L'educazione della fanciulla
Gli anni trascorsi a leggere testi davanti a schiere di bambini ti hanno donato una voce ferma ma piacevole, capace di sviscerare significati nascosti di cui forse solo il subconscio dell’autore poteva essere a conoscenza quando aveva scelto un termine particolare piuttosto che un altro, una sfumatura celata da un peculiare aggettivo o il ritmo armonioso in un gioco di allitterazioni o assonanze. Ma in questo momento non è necessario il tuo talento, perché l’autrice del racconto che compare sul tablet che tieni in mano la conosci benissimo: sei tu stessa, Giulia, e quello che stai declamando è “L’educazione della fanciulla”, il racconto che avevi promesso avresti scritto solo per me.
In questo momento, la tua voce piacevole accarezza con passione le parole che hai stilato con il cuore, nel tuo stile elegante che, per qualche motivo, trovo musicale, sebbene, di tanto in tanto, la stessa sembra fremere, interrompersi per un istante mentre un brivido scuote il tuo splendido corpo nudo e un gemito accompagna un profondo respiro.
Non odo molto bene le tue parole, le tue gambe coprono le mie orecchie, la pelle depilata e calorosa come un tuo sorriso coccola le mie guance. Il profumo della tua femminilità sempre più intenso assale il mio olfatto sopraffacendo la mia mente, drogandomi di desiderio, facendo implorare la mia virilità di poter fare il suo dovere mentre la mia lingua guizza tra i petali del tuo bocciolo di rosa, coccolando la seta attorno al caldo calice che, avaro, lascia colare nella mia bocca, centellinando, una goccia alla volta, con crudeli intervalli, la tua dolce ambrosia. Vorrei concentrarmi sul tuo racconto, sulla tua voce che, scivolando, lentamente ma irrimediabilmente, verso un tono sempre più profondo, sempre più frammentato da sospiri e gemiti, narra di una ragazzata di Cecilia, la mia amata Cecilia, che la porta a mancare di rispetto alla professoressa Giulia Trevisan, docente di italiano nella scuola superiore N. Sandrini, tanto amata dagli studenti e dal corpo docenti, ma che sembra celare dietro alla sua professionalità un segreto oscuro.
Vorrei concentrarmi sulla tua voce, sul tuo racconto, lo giuro, ma mi scopro, non certo sorprendendomi, più ghiotto del tuo sapore segreto, della tua acqua di luna.
Seduta sulla mia faccia, una tua mano che afferra i miei capelli, la tua stretta che si serra dolorosamente quando la mia lingua scivola attorno all’imbocco del tuo utero, scendendo in spirale fino a raggiungerne il centro e penetrandolo con la punta, inizi a muovere il tuo bacino assecondando le ondate di caloroso, piacevole malessere che stanno cominciando a irradiarsi dal lieve prurito lasciato dalle mie pupille gustative sulla seta del tuo fiore segreto.
Ti sento trovare sempre più difficoltà nel mantenere la tua concentrazione, il braccio che solleva davanti al tuo splendido viso il racconto e, quando la professoressa Giulia decide che la sua pazienza è giunta al termine e la sua punizione è ormai destinata ad abbattersi sulla timida ma sfortunata Cecilia, un gemito di piacere sembra rendere il tuo respiro il ruggito di una leonessa che, rimasta acquattata nelle erbe della savana, si prepara a balzare sull’orgasmo che da tempo guata attendendo l’istante in cui sarà abbastanza vicino da non poterle sfuggire.
Non voglio che sgusci via come, dal tuo petto, quel grido di piacere, sebbene questo porterà fine al baccanale a base di ambrosia. Una mia mano abbandona la coscia che sta accarezzando e scivola fino alla perla che, finalmente, ha fatto la sua comparsa. Mentre il tuo corpo mi elargisce una grossa goccia di acqua di luna che suggo con avidità, sentendo un capogiro di piacere soffocare per qualche istante la mia mente, le mie dita, quasi di loro stessa volontà, cominciano ad accarezzare il tuo clitoride, titillandolo, sfiorandolo, amandolo come l’ape corteggia l’antera carica di soffice polline.
Le tue gambe tremano attorno alla mia testa, il tuo inguine si solleva allontanando il mio lussurioso pasto, poi lo cala di nuovo contro il mio volto, quasi voglia costringermi a possederti con il mio naso, intingendolo letteralmente nel tuo desiderio.
Ora sei tu a fottere la mia faccia, il racconto abbandonato sul letto, il tuo respiro che sembra un grido di dolore. Una mano continua a tenere i miei capelli mentre l’altra sale a stringere il tuo generoso seno, diventato duro e fastidioso, come se riverberasse il fastidio che si irradia dal tuo sesso e lo amplificasse, stringendoti il petto in una morsa che solo l’orgasmo può sciogliere. Il tuo fiore si muove sul mio mento, struscia sulle mie labbra, si infrange contro il mio naso, riempiendolo dell’effluvio stordente di figa bagnata.
