Un affollata luna di miele - 2

Sascia sangiorgio
3 months ago

Pagarono in fretta alla padrona, che lasciò cadere una frase nella quale la loro coda di paglia avvertì dell’ambiguità o addirittura una provocazione.

“Vi è piaciuta la cucina del cuoco? È bravo a cucinare il nostro cuoco. È quello che deve fare, del resto, non vi pare?”.

Se ce l’aveva con loro aveva trovato un modo raffinato per farlo.

Scesero in macchina verso la Senna percorrendo un viottolo che Marco aveva notato all’andata. Conduceva verso un boschetto in riva al fiume. Nel pomeriggio assolato, reso ancora più acceso dal giallo dei campi, non c’era nessun essere umano in giro. Erano soli nel mare di mais e di girasoli che li circondava. 

Marco posteggiò sotto il primo albero, facendo attenzione a non spingere troppo avanti le ruote dell’auto: aveva paura di precipitare dal basso argine o di restare impantanato. 

“Speriamo che non ci sparino. È un campo privato”, disse mettendo il freno a mano.

“Scopami e fallo subito. Fallo forte” fu la sola replica di Mirella, che distese il suo sedile e si allargò gli slip viola, aperti esattamente sulla vagina, che avevano acquistato a Pigalle la sera prima insieme ad altri completini sexy. 

Marco si guardò in giro per un po’ mentre si accarezzavano vicendevolmente il sesso. Quando si decise a penetrarla erano già quasi al culmine. Fu l'amplesso più intenso e più veloce che avessero mai avuto fino ad allora, nonostante, o forse grazie, al vino e alla situazione decisamente rischiosa. Ma soprattutto grazie al cuoco che aveva portato i loro sensi all’esasperazione.

Restarono abbracciati e ansimanti per lunghissimi secondi, fiaccati dal loro stesso piacere.

A destarli dal torpore fu un’ombra che si allungò nell’abitacolo dell’auto. Marco ebbe un sussulto, ma poi scoppiò a ridere con sollievo.    

 “Mi sa che di vacche qui nei dintorni ce ne sono almeno due e una è appena venuta a trovare l’altra che sta in macchina”.

“E di corna lunghe almeno quattro”, replicò lei volgendo lo sguardo verso la mucca, che masticando, li squadrava con occhi enormi ed acquosi, come se fosse sorpresa e un po’ infastidita dal comportamento di quei due umani sudati.

Risero ancora insieme e si baciarono a lungo guardandosi di nuovo in giro, prima di rimettersi la macchina sulla strada principale. 

Parigi prometteva di essere a soli 70 chilometri e il cielo era di un azzurro radioso nel quale due nuvole bianche galleggiavano.

“Va tutto bene”, sembravano dire.

“Va tutto bene”, pensò Marco, mentre accarezzava il ginocchio di Mirella che si era addormentata di colpo. Sembrava rilassata e del tutto appagata dalla vita. Lui, invece, aveva il pene ancora turgido, come se non avessero fatto l’amore appena 5 minuti prima. Era eccitato, ma in fondo sollevato: ancora un volta tutto era rimasto una fantasia, buona per la magnifica scopata in riva al fiume e per quella ancora migliore, che inevitabilmente si sarebbero fatti più tardi in albergo. 

Ma le cose non andarono esattamente così: il giorno dopo tornarono a Giverny e questa volta niente visite a Monet. Si recarono direttamente al bistrot quasi a fine turno. Si accontentarono di un croque monsieur da dividere in due e aspettarono la chiusura. Il cuoco lo videro una sola volta e quando chiesero il conto alla cameriera, questa oltre alla cifra da pagare segnò un’ora e un indirizzo, facendo l’occhiolino. Scoprirono che si trattava di un cottage, a qualche chilometro di distanza, che raggiunsero puntuali 45 minuti dopo. 

“Sono Semwe”, “scusa per ieri” e “ci vediamo”, furono le uniche parole del cuoco che li attendeva all’interno. Ne uscirono solo due ore dopo, durante le quali Semwe prese Mirella in tutti i modi, facendola venire decine di volte. Sembravano non volersi fermare, con Marco più spettatore che partecipe. 

Il difficile era stato iniziare. Il cuoco se ne stava immobile, mentre Mirella si guardava in giro per la stanza. Sembravano avere in comune solo la bevanda, dell’armagnac di pregio che Semwe aveva versato a tutti e tre generosamente.

