Carlo caro, marito mio

Lucifer
a month ago

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Carlo caro, marito mio,  

ti lascio sul frigo questa lettera perché sono certa che tornando a casa la cucina sarà come sempre il primo posto dove andrai. Non troverai a casa le mie cose, io starò infatti via qualche giorno finché non avrai riflettuto sul contenuto della lettera. Siediti e ti prego: niente reazioni isteriche. Ho rischiato di rimanere incinta di un altro uomo di cui ignoro persino il volto. Ti racconto.  

Un po’ è colpa tua, siamo sposati da dieci anni e da cinque il nostro matrimonio non è altro che una gelida e triste routine; credo che i matrimoni siano delle auto, il motore che alimentava la nostra è rotto ma quel che è peggio è che tu non hai chiamato un meccanico. Non sono sicura di capire perché il motore, il nostro matrimonio, si sia rotto ma ho un sospetto sul quando: cinque anni fa sono stata promossa da semplice guardia carceraria a vicedirettrice del Carcere di Porto, ora ne sono la direttrice. Tu sei diventato man mano sempre più freddo e come impaurito, a volte in mia presenza davi l’impressione di essere a disagio come dovessi attraversare un campo minato. Hai forse una seconda vita da criminale e cerchi di nasconderti da me? Scherzo. Comunque, un tempo non perdevi occasione di prendermi in qualunque momento sul tavolo o contro il frigo; adoravi strizzare i miei grossi seni con forza; ora, siamo finiti a scopare giusto alle feste e mi scopi come se dovessi portare a termine un compitino: ti stendi sul letto e aspetti che sia io a impalarmi sul cazzo e a fare tutto. Non ti eccito più. Io ho però 43 anni e ho ancora voglia di essere fottuta e dominata come quando avevo 20 anni! In bagno, in doccia, mi sgrilletto tutti i giorni. 

Così ho lasciato che la mia sessualità frustrata influenzasse le decisioni sul lavoro. Mi biasimi? Succede spesso a voi uomini. No, non mi sono fatta una giovane guardia carceraria. Ti spiego: come sai, ultimamente il Carcere di Porto è finito alla ribalta delle cronache sui giornali nazionali. Di questo ne abbiamo parlato. Nel mio carcere sono stati mandati a scontare la pena i vertici della famigerata cosca mafiosa “Pesce Marcio”: i tre boss Don Alfonso, Don Marcello e Don Nello. Ciò che non ti ho confessato, per non metterti in pericolo, è che abbiamo scoperto che Don Alfonso ha trovato il modo per mandare avanti gli affari della cosca dalla prigione. Don Alfonso ha corrotto qualche mio sottoposto per far uscire periodicamente dalla struttura dei pizzini. Abbiamo avvisato prontamente polizia e magistrato, a seguito di una lunga riunione è stato deciso di avvicinare Don Marcello. È noto che Don Marcello covi antichi rancori per Don Alfonso. Gli abbiamo proposto di fare il doppiogioco per noi, Don Marcello ha accettato. Solo che non gli interessava uno sconto di pena, voleva altro in cambio. 

Sono stata io a proporre di offrirgli un’ora di “massaggi” a settimana: avremmo pagato una “massaggiatrice” professionista, ce ne sono tante che “praticano” in città. Si sa che in prigione un uomo etero non ha, per così dire, modo di sciogliere i muscoli. A te lo posso dire: quest’idea l’ho tirata fuori esclusivamente perché eccitava me, mi sarei potuta sgrillettare immaginando le scopate di Don Marcello e la massaggiatrice. Don Marcello è un omone di mezz’età del tutto aderente allo stereotipo del gangster: folto pelame lungo tutto il corpo, voce rauca, anelli alle dita; è il genere di uomo che aspetti umili le donne a letto. 

Comunque, per qualche mese la massaggiatrice è stata fruttuosa. Gli altri detenuti non si sono accorti di nulla: Don Marcello inscenava un’insubordinazione così che noi potessimo sbatterlo nella cella di isolamento, là riceveva la massaggiatrice travestita da secondaria ed era lui a sbattersela. Poi, un giorno, all’improvviso la massaggiatrice non si è resa più reperibile. Don Marcello si trovava però già nella cella d’isolamento, occorreva trovare un modo per non contrariarlo. Mi sono offerta io di andargli a parlare. Hai capito bene, ho finalmente trovato il coraggio per realizzare una fantasia che mi ha accompagnato per mesi: prostituirmi. 

