Il tacco

Il tacco
Appena mi sono diplomato, ho lavorato per un anno in un negozio di ricambi che al tempo era ritenuta inaffondabile.
Un poco come la favola dei tre porcellini, c’erano tre soci: uno che faceva la bella vita, uno che si vedeva ogni tanto, giusto per firmare le pratiche, l’altro che mandava avanti la baracca e, nel frattempo, si preparava per i giorni bui. Sì, perché lui, avendo le mani in pasta, sapeva da tempo che la mucca stava finendo di produrre latte, e si era creato, piano piano, un piccolo capitale per la tempesta che sarebbe arrivata. Quando poi accadde, lasciò affondare l’impresa e ne fondò una nuova, per conto proprio, portandosi dietro alcuni fedelissimi. Sabina, la segretaria, fu una di quelli. Io, invece, fui il primo ad annegare, con altri quaranta dipendenti e i due soci.
Il mese prima del tracollo, ci presentavamo ogni giorno al lavoro convinti che sarebbe stato l’ultimo. Passavamo il tempo senza fare un cazzo. La mia scrivania era vicina a quella di Sabina. Essendo, però, l’addetto alla logistica, fino a quell’ultimo periodo ci avevo passato pochissimo tempo, impegnato com’ero nel magazzino a gestire i pacchi in partenza e in arrivo. Di conseguenza, non avevo mai avuto molto a che fare con la segretaria. Io avevo vent’anni, lei era sulla trentina, capelli castani dritti, lunghi fino alle spalle, occhi marroni, due tette enormi che lei teneva sempre ben in vista. I colleghi non perdevano occasione per fare battute sessiste o allusioni sessuali per niente mascherate. Lei rideva e incassava tutto, come fossero complimenti.
Un giorno ero seduto, intento a fare aeroplanini con i fogli di spedizione, lei stava visitando un sito di commercio elettronico di abbigliamento. Ad un certo punto mi rivolge la parola: «Che ne dici di questo?»
Butto l’occhio e vedo un vestito estivo molto succinto, da scopata.
«Bello, cosa ci devi fare?»
Lei capisce al volo, sembra una che ha peli sulla lingua.
«Quello che pensi.»
«Allora è perfetto. Una sorpresa al tuo ragazzo?»
Fa un cenno, sconsolata.
«Quello? Non mi guarda più da mesi.»
Commento su due piedi, in modo spontaneo.
«Non tutti gli uomini riescono ad apprezzare quello che hanno. Fino a che non lo perdono.»
Lei si gira e mi guarda come se avessi recitato una poesia d’amore. Rimane a fissarmi per alcuni istanti.
«Hai una ragazza?»
«Al momento no.»
«Sei un bel ragazzo, come mai?»
Conosco il suo tono, è quello di una femmina che sta facendo il casting. Sto al gioco e mento.
«Mi piacciono più grandi di me, non è facile …»
Tamburella un dito sulle labbra, pensando, poi sentenzia: «Nel sesso non c’è niente di difficile, sono le persone che complicano tutto. Dipendesse da me, istituirei un giorno al mese di sesso libero, senza seghe mentali.» Fa un cenno verso la finestra che dà su una strada affollata «Ci si vede e si scopa, se si ha voglia, sul posto.»
Un punto di vista che mi sembra bislacco, anche da uno come me che del sesso ne ha fatto una ossessione. Al punto da chiedermi se la donna che ho davanti ha tutte le rotelle a posto. Decido, comunque, di darle spago. Abbasso lo sguardo alla camicia sbottonata, sotto la quale si muovono i seni abbondanti e nudi, e annuisco.
«Sarebbe bello per me, un poco meno per te: ti salterebbero tutti addosso.»
Fa una risata rumorosa, eccessiva per la mia uscita rozza.
«Non mi sottovalutare.»
«Vale lo stesso per me.»
Mi pesa con gli occhi per un poco, poi si gira e continua a navigare.
Un’ora dopo ho esaurito tutte le varianti di oggetti volanti che conosco, butto l’occhio sul suo monitor e vedo che sta guardando in un sito di scarpe. Mi avvicino e indico un paio di sandali azzurri con tacco 12 e plateau
«Quelle ti starebbero bene.»
«Ne ho già un paio di uguali.»
«Le tieni per il giorno di sesso libero?»
Mi guarda seria.
«Sei un feticista?»
«Se il piede è il tuo e la scarpa è quella: sì.»
Mi regala un’espressione che non avrei ottenuto neanche con un mazzo di rose rosse. A quanto pare le piacciono gli approcci rudi ed espliciti, un terreno sul quale io mi muovo egregiamente.