“Forse lo intimidisci, esci un attimo” fu l’intuizione di Mirella.

Quando dopo un paio di minuti di assoluto silenzio Marco rientrò vide la fidanzata in ginocchio davanti a quell’uomo al quale stava succhiando, impugnandolo con entrambe le mani, il membro nerissimo e possente. A quella vista Marco ebbe l’impressione che il fiato gli si fosse bloccato: le fantasie diventano realtà sempre a modo loro, che non è mai il modo immaginato. Vedere Mirella, sempre così determinata con lui, così sottomessa con un altro fu uno choc che gli costò l’erezione per il resto dell’incontro. A tradirlo non erano solo la gelosia e l’umiliazione, che si fece ancora più intensa quando lei dal membro passò ad occuparsi dello scroto che letteralmente succhiava come fosse stata un’enorme prugna succosa, ma la sorpresa per l’esplosione di tanti sentimenti contrastanti. Voleva che il gioco finisse lì? Non osò neanche provarci. Rischiava un’umiliazione peggiore: Mirella lo ignorava, totalmente presa da quell’uomo enorme e vigoroso e lo ignorò anche quando provò a titillarle i capezzoli, tanto per far qualcosa anche lui. Finì per starsene su una sedia a guardare e a toccarsi inutilmente, mentre la sua fidanzata emetteva gemiti e gridolini, intervallati da frasi sussurrate che solo il cuoco poteva sentire. L’eccitazione tornò a Marco solo nella loro stanza d’albergo, la sera. 

“Fammi entrare dove è passato quel randello”.

“Sono sfatta Marco, mi brucia”. 

“Almeno fattela leccare”.

“Falla riposare, amore mio, non hai idea”. 

“Sto scoppiando dall’eccitazione, non sono venuto oggi pomeriggio”.

“Ti capisco, ma non ce la faccio. Segati amore, se vuoi, ci sta, lo capisco. O aspetta domani, ti prego”.

E cadde stecchita dal sonno. 

Si masturbò accanto a lei, guardandole il sedere e ricordandosi le scene del pomeriggio, la faccia stravolta di lei e la curva della sua schiena quando il cuoco l’aveva messa a quattro zampe.

Venne in meno di un minuto, in maniera torrenziale, liberandosi della tensione erotica e della gelosia. 

Era tutto finito. 

E invece nel cottage ci tornarono anche il pomeriggio successivo e ci sarebbero tornati ancora, se non fosse che la vacanza era ormai terminata. 

Il cuoco Semwe fu il loro primo “terzo” reale e dopo di lui ce ne sarebbero stati molti altri.

Mirella e Pedro

La mattina dopo si svegliarono molto tardi, ma non abbandonarono subito il letto. Del resto, cos’avevano da fare? Solo aspettare la chiamata della compagnia di rent-a-car per sapere quando avrebbero potuto rimettersi in viaggio. Si coccolarono e fecero l’amore per un’oretta almeno, sudando più del normale a causa dell’aria condizionata che, se possibile, faceva i capricci più del solito. Il sole era alto e caldissimo e tutto taceva intorno a loro eccetto l’Oceano, che ruggiva dal pomeriggio precedente. Era domenica e i camion che passavano erano rari. Purtroppo, anche il telefono taceva: dalla compagnia, nessuna notizia. E nessuna risposta: provarono a chiamare più volte standosene ancora a letto, ma gli squilli che lanciavano erano SOS destinati a precipitare nel vuoto. 

Fu Marco a rompere gli indugi. Fece una doccia lunghissima e si incamminò verso il bar in cerca o di Pedro o di Ramon. Non era il bancomat a creargli urgenza: voleva farsi accompagnare alla stazione, dove aveva sede la filiale della loro compagnia o magari anche all’aeroporto di Siviglia. 

Pedro era al suo posto, nel gabbiotto, più sudato del solito.

“No amico, non posso accompagnarti. Sono impegnato qui” e si guardò intorno come se stesse parlando dello stabilimento della SEAT. “Che vuoi fare, mestiere di merda, neanche la domenica puoi prenderti. Ci pensa Ramon”.

Era passato al tu, senza preavviso. Marco sentì improvvisa l’urgenza di andarsene da quel motel.

“Se avete fame, Morena può prepararvi qualcosa. Per il caffè, posso farvelo io. Ma sono le 12.30, ne avete ancora voglia?”.

