Un'affollata luna di miele - Parte 3
Mirella, Marco e Morena
La serata si preannunciava non diversa da quelle precedenti, ma tra l’inizio e la fine della notte accaddero molte cose notevoli che la resero la migliore da quando erano arrivati e una pietra miliare della loro storia. E non solo per il baccalà cucinato in tre modi diversi e per il vino più dolce e delicato di quello delle cene precedenti, ma per quell’atmosfera via via sempre più intima e un po’ trasognata che si andò creando. Erano ormai parte della clientela abituale e da questa, molto meno numerosa che nelle sere precedenti, trattati come gente del posto. Pedro era tornato a bere e spesso si sedeva con loro per due chiacchiere. Morena dimostrò di avere anche una lingua e parecchio veloce: dal semplice sculettamento quando passava, aveva iniziato a scambiare battute spiritose con i due sposi. Rodri, ovviamente, non si fece vedere e Ramon iniziò a giocare a carte scoperte, incurante di Marco.
L’oste suonò la chitarra un paio di volte e dedicò a Mirella un canto jondo, cantato come fosse un lamento di guerra, e una più contemporanea hit di Alejandro Sainz, quasi sussurrata. Che fosse lei la regina della festa non c’erano dubbi e che Ramon volesse essere il re anche meno. Tanto, che quando l’oste ritenne che Pedro si stesse facendo molesto con le sue continue domande e i suoi complimenti a Mirella, nei quali sottolineava un lei deferente contro il tu dato a Marco, gli disse un paio di parole all’orecchio che zittirono il cugino per il resto della serata. Mirella incassava le attenzioni con sufficienza e distrazione ed evitava sempre di guardare Ramon negli occhi, anche quando le versava, sempre più spesso, da bere. Rideva, si aggiustava i capelli dietro l’orecchio e si mordeva le labbra. Si lasciava andare, ma senza perdere il controllo.
Solo a Sonia, che se ne era stata sola e in disparte tutta la sera, sembrava importare il comportamento dell’oste che seguiva continuamente con gli occhi. Marco, invece, lasciava che le cose accadessero. Osservava in silenzio e si godeva l’idea di essere lui il prescelto di quella donna che teneva sempre tutti gli occhi incollati su di lei, ma aveva sposato lui. Solo gli estranei poterono pensare che ballare con Morena, che si faceva sempre più maliziosa, fosse una ripicca. Mirella sapeva bene che non avrebbe mai passato il segno se lei non avesse voluto. Che ballasse pure e si godesse l’ammirazione della barista, se la meritava. Ramon era figo, ma Marco, il suo Marco, lo era di più.
Fu durante uno di quei balli sempre più lenti e frequenti tra Marco e Morena, che Ramon si sedette vicino Mirella e, dopo un cin cin senza motivo, sparò i suoi versi da poeta d’osteria: “Sei straziante, perché sei stronza, il che ti rende ancora più bella e desiderabile. Ti piace far male”.
“Concetto complicato, ma afferro il senso. Anche questa è gratis?” gli chiese Mirella, senza girarsi a guardarlo.
“Questa no. Questa è perché ti voglio”.
“Sono una donna sposata. Non ti vergogni?”.
“A Rodri non è sembrato che tu lo sia. Ti ho vista”.
“Lo spionaggio è la specialità di famiglia, a quanto pare”.
“Più fai la stronza, più non ti mollo. Voglio la rosa e mi prendo anche le spine, a una a una”.
“Ste poesie le dici anche alla cuginetta?”.
“Non ce n’è bisogno. Anche se in genere è una tipa silenziosa, quando voglio la faccio urlare. Come tutte”.
“Il poeta castigatore. Magari questa sera, però, non la sentirai” gli disse, dandogli un pizzicotto sulla gamba.
L’uomo ammutolì, ma si vedeva che avrebbe voluto gemere per quelle unghie affondate nella coscia nuda, che lo stavano lacerando. E non è detto fosse solo per il dolore che avrebbe mugolato: quel gesto inaspettato, di cui non capiva il motivo, lo aveva eccitato. Il bocciolo restava irraggiungibile, ma intanto aveva provato le spine direttamente nella sua carne.
Mirella lo piantò in asso e si diresse al centro del bar, dove iniziò a danzare di fronte a Morena.
“Ti va di andare a fumare tra donne?”.
“Ramon ha esagerato?”.
“Non si tratta di lui, ma di me e te”. Lo disse sorridendo, accogliente, dolce. Ed era sincera.
Quando furono fuori Mirella le sorrise ancora.
“A che ora chiudete?”.
“Se va bene all’una questa notte, mezz’ora al massimo ancora, se non ci sono rotture”.
“Ti piace Marco?”.
“Ah, è per questo”.
“Non è quello che pensi”.
“Molto, molto carino e anche molto educato, forse troppo. Mi ricorda il mio fidanzato all’alberghiero”.
“Ci sapeva fare?”.
“Posso stare solo con chi ci sa fare. Se no mi addormento”.
“E io secondo te ci so fare?”.