«Quanti anni hai?»
Penso sia la quarta volta che me lo chiede, da quando lavoro qui. Forse, però, questa volta la domanda ha un fine. Gonfio per ridurre la distanza con lei.
«Ventidue.»
«Sembri più giovane. Io ne ho trenta.»
La squadro con ammirazione.
«Non si direbbe.»
Non mi accorgo che, nel frattempo, il capo si è materializzato dietro di me.
«Barra, è arrivato un corriere. Sabina, seguimi in ufficio.»
Ezio è più spigoloso del solito, in ogni caso annuisco e schizzo verso il magazzino.
Appena ho finito, ripasso per la mia scrivania ma lei se ne è già andata. Butto nel cestino la flotta aerea e torno a casa.
Il giorno dopo arrivo prima di lei, sbrigo rapidamente le incombenze in magazzino e poi mi piazzo nella mia scrivania. Sabina arriva poco dopo, con addosso un paio di decolté azzurre, simili a quelle che avevamo visto il giorno prima nel negozio online. Noto con stupore che cammina con disinvoltura: l’ho sempre vista con addosso sneakers o stivaletti con tacco basso. Il rumore del tacco che batte sul pavimento di gres porcellanato polarizza l’attenzione di tutti i presenti, compreso Ezio, che assiste alla passerella visibilmente soddisfatto. Quando è davanti a me, alza le braccia e sorride soddisfatta.
«Allora, che ne dici?»
Annuisco, emozionato per il fatto che lo sta facendo solo per me.
«Stupenda. Ti stanno benissimo.»
Sebbene indossi un paio di jeans e una camicetta, quell’accessorio la slancia in modo incredibile. Incrocio lo sguardo del capo e capisco che devo tornare nei ranghi e far finta di lavorare.
Quella visione, e la mia fantasia galoppante per quello che le farei, mi eccitano al punto che poco dopo devo rifugiarmi in bagno per asciugare gli umori che stanno imbrattando i boxer. Torno al mio posto cercando di rimanere coi piedi per terra: magari lo ha fatto solo per compiacere sé stessa, o forse il capo. Mi siedo e faccio scorrere la sedia per avvicinarmi a lei il più possibile.
«Non ti ho mai vista con i tacchi.»
«Infatti, non li metto mai per venire al lavoro.»
«Dovresti metterli più spesso, sei da urlo.»
Scorro con lo sguardo sul suo petto, i capezzoli stanno segnando la camicia: capisco che è il momento di osare, ma lei mi anticipa.
«Hai da fare stasera?»
Dovrei uscire con gli amici, ma, a questo punto sono certo che stiamo parlando di una scopata sicura …
«No.»
Annuisce e si allontana sculettando, senza dire niente. Ha un fisico da nuotatrice, spalle larghe, culo piccolo e muscoloso, gambe lunghe, sproporzionate al resto del corpo. Appena esce, un collega mi avvicina.
«Stai attento a Sabina, è pericolosa.»
Lo guardo.
«Cosa intendi?»
«Fa i pompini a Ezio. Fossi in te, starei alla larga.»
Ezio è il suddetto socio furbo. Avevo già sentito voci che era l’amante del capo, ma la voglia di farmi un giro con lei è tale che non ascolto l’avvertimento del collega. Se lo avessi fatto, probabilmente lavorerei ancora lì.
Mi allontano anch’io dalla scrivania, per preparare alcune spedizioni. È una giornata stranamente piena di lavoro, la incrocio in diversi momenti, e ogni volta mi lancia degli sguardi che mi fanno ribollire dentro. Poco prima della fine della giornata lavorativa torno alla mia scrivania per chiudere le pratiche, guardandomi in giro spesso per cercarla. Quando sto per alzarmi, lei esce dall’ufficio del capo. Noto che il rossetto color rosso pompeiano, che faceva brillare le labbra al suo arrivo, è quasi del tutto svanito. Mentre rumina, con la sua immancabile gomma in bocca, si avvicina alla sua scrivania e imbraccia borsa e casco.
«Ah, eccoti. Andiamo?»
Raccolgo la giacca e la seguo, facendo finta di ignorare lo sguardo cagnesco di Ezio che ci guarda appoggiato sullo stipite della porta del suo ufficio.
Quando esco, è già a cavallo del suo scooter scassato.
«Mi segui con l’auto?»
«Sono venuto con i mezzi, è dal meccanico.»
In realtà non è vero: è il mio primo lavoro e vivo ancora con i miei, figuriamoci se posso permettermi una macchina!
«Salta su.»
Salgo dietro di lei, senza casco, e la cingo sui fianchi.
