Un giro in moto inatteso e trasgressivo
“Beh, se proprio ci tieni tanto, facciamo per le 15.00. Va bene? E dove mi porti? Sulle colline con il tuo nuovo gioiello? D’accordo, allora ti aspetto. A dopo.”
Conosco Alberto da alcuni anni, da quando si iscrisse ad uno dei miei corsi di ballo, ma dovette rinunciare a frequentarli per via dei sempre più pressanti impegni di lavoro che lo portavano all’estero per lunghi periodi.
È un aitante quarantenne, molto appassionato di automobili, specialmente di quelle sportive prodotte negli anni ’70. Grazie all’impegno nella sua professione, nel tempo è riuscito ad acquistarne alcune veramente belle. Pertanto, quando mi ha annunciato che sarebbe venuto a prendermi con il suo “nuovo gioiello”, ho pensato che fosse un pezzo recentemente aggiunto alla sua collezione a quattro ruote.
Invece, quando esco dal cancello di casa, con mia somma sorpresa lo trovo accanto ad una grossa moto da enduro, un’Honda nuova di zecca, tutta nera e con l’aspetto piuttosto inquietante, almeno per me che non ho alcuna familiarità con le motociclette.
Con la sua consueta aria baldanzosa, si toglie gli occhiali da sole e, ancora prima di salutarmi, fiero oltre ogni misura, mi domanda: “Allora, cosa ne dici? È o non è uno splendore?”
Osservo con attenzione il bolide e non posso far altro che essere d’accordo con il mio amico: “Mmm, bella davvero. Hai deciso di passare alle due ruote?”
“Naaa, è solo uno sfizio. Non tradirò mai la mia natura di estimatore delle Gran Turismo. Comunque, ciao cara. Come stai? Sei sempre splendida ed elegantissima.” dice, mentre mi stringe la mano e mi tira a sé per darmi due baci sulle guance.”
“Grazie,” rispondo, “ma se avessi saputo che saresti venuto in moto, non mi sarei messa la minigonna e i tacchi a spillo…”
“Dai, non credo sia un problema per te. Questo è il tuo casco. Non essendo fidanzato, l’ho comprato solo con la prospettiva di portarti a fare un giretto.”
“Molto lusingata. Ma non dovevi… E se non avessi accettato, dicendoti che ho paura ad andare in moto?”
“Per questo non ti ho accennato nulla al telefono!” conclude sghignazzando. Si infila il casco e mi aiuta ad indossare il mio. A questo punto, tutti i miei pensieri sono rivolti ai capelli, che mi chiedo come saranno quando lo toglierò, e alla mia gonnellina, ampia e svolazzante, che dovrò impegnarmi assiduamente a trattenere abbassata, se non voglio mostrare il culo a mezza regione mentre raggiungiamo la nostra meta. Meno male che, almeno, ho messo il giubbottino in pelle, che quindi è l’unico capo intonato alla situazione.
Alberto solleva la moto dal cavalletto e accende il motore che ruggisce minacciosamente con un suono molto cupo. Non senza apprensione, monto in sella dietro a lui e cerco gli appoggi per i piedi. Mi fa segno di premere un pulsante a lato della visiera. Adesso riusciamo a parlarci nonostante le protezioni calzate in testa.
“Dove posso tenermi?” gli domando.
“Hai una comoda maniglia proprio dietro al culetto. Oppure, puoi aggrapparti a me. Sei pronta? Possiamo andare?”
“Ok.” concludo, poco convinta della posizione alla quale sono costrette le mie braccia mentre afferro l’impugnatura, probabilmente progettata da un ingegnere sposato ad una contorsionista circense.
Infatti, dopo un paio di chilometri, data la sua scomodità, devo lasciarla e aggrapparmi ai fianchi di Alberto che, almeno per il momento, sta mantenendo fede alla sua promessa di andare piano e non commettere imprudenze.
D’un tratto, accantonata l’iniziale apprensione per la velocità, do un’occhiata alle mie gambe, esposte oscenamente dal continuo svolazzare della gonnellina. “Cazzo!” esclamo mentalmente, pensando allo spettacolo che ho offerto fino ad ora ad automobilisti e passanti.