Morena spense la sigaretta fumata a metà con il tacco degli stivali e sbuffò il fumo verso l’alto con gli occhi che le ridevano, ma non disse nulla.
“Tra poco io e Marco andiamo e ci portiamo una bottiglia di brandy con noi. All’una e dieci, vienici a trovare, per un bicchiere tranquillo. Stanza…”
“… 12, lo so. Il brandy lo porto io”.
Una volta in camera - Marco vi era stato letteralmente trascinato dalla moglie, dopo un’ultima bicchierata collettiva -, Mirella si appoggiò con la schiena alla porta e guardò intensamente il suo compagno.
“Stronzo” gli disse e volò uno schiaffo, ben assestato ma non violento.
Lui tacque. Sapeva il perché.
“In ogni caso tra dieci minuti sarà qui. Ma farai solo quello che ti dico io. Così saremo pari, almeno per questo viaggio di nozze”.
E Marco fece esattamente ciò che la moglie gli disse di fare. Appoggiò un telo sullo specchio, versò da bere alle donne, le osservò ridere, parlare come fossero vecchie amiche, guardarsi negli occhi e poi baciarsi. E restò seduto in poltrona quando le donne salirono sul letto e iniziarono ad esplorarsi sempre più a fondo, sempre più lentamente, ansimando sempre più intensamente. Osservava immobile, con il pene duro, fuori dalle mutande, ma non osava toccarlo: temeva di esplodere in poco e di perdersi il meglio.
Morena, con le ginocchia puntate sul materasso, teneva la testa tra le gambe di Mirella e allo stesso tempo le tormentava i capezzoli a piccoli tocchi delle unghie e dei polpastrelli. Si muoveva lenta come se avesse tutto il tempo del mondo e lasciava che le scosse di piacere risalissero a onde il corpo dell’italiana, che si contorceva con gemiti crescenti.
Marco aveva il fondoschiena di Morena in primo piano e voleva tuffarsi nella mischia, ma si alzò solo all’ordine della moglie.
“Leccala tu, deve essere dolcissima”.
Mirella ci aveva visto giusto: gli umori della barista erano densi, lucidi, mielosi nell’aspetto come nel sapore. Tanto la spagnola era calma con Mirella, tanto lui impetuoso con lei che le affondava il sedere sulla faccia come se avesse voluto farlo entrare dalla testa.
Seguirono minuti di piacere sommesso, che fu ancora Mirella a interrompere.
“Scooooopamiiii”, quasi urlò.
Marco non se lo fece ripetere e penetrò la moglie da sopra, mentre Morena si occupava ora del suo scroto ora dei seni di Mirella, mentre si dava piacere da sola.
L’orgasmo della giovane sposa arrivò presto e dovette sentirsi fino in Portogallo: fu un urlo, che Morena le strozzò in gola premendole delicatamente la mano sulla bocca e poi baciandola.
Marco si arrestò quasi subito e baciò la moglie ovunque potesse, sfinito più dall’aver trattenuto il suo coito, che per la fatica.
“Permetti, companera? La figa è bella, ma il cazzo è meglio”.
Mirella, languida e ancora scossa dall’orgasmo, accennò solo un sorriso, ma tanto bastò a Morena per spingere Marco a stendersi supino sul materasso e a cavalcarlo con una mossa rapida e decisa.
“Bada solo a non venire Marco. Falla godere, ma non venire”.
Come ci riuscì? Non se lo spiegò neanche lui, ma fatto sta che, forse complice l’alcol, riuscì a trattenersi ancora. Del resto, anche Morena venne presto come Mirella.
Si stesero tutti e tre vicini a riprendere fiato, Marco ancora in erezione.
“Vuoi venire?” gli chiese Mirella.
“Domani. Sono sfatto e ho goduto tanto anche così”.
Morena si alzò e iniziò a rivestirsi, dopo aver baciato entrambi sulle labbra.
“Resta a dormire”, propose Mirella.
“Resterei a fare anche altro, ma ho due sdentati a casa che la mattina mangiano il pan y tomate solo se glielo preparo io. Quello vecchio poi si alza alle sei, puntuale come il treno svizzero sul quale ha pulito le latrine una vita intera e fa svegliare anche quello giovane che a due anni sembra già avere i pensieri nella testa”.
Raccolse la borsa e aprì la porta, ma prima di uscire si girò all’indietro.
“Prima mi hai chiesto se ci sai fare. Ci sai fare, ma già lo sapevo, per questo sono venuta. Dormite bene”.
“Concordo con te companera: il cazzo è meglio della figa, ma con te un pensierino lo farei” replicò Mirella.
Fu solo nel richiudere la porta, una volta fuori, che Morena se ne accorse: “Ah, anche voi avete scoperto il trucco dello specchio”, disse indicando la suppellettile ricoperta dall’asciugamano. “Che si è perso Pedro stanotte, il porco, che si è perso. Ma il problema, domani, sarà Ramon” e richiuse piano, spegnendo la sua risata nel cuore della notte.