Passo quindici minuti da film dell’orrore. Sabina guida in modo spericolato e incosciente, persino per uno come me che ama il brivido del rischio. Quando si ferma davanti a un bar, tiro un sospiro di sollievo. È senza dubbio un posto che frequenta spesso: tutti la salutano, un paio le danno pure uno schiaffo sul culo mentre passa. Lei sorride e passa oltre il banco chiedendo “il solito”. Il barista mi guarda con un misto d’invidia e commiserazione e chiede: «Tu cosa bevi?»
«Una coca.»
Si gira verso la donna e commenta, come se non ci fossi: «Vai a cercarli all’asilo, adesso?»
Non mi dà il tempo di rispondere a tono, mi prende la mano e mi trascina in un angolo tranquillo del locale.
«Ignoralo. È un mio ex, è solo invidioso.»
E apre un paio di bottoni della camicia che, a questo punto, è aperta fino alla pancia. Scorro lungo la linea dei bottoni, la striscia di pelle abbronzata è interrotta solo dall’arco di stoffa che unisce le due coppe del reggiseno. La cosa inizia a farsi interessante.
«Lo erano anche quelli che ti hanno sculacciata?»
«Sei geloso?»
Appoggio una mano su una coscia e mi avvicino al suo viso. Inizio a capire il tipo di maschio che le piace.
«O forse sei tu che sei un pochino troia.»
Si gira e mi guarda, fingendo di essere offesa.
«Stronzo. Non si dicono queste cose a una ragazza.» Fa finta di valutare se piantarmi in asso e andarsene offesa. Poi risponde: «Non capisci un cazzo. Scommetto che sei ancora vergine.»
Abbassa lo sguardo e fissa le tette. Io sollevo la mano e scosto il lembo della camicia, sfiorando con un dito la fessura tra i due seni. La sento trasalire.
«Può darsi, hai voglia di farmi da prof di educazione sessuale?»
In quel momento arriva il barista con le bevande e una ciotola di patatine fritte.
«Ecco il tuo spritz. E la coca per il bambino.»
Coglione, merita una lezione. Senza pensare, infilo la mano sotto la camicia e le strizzo un seno. L’altro mi fulmina, poi si guarda in giro per accertarsi che nessuno mi abbia visto.
«Queste porcherie andate a farle altrove.»
Sfilo la mano e la sollevo in aria, ridendo. Quando si allontana, lei mi guarda, ancora una volta intrigata dal mio comportamento.
«Sei proprio un porco.»
«Se andiamo in bagno, ti faccio vedere quanto.»
Non mi è mai piaciuto perdere tempo, soprattutto se ho voglia. Da quando siamo entrati nel bar, sento l’odore della fica bagnata di Sabina. Ho conosciuto e scopato abbastanza ragazze da saper riconoscere i segni dell’eccitazione femminile, e li vedo tutti in quel momento, addosso alla mia collega di lavoro.
Beviamo in silenzio, studiandoci a vicenda. Ha una lingua lunga e appuntita, adoro il modo provocatorio con cui mette in bocca le patatine. Alla quarta non resisto.
«Altre due e vengo nei pantaloni.»
Ne prende un'altra in mano, poi la lecca. Non ce la faccio più, mi alzo ed entro nel bagno dei disabili, senza chiudere la porta a chiave, e attendo dei minuti interminabili. Forse ho calcato troppo la mano, fraintendendo i messaggi che il suo corpo mi sembrava inviare. Forse … ma forse no! Infatti, ecco che entra di soppiatto.
«Dobbiamo fare presto.»
E s’inginocchia davanti a me.
Non mi faccio pregare: estraggo un’erezione da guinness e lascio che lei la onori con la bocca, ma non fino alla fine. Le voglio entrare nella fica, saggiare la sua fessura che, sono certo, è più invitante della bocca.
«Alzati, ti voglio scopare.»
Mentre si prepara, infilo un preservativo. Ha proprio un bel culo, non ho tempo per sfilarle i jeans, le entro da dietro e la scopo come se non facessi sesso da mesi.
Sul più bello, qualcuno bussa alla porta.
«Stronzo …»
Sabina è incazzata, tira su i pantaloni in fretta e furia, poi esce e si mette a litigare col barista.
Nel frattempo, io sguscio fuori dal bar, incerto su cosa fare. Poco dopo mi raggiunge, paonazza in viso, salta a cavallo dello scooter e mi dice: «Sali.»