Al primo semaforo, alzo leggermente il culo dalla sella e faccio di tutto per infilarci sotto il minuscolo indumento, ma lo scosciamento resta comunque proverbiale.
“Tutto bene, cara?” mi domanda Alberto, sentendo che mi agito dietro a lui.
“Ehm, sì, insomma…” rispondo, cercando di coprire le gambe il più possibile.
“Tra poco prendiamo la strada in collina: lì ci sarà sicuramente meno gente.”
“Speriamo…” faccio solo in tempo a dire, prima che scatti il verde e riceva lo strattone della partenza decisa della moto.
Durante il tragitto, penso a quanto sia stata pazza ad accettare di salire su questo ordigno motorizzato, per me molto scomodo e pericoloso.
Finalmente, dopo aver percorso parecchi chilometri di curve, tornanti, pieghe e continui sorpassi mozzafiato, imbocchiamo una stradina secondaria e arriviamo in un piccolo spiazzo in cima alla salita, che rappresenta anche il termine della parte transitabile. Con mio grande sollievo, ora posso scendere, togliermi il casco che mi sta soffocando e sgranchirmi le gambe.
“Ti piace il posto?” mi domanda, indicando il magnifico panorama dal quale si vede perfettamente Milano e tutta la pianura tra noi e il capoluogo.
“Fantastico. Non ero mai stata qui.”
“Come? Tuo marito non ti ci ha mai portata?”
“No, proprio non ricordo.”
“Bene! Vedi che un po’ di sacrificio per il viaggio è stato ricompensato?”
Gli sorrido e realizzo che, negli anni, Alberto è diventato proprio affascinante e ha acquisito un’aria molto sicura, brillante e disinvolta. Penso anche che, se non fossi felicemente sposata, non mi dispiacerebbe averlo come fidanzato, nonostante la moto e la sua reputazione di gran “farfallone” che non se ne lascia scappare una.
“Faccio qualche foto al paesaggio.” esordisce estraendo il telefono dalla tasca interna del giubbotto in pelle che delinea alla perfezione il suo fisico atletico ed asciutto.
Scatta numerose immagini e riprende un paio di video, poi sposta la moto vicino al ciglio della scarpata e la ritrae da varie angolazioni. Infine, mi dice: “Dai, che ne faccio qualcuna anche a te.”
“No, dai, non è il caso. Guarda che capelli mi sono venuti indossando il casco…” mi schernisco, cercando di dare loro una rapida sistemata guardandomi in uno degli specchietti retrovisori.
Intanto, come se avessi parlato al vento, mi riprende girandomi intorno.
“Mettiti in sella…” mi esorta.
“No, dai, Alberto…”
“Ma sì! Cosa ti costa?”
Alla fine, asfissiata dalla sua insistenza, decido di accontentarlo: “E va bene. Aspetta, però. Dammi il tempo di salire e di mettermi bene.”
Macché! Come cercare di convertire un vescovo cattolico al buddismo: Alberto continua a fare scatti all’impazzata e m’immagino molto bene dove abbia puntato l’obiettivo della fotocamera.
“Con il passare degli anni, sei diventato davvero birichino…” osservo divertita e maliziosa.
“Dici? Non credo. Sei tu che mi ispiri pensieri audaci. Tu, piuttosto… Sei sempre fedele al tuo maritino? O ti concedi qualche trasgressione?” mi chiede continuando a farmi foto.
Resto in silenzio qualche istante, quel tanto che basta per instillargli l’idea che ha colto nel segno con la sua ultima domanda.
Senza esitare, rimette in tasca il cellulare, mi si avvicina e mi stampa sulle labbra un bacio molto appassionato. Resto totalmente disorientata e incapace di qualsiasi diversa reazione che non sia quella di chiudere gli occhi e ricambiarlo, lasciando che la sua lingua si insinui nella mia bocca.
Limoniamo come due adolescenti per un paio di minuti. Quando si stacca, mi dice: “Che buon sapore hai, Monica. Ho sempre pensato a quanto sarebbe stato piacevole baciarti.”
