però l’effetto di farmi durare molto più del solito e riuscii a soddisfare Teresa anche quando volle cavalcarmi. La vedevo inarcare il corpo sopra di me, una pancia magra sovrastata da due seni, come si diceva negli anni ‘80, a coppa di Champagne. Lei se le tormentava mentre col bacino si spingeva avanti e indietro sul mio fallo.
“Non resisto più.” mi disse “Mettimelo nel culo.”
Sconcertato da quella richiesta le chiesi se fosse davvero sicura, se non l’avesse mai fatto prima, se non temesse che le facessi male. Mi rispose che aveva provato solo un giocattolo che aveva in convento ma mai con un uomo. La sua risposta mi risultò sibillina; mai con un uomo solo l’anale oppure anche tutto il resto?
Non giro comunemente con lubrificante specifico per sesso anale, inoltre non era prevista nessuna sosta notturna, cercai di fare il meglio che potevo con lingua, saliva e dita per preparare il suo buchetto al mio cazzo tosto. Mentre lavoravo tra le sue chiappe Teresa gemeva a più non posso sgrillettandosi la farfallina, usai anche gli umori di quest’ultima per rendere scivolosa la seconda via. Quando pensai che fosse il giusto momento le appoggiai la cappella al buco e iniziai a spingere. Non fu niente facile. Non sono superdotato ma mi difendo bene e inculare qualcuno senza ferirlo non è una passeggiata. Ci provai e riprovai, cercai in tutti i modi di far rilassare Teresa per farle aprire il culetto e alla fine ci riuscii. Centimetro dopo centimetro la penetrai fino al pelo e fu quando finalmente le fui dentro tutto che partì l’alta imprecazione. Sicuramente la vecchia portinaia aveva sentito tutto e, attraverso il perenne fumo della sua sigaretta, domattina ci avrebbe guardato storto.
“Male?” le chiesi.
E giù un altro porcone, “Sì che fa male! Tu non hai mai provato.” Non sapeva che ero avvezzo a certi piaceri. Mi piaceva sì darlo, ma adoravo anche riceverlo, da uomini e da donne, ma questa confessione la serbai per un altro momento.
“Allora mi tolgo.” ben conscio che nessuno ti diceva mai di sfilarti.
“Ma sei pazzo. Sto quasi per venire dal piacere. Montami.”
Sorrisi. Siamo tutti uguali in certe situazioni. Mi mossi pian piano dentro e fuori, avevo sulla punta delle dita di tirarle una bella pacca sulla natica ma temevo che avrebbe imprecato ancora e ancora più forte fino a far giungere la vecchia alla nostra porta. La conservai per un’altra, sperai, volta.
Teresa mugulava di piacere stropicciandosi con le dita la figa allagata e continuava a ripetere “sbattimi sbattimi”. Io, nonostante la sborratina preparatoria, ero tornato eccitato come non mai e la ridda di sensazioni e situazioni mi aveva di nuovo incendiato il sangue. Stavo scopando una suora e la stavo inculando di gusto, suo e mio, sentivo il mio bacino sbattere contro le sue natiche al ritmo dell’amplesso. Ero completamente impazzito di piacere. Le annunciai che stavo per venire. La voleva dentro o fuori?
“Sul culo.” mi disse con il fiato rotto. “Sul culo.” ripeté.
Mi sfilai giusto in tempo per indirizzare i fiotti del mio orgasmo su quelle belle natiche divisa da una meravigliosa riga verticale, rotta solo da un buchetto pulsante che era stato il nido del mio, e del suo, piacere. Il bianco seme colava sulla pelle accaldata di Teresa che si accasciò sul materasso, seguita dal pensante tonfo del mio corpo sfinito.
I suoi occhi mi fissarono da un’altra galassia. Allungò una mano sul mio petto che tremava. “È stato fantastico.” disse rompendo ogni schema in cui è l’uomo a dire questa ovvietà post-coitale. “Non resistevo più a masturbarmi in convento. Avevo bisogno di un cazzo vero.” Mi domandai se avessi dovuto risponderle qualcosa come “anche io ti volevo dal momento in cui ti ho vista, ma sei una suora, sei una mezza cugina e allora avevo ricacciato tutti i desideri in fondo in fondo.” ma poi evitai quest’altra banalità; le accarezzai la mano che teneva su di me e poi la baciai nel buio della stanchezza che ci stava abbracciando nella notte profonda.
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