Mi porta a casa sua, un bilocale a pochi minuti dal bar. Non c’è niente che indichi la presenza di un ragazzo, al punto da convincermi che non esiste. Meglio così: non dovrò temere che qualcun altro bussi alla porta sul più bello, rivendicando la patatina che ho avuto appena il tempo di assaggiare.
Lei non perde tempo, va dritta sul letto lasciando una scia di vestiti dietro di sé. Avevo già apprezzato il culo da urlo. Quando si gira, con le mani appoggiate sotto i seni per sostenerli, rimango, però, deluso dal petto: le areole sono scure e irregolari, i seni flosci. Ha un segno sotto il ventre, probabilmente il ricordo di un errore giovanile che ora si trova chissà dove. Poco conta in questo momento, tolgo i pantaloni e mi accorgo che ho ancora addosso il preservativo.
Sabina ride, poi si stende sul letto e apre le gambe per accogliermi.
«Dai vieni, non riesco più ad aspettare.»
Mi piacerebbe uscire con una frase a effetto, una di quelle che scaldano il cuore e danno una scusa per quello che sta per succedere. Ma io non sono un poeta, uno che si perde a decantare l’amore; sono un operaio del sesso, uno che lavora di mano e lingua … oltre alla cosa che mi pulsa tra le gambe e che brama di entrarle dentro prima possibile.
Quindi, mi esce un molto poco romantico: «Hai una fica da urlo.»
E sono sincero. Ieri le ho mentito, non sono mai stato con ragazze molto più grandi di me, ma nessuna, dico nessuna di quelle che ho scopato, aveva una fica come quella di Sabina. Magari più tardi mi fermerò ad ammirarla, adesso la voglia incombe, per cui non perdo tempo e la penetro senza cambiare il preservativo.
Sabina a letto è come nella vita normale: nervosa, impulsiva, imprevedibile. Mi incita a dare vigore alla scopata, a toccarla, a leccarla. «Leccami un capezzolo, strizza l’altro, più veloce, entra tutto dentro, ancora. Baciami …»
Mi pare di giocare a twister, con lei nella parte del tappettino colorato, e io che improvviso posizioni improbabili per accontentarla. Ma alla fine ce la faccio, lancia un urlo e subito dopo si sente un commento compiaciuto dall’altra parte del muro.
«È lo stronzo del vicino, ignoralo.»
Non è facile ma ce la faccio, complice il fatto che, per soddisfare le sue richieste, da diversi minuti trattengo a fatica il mio di orgasmo.
Subito dopo si alza e sparisce in bagno. Quando torna, nuda e disinvolta come se ci conoscessimo da una vita, mi chiede:
«Se ti accontenti di una pizza, puoi cenare qui, con me.»
Annuisco e prendo lo smartphone per avvisare gli amici. Quando lo riappoggio sul comodino, lei sta sfilando il preservativo. Subito dopo prende in mano il cazzo moscio e si mette a leccarlo come se fosse la cosa più buona del mondo.
Il mattino dopo arrivo tardi al lavoro. Raggiungo la scrivania tenendo gli occhiali da sole. La segretaria è già seduta al suo posto e mi accoglie con un sorriso abbagliante. Mi sento stanco e prosciugato, ieri sera Sabina mi ha tolto tutte le energie. Saluta e ammicca: «Sembri stanco.»
«Ho dormito poco.»
Passa un mio collega che commenta: «O forse l’hai consumato pensando a lei.»
Poi osserva il modo in cui lei mi sta guardando, e sono certo che gli sia venuto un dubbio che non l’abbia solo pensata. In ogni caso non dice niente e passa oltre con un’espressione stupita.
Rimango anch’io a guardarla, ipnotizzato dai due incisivi bianchissimi che mordono il labbro inferiore, quando una voce roca mi chiama: «Barra, nel mio ufficio.»
È Ezio, il capo. Tolgo gli occhiali e lo raggiungo.
«Chiudi la porta e siediti.»
Non si mette bene. Prende in mano un foglio e legge qualcosa, poi inizia a parlare.
«Flavio, come sai, le cose non stanno andando bene. Purtroppo dobbiamo ridurre l’organico. Penso che, come tutti gli altri, ti stia guardando in giro.»
«Sì, ma non è facile.»
«Su questo ti posso aiutare. Un mio amico sta cercando un ragazzo con le tue competenze.» Allunga un biglietto da visita. «Lo puoi chiamare e dire che ti mando io. Gli ho già parlato di te.»
Prendo in mano il biglietto, perplesso. Questa cosa non mi convince, sento puzza di fregatura.
«Grazie, Ezio. Immagino sia difficile trovare un’alternativa per tutti, per non lasciarci col culo per terra …»
«In realtà, lo sto facendo solo per te.»
