Immagini dalla sessualità

Drew75
14 days ago

PARTE 1

Fu un lampo, uno scambio di sguardi, una scintilla che scocca, gli occhi che incontrano gli occhi nel corridoio di un ristorante di un grande albergo. Ero giovane, non di primo pelo ma ancora giovane, lui un po’ meno, non troppo vecchio ma ben navigato. 

“Beviamo qualcosa?” fu l’approccio diretto mentre ci sfioravamo spalla su spalla. Rimasi interdetto perché non avevo mai avuto certe esperienze. A quel tempo navigavo ancora nel buio della mia sessualità. Ero un convinto assertore della mia eterosessualità, anzi, del mio machismo. Pensavo di essere un figo a fare il gradasso buttandomi a capofitto in ogni avventura e lasciare soltanto il mio profumo la mattina successiva. Gongolavo nel mio ideale di sciupafemmine. Ma quel giorno… quella sera qualcosa scattò mentre guardavo negli occhi quello sconosciuto che teneva in mano un Old Fashion e lo ascoltavo parlare senza davvero capire cosa stesse dicendo. 

Non era bello, aveva fascino ma non si sarebbe potuto dire un adone. La stempiatura lo invecchiava più dei suoi anni ma il suo charme giungeva da oltre il suo aspetto esteriore. Le sue parole ammaliavano nella loro semplicità. Non sfiorò mai l’argomento sesso ma capii subito quello che voleva. E quello che volevo anche io. Quando si alzò mi lasciai condurre come un cagnolino a cui hanno promesso un osso. 

Dietro la porta della sua camera si rivelò ancor più delicato. Le sue mani leggere mi spogliarono lentamente; le sue parole m’invitavano a fermarlo non appena non mi fossi più sentito a mio agio. Mentre i miei vestiti scivolavano sul pavimento e le sue dita scorrevano sul mio corpo, l’eccitazione dilagava in me. Nei miei vecchi pensieri non avrei mai potuto immaginare che la vicinanza di un uomo, il suo approccio sessuale, avrebbe scatenato in me una tale voluttà. Nelle mutande il mio sesso sembrava esplodere e gridò di sollievo quando gli slip finirono a terra. 

Ero in piedi davanti a lui, che stava in ginocchio e guardava estasiato il mio pene eretto. Provavo un turbine di sentimenti che mi spingevano a voltarmi e fuggire da quella situazione imbarazzante per rimarcare quella che sentivo la mia “normalità”; impulsi sconosciuti che imploravano di chiedere a quell’uomo ai miei piedi, ancora vestito, di afferrare il mio cazzo e farne quello che più ne avrebbe voluto; turbamenti che mi dicevano che essere “uomo” non significa per forza essere un tombeur de femmes ma che la sessualità ha migliaia di sfumature e che, ma questo l’avrei capito solo diversi anni dopo, ognuno la vive, la percepisce, la gode nel modo a lui più consono, senza sbandierarla, senza subirla e senza per forza scendere negli abissi della perversione. 

Fu ancora lui a rompere gl’indugi. “Posso?” mi chiese indicando il mio uccello dritto e duro. 

“Sì.” Sussurrai tra i denti, forse terrorizzato da quello che sarebbe successo, spaventato che avrei potuto apprezzarlo. 

Sentii le sue dita afferrare la mia asta, avvolgerglisi attorno, il suo palmo stringerla, il suo pollice accarezzare la cuspide dietro al glande fino a giungere all’orifizio e massaggiarlo. Il movimento sinuoso che l’uomo dava alla sua manovra fece vibrare le corde profonde del mio piacere, effondendo così la lussuria in ogni parte del mio corpo. Con una mano mi masturbava lentamente, profondamente, voluttuosamente, - sembrava ricevere anch’egli piacere da quel lavoro, - e con l’altra mano mi accarezzava la coscia, come a voler amplificare il godimento che partiva dalla radice del mio sesso. Ad ogni carezza avvertivo un calore mai sperimentato in nessuna delle mie precedenti avventure, anche se dentro di me, la mia parte razionale, la mia parte integerrima, la mia parte borghese e perbenista cercava disperatamente di urlare la sua disapprovazione per una pratica che considerava contro natura. Mentre mi gustavo quel lavoro così ben fatto, continuavo a ripetermi che non era quella la mia essenza, che un vero uomo come mi consideravo io non poteva certo godere di una pratica così spiccatamente depravata e immorale. Ma, nonostante questi neri pensieri che tentavano di dissuadermi da quel momento idilliaco, non volevo certo sottrarmi a quel piacere, che era insieme fisico e mentale. Un piacere che dal glande turgido, così ben curato dalla sapiente mano dell’uomo in ginocchio davanti a me, giungeva direttamente al punto più antico e profondo del mio cervello. Non era solo sesso ma qualcosa di molto più intenso. Lo capii molto tempo dopo, quello era l’abbraccio ancestrale che mi riportava al tempo in cui non esisteva nulla di giusto e nulla di sbagliato, un tempo remoto in cui ogni essere era libero dalle costrizioni imposte dal potere che si era man mano rafforzato. Quella sera, ben lungi da questi pensieri filosofici, apprezzavo l’uomo che mi aveva abbordato e condotto fin lì. 

“Te lo posso prendere in bocca?” 

Il cuore mancò un colpo. Mi chiesi se fossi pronto per questo? Ero pronto a sovraccaricare ancora quella situazione che aveva già oltrepassato il confine di ciò che avevo sempre pensato fosse la decenza dei rapporti sessuali? Ero pronto a sentire delle labbra maschili, contornate di barba, avvolgere e succhiare il mio uccello? Finora tale piacere mi era stato donato soltanto da dolci e carnose labbra femminili, che accompagnavano la fellatio con l’ondeggiare di lunghe capigliature profumate. Eppure, ancora una volta, dentro di me si dibatteva il mostro a due teste, l’una che si dibatteva per rifuggere da quel contatto omosessuale, l’altra che lo bramava violentemente. 