Marco non gli rispose e si avviò verso il bar, dove Ramon sembrava aspettarlo. Non ci volle molto ad accordarsi “Vada per il passaggio fino alla stazione. Appuntamento tra dieci minuti davanti all’ingresso principale del bar. L’auto ce l’ho lì”. 

  Marco ebbe il tempo di prendere il portafogli in camera, di salutare Mirella e di fumare una sigaretta, quando Ramon si fece vivo. Visto alla luce del sole, poté capire cosa di lui aveva colpito Mirella: sembrava un gitano, nervoso e con tratti virili, quasi da manga. Maschio era maschio e Marco sapeva che la moglie amava gli uomini al limite, dotati di mascolinità selvatica. Quando ci pensava, si chiedeva se non fosse anche lui così o non fosse esattamente il loro opposto.  

Non erano andati via neanche da due minuti che Pedro si era dato già da fare.

Si era procurato nel bar un vassoio e lo aveva riempito con una serie di piattini invitanti, ricolmi di jamon tagliato a pezzetti, queso de cabron, pan y tomate, spicchi di uova soda con la maionese e una tazza gigante di caffè, oltre a una caraffa d’acqua ghiacciata. 

Fu costretto a bussare alla porta con il piede, più volte. Dalla stanza 12 si presero tempo per aprirgli. Mirella era sotto la doccia e andò alla porta con i capelli raccolti in un asciugamano piccolo e mentre ne teneva uno un po’ più grande avviluppato intorno alle vita, a coprirle a malapena i seni e la vagina. Pedro dovette raccogliere tutto il suo sangue freddo per parlarle normalmente. Teneva lo sguardo basso sui piedi nudi della donna. 

“Ho pensato che potesse aver fame. Così ho portato la colazione. Posso?”.

Mirella era sul punto di ridere vedendo la faccia congestionata dell’uomo, ma fu brava a trasformarlo in un sorriso di gratitudine per tutto quel ben di dio. 

“Porto dentro?”.

Lei si succhiò il labbro inferiore prima di rispondere, come spesso le accadeva quando pensava su qualcosa. 

Pedro fremeva.

“Non fare tante storie e fammi entrare, che non te ne faccio pentire”.  La frase uscì dalla sua bocca come un farfuglio di suoni scomposti e sommessi, che non avevano alcun senso in nessuna lingua, ma ciò nonostante il portiere serrò i denti per impedirsi di emettere anche un solo grugnito in più. Temeva che se avesse atteso ancora un po’, non si sarebbe più limitato a pensare rumorosamente.

“No, metti tutto sul tavolino vicino alle sdraio della piscina. Due minuti e ci sono”. Mirella aveva mantenuto il tu del giorno prima, senza pensarci.

Uscì dalla stanza appena un po’ più vestita di quando si stava asciugando dopo la doccia: bikini minimo di colore verde chiaro, che faceva pendant con gli occhi e contrasto con lo smalto dei piedi, fasciati in zoccoletti alti, color smeraldo. Dandosi un’ultima rimirata nello specchio lo aveva orientato meglio verso la luce.

Mentre lentamente lei si avvicinava alla piscina,  Pedro la squadrò orami senza pudore, soffermandosi ovunque e in particolare sulle sue estremità. Non riusciva a nascondersi e non c’era più nulla da nascondere. Quella femmina italiana lo aveva stregato. Si sentiva letteralmente piegato dal suo fascino e dalla sua femminilità prepotente. 

“Si accomodi qui” le disse appena lei fu vicino al tavolino, porgendole la sedia con modi da maggiordomo consumato. 

“Caffè? Ne ho fatto dell’altro. Quello ormai si era raffreddato. Ma ho portato anche nel ghiaccio, nel caso fosse troppo caldo”. 

Mirella consumò la colazione con lentezza. Aveva le gambe accavallate e lasciava dondolare lo zoccolo destro dalla punta del piede. Non era una sua posa abituale, ma fu il suo modo di ringraziare Pedro che non riusciva ad allontanarsi dal tavolino. Stava lì in piedi come un cameriere e non le staccava gli occhi di dosso. 

“Posso fare qualcosa ancora per lei?”.

“Niente di quello che desidererei. Quello che potevi fare lo hai fatto” disse sorniona. 

Pedro colse l’antifona? Si limitò a deglutire e a dire. “Allora vado”. 

“Ma forse sì, una cosa puoi farla: chiama quelli dell’autonoleggio dal tuo telefono fisso e se rispondono passameli. Ho visto che hai un telefono senza fili in guardiola”.