Dopo questa affermazione, la sua mano destra si appoggia all’interno di una coscia e prende ad accarezzarla con insistenza. Gli occhi di Alberto si spostano sulle mie gambe, ma riesco ugualmente a vedere le scintille che sprizzano da essi, mentre si gusta il contatto con il collant setoso che le avvolge.
Sento la mia mente svuotarsi. Non riesco ad accalappiarla nemmeno quando provo a riempirla con il pensiero a mio marito. Le sue toccate si fanno sempre più impertinenti, fino ad insinuarsi tra la sella e la mia vulva che, fino a questo momento, ero inconsapevole fosse così desiderosa di venire pastrugnata dal mio affascinante centauro.
“Quanto sei porco…” gli sussurro, ma il languore che ho negli occhi non mi permette di nascondere che ho una grande voglia di farci sesso, complici il luogo completamente isolato e la situazione inusuale.
Riprende a baciarmi e io resto sorpresa dalla mia troiaggine che, istintivamente, mi fa sollevare leggermente per permettere alla sua mano di insinuarsi più agevolmente nelle mie parti intime.
Data la posizione alla quale sono costretta stando a cavallo della moto, Alberto riesce a tenere la mia carnosa albicocca completamente nel palmo, mentre insinua almeno tre dita fino al mio buchino posteriore. L’insistenza del suo massaggio, unita ai movimenti del mio bacino, non tarda a farmi bagnare abbondantemente.
Non contento di quanto mi sta facendo là sotto, con l’altra mano alza la gonnellina e me l’appoggia su un gluteo.
“Mmm, che bel culo sodo…” osserva.
“Dì grazie agli assidui allenamenti di danza.” rispondo velocemente, non volendo interrompere troppo a lungo la furiosa limonata che stiamo intrecciando.
Immagino abbia voglia di essere stimolato, ma sono indecisa se lasciare trascorrere ancora un po’ di tempo. Socchiudo gli occhi e noto che il pacco nei suoi jeans ha un notevole rigonfiamento. “Non facciamolo soffrire troppo a lungo…” rifletto. Metto una mano sul suo ventre. Alberto lo protende in avanti, ormai impaziente di ricevere il mio tocco.
La stoffa spessa e rigida dei pantaloni non mi permette di impugnare il membro come vorrei, perciò cerco di abbassare la cerniera e di infilarci dentro la mano. Al primo contatto con i suoi boxer, li trovo già impastati di liquido pre-eiaculatorio. Le mie dita, lunghe ed affusolate, prendono a percorrerlo e a massaggiarlo con decisione.
Alberto non riesce a trattenere frequenti e profondi sospiri di piacere che ci costringono ad interrompere ripetutamente il nostro bacio.
All’ultima di queste interruzioni, mi dice: “Girati con le spalle al manubrio.”
Appellandomi a tutta la mia agilità e, senza staccarmi dagli appoggi, faccio come mi ha chiesto e scavalco la sella.
“Adesso, sdraiati.” mi invita, aiutandomi ad appoggiare la schiena sul serbatoio. La sua forma mi costringe a tenerla molto inarcata, il che mi farà sicuramente godere ancora di più.
Lui si posiziona dietro alla moto, resta ad osservarmi qualche istante, poi mi prende le gambe e me le fa alzare e ripiegare verso il busto. Senza esitare, tuffa il viso tra di esse e inizia a leccarmi la vulva con una potenza impressionante.
Si interrompe quasi subito, solamente per dirmi: “La tua fica ha un profumo che mi manda fuori di testa!”, poi riprende a darsi da fare con la lingua, tenendo il volto stretto tra le mie cosce.
Gli infilo le dita tra i capelli e lo costringo ad aumentare la pressione sul mio pube.
“Sto per venire, caro. Attento che squirto…” lo avviso, sia mai che non apprezzi questo delizioso effetto del mio piacere.
Alberto, per tutta risposta, mi afferra nella piegatura delle gambe e mi tira ancora più verso di sé, dimostrandomi tutto il suo gradimento per la potente fontana che, da lì a pochi secondi, attraversa mutandine e calze e lo investe in pieno volto.