“Non riesco a resistere.” mi disse l’uomo in ginocchio, quasi implorandomi, “Non lo dimenticherai.” mi stuzzicò la fantasia e anche un poco d’orgoglio. In quel momento non sapevo cosa avrei fatto di quella sera, forse l’avrei dimenticata subito, forse me la sarei portata dentro come un fardello che avrebbe richiesto anni di terapia per assorbirlo, forse sarebbe stato il meraviglioso ricordo di un’esperienza completamente fuori da me. Lui stava ancora aggrappato alla mia asta, con una mano poggiata alla mia natica, come a non voler farsi sfuggire l’oggetto del desiderio che aveva a pochi centimetri dal naso. Lo sguardo implorante cercava di far breccia nella mia volontà. A distanza di anni, devo ammettere che fu davvero un signore. Nessuno di quelli che ho incontrato successivamente avrebbe resistito tanto a gettarsi con foga sul mio sesso. Neppure io, quando avevo tra le mani una bella donna serbavo tanta attenzione alle sue richieste; in preda all’eccitazione bramavo di possedere ogni parte di lei che, dentro di me, sapevo mi avrebbe fatto godere. Quell’uomo era tanto educato da riuscire a tenersi a freno nonostante l’eccitazione lo pervadesse da capo a piedi. 

Non riuscii ad articolare una risposta, semplicemente spinsi un po’ il bacino verso il suo viso. Lui comprese la mia intenzione, aprì la bocca e ingoiò la mia cappella. Il caldo avvampò dai miei lombi fino al mio viso, percepii il rossore che si era acceso sulle mie guance. Mentre succhiava stringeva la mano sulla mia natica come a spingere più a fondo il mio sesso dentro di lui. Ogni onda di movimento si traduceva in un flusso di piacere sempre più ampio che inondava tutto il mio essere. La stanza si perdeva in un vortice di passione che raggiungeva anche le più lontane aree sensibili e ritornava scariche elettriche di immensa lussuria. La mano che teneva la base dell’asta si allentò per andare ad accarezzare la parte inferiore dei testicoli. Li sentii contrarsi al gentile solletico di quelle dita. L’uomo in ginocchio davanti a me che teneva in bocca il mio pene aveva ragione, non lo avrei dimenticato. E questo pensiero andò a sommarsi con tutti gli altri sentimenti contrastanti che lottavano dentro e contro di me, ma il godimento che traevo da quello splendido lavoro di bocca e di lingua sul mio uccello era troppo intenso per venire dissipato dagli scrupoli morali conservatori che mi avevano inculcato. 

Lavorando alacremente su e giù, continuando a massaggiarmi le palle, spostò la mano che teneva sul mio posteriore fino alla riga tra le natiche. Quando le spalancò leggermente e con il medio raggiunse il mio buco di culo reso sensibile dall’eccitazione della situazione persi ogni concezione del tempo e dell’essere. Vagii alcuni suoni indistinti che salivano direttamente dalla mia gola senza che il cervello avesse la possibilità di articolare vere proprie parole e i fiotti del mio sperma eruppero irruenti come se altro non avessero atteso da quando esiste il mondo. L’orgasmo, riversato direttamente nella gola dell’uomo in ginocchio, mi lasciò senza fiato, con le gambe molli che stentavano a reggermi e con un tremolio che correva sotto pelle, perse il suo impeto lasciandomi disorientato. Immediatamente mi sentii sporco, malvagio, degenere, squallido e sordido; mi vidi sprofondare nei fiammeggianti gironi infernali destinati ai peggiori tra i peccatori, sottoposto alle crudeli punizioni di enormi demoni dalle grosse code a foggia di pene. D’istinto sottrassi il mio, di pene, dalle labbra dell’uomo in ginocchio davanti a me, che ancora si gustava il mio sapore con un sorriso beato sul volto. Mi resi conto d’averlo fatto troppo bruscamente, purtroppo il calmarsi dell’eccitazione aveva fatto riemergere tutti i miei scrupoli; concluso il piacere si risvegliavano i timori. Mi misi a recuperare i miei vestiti indossandoli velocemente per fuggire da quel luogo di perdizione in cui mi sentivo imprigionato. 

L’uomo, che fino a poco prima era in ginocchio davanti al mio sesso eretto e, traendone piacere egli stesso, abbondantemente ne aveva dato a me, adesso inseguiva i miei movimenti irrequieti cercando di blandire la mia frenesia. “Non vuoi farti una doccia? Non resti ancora un po’? Non ti è piaciuto?” Io rispondevo a monosillabi, adducendo vari impegni per l’indomani e il bisogno di andare a letto presto. Scostai sgarbatamente il braccio sul quale aveva appoggiato una mano in un ultimo, disperato tentativo di trattenermi ma soprattutto di attenuare quell’angoscioso senso di colpa che mi aveva serrato il petto. Mi chiusi la porta della sua camera alle spalle con la sua voce che mi diceva che non dovevo temere la mia sessualità. Quelle parole riecheggiarono dentro di me lungo tutto il corridoio, sembrava che da ogni porta ne uscisse qualcuno che conosceva il mio segreto, che ogni persona che incrociavo giudicasse il mio comportamento ma soprattutto giudicasse il mio trarre godimento da quella pratica totalmente immorale. Percorsi quei metri che separavano le nostre camere in uno stato di turbamento ovattato, con la spina di quella scelleratezza conficcata nel cuore. 

PARTE 2

Mi svegliai nel cuore della notte con il petto che batteva violentemente, la fronte in fiamme e i pensieri che abbaiavano come una muta di cani esaltata dalla caccia, il cazzo dritto e duro come non era mai stato. Il vago ricordo del sogno appena fatto si mischiava alle immagini di ciò che era successo solo poche ore prima e scatenava in me una varietà di sensazioni che faticavo a definire. Mi sentivo ancora sconvolto da ciò che era accaduto nella stanza dell’uomo che mi aveva abbordato; la mia parte strettamente maschile si rifiutava di accettare ciò che quella parte femminile che alberga in ognuno di noi aveva così tanto apprezzato; il contatto sessuale, e sensuale perché l’uomo aveva avuto una delicatezza molto difficile da replicare, con un essere del mio stesso sesso faceva maturare in me dubbi che mai avrei pensato di pormi tanto ero convinto della mia eterosessualità, del mio amore per il genere femminile, del mio spiccato machismo nei rapporti intimi. Spesso, nel pieno dell’amplesso, mentre penetravo le mie compagne, stringendo a me le loro gambe oppure cavalcandole da dietro, pensavo al mio uccello come a un maglio che le stesse spaccando in due. Questo pensiero mi dava il vigore per continuare a pompare e a stantuffare, forse traendone più piacere di quanto ne stessi veramente dando. 