Tanto Marco e Mirella avevano provato invano, quanto Pedro fu fortunato. Gli risposero al primo colpo. Chiese tempo e trotterellò verso Mirella, alla quale passò il telefono. La conversazione fu breve e frustrante per la giovane donna. La sintesi fu: “ci spiace, non ci hanno restituito l’auto che aspettavamo. Forse domani ne avremo una. Intanto veniamo a ritirare quella che avete per ripararla il prima possibile”. 

Mirella stava per sbattere il telefono sull’erba sintetica che contornava la piscina, ma si contenne e lo lanciò a Pedro che lo raccolse al volo.  

“Mi spiace, signora, che non abbia risolto. Ma mi fa anche piacere che restiate” disse il portiere.

“E ti credo, una notte in più che vendi”, disse stizzita. Non ce l’aveva lui, ma con il mondo in quel momento.

“Detto da chiunque altro mi offenderebbe, ma da lei lo accetto”, disse Pedro abbassando di un tono la profondità della voce. 

“Scusami, non volevo”.

“Lei è la padrona, non si preoccupi”.

Mirella lo fissò dritto negli occhi, ferma, senza tradire nessuna emozione e non le ci volle molto per fargli abbassare lo sguardo. 

“Per favore, vai ora. Grazie per la colazione”.

“Dovere, signora Mirella” replicò Pedro con un tono ancora più basso e quasi tremante, sottolineando il “signora”. 

“Grazie, ancora”.

“Saprei come ringraziarla io, invece… Mirella…baciandole i piedi”.

Lo aveva detto per davvero? Sì, lo aveva fatto: il portiere questa volta non era riuscito a controllarsi.

La risata di Mirella esplose nel silenzio del pomeriggio. Piegò la testa all’indietro ad occhi chiusi, che riaprì un secondo dopo per fissare l’uomo.

“Non sei l’unico che ne sarebbe felice”.

“Ma io sono speciale”.

“Me ne ricorderò”. 

  Si pentì per un attimo di avergli risposto in maniera così ambigua. Che cuocesse nel suo brodo di vecchio porco, concluse dopo. Alla fine, era innocuo. Se ce l’aveva con qualcuno quello era Marco: era ormai più di un’ora che era andato via.

Decise di aspettarlo in camera, accoccolata nella penombra, guardando verso le dune.

“Ma che hai fatto, l’hai comprata la banca?”, lo aggredì appena Marco fu entrato un abbondante quarto d’ora dopo.

“Te ne meriteresti due di banche amore mio, ma tuo marito non è riuscito neanche a prelevare”.

“…”.

“Abbiamo provato cinque o sei bancomat e al netto di quelli che non funzionavano, tutti hanno detto la stessa cosa: carta smagnetizzata. Mi toccherà sopportare la guida assurda di quel Ramon più tardi per provare con la tua”.

“Nessuna fretta: l’autonoleggio dice che fino a domani ancora niente auto”.

“Ci hai parlato?”

“Sai che sono una strega… Ma che domande fai? Come farei a saperlo se non ci avessi parlato?”. 

“Eh, brava allora. Alla stazione erano chiusi e l’unico contatto che davano è il numero che già abbiamo”, disse Marco che a stento riusciva a dissimulare l’irritazione per l’aggressività della moglie.

Che lo capì e si raddolcì.

“Vieni qui, amore”. Lui si abbassò a bacarla e lei ricambiò con il suo gesto abituale di arruffargli i folti capelli castani. “Hai mangiato qualcosa? La colazione che mi ha servito Pedro era buonissima: prosciutto, uova, pane…”.

“Ho lo stomaco sconvolto ancora da stanotte. Non so di cosa ho voglia”.

“Io sì, Marco”.

“Di cosa?”.

“Che mi lecchi i piedi”.

Pedro era nella guardiola e forse per lui fu un bene. Vedere la scena che seguì, con Marco sul pavimento dedito alle estremità della moglie che nel frattempo si masturbava, sarebbe stato troppo anche per lui in quel momento. 

Passarono il resto del pomeriggio prima a leggere in camera, poi facendo una corsetta sulla spiaggia e infine con un bagno in piscina durante il quale il portiere non fece che gironzolargli intorno, limitandosi a qualche domanda sporadica e a offrire birre che gli furono rifiutate. Nel motel c’era effettivamente un bel movimento di coppie e Pedro andava e veniva dal gabbiotto, soddisfatto dall’impennata del giro d’affari. Ogni tanto però spariva, tanto che un paio di coppie dovettero suonare il clacson per farsi ricevere. 