Mirella, Marco e gli altri che li guardano
Pedro lo seppe solo dopo quello che si era perso. Era andato a letto prima degli altri e aveva avuto una notte agitata che il mattino dopo era stampata sul suo volto da condor. Sbrigò le sue faccende e solo sul tardi si avviò alla taverna. Ci trovò il solo Ramon, buio in viso. Si fece preparare la colazione per la coppia di sposi e nel frattempo parlarono del tempo e di altre sciocchezze.
Finché l’oste non ruppe gli indugi.
“Hanno scopato questa notte?”.
“Come ogni notte, immagino. Sono dei mandrilli quei due”.
“Ti sei goduto lo spettacolo?”.
“Ero a letto e non so. Ma che ti frega?”.
“Nulla”, mentì. Ma poi aggiunse: “quella troia di tua cugina è andata in camera con loro. L’ho vista nascondere il motorino e rientrare nel motel”.
“Quando te la scopi è tua cugina, le altre volte mia, anche se non lo è per davvero”.
“Lascia perdere Pedro”.
“Ti brucia?”.
“A quella me la faccio, fidati”.
“Osso duro e poi… c’è il marito”.
“Mi sembra una checca”.
“Mi sa che hai solo questa notte o al massimo due notti. Domani pomeriggio avranno la macchina. Dipende da quando partono”.
“Le macchine si rompono”.
“Già…”.
La conversazione finì con il peggiorare l’umore di Pedro, anche se lui stesso non ne capiva il perché. Alla fine, che cosa gliene fregava a lui? L’italiana era fenomenale, ma lui era fuori gioco. Voleva solo i suoi soldi. Prima di bussare alla stanza con il vassoio pieno, aggiornò il conto con le due nuove colazioni e l’ultima notte e lo appoggiò tra i piatti.
Mancavano 10 minuti alle 14 quando Marco gli aprì, dopo 5 minuti abbondanti di insistenza. Aveva la testa che gli scoppiava per il brandy o semplicemente per la stanchezza.
“Mica hai anche un’aspirina, Pedro?”.
“Vado a prenderla. Bisboccia eh? … Ne ho prese un paio anch’io”.
“Lasciamela sul tavolino fuori… Ah, una cosa. Facciamo che domani mattina ti chiamiamo noi per la colazione, vale?”.
“Vale”.
Mirella dormiva ancora, come suo solito a pancia in giù. Marco, portata la colazione dentro, non trovò di meglio da fare che stendersi nudo accanto a lei, dopo aver tolto il telo dallo specchio. La leccò delicatamente tra le natiche sudate e poi sulla pianta dei piedi cavandone dei gemiti sommessi. Non voleva svegliarla, solo godere di lei, anche se a sua insaputa. Si masturbò continuando a leccarla con la punta della lingua dove gli capitava e appena venuto, si riaddormentò di botto.
A svegliarlo fu lei, con una tazza di caffè in mano, tre ore dopo. Pioveva e dalla vetrata della stanza era il grigio a dominare.
“Buongiorno, maritino mio. Di notte stallone e di giorno…”.
“…Coglione, lo so”.
“Ti ho conservato pane, formaggio e uova. Mangia e prenditi l’aspirina, magari. Era fuori sul tavolino”.
Marco si drizzò a sedere e si accorse che la testa andava molto meglio, ma fece fatica a capire perché aveva la mano appiccicosa.
“Ho chiamato l’agenzia di viaggi in Italia. Ci cercano un aereo”.
Marco la guardò trasognato mentre addentava il pane.
Appena spiovve, andarono a correre sulla spiaggia deserta e poi fecero il bagno in un’acqua che si rivelò più calda del previsto. Da lontano, mentre correvano sulla spiaggia, al ritorno, sembravano due formiche impazzite che si davano la caccia. Almeno così apparvero a Ramon, che li osservava dalle dune prospicienti il suo bar. A Pedro, che li guardava dal retro del motel, facevano pensare a dei bambini. Dalla strada, passando in motorino, a Morena sembrarono semplicemente due innamorati. Nel vederli, si sentì bagnata tra le gambe.
Mirella, Marco e ancora Ramon che si dà da fare
“Ti va se ce ne stiamo in camera, questa sera? Ci facciamo portare da mangiare come a colazione”.
Marco ne fu sorpreso, ma lo nascose alla moglie.
“Davvero non vuoi uscire? Se non ti va la taverna, possiamo farci prestare la macchina”.
“Preferisco qui, dopo tutto”.
Lo aveva detto con un’aria sibillina e pensosa che a Marco, alle prese con il condizionatore, sfuggì. Erano rientrati da poco e il sole stava iniziando a tramontare del tutto. Intorno, si sentivano solo i camion passare sulla strada principale, mentre dalla taverna non proveniva alcun suono. Il motel, poi, sembrava deserto e come abbandonato.
Marco cercò Pedro per ordinare la cena, ma non lo trovò. Era nella taverna, insieme con i pochi avventori di quella sera. Anche il locale sembrava desolato e spoglio. Morena salutò l’italiano con un sorriso gioioso, mentre Pedro si limitò a un cenno del capo. Ramon era sulla porta principale a fumare una sigaretta e sulle prime non si accorse di lui. E quando lo vide lo ignorò.