Nel buio di quella stanza d’albergo immersa nel silenzio della notte profonda mi resi conto che quel pompino omosessuale aveva cambiato completamente l’equilibrio della mia coscienza; aveva forse risvegliato in me una parte inconscia che avevo sempre ricacciato in quell’angolo buio in cui tutti noi tendiamo a nascondere ciò che non riusciamo a comprendere. Rigirandomi tra le lenzuola, dietro ai miei occhi continuavo a vedere il suo viso che dal mio basso ventre mi guardava e lavorava di lingua intorno alla cappella, ad ogni carezza del lenzuolo sulle mie natiche tornavo a ricordare la sua mano che le aveva gentilmente aperte per raggiungere la rosa segreta che vi si nascondeva. Per calmare l’eccitazione provocata da quei pensieri avrei dovuto gettarmi sotto una doccia gelata ma preferii allungare le mani verso il mio sesso, sfilarmi le mutande e masturbarmi furiosamente. Immaginai che le mie fossero le mani dell’uomo con cui ero stato poco prima, che salissero e scendessero lungo la mia asta come aveva fatto poco fa, che fosse ancora la sua bocca sul mio glande e la sua lingua a stuzzicare il mio orifizio. Lo sperma eruttò in caldi fiotti impetuosi che mi schizzarono il ventre. 

Lentamente il fiato recuperò il suo ritmo calmo, il petto smise di salire e scendere rabbiosamente e le immagini erotiche sfumarono nel grigiore della notte. Mi pulii e ripresi finalmente sonno. 

 

Il giorno mi colse con lo smanioso desiderio di ritrovare quell’uomo affascinante che mi aveva guidato in quei primi passi di una lussuria finora inesplorata. Lo cercai per i corridoi del grande albergo, al ristorante dove si serviva ancora la prima colazione, al bar dove i primi avventori avvinazzati cominciavano la loro lunga giornata di Bloody Mary e Gin Tonic. La sua figura era scomparsa, avevo perduto per sempre quel primo contatto con un mondo ancora ignoto, come se il ponte che avrebbe dovuto transitarmi verso nuove esperienze fosse crollato. Il petto mi si strinse perché ero io l’artefice di quella disfatta; io e soltanto io, che con la mia fuga precipitosa condita di sensi di colpa e vergogna, che però la notte aveva cancellato lasciando posto alla concupiscenza, avevo impedito a me stesso l’opportunità di approfondire la consapevolezza di ciò che ero e di ciò che avrei potuto diventare. 

Mi maledissi fino a ferirmi gli occhi nel disperato tentativo di riconoscere fra quelle decine di volti, il volto familiare dell’uomo che aveva succhiato il mio pene e amplificato il mio piacere. 

 

PARTE 3

Passarono alcuni anni prima che quel sogno, che così soventemente tornava durante le mie fantasie solitarie o che spesso confrontava la fellatio di una donna conosciuta occasionalmente con quella di quell’uomo in ginocchio davanti a me, tornasse a farsi realtà. Fu l’amico del fratello di un amico, dichiaratamente omosessuale e costretto all’esilio nella grande città, perché le voci di un paese di provincia anche in anni spiccatamente moderni erano sempre contundenti, conosciuto durante una grigliata, a far scattare di nuovo quel feeling omosessuale che mi aveva trascinato nella stanza d’albergo tempo addietro. 

Era ben più giovane di me, dal corpo snello al limite della magrezza patologica, che l’abbigliamento total-black certo non aiutava a mascherare; aveva un modo di fare particolare, sembrava essere presente ma al contempo navigare per spazi tutti suoi, interagiva con gli altri come fosse una farfalla che si posa sui diversi fiori per saggiarli tutti e, nel contempo, appagarli della sua presenza. 

Tra noi scattò subito quella sintonia chimica che non si può spiegare, quell’intesa che ti fa apprezzare le persone al primo sguardo, al primo contatto, alla prima parola. Sono sempre stato una persona riservata, anche se ho avuto tanti amanti e tanti amici, anche se so stare bene in compagnia e non faccio parte della tappezzeria delle feste, le chiavi del mio intimo sono state consegnate a poche, pochissime persone. Con Edo scoprimmo di avere gli stessi interessi musicali, letterari e artistici; lui era un pochino più intellettualmente elitario, mentre io volavo a quote molto più pop, mi piaceva lo sport e la parte eno-gastronomica della vita, cosa che per lui era totalmente indifferente. Mangiava, poco, perché doveva e il bicchiere gli restava sempre pieno; lo alzava e lo portava alle labbra solo quando qualcuno chiamava un brindisi. Spiluccava con la punta delle dita stuzzichini e aperitivi, delle due costine che gli servirono sul piatto di carta, sezionò la parte più magra in minuscoli pezzi che si portava alla bocca con parsimonia. Io, invece, ero un vorace divoratore di carne, preferibilmente al sangue, e le grigliate erano uno dei miei momenti preferiti. “Quella fetta di picanha che ti hanno fatto scivolare in bocca,” mi disse quando ci rivedemmo da soli, “te la avrei spalmata sul petto, fino giù, giù, giù, per rendere ancora più gustosa la tua di picanha.” Non era un ingordo ma sicuramente un buongustaio. 