A questo punto mi è venuto un dubbio.
«Quanti esuberi ci sono esattamente?»
«Quattro persone, ma mi sto muovendo per gradi.»
Il sospetto diventa realtà.
«E io sono il primo … e l’unico.» Rimane impassibile. «Come mai?»
Assume un atteggiamento seccato.
«Tanto per iniziare, passi le giornate a fare aeroplani di carta.»
Alzo le braccia.
«Non c’è un cazzo da fare. Se preferisci, posso dedicarmi allo shopping online, come gli altri!»
Mi guarda serio.
«Avresti potuto, ma hai preferito fare altro.»
E finalmente capisco a seguito di quale delitto sto subendo il castigo: mi sono scopato la sua amante. Faccio un disperato tentativo per cercare di non perdere il lavoro.
«Se è per Sabina, non è successo niente di quello che immagini.»
Lui mi consegna il foglio che tiene in mano.
«Sei proprio un ragazzino. Non so cosa ci trovi …» scuote la testa e interrompe la frase a metà. «Tieni. È una lettera di dimissioni, devi solo firmarla. Raccogli le tue cose, stasera finisci.»
Mentre sto per uscire, incredulo per quello che è appena accaduto, col foglio in mano, l’altro aggiunge.
«Mandami Sabina.»
Non sono pronto per questo cose, è il mio primo lavoro, magari ci farò il callo, prima o poi, mi crescerà il pelo sullo stomaco e riuscirò ad affrontare capi stronzi come Ezio, e magari spuntarla. Non ho intenzione di intentare cause, o tirare in ballo sindacati o roba simile, sento solo una voglia pressante di andarmene da questo posto di merda. Vedo solo una strada a senso unico, motivo per cui mando la segretaria da lui ed esco con il biglietto da visita in mano per fare la telefonata all’amico di Ezio.
Quando rientro, mi viene la nausea. Quel posto, i colleghi che conosco appena, malgrado lavori lì dentro da quasi un anno, mi sembrano improvvisamente dei perfetti sconosciuti, motivo per cui mi giro e vado a farmi un giro.
Rientro nel tardo pomeriggio, intenzionato a firmare la lettera che ho lasciato sulla scrivania, raccogliere le mie cose e andarmene senza salutare nessuno. Realizzare il mio intento è più facile di quanto immaginassi: passo il badge, apro la porta e mi accorgo che l’ufficio è deserto. Raccolgo le mie cose buttandole alla rinfusa dentro un sacchetto, quindi firmo le dimissioni. Quando entro nell’ufficio del capo, vedo Sabina seduta al suo posto che sta ordinando dei fascicoli.
«Avrei preferito te come capo.»
Alza gli occhi, non si aspettava di vedermi.
«Non pensavo che tornassi. Mi ha dato la notizia … mi spiace. Spero non sia successo per colpa mia.»
Appoggio la lettera di dimissioni sulla scrivania.
«Sarebbe successo comunque. E poi … la tua figa vale questo e altro.»
Sorride lusingata. È una donna molto pratica, la mia segretaria preferita, indietreggia la sedia e apre le gambe, sollevando la gonna fino a sopra le ginocchia, poi mi fa un cenno. Io mi infilo a quattro zampe sotto la scrivania assumendo la posizione che di certo lei ha assunto decine di volte, con Ezio dove lei si trova adesso.
Quando sono sazio del sapore del suo sesso, mi alzo e abbasso i pantaloni, lei sfila le mutande e poi si stende sulla scrivania.
«Il primo cassetto, a destra.» Lo apro e vi trovo una scatola di profilattici. «Offre il capo.»
Un poco mi spiace lasciare questo posto, proprio adesso che ho ingranato con la segretaria. Il negozio dell’amico di Ezio dista a una decina di minuti da qui. Non sono anni luce, ma sono certo che Sabina tra un paio di giorni ricorderà a malapena il mio nome.
Non è il caso di pensare a queste cose. Meglio godere del momento. Le alzo il vestito fino al collo e affondo il viso tra i suoi seni, mentre spingo a più non posso. Mi piace come gode, i gridolini sinceri di piacere, il modo con cui asseconda i miei movimenti per farli diventare anche suoi. Quando sto per venire, mi viene un’idea.
«Scendi dalla scrivania.»
È tutta sudata, si mette al mio fianco, pensando che voglia venire nella sua bocca. Alcuni fogli si sono appiccicati sulla schiena, li tolgo e li rimetto sul tavolo, tra quelli c’è la mia lettera di dimissioni.
«Fanculo.»
Tolgo il preservativo e firmo la lettera per la seconda volta.
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