“Solo, questa sera?”, gli chiese Pedro.
“Mangiamo in camera, decisione di mia moglie”.
Il portiere sembrò scettico verso quella scelta, ma si limitò a fare una sorsata di birra.
“Ci pensiamo noi, vero Pedro? Cosa vi prepariamo?”.
“Quel che c’è, ma vai sul leggero, Morena”.
“Ti dovresti sostenere, campione, con le notti che fai”. Se era una provocazione arrivò blanda a Marco, anche perché Pedro l’aveva accompagnata con una strizzata d’occhi che sembrava più bonaria che polemica. Alla ragazza giunse più diretta, ma scrollò le spalle.
“Vino?”
“Solito bianco”.
“Mezz’ora e ci siamo”.
La mezz’ora divenne un’ora più che abbondante, il pasto leggero un’insalata di polpo e un astice intero, diviso a metà e ornato da maionese, che troneggiava tra le papas bravas e le carote, mentre il solito bianco si era trasformato in una cava spagnola di discreto pregio. Alla camera 12, poi, non fu Pedro a bussare con il vassoio, né Morena. Fu Ramon.
“Vado io ad aprire”.
Quando Mirella se lo trovò davanti, si mostrò sorpresa, anche se lo aveva visto arrivare dalla finestra che dava sul cortile.
“Entro o metto sul tavolino?”.
“Lascia. Magari mangiamo sul patio, grazie”.
L’uomo appoggiò il vassoio e lentamente si rialzò. La squadrò con occhi beffardi, ignorando completamente le mammelle che si intravedevano dalla larga canottiera.
Lei sostenne lo sguardo e ripeté: “Grazie, ottima cena. Bastava la metà”. E si abbassò per prendere una rondella di carota dal piatto.
“A fine pasto, mischiate lo spumante con il brandy che vi ha portato Morena. Non solo cura le sbornie, ma le previene anche, parola mia”.
Mirella lo lasciò parlare senza fiatare, appoggiata mollemente con la schiena alla parete, un piede sopra l’altro.
“Altri consigli?”.
“Magari vieniti a fare un giro al bar, dopo”.
“Mi basta qui. Del resto, chi mi vuole mi trova, a quanto pare”.
“Lo so io il gioco che giochi”. Non si attendeva risposta, ma gli arrivò.
“E quale? Voglio solo cenare in pace”, replicò portandosi la carota alle labbra.
Non le diede il tempo di reagire: le fu addosso in un attimo e le affondò la lingua in bocca, prima che ci arrivasse la radice arancione. Lo lasciò fare per un po’, poi lo morse.
“Stronza”.
“Vigliacco”.
“La prossima volta ti avviso”.
“Farai bene” e fece per entrare. Marco, da dentro, non poteva veder tutto, ma aveva colto l’essenziale. Ramon, andando via, gli fece un cenno del capo e il gesto di segnare sul conto.
Cenarono al chiuso vicino alla grande finestra e bevvero tutto lo spumante. Dalla taverna arrivava a tratti la musica del juke-box e si avvertiva un brusio molto sommesso solo se ci si avvicinava alla porta. Poi fu il silenzio totale. Almeno fino quando non si sentì nitida la voce di Ramon che cantava in sordina, accompagnato dalla chitarra. Era ai piedi del patio, seduto su uno sgabellino e aveva tutta l’aria di voler restare lì.
“Lo facciamo entrare? Siamo rimasti senza vino e vedo che ne ha due bottiglie”.
Marco rispose, in qualche modo? Non se lo ricordava. Del resto, era solo un dettaglio insignificante.
In tre, si scolarono anche la seconda bottiglia di vino, ma prima che attaccassero la terza, Mirella e Ramon si erano già baciati almeno un paio di volte e sussurrati cose all’orecchio, sfiorandosi e palpandosi. Il brandy unito allo spumante preveniva forse le sbornie, forse, ma di sicuro dava piacevolmente alla testa così come i balli lenti e sensuali che la donna aveva alternato con i due uomini a turno e poi a tre, muovendosi nel mezzo dei loro corpi. Nella penombra densa della stanza si mescolavano muscoli tesi e lunghi di maschio a membra sinuose e rotonde di femmina, in una girandola lenta e ammaliante che stordiva per primi gli stessi protagonisti e incantò Pedro, appostato di fianco. Andavano avanti così da un po’, quando Mirella, forse memore del blocco di Semwa, si accostò all’orecchio di Marco.
“Ma con tutto ‘sto vino, non devi fare pipì?”.
In effetti doveva e poiché l’aveva conservata a lungo si prese tutto il tempo. Passando, mise un telo da mare sullo specchio.
Appena il marito fu fuori gioco, la canottiera larga di Mirella volò via, e così gli short e gli slip. A sfilarglieli baciandola con veemenza e toccandola nel profondo dell’intimità, era stato lo stesso Ramon, che capiva di dover fare in fretta. Solo quando lei fu nuda, pensò a sé stesso. Si sfilò maglietta e pantaloni e restò nudo, dritto ed eretto al centro della stanza.