Alcune settimane dopo la grigliata ricevetti un suo messaggio che m’invitava ad una mostra di stampe d’autore. Da parecchio tempo non mi lasciavo immergere nell’arte, avevo preferito passatempi più concreti, pensando a godere e guadagnare, magari a faticare con qualche sport o abbandonandomi completamente ai bagordi, sicuramente a inseguire gonne e gonnelle da cui trarre un piacere immediato. Nell’atmosfera ovattata della mostra mi lasciai condurre dalle immagini dietro ai vetri dei quadri e dalle parole di Edo, laureato in Beni Culturali che, con il suo modo di fare suadente e affasciante, riusciva a farti apprezzare anche la macchia di umidità che c’era sui muri. Persi completamente il senso del tempo, io, che da qualche anno vivevo sempre con i minuti contati, con il pensiero rivolto altrove, con il desiderio di essere sempre in un altro posto prima ancora di aver gustato quello in cui mi trovavo, con l’ansia di arrivare tardi e non fare in tempo, - non fare in tempo a fare che, me lo chiedevo continuamente senza trovare mai una risposta, - percepii ogni sfumatura, ogni segno lasciato su carta, ogni tratto d’inchiostro, ma soprattutto ogni idea dietro a quelle tonalità, a quei segni, a quei tratti d’inchiostro. Divenni il pittore che si arrovellava per ottenere il risultato desiderato, provai la sua fatica per riuscire a trasmettere il suo pensiero agli astanti. Spesso è facile liquidare un’opera d’arte con brevi frasi, con un “mi piace” oppure “mi fa schifo”, ed è lecito; ciò che è meno lecito è non dare il giusto peso al lavoro dell’artista che sta dietro quei segni per quanto infantili possano sembrarci. Da quei tratti, ciascuno diverso dall’altro, ciascuno unico, riuscii a percepire l’essenza del messaggio dell’artista, un’essenza che è quanto più di universale ci sia perché viene veicolata da una lingua comprensibile a chiunque. 

A visita finita mi lasciai condurre dal fascino di Edo prima in un piccolo bistrò per recuperare dalla lunga sessione artistica, e poi a casa sua. A dispetto del suo aspetto gracile e dimesso, si rivelò, a differenza dell’uomo che mi aveva abbordato all’hotel e avviato al piacere omosessuale, intraprendente e risoluto. Appena chiusa la porta alle nostre spalle mi appoggiò al muro e mise le sue labbra sulle mie, la sua lingua contro la mia. Era la prima volta che sentivo la bocca di un altro uomo sulla mia; avevo fantasticato a lungo su questa circostanza, mi ero chiesto spesso come avrei reagito ad un bacio omosessuale, mi ero domandato se la mia anima maschia avrebbe accettato questo scatto in avanti della mia sessualità o se si sarebbe rifiutata, perché un bacio rappresenta molto di più di un pompino o di una sega, un bacio significa “amare” l’altro e non semplicemente scoparci insieme. Semplicemente mi lasciai andare. Apprezzai quel bacio che, dopo il primo impatto piuttosto rude, si stava rivelando molto piacevole e sensuale; l’ispido della sua barbetta incolta si fondeva con la mia, più lunga, più adulta, più ruvida e donava a quel bacio una sensazione in più, amplificando l’eccitazione che le nostre bocche creavano. Fu proprio un sentimento di vuoto, quello che mi condusse a godere di quel bacio, il desiderio di essere guidato verso nuove esperienze; desideravo esplorare appieno il mio gusto della sessualità, senza fermarmi davanti a pregiudizi o preconcetti, e mi parve che Edo facesse proprio al caso mio, con la sua risoluta decisione nel dirigere i giochi. 

Con i vestiti che scivolavano per terra, lasciando una lunga scia d’indumenti, caracollammo sul divano dove, torsi nudi, sfregammo i nostri corpi uno contro l’altro. Sulla coscia potevo sentire, oltre il tessuto degli slip, il suo pene eretto mentre il mio, gonfio di ebbrezza, faceva lo stesso contro la sua gamba. Non mi sentivo per nulla imbarazzato, quel disagio che avevo provato la prima volta quando l’uomo dell’albergo aveva accarezzato il mio sesso e lo aveva venerato, era un ricordo lontano, ora provavo solo desiderio. Capii che non mi sarei fermato davanti a nulla. Andai oltre la schiena di Edo e appoggiai una mano sulla sua natica, stringendola e tirandolo a me, come avevo fatto centinaia di altre volte con le donne che avevo amato. Lui, sopra di me, seguì il mio movimento e spinse più energicamente il suo uccello contro il mio bacino. Si staccò dal mio viso. Era rosso in volto, accaldato dall’eccitazione, il fiato corto. “Cazzo.” disse tra un sospiro e l’altro, “Baci bene.” e tornò a succhiare la mia bocca con la sua. Io godevo di quel bacio, mi trascinava verso confini che non avevo mai neppure pensato di esplorare, mi sentivo trasportato verso lande sconosciute che aprivano però un universo di possibilità. Infervorato dalla passione, in un impeto di audacia, infilai la mano tra di noi e gli afferrai l’uccello. Una scarica di eccitazione percorse il mio braccio fino a giungere al cuore e al cervello, avevo oltrepassato un altro limite della mia sessualità, passo dopo passo sentivo di andare a completarmi, a scovare piccoli pezzi di puzzle per disegnare il grande quadro del mio essere uomo. Stringere tra le mani un fallo altrui si rivelò una sensazione appagante che non si distaccava molto dalla normalità, mi sentii come se non avessi fatto altro che quello durante il corso della mia vita. 

Attizzato dal mio gesto, Edo si staccò di nuovo da me, balzò in piedi e, tenendomi per la mano mi condusse in stanza da letto. Potei ammirare la sua schiena magra, quasi ossuta, che terminava in due spalle aguzze in alto e in due natiche particolarmente piene in basso. Mi gettò sul materasso e si fiondò sul mio sesso, lo ingoiò fino alla radice per poi cominciare a muoversi velocemente su e giù, tenendo con le dita la base dell’asta. Vedevo la sua testa salire e scendere al ritmo della fellatio e godevo di quel piacere che mi stava regalando. Nella mia testa ricomparivano le immagini di quella sera all’hotel e confrontavo i due lavori di bocca: erano diversi, completamente diversi, perché diverse erano le situazioni, perché diverso ero anche io, timido e quasi stranito quella sera lontana, accompagnato verso un piacere sconosciuto e mai preso in considerazione, combattuto tra due anime che non pensavo di avere; consapevole di quel che potevo e volevo fare quel pomeriggio a casa di Edo, aperto e disponibile all’esplorazione di ogni sfaccettatura della mia sessualità e delle potenzialità della stessa. 