Gemi il mio nome, scossa da scariche di dolce agonia che sembrano invadere e riempire le tue membra e la tua anima. Un senso di calore assale il tuo corpo, sopraffacendo la tua mente, invadendola e prendendone il posto con uno stordimento, il tuo cuore che batte come se volesse intervenire per salvare la situazione ma è anche lui vittima dell’eccitazione sessuale che ti sta consumando.
«Vienimi in faccia, puttanella» ti ordino con dolcezza, il mio volto ormai coperto completamente dai tuoi umori più felici, la tua figa che emette un effluvio celestiale che ormai colma l’atmosfera.
Lo respiri a pieni polmoni, senti ora anche con l’olfatto e non solo con il tatto l’eccitazione che stai vivendo, e questo scatena ancora più il tuo bisogno di godere. La tua mente è ormai stata assediata dal piacere e toccarti il tuo stesso seno è quasi doloroso, con i capezzoli che sembrano delle punte di metallo.
Ti spingi involontariamente indietro e un nuovo schizzo di acqua di luna benedice il mio volto, il tuo fiore ormai purpureo per l’eccitazione esposto alla luce. Cadi all’indietro sul mio addome, le mie gambe, il mio cazzo in erezione. La mano che mi teneva vola verso il tuo buco bagnato e vi sprofonda con due… no, tre dita fino alle nocchie, muovendosi convulsamente con un suono viscido e liquido che cola tra le tue gambe.
Le afferro, ti avvicino di nuovo alla mia bocca ingorda e inizio a leccare quell’ambrosia, mentre un paio di mie dita riprendono a torturare il tuo clitoride, eretto, caldo e bagnato dei tuoi umori che stanno schizzando ovunque al movimento convulso della tua mano.
Infine vieni, un grido strozzato sfugge dalla tua gola, le tue gambe si irrigidiscono e la schiena si arcua, staccandoti da me. Fiotti di ambrosia fuoriescono dal tuo bocciolo di rosa, colando sulla mia faccia, il tuo culo sobbalza sul mio petto e le tue gambe tremano violentemente.
Esali un ultimo gemito e crolli sul mio corpo, distrutta. La tua mano scivola fuori dal tuo utero cadendo sul materasso e, come una bottiglia di spumante a cui è stato levato il tappo, schiuma di piacere si riversa sul tuo perineo, festeggiando il tuo magnifico orgasmo.
Lentamente, stordita, dopo qualche istante ti sollevi dal mio corpo, mi sorridi assonnata, e poi ti stendi accanto a me. Chiudi gli occhi tra le mie braccia, assopendoti ma promettendomi che la lettura della storia sarebbe proseguita a breve. Solo un attimo per farti passare lo sfinimento, giuri.
«Non preoccuparti» ti assicuro. Appoggio un bacio sulla tua nuca dorata. Ti stringi a me e non so se il contatto del tuo grosso seno contro il mio busto è meglio del sapore della tua ambrosia. Mi riprometto di fare qualche nuovo controllo il prima possibile.
Riprendi la lettura del tuo racconto dopo un momento; il tuo capo appoggiato sul mio petto, un mio braccio che ti protegge e coccola un tuo seno. Il tuo inguine luccica di ambrosia e il tuo viso è sporco del mio seme (se tu scopi la mia faccia, allora io fotto la tua bocca; ma tutto in amicizia, ovviamente). Il profumo della tua pelle sudata mi dà alla testa, impedendo al mio cazzo di afflosciarsi: non posso smettere di menarmelo mentre affondo il volto tra i tuoi capelli biondi.
Sei distesa mentre leggi dal tablet, tranquilla nonostante quanto stai raccontando. Il sonnellino ha placato il battito orgasmico del tuo cuore, i tuoi muscoli sono caldi ma rilassati. La tua voce è come il suono di un ruscello di montagna che scivola tra i massi in un bosco autunnale. Anzi, il tuo viso non riesce a trattenere una leggera soddisfazione e divertimento mentre il tuo personaggio convoca nel suo ufficio la povera Cecilia, vittima prima della sorte e, inizio a credere, presto anche della tua perversione.
Mi ecciti maledettamente e non posso fare a meno di toccarti: la mia bocca comincia a baciare il tuo collo, strappandoti un gemito di piacere, ma mai quanto le due dita che, abbandonato il mio cazzo, iniziano ad accarezzare la tua fica bollente e bagnata. Interrompi la tua narrazione e volti il capo verso di me, intercettando le mie labbra e appoggiandovi prima un bacio, poi facendo scivolare la tua lingua nella mia bocca. Adoro quando prendi l’iniziativa, quando tiri fuori la puttanella arrapata che a volte si affaccia nel tuo sguardo mentre mi fissi e poi tutto si conclude con le tue unghie conficcate nella mia schiena e i nostri inguini bagnati di piacere.
La tua mano libera chiude le sue dita sulla mia virilità in piena estensione e, dimostrando di conoscere bene le mie preferenze, fai scivolare delicatamente il polpastrello del tuo pollice sulla mia cappella, sfiorando il meato ancora bagnato di seme e il prepuzio, scatenando una tempesta di scariche simili a deliziosi crampi che si riversano lungo l’asta del mio cazzo frammentando il mio respiro in singulti. Succhio la tua lingua, scivolando con la mia sulla tua, che sa ancora un po’ della sborra che hai bevuto.