Mirella gemette per la sorpresa. Non ne aveva mai visto uno così e sì che ne aveva visti tanti nella sua pur giovane vita. Non era solo di una stazza decisamente fuori dal comune, ma era percorso da vene e nervi che correvano per tutta l’asta e puntavano a un glande carnoso e protervo. L’impressione di potenza di quell’arnese era dettato più che dalla lunghezza, non meno di 20 centimetri in ogni caso, dalla larghezza. Mirella emise un altro gemito che era insieme di spavento, impazienza e piacere anticipato. Se lo sentiva già squassarle il ventre e se lo vedeva soffocarla, mentre con la lingua ne percorreva ogni singola vena.
Anche Marco, appena fu uscito dal bagno, non riuscì a staccare gli occhi da quel membro che aveva ribadito la gerarchia in quella stanza: un maschio alfa pronto a prendersi la donna alfa di un maschio beta il cui unico ruolo poteva essere assistere e al massimo far in modo che le cose andassero per il meglio.
“Ti piace?”, chiese Ramon con voce rauca. Anche lui era sopraffatto dall’eccitazione. Averle scavato poco prima la vagina fino all’utero con le dita lo aveva caricato all’inverosimile. Voleva possederla, farla urlare - non aveva detto che urlavano tutte con lui? -, piegarne l’arroganza a colpi di anca e di pube.
Mirella si limitò a guardarlo negli occhi. Mentre si avvicinava all’oste, sorrise, con una luce quasi diabolica negli occhi, all’indirizzo di Marco. Quando fu di fronte all’uomo, gli prese il membro nella mano destra e quasi facendo perno su quel bastone di carne si piegò in avanti per divorarlo. Glielo succhiò avidamente in quella posizione mugolando e riprendendo fiato a momenti alterni, finché non si inginocchiò davanti a lui, con lentezza, come vinta da una forza che la stava sopraffacendo. Poggiate le ginocchia sulla moquette, si sedette sul suo stesso culo e si appoggiò scroto e asta sulla testa, non senza aver guardato di nuovo Marco che a quella vista sussultò con lo stomaco in preda a un vuoto improvviso. Mirella non potette vedere il marito che cercava l’aria a bocca spalancata. La sua attenzione era calamitata da altro. In quella posizione lo scroto di Ramon, perfettamente rotondo e senza un pelo, le sembrò ancora più potente e desiderabile. Lo leccò a lungo, mentre lui allargava le gambe per renderle il compito più semplice, prima di occuparsi di nuovo del membro con una dedizione metodica ed evidentemente efficace a sentire i grugniti di piacere del barista. Prima lo leccava tutto intorno al grande, che poi prendeva in bocca stringendolo e titillandone il filetto con la lingua, poi scendeva lungo tutta l’asta, risaliva e finalmente lo inghiottiva quasi per intero ondeggiando con la testa in un avanti-indrè mai troppo lento e mai troppo veloce.
Marco si lasciò cadere sulla poltrona con gli occhi fissi su quello spettacolo con crescente ammirazione per la moglie che andava di pari passo a una gelosia divorante e allo stesso tempo eccitante. Se si fosse solo sfiorato sarebbe venuto. Non era la prima volta che vedeva la moglie impegnata in una fellatio ad un altro uomo, ma in quel momento scorgeva qualcosa di nuovo e mai successo. Lei sembrava essersi sottomessa a quella virilità, volerla adorare e omaggiare come mai aveva fatto con nessun altro. Gli sguardi iniziali verso Marco si erano ridotti fino a ignorarlo del tutto. Il marito non c’era. Esistevano solo la sua bocca e quel cazzo possente.
Ramon le prese la testa e ne accompagnò i movimenti per un po’ finché non si interruppe bruscamente, con una specie di ruggito.
“Ferma bocchinara, feeeerma o mi fai venire”, sussurrò a voce così bassa che Marco potette solo intuire quel che l’uomo aveva detto, ma sentì bene quel che disse dopo.
“Ti voglio venire in gola, ma dopo, ti devo prima aprire tutta”.
Usava un linguaggio crudo, fin troppo confidenziale, che Mirella di solito non accettava da estranei. Anche questo sorprese Marco. Aspettava il momento per unirsi alla scena, ma capiva che per lui non c’era ancora posto.