Mi sottrassi a quella bocca affamata per prolungare i giochi e il piacere, “Vieni”, dissi a Edo tirando a me il suo viso. Gli succhiai la lingua per assaporare il mio stesso afrore, allungai le mani e le infilai sotto gli slip che ancora portava, gli strinsi le chiappe e gliele massaggiai. Avevo il suo uccello duro contro il mio, altrettanto duro e umido della sua saliva. Lo girai sulla schiena e mi misi a cavalcioni sopra di lui. Lo guardai, solo ora notavo i suoi occhi chiari contornati dai capelli neri e la carnagione pallida. Gli misi le mani sul petto scarno lo accarezzai sui fianchi e scesi, scesi, scesi fino sfilargli la biancheria e far erompere il suo pene turgido. Per la prima volta vidi dal vivo un cazzo eretto e pronto all’amplesso; finora m’era capitato solo nelle docce del calcio ma ero sempre stato troppo intriso di machismo per soffermarmi sui falli altrui. A dispetto del suo aspetto segaligno, Edo era dotato di un bell’attrezzo, lungo e dal diametro importante. A differenza del mio, che aveva la cappella vermiglia, la sua era della stessa tonalità dell’asta. Non me lo feci chiedere, lo afferrai e mi ci tuffai voracemente. Il primo contatto non fu per nulla avverso, mi ero chiesto spesso come avrei reagito ad un eventuale sesso orale omosessuale, temevo che la repulsione avrebbe avuto il sopravvento sul desiderio e sulla passione, invece, come per il primo contatto con la mano, la reazione fu di naturale piacere; aveva un buon sapore e la consistenza contro la lingua e le labbra era estremamente piacevole; mi diedi da fare il meglio che potei, cercando di capire dove e come gli facessi provare il maggiore piacere. “Non farmi stare a bocca asciutta.” mi disse Edo tirandomi per una spalla. Mi girai sopra di lui e ci perdemmo in un lungo e profondo 69. 

Non so per quanto tempo continuammo a girarci e rigirarci sul grande letto scambiandoci baci profondi e lunghi pompini, con le mani che palpeggiavano ovunque alla ricerca della più sensibile zona erogena. Mi immersi completamente in quell’esperienza di lussuria sensuale e voluttuosa in cui ogni gioco era permesso purché portasse l’altro al piacere assoluto. Sentii le sue dita lavorare attorno al mio ano, lasciando cadere gocce di saliva per lubrificarlo. Intanto io mi davo da fare su quel suo bel salame duro, lo succhiavo come non mi sarei mai immaginato capace di fare, lo tenevo in mano, gli massaggiavo i coglioni, gli accarezzavo le cosce e le natiche. Mi spinsi anch’io vero il suo buchetto posteriore e lo carezzai con le dita che avevo inumidito in bocca. Sentivo i suoi gemiti farsi largo tra le sue labbra e la mia asta, così come i miei cercavano una via d’uscita intorno alla sua cappella. Il tempo sembrava essersi cristallizzato nella carnalità del nostro amplesso. 

“Ti voglio.” mi disse scostandosi e troneggiando sopra di me in tutta l’altezza del suo busto e del suo uccello dritto che, standomi a cavalcioni, sfregava contro il mio. Il terrore dilagò il me, non era la paura di prenderlo, quel pomeriggio mi sentivo pronto a tutto, era il timore di non prenderlo bene. Nel mio lungo fantasticare sulle esperienze omosessuali, avevo provato anche la masturbazione anale, penetrandomi in solitudine per avvezzare il mio corpo, e anche il mio spirito, ad un eventuale incontro, che quel giorno si stava concretizzando. Avevo avuto esperienze diverse e anche contrastanti con l’autopenetrazione, a seconda dell’oggetto che avevo utilizzato, avevo goduto sì ma sempre con una predilezione nel menarmi il cazzo. Ero curioso di capire se, lasciandomi trasportare dal coito, avrei potuto godere dell’essere chiavato. 

“Sarebbe la prima volta.” ammisi schiettamente. 

“Farò piano.” mi confortò Edo. “Mi è già capitato di trovare un culetto vergine.” sorrise e io mi smarrii in quelle labbra e in quegli occhi che mi apparivano così sinceri. Mi lasciai condurre verso nuovi lidi e accolsi le sue mani che lubrificavano il mio ano massaggiandolo lentamente, mi accarezzò con un dito fino a far schiudere il mio fiore, lo sentii entrare in me delicatamente. “Rilassati.” mi disse mentre avvicinava il suo glande a me, lo percepii puntare al centro estatico del mio essere, quel nucleo che sempre teniamo nascosto come qualcosa di orribile e di immondo, la sua pressione iniziò a farmi male e anche se lui era estremamente delicato e cercò in tutti i modi di far schiudere il mio bocciolo, trattenendo le mie gambe vicino al suo viso, chiedendomi di appoggiare i piedi alle sue spalle, di tenermi le ginocchia con le mani; purtroppo l’esperienza non fu delle più felici e io non potei provare l’ebbrezza di un maschio dentro di me, né lui poté godere del mio profondo. Io, commiserandomi di non essere in grado di dare quel piacere che tanto agognavo regalargli, persi la mia eccitazione nonostante continuassi a masturbarmi; per contro Edo non aveva smarrito la sua e, tolto il preservativo, con ancora le mie gambe strette al suo petto si strofinò l’uccello tra le mie gambe e, aiutandosi con le mani, raggiunse l’apice dell’orgasmo fino a sborrarmi addosso, sul pene, sul ventre e sul torace. Per la prima volta nella mia vita sentii il caldo dello sperma altrui sulla mia pelle. Fu una sensazione indimenticabile, che porto sempre con me da quella meravigliosa prima volta, un ricordo che tengo insieme a quello dell’uomo dell’albergo che per primo mi accompagnò verso i piaceri omosessuali. 