Marco e Mirella attribuirono alle bevute in taverna quelle assenze o a urgenze fisiologiche, ma poi lo scorsero uscire da una delle stanze. 

“Certo che è un tipo strano questo”.

“Non sai quanto”, chiosò Mirella guardandosi le dita dei piedi. 

Mirella e Rodri

La faccenda del bancomat la risolsero così: Ramon era impegnato quanto Pedro e decisero che Marco prendesse l’auto del portiere. 

“Basta che ci fai il pieno, amigo, è un po’ a secco”.  L’operazione prelievo fu veloce. Bastava avere una carta funzionante, del resto. Mentre Marco andava, prelevava, faceva rifornimento e tornava, Mirella si preparò con calma in camera. 

Pedro si fece vivo solo quando uscirono dalla stanza. La sua idea era riscuotere i suoi soldi, ma quando ebbe Mirella a un metro di distanza iniziò a farfugliare complimenti - “è bellissima questa sera signora Mirella, cioè più del solito” - e a dare consigli per la cena -“c’è il caldoso di pesce, ottimo. Lasciatemene un po’”. Del credito che era andato a riscuotere sembrava essersi dimenticato completamente.  

“L’hai stordito a questo, Mire’”, notò Marco.

“Non sai quanto”, confermò Mirella, dandosi un'ultima sistemata ai capelli. 

Marco era curioso di saperlo, ma lei lo bloccò: “Ho fame. Stasera andiamoci piano con il vino”.

Alle 7, l’ora delle tapas, erano già al tavolo della sera prima, sul quale trovarono un vaso con fiori di campo. 

Mirella li annusò, rivolta verso il bancone. Ramon le sorrise accennando a un inchino da torero. 

Contro ogni loro aspettativa, c’era anche Roberto.

“Parto domani mattina presto, trasporto merce normale e nel week-end ho lo stop”  spiegò  il camionista che quella sera si limitò a bere solo un paio di birre e a flirtare, in assenza di Sonia, con Morena. “Ma ci vado piano, eh, con lei: sono sposato. Mi diverto solo un po’”.

“Cioè se non le paghi non è tradimento a tua moglie?” gli chiese Mirella.

Il camionista sembrò sorpreso da quella domanda che dovette suonargli stupidissima. “Le puttane, con rispetto parlando, non contano” tagliò corto, dirigendosi verso il bancone per evitare ogni replica. Non avrebbe più rivolto la parola alla coppia fino alla fine della serata, che per lui avvenne molto presto. Per fortuna: il suo muso lungo incupiva l’atmosfera alcolica e musicale del locale, che nel frattempo si era affollato velocemente. 

Trascinati dall’entusiasmo semplice degli altri avventori, Mirella e Marco rinunciarono ben presto ai loro propositi di sobrietà. Per la prima volta, forse, si stavano davvero rilassando, dopo giorni di tensione, e iniziavano a divertirsi sul serio.

Cosa mancava? C’era la musica, c’erano giovani in forma, belle ragazze, il mare a due passi e l’estate piena di sole. C’era quel vino andaluso asciutto e acre e il riso con il pesce. C’era la loro voglia di lasciarsi alle spalle ogni pensiero buio. C’erano Ramon che non staccava gli occhi di dosso a Mirella e Morena che ogni volta che li serviva si fletteva più del dovuto per mostrare le tette a Marco. E soprattutto c’era Rodri. Mirella lo aveva notato anche la sera prima fare un po’ il bulletto e un po’ il simpatico in mezzo agli amici, ma questa sera sembrava diverso: indossava una camicia bianca sul fisico asciutto e abbronzato e si era tirato i capelli nerissimi all’indietro.  Aveva 22, 23 anni al massimo, ma voleva dimostrarne almeno cinque in più. 

Mirella e Marco capirono in fretta il perché: aspettava una ragazza. 

Nell’attesa, non ci mise molto ad attaccare bottone con gli sposi e dopo appena dieci minuti di chiacchiere era seduto con loro insieme con un suo compagno e la fidanzata di questi. Tra tapas e bevute, offerti a turno, passavano i quarti d’ora e il gruppo al tavolo degli italiani si ingrossava, ma la ragazza di Rodri non si faceva viva. Più il tempo passava più il giovane dissimulava la sua apprensione con battute e brindisi. A metà serata parlava solo con la coppia, più tardi ancora solo con Mirella. Non aveva secondi fini, voleva forse solo nascondersi dal giudizio degli amici. 