Ramon alzò Mirella quasi tirandola per le spalle e la spinse da dietro verso il letto. Lei lasciava fare, docile e soggiogata. Si lasciò anche girare con il viso verso l’uomo che quando se la ritrovò davanti non potette resistere a baciarla con foga e si lasciò poi aprire le gambe per le caviglie, dopo che era caduta sul letto. Ramon si puntò con le ginocchia, la sollevò di qualche centimetro e infine la penetrò con decisione. Mirella diede una specie di urlo soffocato, ma un attimo dopo gemeva e si contorceva come Marco non aveva mai visto farle. Quante volte venne? Perse il conto e non aveva senso tenerlo: passava da un orgasmo all’altro e quello successivo sembrava più potente di quello precedente. Teneva le braccia allargate sul letto e la testa rivolta verso l’uomo, gli occhi fissi nei suoi con un sorriso che era a metà tra la sfida e la gratitudine. Guardò Marco una sola volta, quando Ramon la fece girare e mettere a quattro zampe per penetrarla da dietro. Marco interpretò quello sguardo come un invito a unirsi. Si avvicinò alla moglie con il membro durissimo e sul punto di scoppiare e quando le fu vicino glielo porse per farglielo succhiare.
Lei lo guardò vacua, come assente. E disse una sola cosa: “i piedi”.
Marco non capì all’inizio e stava per chiederle cosa volesse, ma gli sembrò grottesco porle domande mentre un maschio la stava squassando e lei ansimava come una gatta che fa le fusa.
Poi capì e il suo stomaco precipitò in un altro vuoto abissale. Questa volta non era la sorpresa, ma sincera umiliazione. Mirella voleva che lui le leccasse i piedi mentre veniva scopata. Era quello il suo ruolo in quella stanza, al momento, niente di più. L’alternativa era andarsene o interrompere quell’amplesso sempre più selvaggio. Ebbe ancora un attimo di esitazione, ma sapeva già cosa fare. Andò dalla parte opposta del letto, si abbassò e iniziò a leccare la pianta del piede destro della moglie con il capo che ogni tanto veniva sfiorato dalle gambe dell’uomo, che continuava a martellare la moglie con colpi secchi e potenti.
Non era ancora passato a occuparsi del piede sinistro che era già venuto. L’umiliazione subita, i gemiti della moglie, la padronanza di quell’uomo estraneo, il contatto della sua lingua con la pelle liscissima e saporita delle piante della moglie lo portarono al parossismo. Non potette trattenersi dal toccarsi il glande ormai torrido. Tre scrollate e inondò la moquette ansimando e aumentando il ritmo e la profondità delle leccate. Quando si riprese si spostò per raggiungere l’altro piede, ma non durò a lungo. Anche Ramon ne aveva abbastanza.
“Voglio venirti in gola”, disse semplicemente, l’oste.
Lei non se lo fece ripetere: si sedette prima sulla punta del letto, poi si inginocchiò per masturbare l’uomo e per leccarne ancora il glande. Si prese del tempo, non voleva accelerare le cose e voleva che Marco guardasse bene. Gli fece segno con la mano di avvicinarsi e di mettersi in ginocchio anche lui, di lato. Voleva che il marito vedesse bene quel che stava per succedere. Preso forse dall’orgoglio o solo per semplice comodità Marco, invece, si sedette sul letto ipnotizzato dalla bocca della moglie che mangiava quella verga pulsante che ora sembrava anche più grande.
All’improvviso Ramon si drizzò sulla punta dei piedi, sollevando i talloni da terra, e fu il diluvio. Il suo orgasmo fu un dilagare di piacere che colpì Mirella al volto, sui capelli, sul seno, sulle spalle, sulle labbra e naturalmente in bocca. Era uno sperma denso, caldissimo, cremoso stranamente dolce, come avesse aromi di frutta.
L’uomo accompagnava i fiotti con degli “ahaaa” rochi e poderosi che rimbombarono nelle orecchie di Marco.
Mirella, quando anche l’ultima goccia fu uscita, ripulì il glande con accuratezza e lo baciò. “Mi hai fatto morire” disse e si stese sul letto.
“Ma non ha ancora finito con te”, minacciò l’uomo sistemandosi di fianco a lei. Le baciò i capezzoli, poi la bocca e si strinse a lei.
Marco era ancora seduto, spalle alla coppia. Sembrava assalito da una stanchezza invincibile. Fu Mirella a destarlo dal torpore con una richiesta che gli arrivò come uno schiaffo.
“Vammi a prendere della carta igienica. Non vedi che sono tutta imbrattata di maschio?”. Sarebbe bastato dire “imbrattata”, ma ci aveva aggiunto di “maschio” come a voler sottolineare ancora una volta i ruoli in quella stanza. Stupidamente, ma se lo sarebbe rimproverato solo dopo, alzandosi per andare in bagno non trovò di meglio da rispondere con un “no, non ho visto”. Portò l’intero rotolo e ritornò in bagno. Aveva bisogno di una doccia. La sua pelle era torrida e bagnata di sudore, come se fosse stato lui a martellare la moglie o a subire le martellate che lei aveva subito. Quando tornò nella stanza, ancora bagnato, i due stavano limonando. Ramon era di nuovo in erezione. Il suo pene tra le mani di Mirella era tornato in ottima forma e pronto a prenderla ancora.