Il suo orgasmo, abbinato al suo getto caldo su di me, ebbe il risultato di risvegliare di nuovo la mia eccitazione. Edo, sebbene spossato dal godimento, se ne accorse e, da samurai con la spada sollevata, si tramutò in geisha dalle sensuali movenze. Si accoccolò tra le mie gambe e si prese cura del mio uccello tornato di nuovo baldanzoso; lavorando di bocca, di mano e sul buco del mio culo ancora lubrificato, spingendo un dito dentro al mio io profondo, mi condusse sino ad unire il mio seme con il suo, ben prima che questo si seccasse sulla mia pelle. 

PARTE 4 

Rividi Edo un paio d’altre volte ma non ci fu l’occasione per tornare a incontrarci come quel pomeriggio della mostra d’arte. Ogni volta che capitava di trovarci insieme mi chiedevo se anche lui ricordasse con piacere quel giorno o se fossi stato semplicemente una delle sue tante conquiste, uno di quei ragazzi di cui sempre era circondato; avevano tutti un’aria di profonda venerazione nei confronti di Edo che, lo notai solo nei mesi successivi al nostro rendez-vous amoroso, si comportava come quegli artisti cui tutti pendono dalle labbra, quegli artisti che possono cacare in un vasetto della marmellata e il mondo intero è pronto a dire che si tratta di un’opera d’arte. Ero invidioso di Edo? Ero invidioso degli artisti che cacano nei vasetti? Forse sì ma forse anche no. Per defecare ho sempre preferito la tazza del cesso. 

Non mi trattava con sufficienza e io non ero il tipo da andare a leccare i piedi a chi non aveva voglia di parlare con me, però non sentii più quel calore che mi aveva trasmesso mentre mi raccontava le storie dietro ai quadri in mostra; non sentii più nemmeno quella passione che lo aveva mosso a sbattermi contro il muro appena dietro la porta del suo appartamento. Sicuramente avevo frainteso io, che non volevo sicuramente una storia seria, un fidanzamento, un ménage; semplicemente m’era parso che avrebbe potuto aiutarmi a far chiarezza in quello che mi stava ribollendo dentro e, senza dubbio, insegnarmi a fare del buon sesso omosessuale. Il fatto di non essere riuscito a farmi penetrare e a non godere di quello, mi rodeva dentro. A casa cercavo di comprendere come potermi rilassare e aprire per accogliere un eventuale partner, idealizzavo per questo un compagno meno dotato di Edo, ma nelle mie sedute solitarie mi rendevo conto di riuscire a ospitare giocattoli ben voluminosi. Mi convinsi quindi che era una questione di testa, una buona predisposizione mentale avrebbe permesso al mio culo di gradire la visita di un bel arnese infoiato. 

Alcune sere cercai la mia strada in qualche bar gay ma mi resi conto subito che non era il mio ambiente e non era quel che cercavo. Gli approcci, brutali e diretti, provenivano troppo spesso da bocche impastate che biascicavano ciò che gli occhi acquosi poco sopra faticavano a mettere a fuoco. Inoltre compresi che non ero prettamente attratto dai maschi, quando ne vedevo qualcuno che mi piaceva pensavo subito al suo cazzo, a come sarebbe stato averlo tra le mani e in bocca e anche di dietro. Mi trovai spesso a chiedermi come fosse quello degli uomini che mi trovavo davanti nelle più disparate situazioni; in alcuni casi sentii anche il violento impulso di baciare colui che mi stava vicino, magari in macchina oppure sul volo aereo. Eppure non avevo perso la forte attrazione che avevo sempre provato per il genere femminile. Mi trovavo spesso estasiato dalla visione di un bel viso circondato da lunghi capelli, da labbra carnose sormontate da un nasino irriverente, da mani aggraziate con lunghe unghie curate, mi immaginavo cosa quelle mani, quelle unghie, quella bocca, avrebbero potuto fare sulle mie zone erogene; sognavo, e a volte mettevo in pratica, ciò che io avrei fatto quando quel corpo sinuoso, quelle gambe fasciate di nylon, quel seno che spuntava sbarazzino dalla camicetta, sarebbero stati in mio possesso. Non potevo esimermi dal guardare le donne. Nel contempo non potevo astenermi dal fantasticare sugli uomini e sui loro cazzi. Solo sui cazzi, perché difficilmente pensavo d’inculare un altro uomo; il mio desiderio era di succhiare, segare e farmi fottere, oltre che di strofinare i nostri cazzi uno sull’altro fino a venire contemporaneamente. 

L’idea di essere principalmente passivo cozzava con l’idea di macho che avevo sempre avuto di me, eppure queste erano le mie fantasie e, dopo il turbamento iniziale che avevo provato, avevo evitato di mettere un freno a queste mie idee bizzarre, semplicemente le lasciavo libere di nascere e crescere senza intervenire in alcun modo. 

Fu proprio una di loro, una donna, ad aprirmi la strada, e non solo, ai veri piaceri anali. La frequentai qualche tempo e con lei scoprii fin dove avrei potuto arrivare, fin dove il mio corpo avrebbe provato e fatto provare piacere; riuscii a scoprire sensazioni che mai avrei immaginato, abbandonandomi alla voluttà in ogni suo aspetto e, è proprio il caso di dirlo, angolazione. Fin dal primo incontro mi mostrò la sua collezione di strumenti di piacere. Rimasi estasiato dalla quantità, dalla varietà e dalle diverse dimensioni di quegli attrezzi. Ce n’erano di piccoli che, mi spiegò Diana, rimanevano inseriti nell’ano per tutta la durata dell’amplesso, in modo da amplificare al massimo il godimento sia nell’uomo che nella donna. 