“Ahhh… Cazzooo… Ho bisogno di cazzo…” cerco di dire tra i sussulti dell’orgasmo squassante.
Senza proferire parola, Alberto si aggrappa all’elastico del collant e me lo toglie. Quindi, mi rimette le scarpe, si slaccia i pantaloni, estrae il cazzo e monta anche lui in sella. Manovrandomi la gambe, si posiziona favorevolmente e lo punta all’ingresso della vagina, dove lo affonda lentamente guardandomi dritto negli occhi e sorridendomi.
“È questo che volevi. Vero, porcello?” gli sussurro.
“Sì, mia cara. Ho desiderato scoparti sin dalla prima volta che ti ho vista!”
“E allora, divertiti!” replico e inizio a muovere il bacino, in sincrone con i suoi affondi decisi e potenti.
Proseguiamo la scopata per diversi minuti. Il viso del mio cavaliere è sempre puntato verso il mio, sorridente e molto compiaciuto di quanto gli sto concedendo. L’orgasmo che mi ha procurato in precedenza ha leggermente assopito il mio desiderio ma, da perfetta amante quale mi ritengo, assecondo Alberto in tutto, senza negargli nulla, comprese frequenti contrazioni dei muscoli vaginali che rischiano di portarlo velocemente alla necessità di eiaculare.
Ad un tratto, mi chiede di voltarmi ancora. Eseguo diligentemente e, sorreggendomi al manubrio, mi calo lentamente sul suo cazzo.
Favorita dall’appoggio sulle pedivelle, riesco a fare su e giù molto facilmente, riuscendo a controllare perfettamente la scopata. La posizione, oltre ad essere molto piacevole perché mi permette di venire penetrata bene e a fondo, è anche divertente, perché, con la mia fantasia maliziosa, riesco ad immaginarmi di guidare la moto in mezzo al traffico, impalata sul pisello del mio passeggero.
Accelero i movimenti verticali. Sento un nuovo orgasmo nell’imminenza di esplodermi nel cervello: “Sei vicino anche tu?” gli chiedo.
“Quando vuoi, cara. Posso venirti dentro?” mi risponde ansimando.
“Certo. Riempimi tutta…” faccio appena in tempo a replicare. Un istante dopo, le calde saettate del suo seme mi esplodono nel ventre e mi provocano una violenta squirtata che schizza sulla sella e si riversa sulle parti sottostanti della moto, oltre ad infradiciare parzialmente i jeans di Alberto.
Con i muscoli delle cosce indolenziti dall’intensa cavalcata, mi assesto sul cazzo e ci resto impalata, mentre, con le mani che mi spremono le tette, Alberto mi bacia sul collo e dietro le orecchie.
“Mmm… Che fantastica scopata!” sussurra.
“A chi lo dici, porco!” replico ridendo.
Resta abbracciato dietro a me fin quando sento il suo membro ammosciarsi. Quindi, mi sollevo e lascio che esca tutta la crema con la quale mi ha letteralmente farcita.
“Che disastro!” esclamo, dispiaciuta nel vedere la sua nuova moto tutta impiastrata.
“Non preoccuparti, bella. Ci penso io. Ne è valsa la pena.”
Recupero dalla borsetta un pacchetto di fazzolettini di carta, poi vado dietro ad un cespuglio a fare pipì e a darmi una ripulita. Quando torno, Alberto sta terminando di eliminare le tracce dei nostri liquidi sessuali.
Appena fatto, mi dà un bacio, mi passa il casco e mi allaccia il sottogola. Come all’andata, dopo essere montata in sella, prendo tutte le precauzioni per ridurre l’oscenità del mio scosciamento.
Intanto, rifletto sulla follia di quanto accaduto. Mi è facile trovare le parole giuste per comunicargli, quando saremo arrivati davanti a casa mia, che il diversivo che mi ha offerto mi è piaciuto molto, ma di togliersi dalla testa che possa accadere nuovamente.
Raccontare tutto a mio marito, invece, sarà la cosa più difficile.
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