E infatti passarono solo dieci minuti prima che Mirella si ritrovasse ancora con la vagina piena di quella carne nervosa e durissima, ma prima di farlo si concesse al marito, che sistematosi sul letto dalla parte opposta di Ramon, le baciava schiena, collo bocca, seni e quasi la implorò di scoparla. Poteva rifiutarsi? Anche se si sforzò di non darlo a vedere, era evidente che Mirella fosse impaziente di tornare a dedicarsi interamente all’altro uomo, al quale non mancò di prestare attenzione. Mentre il marito la penetrava la vagina da dietro, Ramon le riempiva la bocca sincronizzando il suo bacino a quello di Marco. Lei era in mezzo, priva di movimenti propri: beccheggiava, come una barca alla fonda, seguendo il ritmo che le imprimevano gli uomini. Era la fantasia di abbandono che aveva avuto fin dal momento che aveva deciso di darsi a Ramon e voleva viverla fino in fondo.
Appena Marco ebbe finito, riuscendo a staccarsi appena in tempo per non eiacularle nella vagina, Mirella si avventò letteralmente su Ramon. Lo baciava in bocca e gli stringeva le natiche affondandogli le unghie nella carne.
“Sfondami ancora, toro”, gli disse languida e quasi implorante. Scelse di cavalcarlo questa volta. Si sistemò sull'uomo dandogli la schiena, guardando fisso negli occhi Marco, che nonostante due venute era ancora in erezione.
“Leccami” gli ordinò quasi, anche se poi vi aggiunse un “amore”, che fece suonare la frase meno perentoria.
Marco non si fece pregare. Si inginocchiò ai piedi del letto e iniziò a picchiettarle il clitoride con la punta della lingua e a succhiarle le piccole labbra, fermandosi ogni tanto ad osservare come l’orifizio della moglie fosse teso intorno alla spessa asta dell’uomo e quanto fosse grondante di umori. Passò a leccarle anche l’ano, quando lei si fu girata per cavalcare Ramon nell’altro verso.
Poche leccate e Mirella lo spinse via, delicatamente, con la mano: non voleva più. Era troppo presa dal godimento che le stava dando il barista e ogni altra cosa la distraeva. Marco restò sul letto, a guardare da vicino e riprese a masturbarsi. Venne ancora con sua grossa sorpresa, mentre Mirella andava avanti a gemere e lanciare urletti di piacere. Si ripulì e decise che per lui non c’era posto in quella stanza. La verità è che aveva bisogno di aria fresca e di staccarsi un attimo da tutta quella carne sudata e vibrante. Si versò una generosa dose di brandy e andò sul patio a bere e a fumare. Da fuori gli spasmi amorosi della moglie gli arrivavano un po’ ovattati, ma pur sempre vividi. Chiunque li poteva sentire.
Si addormentò sulla sedia, con la sigaretta ancora accesa nella mano e il bicchiere di brandy vuoto. Quando si svegliò il cielo era rosato e il buio della notte quasi del tutto vinto. Rientrò nella stanza, mentre Mirella stava finendo di ripulire con la lingua il pene dell’uomo che doveva essere appena venuto ancora. Poi gli appoggiò le labbra sulla bocca, per un bacio lungo, lento, profondo che diede a Marco un’ulteriore mazzata.
“Dove eri finito?”, chiese in italiano al marito appena si accorse della sua presenza. “Questo toro mi ha sfondata per tutta la notte, sai?, uno spettacolo, ma non ne posso più. Ora voglio solo dormire” e si sistemò sul cuscino, sprofondando quasi subito nel sonno. Ramon le poggiò una mano sulle natiche, le strinse e poi si alzò dal letto.
“Femmina magnifica, amigo, magnifica” fece a Marco passandogli accanto. Si infilò i pantaloni e uscì senza girarsi. Marco abbassò le tapparelle e si stese sul lettino piccolo. Quello matrimoniale era un campo di battaglia devastato, con lenzuola grinzose, macchie umide e la forma del corpo di Ramon impressa nel materasso.
Mirella, Marco, Ramon e Morena
Benché fremesse dall’impazienza e dalla curiosità, Pedro si attenne agli ordini ricevuti il giorno prima ed evitò di bussare alla stanza numero 12. Verso le tre di quella giornata stranamente fresca, ancora una volta ci pensò Morena a farlo. A stento riusciva a reggere l'enorme vassoio per la colazione e anche lei bussò con i piedi come aveva fatto Pedro nei giorni precedenti. Nei piattini c'era cibo di ogni tipo, che sarebbe stato sufficiente a sfamare 10 uomini dopo una giornata di lavoro in miniera. Ma, soprattutto, c'era un'enorme caraffa di caffè. E fu su questa che i due sposi si buttarono per prima, chiedendone altro a Morena che li scrutava con uno sguardo curioso e sornione: erano svegli da un bel po’ e Marco aveva ripreso il suo posto vicino alla moglie. Morena scambiò un sorriso largo di intesa con Mirella, che era complicità femminile ma anche qualcosa in più, e uno più contenuto, a labbra serrate quasi, con Marco. Quando tornò, poco dopo, i due sposi avevano già fatto una veloce doccia insieme, durante la quale si erano più baciati che lavati, e stavano già mangiando di gusto, seduti al tavolino e rivolti verso il mare. Oltre al caffè e al latte, che prima aveva dimenticato, Morena aveva portato con sé anche Ramon.