Vorrei che tu finissi il tuo lavoro di mano, ma voglio trattenermi per dopo, quando avrai completato la lettura del tuo racconto. Mi godo ancora per qualche attimo la tua lingua e la sega, poi mi allontano dalle tue labbra, dove rimane un sorriso che lascia intendere che la nostra scopata non ha ancora visto il suo termine.
Ma io fremo dal desiderio di sentire il tuo racconto. «Dai, continua… ho voglia di scoprire cosa fai alla dolce Cecilia» ti dico, mentre riaffondo il volto tra i tuoi capelli biondi e riprendo a baciarti il collo, ma la mia mano rimane sul tuo inguine, esplorando il tuo sesso bagnato e bollente, sebbene lo conosca ormai meglio del mio stesso uccello. «Ma ricorda che considero quella troietta come una mia figlia adorata, anche se l’ho fatta sfondare da un mostro in una mia storia…» aggiungo.
Dal tuo sorriso, sospetto che quella con Mimmo non sarà l’esperienza peggiore vissuta dalla mia bambina letteraria.
Mentre le mie dita si muovono lentamente attorno al tuo utero e il mio naso si riempie del profumo inebriante della tua pelle e dei tuoi capelli, la tua voce, resa più dolce dal piacere che hai appena ricevuto, o forse per eccitarmi ancora più, continua a recitare il tuo racconto.
Cecilia è in piedi davanti alla tua scrivania, nel tuo ufficio. Tu, o più esattamente il tuo personaggio, è seduto sul bordo del tavolo. Mi immagino la ragazza con gli occhi abbassati, una mano nell’altra, le dita che si torturano nell’agitazione che si contorce nel suo petto; tu, invece, hai il volto illuminato da un sorriso che promette un imminente futuro pieno di piacere, per lo meno per te, una camicetta bianca sbottonata fino a metà del tuo seno, una gonna nera che arriva alle ginocchia ma con uno spacco da un lato che quasi risale all’altezza delle mutandine. Ammesso tu le stia indossando, ma considerando come sei nella realtà, mi meraviglierei se le portassi in un racconto erotico.
Spieghi alla mia ragazza che il suo comportamento è stato deplorevole e che non si sarebbe mai aspettata nulla di simile; lei, con una voce appena udibile, giura che non c’entra nulla con quanto è successo, che non sa come sia stato possibile che qualcuno sospetti di lei. Un nuovo sorriso, non solo nel racconto, riaffiora sul tuo viso.
Il polpastrello del mio medio orbita lentamente attorno all’imbocco del tuo utero, avvicinandosi e allontanandosi di qualche pollice. «La stai accusando di un reato di cui non ha colpa, vero?» domando.
Tu non rispondi, ma sono certo di avere ragione. Il mio dito scivola dentro di te, mentre un bacio umido si appoggia sul tuo collo. Mentre inizio a fotterti adagio con un paio di nocchie, bacio anche l’orecchio e, a bassa voce, ti sussurro: «Sei una troia, lo sai?»
Adesso il sorriso sul tuo volto diventa ben più evidente, raggiungendo anche gli occhi. Non rispondi a parole, ma è palese che non mi sono sbagliato: dopotutto, ormai ti conosco bene.
La povera Cecilia è nel panico, non sa come salvarsi dal rischio di essere bocciata proprio l’ultimo anno dello scientifico. Si strugge nell’idea che il suo curriculum scolastico, perfetto fino a quel momento, possa essere infangato da una infamia simile che, ripete nemmeno sia un mantra o una preghiera, con lei non ha alcuna attinenza… non c’è un modo per risolvere la situazione, ti domanda, quasi implorandoti.
Non mi meraviglio nel sentire il tuo personaggio sostenere che non sa se c’è un modo per uscirne pulita, lasciando intendere che forse, però…
Anche la mia dolce Cecilia se ne rende conto e dimostra di essere pronta a fare qualsiasi cosa pur di mantenere la carriera di studentessa ancora immacolata. Sembra impazzita mentre snocciola, una dopo l’altra, le attività o i lavori che potrebbe fare per ottenere il tuo perdono: pulire gli spogliatoi, aggiornare i computer nelle aule informatica, rimettere a posto gli archivi cartacei, potare i…
Il tuo personaggio si alza dalla scrivania, mi racconti, e io ti immagino muoverti con la grazia di una gatta, camminare lentamente attorno a Cecilia, che fissi i suoi occhi castani, spaventati, con i tuoi azzurri, che sorridono con una profonda malizia che non riesce a occultare completamente cosa ribolle nella tua anima oscura. La sfiori, e non tanto per caso, un primo contatto che evolverà presto, ne sono sicuro, lo capisco dall’eccitazione della tua voce, in qualcosa di ben più intimo. La serratura della porta d’ingresso del tuo ufficio scatta rumorosamente mentre giri la chiave nella toppa, e sono certo che ogni rimbombo è come un colpo al cuore della mia adorata Cecilia, troppo sconvolta per muoversi, per urlare e implorare aiuto, perché sono certo che ha capito cosa sta per accadere.