Ramon osservava tutto da lontano con sguardo inespressivo e quasi assente. Mirella a sua volta lo ignorava anche se ne sentiva lo sguardo addosso. 

“È un bel gioco, ma se lo sai fare, hombre”, si sorprese Mirella a pensare rivolta verso Ramon ,  come talvolta accade, il pensiero sembrò arrivare a lui, che appena ne ebbe l’occasione fece la sua mossa. La seguì al bagno due minuti dopo che lei si fu alzata e l’attese fuori rimestando tra casse di birra, come se avesse da fare proprio lì. 

Mirella non si fece abbindolare, ma quando lui parlò, in un velocissimo sibilo a bassa voce, restò piacevolmente sorpresa e non lo nascose: “Sei preziosa” disse l’uomo. “Come un fiore che sboccia solitario una volta l’anno. E sei dura, come una pietra rara. Volevo che lo sapessi, così a gratis, senza scopo. Volevo liberamene, altrimenti scoppiavo”. Gli palpitava il petto nel dirlo e sembrava sudato.

Mirella restò in silenzio, indugiando un attimo davanti a lui. Sentiva i suoi muscoli più intimi tesi e umidi, i suoi capezzoli più reattivi. Si dovette ricredere: qualunque gioco Pedro stesse giocando, indubbiamente lo stava conducendo bene. 

“A gratis? Grazie dei fiori, ma neanche quelli sono gratis”, si limitò a dirgli prima di sorpassarlo.

Tornata al tavolo, baciò il marito, che non si era accorto di nulla, ripetutamente e affondandogli la lingua nel profondo della bocca. 

“Facciamo un ultimo giro e andiamo, ho voglia di star sola con te”.

Nel frattempo, era arrivata la ragazza che Rodri attendeva: era una mora dalle gambe lunghissime e tornite e aveva uno sguardo selvatico, quasi animale. Si era unita al tavolo, ma sembrava annoiarsi.

Non ci furono presentazioni, se non quella indiretta che Rodri fece: “ho raccontato a Lena quanto figa sei”, disse il ragazzo a Mirella che ignorò la giovane che a sua volta ignorò lei e il ragazzo in maniera così sfacciata da andarsene a ballare senza rivolgere lo sguardo a nessuno. Anche Marco ballava. La maggior parte del locale, del resto lo faceva, compresa Morena che passando con il vassoio accennava passi, la maggior parte dei quali dedicati all’italiano. 

Di quel che accadde da lì a un minuto non si accorse nessuno. Al tavolo degli italiani ci fu un ennesimo brindisi collettivo al quale Mirella si sottrasse chiedendo a Rodri di seguirla un attimo fuori. Nello stretto andito senza luce tra motel e bar lo spinse contro il muro e lo baciò a fondo in bocca. Il ragazzo, benché preso di rispresa, rispose con passione, stringendole i capezzoli tra pollice e indice con forza e delicatezza insieme. Sembrava saperci fare, ma non c’era tempo da perdere. Con una mossa rapida e inaspettata, Mirella gli sbottonò i pantaloni e gli abbassò la cerniera per estrargli il membro che nel semplice, veloce, passaggio dagli slip all’aria aperta diventò ancora più duro. Le bastò scrollarlo per qualche secondo, tenendolo saldamente in mano alla base del glande, per farselo schizzare nel palmo. Qualche goccia le arrivò anche sulle gambe e sentirne il calore le regalò quasi un orgasmo. La musica taceva ora e nel buio del corridoio si sentiva solo il respiro ancora ansimante del ragazzo. 

Rientrò lei per prima e trovò Marco che si stava sedendo al tavolo. “Andiamo” gli intimò. Salutò tutti con un “ciao” squillante e quasi urlato. A Rodri, appena entrato, diede invece due baci sulla guancia: “Ciao campione”. Ebbe un pensiero anche per Lena: “Bisogna saper essere stronze, se si ha intenzione di esserlo, perché c’è sempre una più figa di te in giro, che ti può mangiare dal piatto”, le sussurrò. 

Ignorò, invece, Ramon, che fece a Marco il gesto dello scrivere, e uscì seguita dallo sguardo di mezzo locale. 