Non abbiamo più chiamato alcuna massaggiatrice. La polizia, il magistrato e i miei colleghi hanno fatto finta di non capire, magari a casa si masturbavano pensando a me e al boss...A questo punto starai deducendo in maniera erronea che Don Marcello abbia rischiato di mettermi incinta. No, a lui bastava vedermi inginocchiata tra le sue gambe intenta a segarlo con una mano e a torturarmi il clitoride con l’altra. A volte mi veniva in faccia, a volte sui seni. Tutte le volte mi ricordava quanto gli piacessero le areole intorno ai capezzoli “così rosa e grandi”, succedeva che si divertisse a mettermi in imbarazzo dicendo che qualcuno ci stesse osservando attraverso lo spioncino della cella. 

Forse qualche volta è successo realmente, alla luce di quanto ti dirò concorderai con me. Un giorno, siamo stati interrotti da forti grida e tintinnare di chiavi; mi sono immediatamente rimessa in piedi e coprendo con le braccia i seni scoperti avvicinata alla porta. Incredibilmente era in atto una rivolta. Una manciata di galeotti era riuscita in qualche modo a rubare le chiavi delle celle. Ora, qualcuno stava finendo di liberare i compagni e qualcun altro si dirigeva verso di noi. Sono andata in panico, ricordo di aver domandato a Don Marcello se ne sapesse qualcosa: di sicuro una rivolta doveva essere stata pianificata per settimane. Non ne sapeva nulla. Quando la porta della cella d’isolamento si è aperta abbiamo capito. 

Per fortuna non avevamo davanti Don Alfonso. Anzi, la figura davanti a noi ci ha subito rassicurato che Don Alfonso non sospettava nulla a differenza sua. Davanti avevamo Don Nello, per così dire, la terza testa della cosca. L’uomo era stato informato di insolite e frequenti visite della direttrice. Perché mai la direttrice del carcere avrebbe dovuto intrattenersi per tutto quel tempo con un detenuto? Non era però necessario riferire a Don Alfonso del tradimento di Don Marcello...No, ma a una condizione: mi sarei dovuto lasciar scopare a turno da lui e dagli altri suoi accoliti.  

Avrei dovuto rispondere che mai avrei accettato una simile umiliazione ma non potevo. Non perché avessi paura delle conseguenze, non era affar mio il destino di Don Marcello e non si sarebbe di certo spinti a picchiare la direttrice del carcere. Non potevo perché non volevo. Una parte di me aveva sempre sperato che prima o poi qualcuno mi chiedesse conto delle mie recenti azioni. Inoltre, avrei indossato una maschera bianca così che gli altri detenuti non sarebbero risaliti alla mia identità. Naturalmente anche i detenuti avrebbero indossato la maschera bianca. Ricordo che l’unica cosa che ho chiesto è stata dove si fossero procurati delle maschere. Per il resto mi sono sfilata pantalone e mutandine, mi sono messa supina sul materasso duro della cella e ho spalancato oscenamente le gambe. Già colavo come una cagna in calore. 

È stato un ragazzo pelle e ossa il primo ad infilarmi, senza troppe smancerie, l’uccello nella passera. Era rasato, me ne sono accorta quando gli ho avvolto le mani intorno alla testa. Siamo venuti nello stesso momento come fossimo due teneri amanti; un caldo carico di sborra si è riversato dentro la mia fica, il ragazzo non aveva messo il preservativo...Stavo per obiettare qualcosa quando un secondo uomo, decisamente più pesante, si è sdraiato su di me e mi ha messo due dita in bocca. Avrei corso il rischio, ero sicura che nemmeno il nuovo arrivato avesse il preservativo. No, né lui né gli altri cinque detenuti dopo di lui lo avevano. Mi hanno lasciata sfinita sul materasso duro e giallognolo con la fica ormai grondante che vomitava sperma. In compenso, ho avuto diversi orgasmi.  

Carlo caro, marito mio, ora sai. Per fortuna non sono rimasta incinta. Forse per il nostro matrimonio c’è ancora speranza. Però spero che ti piaccia vedermi fottere da altri uomini perché di certo non vi rinuncerò più. A proposito, dovremmo andare a trovare qualche volta gli operai che stanno ristrutturando l’appartamento al primo piano... 

Paola