Ora, continui, il tuo personaggio si volta verso la sua studentessa modello, caduta in un tranello malvagio, e le pone una mano su una guancia. Le sorridi, ma questo non fa altro che aumentare quel senso di viscere di gomma che, sono sicuro, sta sconvolgendo la ragazza; un modo ci sarebbe, le sussurri, i vostri volti a pochi centimetri uno dall’alto. Cecilia tentenna, incerta se chiederlo, ma quando ti pone la domanda, “cosa posso fare?”, non può completare la sua frase: l’altra tua mano, nel frattempo, è silenziosamente scivolata dietro la sua nuca e, a metà della seconda parola, spingi la sua testa contro di te.
Non posso non immaginare gli occhi di Cecilia spalancarsi, le sue pupille restringersi mentre le vostre labbra entrano in contatto. Nemmeno un secondo e la tua lingua, che nel tuo racconto non ha un retrogusto di sborra come nella realtà, scivola nella bocca della tua studentessa. Il tuo respiro si fa profondo mentre insuffli nel tuo desiderio il profumo della pelle della diciottenne sconvolta che hai catturato. Senti i suoi piccoli seni contro i tuoi, vibranti sotto il battito cardiaco di Cecilia. Un profondo odore di eccitazione satura l’aria, rendendola pesante, irrespirabile, ma di certo non è quello della giovane ragazza.
Gusti con piacere il sapore della bocca di Cecilia, passi la punta della lingua sui suoi denti bianchi e perfetti prima davanti, poi sopra. La ragazza trema a quell’assalto, bloccata nel proprio terrore, soprattutto quando infine invadi completamente il suo cavo orale.
Cecilia, la mia dolce, timida ragazza, è troppo sconvolta anche solo per piangere, lo provo io per lei dentro di me, e quando le metti una mano su un gluteo e lo stringi si sente svenire. Si sente morire mentre le fotti la bocca con la lingua, mentre le violenti il cavo orale.
Solo dopo diversi minuti liberi le sue labbra, soddisfatta. Sul tuo viso compare un sorriso malvagio mentre quello della mia bambina è solcato dalle lacrime. Tira su con il naso, prossima a piangere.
Sei una bella troietta, le sussurri in un orecchio, un bocconcino che voglio davvero gustarmi.
Ti stai eccitando, e non solo nel racconto: il movimento del mio dito fa straboccare ambrosia dalla tua figa e non puoi smettere di morderti le labbra, interrompendo la narrazione in continuazione. Mi è impossibile non scorgere i tuoi capezzoli diventare duri sui tuoi seni che sembrano crescere di un’ulteriore mezza taglia.
Cecilia, nel frattempo, è tutto fuorché eccitata. Anzi, è sconvolta. Povera piccola: l’ho creata come comparsa in un racconto per uno sketch comico, e in poco tempo viene prima scopata dal fratello della sua migliore amica, poi sfondata da un maniaco informe e, infine, si scopre, abusata da una sua insegnante delle superiori.
Mentre la mia mano lavora sul tuo inguine, nel racconto la tua si appoggia su quello della studentessa. Spogliati, le ordini, con quel tono di voce di una donna che vuole fottere qualcuno e che non lascia alcuna possibilità di replica. La mia bambina trae un paio di respiri profondi, forse per non mettersi a piangere, ma poi comprende che non può fare altro che eseguire i tuoi ordini. Con lo sguardo basso, Cecilia comincia a sbottonarsi la maglia, lasciandola cadere a terra, poi si leva le scarpe usando solo i piedi. Afferra i pantaloni ma tentenna, alzando lo sguardo verso il tuo volto nella speranza che tu abbia cambiato idea, o scoprire che è solo uno scherzo. Trema nel vedere che c’è solo libido sul tuo viso, la lingua impaziente che si lecca le labbra. Trattenendo le lacrime torna a guardare il pavimento, su cui, un attimo dopo, si adagiano i calzoni.
No, la mia piccola ragazza non può farcela a togliersi le mutandine, il pudore le impedisce di concedersi quell’ultimo sforzo. Anzi: preferisce essere bocciata, la sua vita rovinata da una macchia sul suo curriculum scolastico e…
Ma tu non le dai tregua: ti avvicini a lei, le metti di nuovo la mano dietro alla nuca, tornando a baciarla mentre l’altra s’insinua sotto l’elastico delle sue mutandine. Il fiato della ragazza si mozza mentre l’imbocco del suo giovane utero si apre all’ingresso di un paio di dita che sprofondano per la lunghezza di due nocchie.
Le sussurri che è una brava troietta mentre la mano libera scivola tra le sue ciocche castane, quasi rosso scuro, che le scendono fin sotto le scapole. Il tuo respiro carico di eccitazione si spande sul volto della ragazza, di cui fissi incantata gli occhi terrorizzati.
Un nuovo profumo di donna eccitata si spande nell’aria, mischiandosi al tuo già presente. L’anima di Cecilia è inorridita da quanto sta accadendo, ma il suo corpo ha deciso di collaborare e, magari, scoprire come sia un orgasmo dato da una donna e se ci siano differenze da quelli che le ha dato Marco.