Aveva ancora la mano destra piena di sperma e tra le gambe un’eccitazione selvaggia e violenta che toccava a Marco sedare. Una volta in camera gli mostrò il palmo e se lo leccò. Poi baciò il marito che aveva gli occhi sbarrati. 

“Scopami ora, ti dico domani”.

Mirella, Marco e lo specchio

A svegliarli fu il telefono.

“Buongiorno, è l’agenzia di autonoleggio e vi chiamo per darvi una bella notizia: abbiamo una BMW con pochi chilometri tutta per voi”, disse una voce scampanellante.

Marco ci mise un po’ a connettere i punti. Erano le otto e aveva dormito appena tre ore. Sentì il vino muoversi nel suo stomaco e l’urgenza di far pipì.

Alla fine, riuscì a grugnire: “un ottimo” poco convinto.

“Sarete contenti, vedrete: auto di categoria superiore e senza maggiorazione. È per farci perdonare il disturbo”.

“La portate voi qui?”.

“Ci occupiamo di tutto noi, non si preoccupi: recupero della vecchia e consegna della nuova”. 

“Bene allora sveglio mia moglie e ci prepariamo”.

“Non c’è fretta, signore: l’auto sarà pronta solo dopodomani pomeriggio. L’avvisiamo noi, non si preoccupi. Stia bene”.

“Dopodomani? Ma scherza”.

Si accorse solo dopo qualche secondo che stava parlando a sé stesso. Dall’altra parte avevano chiuso.

Dopo essere passato in bagno, si distese accanto a Mirella che si era riaddormentata già a metà telefonata. Giaceva a pancia sotto, nuda. Ebbe voglia di morderle le natiche marmoree, ma si riaddormentò subito dopo anche lui.

A risvegliarlo fu un altro campanello, ma questa volta era Pedro alla porta.

“Holà, disturbo? Sono le due e volevo sapere se andasse tutto bene. Poi oggi è lunedì, grandi pulizie e cambio lenzuola. Magari do anche un occhio all’aria condizionata”.

Marco, che aveva un velo di sudore sulla fronte nonostante il famoso impianto refrigerante, fece fatica a inquadrare l’uomo immerso nella violenta luce solare. 

“Ehi Pedro, ero quasi in pensiero, sei sparito tutto il giorno ieri”.

“Grandi affari amigo. Qui la gente scopa il giovedì e la domenica soprattutto” disse sbirciando verso l’interno quel tanto che bastò a rubare la fugace immagine del seno e del culo di Mirella che si stava alzando dal letto. 

“Ho saputo della macchina, mi spiace”.

“…”.

“Ho chiamato l’agenzia per un altro affare e ho pensato di chiedere per farvi un favore, ma vi eravate già sentiti”.

“Non sarebbe un affare privato?” 

“È un servizio da portiere, lasciami fare. A proposito, ho portato anche la colazione, anche se dovrei dire pranzo. Non è inclusa nel pernottamento, ma come quella di ieri alla signora vi faccio uno sconto: 7 a persona, anziché 10. Va bene no?”.

Prese un vassoio dal tavolino esterno e lo porse a Marco che non si fece pregare: lo stomaco brontolava e occorreva quanto meno del pane per fermare l’azione corrosiva dell’acido lasciato dal vino. 

“Quando avete finito, potete prendere il motorino di Morena e andare alla spiaggia, ce n’è anche una nudista non lontano se è di vostro gradimento” disse strizzando l’occhio. “Oggi calma piatta, potete anche fare il bagno. E stasera baccalà da Ramon, se vi va”.

Scese il gradino della veranda e si girò indietro, ricordandosi di qualcosa: “al motorino ho fatto io il pieno prima. Sarebbero 15 euro…”.

“Ho solo pezzi da 100, facciamo poi tutto un conto”.

“Sì, certo, dovete mangiare ora… segno anche questo. Non ho neanche resto, mi sa”.

Mangiarono con calma sul patio del bungalow e poi seguirono il consiglio di Pedro di andare al mare. Durante il tragitto, così come a pranzo, stettero per io più in silenzio, immersi in pensieri liquidi e incoerenti, dominati dal fastidio di esser bloccati in quell’angolo di Spagna. Si susseguivano le immagini della sera prima, i fiori, Ramon che aspetta, Morena che ancheggia, la musica del juke-boxe a palla, Rodri, Lena e quella mano piena di sperma quasi secco. Marco attendeva la sua risposta dalla sera prima, ma si prendeva tempo, la temeva e la bramava. Mirella attendeva la domanda e pensava alle tante risposte possibili, nessuna delle quali escludeva la verità.   Andavano verso Ovest, penetrando l’orizzonte terso e azzurrissimo, tanto che si aveva l’impressione di vedere l’Africa dall’altra parte del mare. O forse era solo il Portogallo o un semplice effetto ottico. 