“Puoi essere il mio gattino.” disse mostrandomi un plug con una morbida coda bianca e nera, “oppure io la tua tigre.” estraendone dal cassetto un altro con del pelo fulvo. “Molti amano tenerli per tutto il giorno. Personalmente mi infastidiscono al di fuori del letto e penso che certe pratiche siano un pochino deviate.” 

Ero affascinato dai mille colori che vedevo sparsi sul grande letto ma quelli che più m’incantavano erano i trasparenti. La mia mente immaginò questi oggetti cristallini penetrare la carne eccitata, umida e calda, come fossero il sesso degli angeli, che nelle loro invisibilità riuscivano comunque a regalare il più grande dei piaceri. 

“E questi mi servono quando il mio partner o la mia partner mi chiedono di switchare.” erano delle cinghie da indossare come brache, che sul davanti avevano l’innesto per i dildo. “Posso diventare il tuo fidanzato.” continuò portandosi un grosso fallo nero davanti al curato ciuffo di peli che sovrastava la sua vagina, mimando l’atto della copula. Dentro di me sentii esplodere l’eccitazione, quello che in amore si chiama le farfalle nello stomaco, in quel momento in me si levò in volo uno sciame di calabroni che faceva vibrare ogni mia singola terminazione nervosa, scatenando sensazioni mai provate. Una sensazione che si dovette palesare anche laggiù, dove custodivo la mia virilità. Diana se ne accorse e “Ti ho beccato!” disse schiaffeggiandomi l’uccello che si stava drizzando, “Sei un gran bel porcellino! Ma stai attento che io potrei essere il grande lupo cattivo... oppure il fattore che lo riconduce al recinto dopo essersi smarrito. In entrambi i casi finisci in padella.” e rise di gusto. 

“Adesso girati.” mi impartì. 

Appena fui a quattro zampe, con le chiappe ben in mostra, sciaff, una sberla a mano aperta mi colpì sulla natica destra. Così come quando mi aveva schiaffeggiato il pene, anche in quel momento il piacere dilagò come una marea elettrica dentro di me. Non avevo mai considerato queste pratiche parte di me, io vedevo l’amore come condivisione del piacere e anche se a volte avevo fottuto con grande impeto, pensando che il mio cazzo stesse spaccando in due la mia compagna, mai avrei usato violenza, fisica e tanto meno verbale, nei suoi confronti. La voluttà che mi pervase mi lasciò senza fiato tanto che dovetti abbandonarmi ad un gemito, che rallegrò Diana: “Andiamo bene!” continuò mentre un liquido caldo e oleoso colava nella fessura tra le mie chiappe, una mano iniziò a spalmarlo intorno al buco, che sentivo agitarsi sotto i tocchi della donna, fino a raggiungere lo scroto e l’asta, ormai tanto turgida da farmi quasi male. Il suo lavoro era calmo e meticoloso, preciso in ogni lembo di pelle che toccava; man mano che il tempo passava Diana si soffermava maggiormente sulla mia rosellina trepidante; sentii spingere e un dito, penso l’indice, si fece largo tra le mie carni. 

La sensazione di essere a culo in aria, voltato di schiena, in totale balia del proprio partner è parecchio remissivo e in alcuni momenti mi chiesi fin quanto avrei accondisceso a quell’assoggettamento. Fu un completo abbandonarsi, regalare fiducia a quella donna che, per sua stessa ammissione avrebbe potuto essere lupo o allevatore e io avrei comunque fatto una brutta fine. Decisi che mi sarei fidato fino in fondo, che non avevo motivo di dubitare di lei, che anch’ella aveva come obbiettivo il piacere di entrambi. Mi gustai ogni istante di quei movimenti decisi e delicati al contempo, con il dito che entrava e usciva da me, che stuzzicava punti che non sapevo di avere mentre il mio cazzo era sottoposto a stimoli che non aveva mai conosciuto e continuava a rimbalzare nella sua brama contro la mia pancia. 

“Rilassati così.” tornò a dire “Bravo!” e le dita nel mio culo divennero prima due e poi tre per preparare la strada a qualcosa di più grosso e soddisfacente. Sentii una grossa cappella appoggiarsi al mio ano dilatato e la spinta gentile di Diana che lo faceva lentamente entrare. “Ci siamo quasi.” e percepii le palle di quel grosso uccello di plastica sfiorare le mie. “Lo prendi bene. Sembra quasi che tu ne sia abituato.” evitai di rivelarle che negli anni successivi alla mia esperienza con Edo mi ero allenato in quella pratica. Mi lasciai scopare con voluttà, accogliendo il suo dildo e godendo del suo movimento rotondo e profondo. Cercai di raggiungere il mio fallo per darmi maggior piacere ma Diana se ne accorse e allontanò la mia mano. “Non farlo. Non ora. Non è il momento.” Tornai ad abbandonarmi come avevo fatto quella prima sera, senza pensare a nulla, ai sensi di colpa, alla vergogna, alla mia virilità messa in discussione, al mio machismo ormai seppellito in fondo al mio ego. Sapevo che i sensi e la sensualità non andavano inibite, che ogni esperienza è un accrescimento interiore, che se quello era il piacere che cercavo, bé, non avrei dovuto fuggirlo. 

Diana sfilò il dildo e una brutta sensazione di vuoto mi pervase. Mi fece girare e vidi che teneva in mano il fallo artificiale traslucido con cui mi aveva chiavato. Adesso, sdraiato sulla schiena, troneggiava su di me in tutta la sua altezza e faceva ondeggiare il bacino attrezzato di cintura strap-on su cui era montato un bel dildo nero. “Vieni qui!” disse afferrandomi le gambe e tirandomi a lei, verso il bordo del letto, “Il bello deve ancora venire. E quel bello, sei tu!” rise, lubrificò il suo attrezzo e me lo spinse nel culo, culo che era elasticamente pronto dopo tutto il lavoro preparatorio che aveva fatto e accolse quel membro siliconico fino in fondo. Le cinsi le gambe alla vita e Diana iniziò a scoparmi, io lo sentivo dentro stimolarmi una gran varietà di punti e regalarmi sensazioni in ogni parte di me. Diana mi afferrò l’uccello, lasciò cadere della saliva e mi masturbò al ritmo della cavalcata. Mi abbandonai completamente a lei, lasciando che fosse lei a dominarmi, a possedermi, a farmi godere di un piacere che non avevo mai provato. Ritrassi le gambe e me le portai al petto, stringendomele con le braccia; se possibile la penetrazione fu ancora più profonda, me lo sentii arrivare fin quasi in gola. A occhi semichiusi gemevo come un gattino e, sfocata, vedevo lei che rideva e sputava sul mio cazzo per segarmi meglio. 