Sorridi mentre le tue dita si bagnano degli umori della fica di Cecilia e le ordini di togliersi anche la maglietta e il reggiseno. La ragazza tentenna, forse per dare l’idea di non essere d’accordo che un’insegnante masturbi una studentessa, ma alla fine lo fa: il tessuto si solleva, mostrando una pancia piatta ed un reggiseno dello stesso colore pesca delle mutandine. La ragazza è timida, l’ho creata così, ma anche romantica e sogna un uomo che le riempia di emozioni l’anima e non solo di sperma il sesso.
«Ma oggi dovrà accontentarsi di un’insegnante troia che la vuole riempire di dita» ti provoco, e faccio lo stesso anch’io, aggiungendo l’anulare al medio nella tua fica che già sta colando più di quella della mia ragazza. Ti faccio girare su un fianco e mi adagio alla tua schiena: la mia mano libera stringe un tuo seno, turgido dall’eccitazione che il tuo stesso racconto ti ha provocato, e appoggio il cazzo tra le tue chiappe muscolose, muovendolo lentamente su e giù, quasi mi stia facendo una spagnoletta tra le tue tette. Ti bacio una spalla, la tua pelle è bollente. «Continua» ti prego, e non so se mi sto più eccitando a stringere il tuo corpo o all’idea della mia ragazza che sta per essere scopata da te.
Il reggiseno di Cecilia è sul tavolo, e lei vi si trova appoggiata con il culo, le mani sul piano a sorreggersi. Le succhi i capezzoli della seconda che ha sul petto e che ha sempre sognato diventasse più grande. È sempre stato un suo segreto cruccio, ma noto con piacere che le stai dimostrando che non sono affatto da buttare via, nonostante non siano nemmeno la metà delle tue.
Sta ancora opponendo resistenza, ma è più per una questione di educazione ricevuta, perché il suo corpo sta cercando di trarre il massimo da quel momento: l’effluvio della sua figa eccitata è ormai forte quanto il tuo se non di più, e cola come una fonte. Il suo respiro è breve e profondo e il volto è arrossato, quasi del colore dei suoi capelli.
Nel racconto, e non dubito anche nella vita, sebbene non abbia mai avuto modo di provarlo, sei una maestra nei ditalini e Cecilia è la tua vittima. Si irrigidisce, allungando la testa all’indietro e spalancando bocca e occhi in un grido muto. Un fiotto di ambrosia prorompe con violenza dalla sua fica sulla tua mano e le sue gambe si muovono convulse. La mia povera ragazza cade in ginocchio, scossa da un orgasmo, emettendo suoni gutturali inintelligibili. In uno spasmo, si abbraccia alle tue gambe per non crollare a terra e piscia umori sulle tue scarpe e le tue calze.
La mia ragazza rimane in quella posizione, stordita, la mente obnubilata dall’intenso piacere che l’ha aggredita. Tu non aspetti altro: ti slacci la minigonna, la fai scendere e abbassi le mutandine, intrise di desiderio al punto tale che si potrebbero strizzare. Metti una mano sulla nuca di Cecilia e la spingi contro il tuo inguine: lecca, le ordini, spargendole in faccia il tuo umore.
Sono indignato da quanto stai per fare alla mia dolce ragazza, o per lo meno fingo di esserlo. Inconsciamente, inizio a strusciare con maggiore vigore tra le tue chiappe, un fastidioso desiderio di svuotare le palle che sorge alla base del mio uccello.
Tu mi ignori, o almeno fingi, e continui con la lettura: Cecilia si trova costretta, per mezzo di una mano che hai appoggiato sulla sua testa, a leccarti la figa grondante di umore, che scende lungo le tue gambe e viene assorbita dal tessuto della gonna. Mi chiedo come farà il tuo personaggio ad uscire da scuola con i vestiti bagnati di ambrosia, ma immagino sia un problema che non ci si pone quando si fotte una propria studentessa.
Cecilia si trova in imbarazzo, sia per quanto le è accaduto con il ditalino e l’orgasmo, sia per quanto riguarda la sua ignoranza nel praticare un cunnilingus. «Dovreste insegnare a scuola queste cose» ti dico.
Mi rispondi ridendo che vorrei insegnarle io. Non ribatto, ma la cosa non mi dispiacerebbe. Non posso togliermi l’idea di chiamare alla cattedra proprio Cecilia, o Chiara, o la formosa Beatrice, farla sdraiare sul piano del tavolo con le gambe a penzoloni e praticarle un cunnilingus davanti a tutta la classe, spiegando dove mettere lingua e dita mentre la ragazza si contorce nell’apoteosi del piacere.
Comunque, ti ho dato abbastanza orgasmi con la lingua perché il tuo personaggio possa spiegare a grandi linee come comportarsi in quel momento. Mi lascia sempre sorpreso come, nei racconti erotici, siano tutti dei luminari del sesso e del piacere femminile.