Cercarono la spiaggia nudista e non fecero fatica a trovarla. In Francia e in Catalogna ne avevano frequentate parecchie, alcune anche scambiste, ça va sans dire, ma più per il senso di libertà che dona andare in giro nudi che per l’eccitazione che provocano. Non c’è nulla di meno eccitante che una massa di corpi nudi, spiaggiati come leoni marini. A far la differenza in quei posti è sentirsi tra uguali, tra gente che condivide idee e morale. Ma quando capirono dove erano finiti restarono delusi: era un luogo per famiglie, dove i differenti erano loro. Ciò nonostante, presero il sole e fecero il bagno, scambiandosi baci da innamorati. 

“Mi dici di ieri?”.

“Semplice ho consolato un ragazzo e insegnato a una stronza a vivere”. 

“E cosa ti è piaciuto di più?”.

“La seconda. Anche se lo sconsolato era bello duro e avrebbe meritato più attenzione”.

“Insomma, hai fatto una sega in viaggio di nozze. E non a tuo marito”.

“Ti piace sottolinearlo e rimestarci dentro, vero? Del resto, non sono stata neanche una fidanzata modello. Quanto sei porco, marito mio, fai paura”. 

“Ti prenderei a morsi, stronza”.

Lei gli sfiorò le labbra rapidamente con la lingua, si alzò di scatto e corse verso la riva.

“Devi prima prendermi”, gli urlò tuffandosi.

Entrando nella stanza, trovarono le lenzuola e gli asciugamani cambiati, un bel profumo di fresco e dei fiori in un vaso. Erano rose questa volta e profumavano poco. 

“Stai avendo più fuori qui che al matrimonio”, commentò Marco, che notò che la struttura dello specchio era fissata al muro con una specie di staffa che lo inchiodava nella sua posizione obliqua orientata verso il letto. 

“Ma che roba strana, guarda qui”, disse più rivolto a sé stesso che alla moglie. C’era del mastice ancora fresco e le cerniere della staffa sembravano appena uscite dal ferramenta. “Ma che lavoro. Perché?”.

Poi ebbe un’intuizione. Uscì dalla stanza e si infilò nella 11 sperando che fosse aperta. Lo era. C’era uno specchio uguale orientato allo stesso modo verso il letto, ma senza gancio al muro. Andò verso la parete confinante con la sua stanza, si tolse le scarpe e salì sul letto tastando il muro con le dita. Cercò a lungo, finché non trovò quel che cercava: un foro posto ad altezza della testa di un uomo di statura media. Si abbassò il necessario e guardò. Vide Mirella riflessa nello specchio, sedersi nuda sulla sponda ad asciugarsi i capelli e la sua schiena come muoversi al rallentatore. Del letto in maniera diretta, si vedeva solo la parte dei piedi.

“E che ti frega, Marco?”.

Fu la reazione di Mirella quando le raccontò tutto. “Anche noi possiamo fare lo stesso ora che lo sappiamo e a gratis. Solo che il nostro spettacolo da ora lo oscuriamo, se e quando vogliamo. Basta mettere un asciugamano sullo specchio”. 

Il marito la guardò muto, ma interrogativo.

“Marco quante volte lo abbiamo fatto in pubblico?”.

“Ma questa è violazione della privacy”.

“È solo roba da guardoni. La differenza tra te e Pedro è che la tua modella da spiare l’hai sposata, lui va a prestito. Ora che lo sappiamo lo useremo a nostro vantaggio. E poi non voglio far casini”.

“Mirella, ti va se riprendiamo la macchina e andiamo in città a cenare?”. 

“Voglio il baccalà”.

“Lo avranno anche in centro”.

“Voglio questo qui”. 

Usò un tono allo stesso tempo dolce e definitivo, reso ancora più morbido dal suo sorriso pieno e brillante anche nella penombra della stanza. 

“Pensiamo piuttosto a cercare un aereo in attesa della macchina. I giorni stanno finendo e non possiamo più allungare la vacanza, Marco”.  

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