Contactless
Quando ho preso la decisione drastica di trasferirmi a Milano non è stato per cercare lavoro o per studiare. Queste sono tutte decisioni ed opportunità che ho colto solo dopo essere arrivata. Il motivo fondamentale è che il piccolo paese in cui vivevo iniziava a starmi troppo stretto.
Sempre le stesse facce, sempre le stesse cose da fare.
E poi, le malelingue.
Di quelle non ti liberi mai facilmente, soprattutto se sei una ragazza carina e che non ha mai nascosto quel suo essere sessualmente libera.
Nessuno lo diceva mai apertamente, ma ormai la voce che io fossi una poco di buono, la troia del paese, era arrivata un po’ a tutti, finanche alla mia famiglia.
Loro, però, gente colta e di mentalità più “moderna”, non se la prendevano con me, ma con chi queste voci le metteva in giro.
Alla fine io mi facevo solo i fatti miei.
L’ultimo episodio accadde l’estate di quattro anni fa.
Avevo preso l’abitudine, quando la sera non uscivo (generalmente il lunedì e il martedì), di cenare a casa con i miei e aspettare che andassero a dormire per potermi concedere una sigaretta furtiva sul balcone.
Mi piaceva sedermi su una sedia, poggiare i piedi sulla ringhiera e guardare le stelle, lasciando che il fumo svanisse insieme ai miei pensieri. Mi piaceva farlo in pigiama, perché il venticello fresco delle notti d’estate mi accarezzava.
Una sera, forse perché troppo rilassata, iniziai a toccarmi piano tra le gambe. Eravamo io e la notte, solitarie complici.
Di tanto in tanto mi guardavo attorno, per essere sicura che non ci fossero sguardi indiscreti dal palazzo di fronte.
Mi piaceva, giocare con le dita al chiaro di luna, masturbarmi sul balcone di notte, in totale relax, ma quel piccolo brivido di paura di essere scoperta mi eccitava e allo stesso tempo mi aiutava a conciliare il sonno. Così iniziai a farlo più spesso, ogni volta che potevo.
Una di quelle notti, però, notai una luce fioca accendersi e poi spegnersi da una finestra di fronte. Sembrava un cellulare che si illuminava, come quando per una notifica si accende lo schermo.
Probabilmente c’era qualcuno alla finestra. Io però ero lì lì per venire e non me la sentivo di interrompere il movimento della mia mano sul clitoride, quindi venni e poi sparii in casa.
Dalla mattina dopo iniziai a studiare quella finestra, cercando di capire a chi appartenesse. Vedevo solo dei bambini correre sul balcone, troppo piccoli per essere loro. Mai nessun adulto.
Chiesi però a mia mamma e mi rispose che ci abitava un dentista con la moglie e i figli.
Soddisfatta dalle informazioni ricevute, andai avanti con la mia routine anche le notti successive, cercando sempre di notare movimenti o particolari provenienti da quella finestra. Ed effettivamente, c’era sempre un’ombra poco nitida, dietro il vetro. Una sagoma che sembrava essere lì immobile a godersi lo spettacolo di me che mi masturbavo all’aria aperta.
Il mio essere troia inside, mi portava a stuzzicare quell’ombra. Allargavo un po’ di più le gambe, o mostravo maggiormente il seno. Godevo e tornavo dentro, sempre salutando con la mano verso la finestra misteriosa un attimo prima di chiudere la serranda.
Così iniziarono i regalini.
La mattina dopo, al risveglio, trovai una rosa sulla scrivania. Mio padre disse di averla trovata nella buca della posta. C’era un biglietto con solo scritto “per Mimì.”
Nessuna domanda da parte sua.
Nemmeno nei giorni successivi.
Ormai il gioco tra me e il mio spione misterioso era diventato un appuntamento quasi fisso. Fatta eccezione per i weekend, ogni sera io ero fuori dal balcone a sditalinarmi e l’ombra era lì a guardare.
Il mio show variava sempre di nuovi particolari. Una sera ero in pigiama, un’altra in accappatoio, un’altra usavo le dita, un’altra ancora uno dei miei vibratori.
Un giorno rientrai a casa e trovai un pacchetto Amazon in camera mia. Era stato aperto e richiuso, si vedeva palesemente.
Chiusi la porta della stanza e aprii quel pacchetto, curiosa come un gatto.
Al suo interno c’era un piccolo sex toy, un ovetto vibrante wireless. Dalla scatola, però, mancava il telecomando.
Il mio misterioso amichetto voleva alzare la posta.
Così aspettai l’orario di ritirata dei miei e andai nella mia stanza.
Indossai un paio di collant auto reggenti, un completino intimo di pizzo bianco e mi avvolsi in una camicia oversize.
Poi, dopo averlo lubrificato per bene, mi infilai piano l’ovetto nella patata.
Ero seduta sulla solita sedia. Le mie gambe erano come al solito dritte davanti a me, con i talloni sul bordo della ringhiera.
Non feci neanche in tempo ad accendermi la sigaretta che “bzzz”, ecco una prima, breve scossa di avvertimento scuotermi le budella. Saltai sulla sedia, rischiando di cadere, quindi a quel segnale mi alzai.
La sagoma era lì, puntuale dietro la finestra. Nessun altro attorno. Eravamo io, lui e il mio piccolo paese illuminato dalla notte.
Mi mostrai a lui. Come se stessi sfilando su una passerella, mi lasciai guardare davanti e da dietro. Tornai così a sedermi ed allargai le gambe, lurida, verso di lui.
Anche lui si mostrò. Non come avrei voluto, certo, ma la sua ombra di profilo mi diede un chiaro indizio su quanto fosse eccitato.
Le vibrazioni iniziarono a scuotermi. I ritmi erano irregolari e dapprima brevi ed intermittenti, poi via via sempre più lunghi.
Avrei voluto urlare, in alcuni momenti, ma mi limitai a strizzarmi i capezzoli con una mano e a massaggiarmi il clitoride con l’altra.
Ero bagnata fradicia e vogliosa. Lui continuava a farmi vibrare quel coso dentro e sembrava farlo con una cadenza perfettamente sincronizzata alle mie necessità. Esplosi così in un orgasmo forte che per poco non mi faceva sparare via quell’ovetto rosa.
Lo sfilai dal mio sesso, lucido di me. Mi alzai e guardando verso quella finestra lo leccai bene prima di salutare e chiudermi in casa.
Nel letto mi masturbai ancora, ripensando a quanto era appena successo.
Passò il weekend in maniera abbastanza anonima. Dentro di me non vedevo l’ora di tornare sul balcone a farmi guardare.
La notte della domenica, però, non accadde nulla. Idem la notte successiva e così anche l’altra ancora.
Il mercoledì notte, mentre ero seduta sulla mia sedia e le mie speranze si facevano più fioche, ecco quella finestra illuminarsi per la prima volta. Si spalancarono i vetri e inaspettatamente comparve una donna.
Era una signora sui cinquant’anni scarsi, bionda, un pochino in carne ma piacente. Mi guardò dritta in faccia con uno sguardo rabbioso e mi fece cenno di ‘basta’ con la mano. Abbassò quindi la serranda definitivamente su me e il mio spione preferito.
Mi fumai una sigaretta al chiaro di luna, mentre con il fumo lasciavo svanire anche i pensieri.
Eccone un’altra per cui sarò solo la troietta del paese.
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