In ogni caso, la mia bambina appoggia le sue labbra alla tua figa e inizia a lavorare di lingua, soffocando nella pesante cappa di eccitazione che il tuo sesso emana. La sua lingua si muove tra le tue labbra, discostandole, scivolandovi in mezzo, passando sopra l’utero e, scopro, hai una particolare passione per la zona attorno all’orifizio dell’uretra.
Sì, lì, mia dolce puttanella, ansimi quando la punta della lingua di Cecilia passa sul buchino sopra l’utero. Ti immagino stringere le gambe, il buco del tuo culo ben visibile contrarsi nel lampo di piacere che si scatena improvviso nel tuo corpo come un fulmine nella notte e i tuoi polmoni riempirsi fino al limite, inspirando i feromoni di due donne eccitate e arrapandoti ancora più.
Sei stata troppo impegnata a descrivere le tue emozioni e hai saltato certi particolari, ma non posso fare a meno di vedere la scena, l’angelica Cecilia con gli occhi chiusi dal disprezzo della situazione che sta vivendo, la tua ambrosia sul suo dolce viso contratto dal disgusto, che luccica sul suo naso e le sue gote, scivolando fino al mento e colando in una lunga goccia che, vittima del proprio peso, si stacca e si schianta in una piccola pozza sul pavimento, tra le sue ginocchia e le tue scarpe, mescolandosi all’orgasmo che le avevi fatto pisciare poco prima.
Ma, nonostante quanto prova la mia dolce ragazza, lei continua a leccarti, a darti piacere, perché sa che non ha altra possibilità e, suppongo, si sente in obbligo a restituirti il piacere che le hai dato tu per prima. “Do ut des”, giusto, Giulia? Funziona spesso con il sesso orale, lo so e lo uso spesso, anche con te, come il tuo viso sporco del mio seme sembra voler testimoniare.
Nel racconto, e non solo in quello, sei prossima a raggiungere il parossismo. Inizi a sussurrare parole di incoraggiamento alla mia ragazza, a dirle che è proprio capace e che non hai mai conosciuto nessuna brava quanto lei. Oh, sì: la sua fedina scolastica verrà letteralmente ripulita a colpi di lingua.
L’orgasmo ti ghermisce, così come tu prendi la testa di Cecilia e la premi contro la tua figa: urlando di piacere, il tuo corpo sconvolto da tremiti incontrollabili, spruzzi ambrosia sul volto e il corpo della mia dolce ragazza. Lei è disgustata, frastornata da quanto le sta succedendo, vorrebbe fuggire, prova a fare forza con le braccia sulle tue gambe ma non sembra riuscire a muoversi che di qualche centimetro e, quando finalmente è libera e cade a terra, si ritrova coperta dai tuoi umori sessuali fino al seno. Trovo strano che non le squirti in faccia: sarebbe quasi la prassi, visto che nei racconti erotici le donne spruzzano più delle fontane nella realtà.
Tu stai ancora riprendendo fiato per il fulmine di piacere che ha colpito il tuo cuore e la tua mente, e quando posi lo sguardo sul corpo fradicio di ambrosia della tua studentessa sembri ancora più soddisfatta e un sorriso maligno si forma sulla tua bocca.
Cecilia, la mia povera, dolce Cecilia, si guarda a sua volta, e l’espressione del suo volto è diametralmente opposta alla tua. Vorrebbe piangere ma non vuole farlo davanti a te, mandarti a cagare e picchiarti ma non osa… forse è anche eccitata ma ciò sarebbe la cosa che la più disgusta di tutta la situazione.
La soddisfazione non ha ancora abbandonato i tuoi lineamenti quando ti alzi le mutandine e la minigonna, macchiate di piacere, ti ricordo, e le dici che la situazione è stata risolta. Ma che non succeda mai più che venga scoperta a contravvenire alle regole dell’istituto scolastico, le consigli paternamente.
«Sei una bugiarda!» ti accuso, ma la mia voce è incapace di celare il divertimento che sto provando. «Non aspetti altro che succeda di nuovo. Anzi, sono certo che vuoi fotterti tutte le ragazze dei miei racconti».
Ridacchi come risposta, e sono sicuro che l’idea ti è già passata per la testa. Beh, voglio vedere come riesci ad inventarti una storia per ognuna di quelle che hanno partecipato alla gara di pompini in “Linda la nerd” …
Non interrompi la lettura, ma ormai è giunta al termine: ordini alla mia cara Cecilia di non dire nulla a nessuno, “sarà un nostro segreto” è forse una delle frasi che portano alle peggiori disgrazie, nemmeno sia una maledizione che si lancia contro sé stessi, e le consigli di raggiungere le docce della palestra per pulirsi. Quasi mi meraviglio che non le lecchi tu stessa l’ambrosia che le hai irrorato addosso.
E mentre la mia dolce Cecilia, presi i suoi abiti sotto un braccio, nuda fugge letteralmente dal tuo ufficio aprendo la serratura con una frenesia che, nella realtà, non le permetterebbe di tenere tra le dita la chiave, tu abbassi il tablet sul letto e annunci con soddisfazione che il racconto è finito.
Ti volti verso di me, chiedendomi con lo sguardo qual è la mia opinione.