“Sto per venire.” ansimai. Diana affondò fino alle palle artificiali del suo dildo e tirò la pelle del mio uccello fino alla radice. Esplosi come un vulcano inondandomi la pancia di sperma caldo. 

Diana rallentò il ritmo e prese a massaggiare lentamente il mio uccello che andava ammosciandosi. Una supernova di emozioni contrastanti aveva completamente riempito il mio universo interiore, mi sentivo fluttuare in un mare siderale di gelatina multicolore, non sapevo più chi fossi né tantomeno cosa fossi. Ero un uomo? Ero gay? Ero un cazzo di frocio, come tanti intorno a me chiamavano gli omosessuali? Eppure ero attratto dalle donne, l’incontro con Diana lo dimostrava, però mi piaceva prenderlo nel culo in senso strettamente letterale dell’espressione; avere qualcosa di grosso e duro che mi spinge nelle viscere non faceva altro che amplificare a dismisura il mio piacere. Quindi ero bisex. Ma quanto attivo? quanto passivo? quanto omo? e quanto etero? Alla fine di ogni orgasmo i dubbi tornavano ad assalirmi come un branco di lupi famelici, non potevo godere del mio piacere perché i miei sensi di colpa, di vergogna, di perbenismo e di conformismo mi latravano contro. Non poteva bastarmi di aver goduto? Sembrava di no, sembrava che dovessi lacerarmi ad ogni rapporto sessuale che mi regalava un piacere immenso, e quello con Diana aveva toccato apici gloriosi 

Diana sfilò lo strapon dal mio culo e la solita, triste, sensazione di vuoto tornò a dilagare in me. Avrei voluto che non finisse mai. 

“Bravo Porcellino!” disse la mia compagna “Te lo sei gustato per bene.” e mi schiaffeggiò il cazzo con il dildo appena estratto. Lo sentii ancora caldo e umido dei miei umori. “Il bagno è la prima porta a destra. C’è un asciugamano pulito appeso.” Fedelmente seguii le istruzioni e mi feci una doccia. Pulendomi l’ano lo sentii dilatato e lasco, come m’era capitato anche durante le mie solitarie evoluzioni. Sapevo che me lo sarei tenuto per qualche giorno al massimo, ma ne valeva la pena. Avrei dovuto soltanto stare attento a petare. Ridacchiai tra me e ritornai in camera per gustarmi un po’ di riposo dopo quell’amplesso. Trovai Diana a gambe divaricate sui braccioli della poltrona, si stava passando una mano sulla vagina accuratamente rasata e pettinata. Sul ciuffetto che decorava il monte di Venere brillava qualche goccia che sembrava argento liquido. 

“È il tuo turno, Porcellino.” 

Mi guardai l’affare penzolante e molle. Non ero mai stato un grande doppiettatore. 

“Non preoccuparti.” mi rassicurò lei, “Baciami fino in fondo.” 

Capii cosa desiderava. M'inginocchiai davanti alla poltrona e mi ritrovai nella posizione dell’uomo all’albergo. Dovevo darmi da fare con le mani e con la bocca. Cercai di percepire quale parte le era più sensibile, quale movimento la faceva sussultare di più, cercai di ricordare quello che le altre mie amanti mi avevo detto o soltanto fatto capire, cancellai dalla memoria tutte le immagini viste nei porno perché quello non era far godere una donna. Iniziai delicatamente, baciandole le grandi labbra che pian piano si aprirono sotto i colpi della mia lingua e mi regalarono lo sbocciare del clitoride, che si erse nella sua maestosità davanti ai miei occhi. Lo carezzai e la sentii gemere mentre con una mano mi graffiava il cuoio capelluto. Lavorai il clitoride con le dita mentre con la lingua mi spingevo all’interno della vagina aperta, che emanava un afrore selvatico di bosco nel pieno della stagione amorosa. Leccai e leccai come se non esistesse null’altro attorno a me, mi spostai a succhiare quel piccolo pene che le spuntava tra le carni così rosee che si stavano trasformando in un mare in movimento. Per restituirle il piacere che aveva fatto a me, spostai una mano verso il suo deretano, le aprii leggermente le natiche e raggiunsi il suo fiore ascosto. Quando lo sfiorai Diana mi spinse la testa contro il suo sesso eccitato, mi teneva così forte che temetti di soffocare perché anche il naso era immerso in quella umida caverna calda. Mi stringeva la testa, e io boccheggiavo in cerca d’aria, che per fortuna riuscivo a trovare, e spingeva il bacino avanti e indietro per assecondare e migliorare i miei movimenti. Continuò a lungo, e io le spingevo sempre più il dito nel culo, chiuse le gambe mentre un lungo lamento accompagnò il suo orgasmo che m’inondò completamente di caldo liquido appiccicoso. 

Finalmente riuscii a respirare a fondo. Diana mi allontanò e caddi sul pavimento. In preda all’estasi mi mise i piedi sul petto e poi in viso. Non potei fare altro che iniziare a leccarli. So che è una fantasia molto comune ma è una fantasia che mi ha sempre accompagnato, cercavo sempre, in ogni mio amplesso di avere i piedi della mia compagna vicino a viso, a un tiro di lingua potremmo dire, adoravo leccarli e succhiare le dita mentre le penetravo. Il gesto di Diana, che mi mise a disposizione le sue estremità, ravvivò il mio desiderio e mentre veneravo i suoi bei piedi, il mio uccello tornò a farsi baldanzoso. 

(continua)