“Posso?”.
Aveva in mano un mazzo di fiori coloratissimi e sottili e una piccola radio. “Ho visto che non ne avete una in questa stanza, che caprone mio cugino. È triste vivere senza la musica”.
Se Mirella fu sorpresa dall’improvvisata nessuno se ne accorse, mentre la faccia di Marco, era evidentemente turbata.
“Prendi una sedia”, disse lei con un tono serissimo e uno sguardo intenso che Ramon sostenne a fatica. “Anche tu Morena, ne abbiamo per cinque qui. Avete davvero esagerato stavolta. Più del solito”.
La ragazza sedette sul secondo lettino poiché le sedie erano solo tre e Ramon si mise di fianco a Marco, dal lato opposto a Mirella,. Parlarono di musica, della Galizia, della quale i tre spagnoli erano originari, del lavoro all’università dei due italiani, dell’oceano e del mare, di Goya e di Caravaggio. Ci fu anche un mezzo litigio tra i due cosiddetti cugini: Morena contestava a Ramon di non averla mai assunta e di pagarla in nero. Ramon si difendeva dicendo che in cambio le lasciava la massima libertà. Fu una discussione pacata alla fine: si vedeva che erano anni che la facevano. A calmarli ancora di più ci pensò lo spinello che Morena estrasse come per magia dai pantaloni e che si passarono tutti e quattro. Li interruppe Pedro con la scusa degli asciugamani puliti. Fu Ramon ad aprirgli e Ramon a mandarlo via con poche battute sussurrate, dopo avergli fatto lasciare la biancheria.
Pedro si allontanò mogio, senza tralasciare di guardare il telo sullo specchio. Che non osò toccare, benché avesse la voglia di strapparlo via. “Decidete pure voi, non mi intrometto, razza di maiali”.
“Grazie mille Pedro, sei sempre gentile”, si sentì almeno dire da Mirella, mentre usciva. Era sinceramente grata e sentì quasi della tenerezza per lui. Si alzò, tolse il telo dallo specchio, tornò verso il tavolo e baciò Morena, spingendola sul lettino e invitando Marco ad unirsi. Ramon se ne stette seduto a godersi lo spettacolo dei tre che si davano da fare concentrati sul corpo di Mirella, ma poi si alzò e quando lo fece la scena cambiò completamente. Mise le due donne a quattro zampe sul lettino e iniziò a leccarle alternativamente. Marco non ci mise molto a imitarlo e dargli il cambio. Si alternavano nel prendersi cura con la lingua di quelle due vagine esposte. Uno schema vincente che si ripeté quando dal cunnilingus Ramon passò alla penetrazione: le prendevano a turno, mentre le donne si cercavano tra loro e si baciavano, mangiandosi le lingue. Ogni volta che lo spagnolo entrava in una delle due, questa urlava di piacere. Non che Marco fosse inefficace, ma insomma, l’oste era un compressore inarrestabile e dotato di un ariete di sfondamento fuori dal comune. Anche Marco ne fu ammirato, tanto da concedersi una pausa caffè e sigaretta dentro la stanza, incapace di staccare gli occhi da quella scena. Non c’erano dubbi: quello era un toro. Quando Marco si riunì al gioco avevano cambiato posizione e trovò le due donne più aperte, più scivolose, più insaziabili. I maschi ogni tanto si fermavano esausti - vivaddio anche Ramon aveva un limite - le donne invece andavano avanti, dandosi piacere reciprocamente.
Per quanto tempo fecero l’amore? Non ne avevano idea. A fermarli fu, ancora una volta, Pedro che questa volta aveva una ragione validissima. Era arrivata la vettura dell’auto-noleggio e c’erano da sbrigare le pratiche. Erano le 17.30, giusto in tempo per Ramon e Morena di occuparsi della preparazione serale della taverna, che fino quel momento era rimasta affidata al portiere.
Nel cortile c’era una BMW azzurro scuro che sembrava mantenere le promesse fatte al telefono dall’agente della compagnia. La consegna della nuova auto e il ritiro della vecchia durò poco. Furono più le scuse reiterate per la sorte dell’Opel che le istruzioni per la macchina nuova. Ma tant’è, ora avevano un’auto: c’era solo da capire quando partire.
“Domani?”.
Mirella si strinse le labbra con i denti, mentre si guardava allo specchio per sistemarsi i capelli dopo la doccia. Si prese un po’ di tempo per rispondere, ma quando lo fece ebbe un tono affermativo e definitivo.
“Che senso ha affrettarci ormai, la prossima settimana si torna ai nostri impegni. Non stai bene tu qui?”.
Stava bene lì Marco? In fondo sì, stava bene anche lui. Ma di certo era Mirella quella che stava meglio. Ne era sicuro.
Si presero tempo per prepararsi e fare due passi sulla spiaggia. La loro escursione durò un’ora al massimo. Un tempo più che sufficiente a Ramon per occuparsi della BMW.
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