La trama è scarsa e la scrittura non è il massimo, vorrei dirti, ma non lo faccio. Non importa quello: in fondo, di solito i racconti erotici sono buttati giù per mettere nero su bianco un proprio sogno erotico e renderlo quasi reale, oltre ad eccitare chi legge, soddisfatti al pensiero che si spari una sega o si metta un paio di dita in figa o in culo. Non posso che ammettere di averne scritti molti anch’io solo per fingere di essermi scopato una che non me l’ha mai data.
Ma è ben altro che mi interessa. «Lo sai, Giulia, che tecnicamente io sarei il padre di Cecilia? D’accordo, è un personaggio immaginario, ma l’ho vista letteralmente nascere». Non aggiungo che, allora, la madre è la foto di una ragazza nuda dall’aspetto carino e lo sguardo timido di cui mi sono innamorato e su cui ho sparso parecchio sperma, per poi ricordarmene in fase di creazione dei personaggi de “Il cuoco” e sfruttarne l’aspetto fisico.
Tu annuisci, non capendo cosa voglia intendere ma comunque soddisfatta della tua stessa opera letteraria.
Esco con le mie dita dalla tua fica grondante. Un intenso profumo di donna eccitata si spande nell’aria, come se la stessa non fosse già satura dei nostri odori più primitivi, stimolando il nostro desiderio ad ogni respiro. Avvicino le labbra al tuo orecchio.
«Se io sono il padre di Cecilia, cosa credi che penserei se la sua insegnante si fosse scopata mia figlia?»
La tua mano mi accarezza il cazzo. Rispondi di non saperlo, ma è lampante che mi stai provocando.
Ti stringo una mano al collo lentamente mentre l’altra, quella bagnata dai tuoi umori, si appoggia su un tuo fianco. «Se mia figlia venisse a raccontarmi un fatto simile» continuo a sussurrarti, rendendo la mia voce leggermente più dura, «non ne sarei affatto felice. Chiederei immediatamente un colloquio con te e, quando mi trovassi in tua presenza…» ti spingo sul fianco, mettendoti prona. Lasci sfuggire un sospiro di sorpresa quando mi trovi sopra di te, bloccandoti sul materasso madido di umori e sudore. «…ti metterei a novanta contro il tavolo, ti strapperei pantaloni e mutande e…»
Non ho bisogno di aggiungere altro, e i tuoi occhi e la tua bocca che si aprono per la sorpresa e, non posso non notarlo, una certa soddisfazione mi lasciano intendere che il mio cazzo, sprofondando nel tuo retto, è stato più che eloquente.
Spingo in fondo, fino a quando le mie palle si insinuano tra le tue chiappe. Sono un padre talmente infuriato che vorrei farti uscire la cappella dalla bocca, ma dai gemiti che ti sfuggono sembrerebbe che tu voglia proprio questo.
Esco quasi del tutto sollevando il mio bacino dalle tue grosse, muscolose chiappe, poi ti infliggo un nuovo affondo. Il tuo ano si apre e il tuo intestino si riempie del mio cazzo, duro e bollente, che si scappella mentre sprofonda.
Stringo la tua gola quando basta per simulare uno strozzamento. – Ti sei scopata la mia bambina, lurida troia.
Manca poco che ti metti a ridere. È una fortuna che fotti meglio di come reciti. Mi provochi di nuovo, sussurrando che non ho idea di quanto ti sia piaciuto venirle in faccia.
La cosa fa infuriare il padre che è dentro di me. Esco dal tuo culo, ti giro su un fianco, alzo la tua gamba e la appoggio su una mia spalla, poi risprofondo con un colpo secco nel tuo retto. Ti ho sfondata tante di quelle volte che ormai non ci farai più nemmeno caso, anche se un sorriso di soddisfazione e divertimento si disegna ugualmente sul tuo volto. Due dita entrano nella tua fica che riversa nuova ambrosia, colando sul tuo fianco e raggiungendo quella che ormai ha inzuppato il materasso.
La mano libera si appoggia sulla tua testa bionda, bloccandoti sul letto. I tuoi occhi azzurri dovrebbero mostrare paura e soggezione, ma proprio non ce la fai.
«Chissà quante te ne sei scopate, in quell’ufficio, troia», ringhio.
Vorresti rispondere che non me lo posso nemmeno immaginare, che la lista è davvero lunga, ma gli ansiti s’insinuano tra le tue parole, le smantellano e le riducono a sillabe buttate a caso nel tuo fiato che si sta facendo corto e profondo. Il tuo seno generoso si fa ancora più rosso, il tuo busto si muove come se il mal di schiena ti tormentasse. Le tue labbra turgide non riescono a chiudersi e anche il tuo sorriso strafottente è scomparso dietro ad un altro di libido.
Il suono umido e viscido che proviene dalla tua figa sotto l’azione delle mie dita riempie l’aria ancora più dell’odore di sesso che l’ha saturata ormai da tempo. La tua gamba appoggiata alla mia spalla sobbalza negli spasmi del piacere e devo tenerla in posizione bloccandola con la testa.
Percepisci il mio cazzo riempire il tuo retto con colpi profondi, ma sai che è tutta scena, e quello che davvero importa è quanto accade nel tuo sesso, con le mie dita che sfregano con forza, con fervore sulle sue pareti, provocandoti un senso di malessere che scivola fino alla tua mente, colmandola del bisogno di arrivare al dunque.
Cerchi di implorarmi di non smettere, di farti godere, ma non ci riesci, gli spasmi che ti scuotono non si limitano al tuo corpo ma echeggiano anche nella tua anima, sostenuti dal tuo cuore che galoppa impazzito ed un’ondata di calore che sembra incendiare ogni tua fibra. Una mano sta stringendo una tua tetta fino ad avere le dita che affondano nella carne mentre l’altra è scesa al tuo clitoride e lo sta torturando come se volesse cancellarlo: quasi ne ho pietà e non oserei mai malmenarlo in quel modo nemmeno se mi implorassi di farlo.
Sembri avere un violento brivido, quasi fossi stata colpita da una scarica elettrica o toccata da una mano ghiacciata, la tua testa cerca di liberarsi dalla mia morsa e, quando la lascio, inizia a muoversi avanti e indietro come se fossi indemoniata. Il buco del tuo culo sembra voler azzannare il mio cazzo negli spasmi che stanno scuotendo il tuo splendido corpo e la tua figa pare voler rigurgitare le mie dita, ma non ho intenzione di mollare proprio adesso e, anzi, aumento l’intensità della mia azione.
Ma non ci vuole molto, ormai. Le tue braccia si contraggono e le tu dita si chiudono come uncini; un grido roco, che doveva esservi rimasto bloccato per dei minuti, sfugge dalla tua gola e il tuo inguine scatta in avanti, lasciandomi a cazzo all’aria. Il tuo splendido viso è contratto in una smorfia che potrebbe sembrare dolore, e così lascerebbero credere anche le tue labbra contratte. Lo spruzzo di piacere liquido che schizza dalla tua uretra fa capire che è un’impressione completamente sbagliata.
Artigli il cuscino con una mano, mentre l’altra, credo inconsciamente, si muove verso di me, forse a cercare la mia protezione in questo momento di piacere e, al contempo, di vulnerabilità. Intreccio le mie dita tra le tue e contemplo silenziosamente lo spettacolo dell’orgasmo che mi concedi di ammirare.
Un sospiro simile a quello del pianto svuota i tuoi polmoni mentre sembri afflosciarti, i tuoi muscoli tesi perdere tono e rilassarsi. Sembri sprofondare nel sonno, ma probabilmente è stato un evento talmente intenso che ti ha gettata a terra, richiedendoti qualche istante per riprenderti.
Mi sdraio dietro di te, ti abbraccio appena sotto i seni e appoggio la faccia tra i tuoi capelli. Non c’è bisogno di dire nulla: il battito del tuo cuore, che sta cercando di tornare al suo normale passo, che si riverbera attraverso le tue tette bollenti e sudate, è il miglior ringraziamento che possa desiderare.
Sonnecchi un momento tra le mie braccia come una bambina, tranquilla e soddisfatta, poi ti giri verso di me. Noti che il tuo splendido corpo impedisce ad una parte del mio di sonnecchiare e, con un sorriso, lo afferri e lo accarezzi.
Mi fai sdraiare sulla schiena, mi scavalchi con una gamba, prendi di nuovo il mio cazzo in erezione, lo tieni fermo e, con un sospiro condiviso, ti impali su di esso.
Inizi a cavalcarmi lentamente, muovendo solo il bacino e facendomi penetrare in profondità nella tua fica ancora grondante di desiderio. Poi ti appoggi prima con le tue mani sul mio petto, poi con il tuo grosso seno ed infine con le labbra sulle mie.
Il calore della tua figa e la tua lingua, che sta lavorando ancora più del mio cazzo, sono prossimi a farmi venire, quando interrompi il nostro meraviglioso bacio. Le tue labbra si spostano accanto al mio orecchio.
Mi domandi se ci vedremo anche il venerdì successivo.
«Non vorrei altro al mondo, Giulia» rispondo, appoggiando la mano alla tua nuca e baciandoti al collo. L’intensità dei colpi del tuo sesso sul mio aumenta e, nonostante non possa vederti le labbra sono certo che stai sorridendo maliziosa.
Bene, mi sussurri, e nella tua voce c’è un accento di lussuria che è impossibile non riconoscere, aggiungendo che così mi leggerai di quando hai messo a novanta Beatrice sulla scrivania del tuo ufficio e le hai infilato un evidenziatore nel culo. Mi lecchi l’orecchio, strappandomi un sospiro di piacere, confessando poi che speri vivamente che anche suo padre voglia avere un colloquio con te per chiarimenti riguardo l’incresciosa situazione. Ti stringo a me, mentre tremo nell’orgasmo e spruzzo nella tua figa, ambrosia e sborra mischiati. Puoi scommetterti, vorrei risponderti, ma sono impossibilitato dal piacere. Lo scoprirai comunque la settimana prossima, mia dolce, splendida troia…
Racconto selezionato per il nostro archivio dalla redazione, scritto originariamente da: William Kasanova
Generi
Argomenti