Un'affollata luna di miele - 1
Questa è la storia di un viaggio di nozze di due miei amici che ha in comune con le altre lune di miele solo l’essenziale: due sposi, che vogliono godersi il loro primo tempo insieme, debuttare nel mondo come neo-famiglia e vedere l’effetto che fa. C’è chi la supera e chi si schianta già alla prima curva. Vedremo.
Per il resto è una storia del tutto diversa:
- per numero di protagonisti, maggiore di due, di sicuro
- per tipologia dei protagonisti, ovvero maschi che scoprono di essere dei beta, o se va bene degli alfetta, al confronto di donne alfa, le quali, indifferenti all’alfabeto greco, sono solo sé stesse, principesse che la corona se la mettono da sole
per ambienti e luoghi, ovvero motel con l’aria condizionata asmatica, popolati da camionisti, mignotte e ubriaconi dove si beve vino e si mangia pane e pomodoro; ostriche e champagne non pervenuti per colonna sonora, poche melodie e qualche urlo, di incazzatura, ma anche di piacere. Beati loro.
Il romanticismo? C’è anche quello, ovvio, è pur sempre una luna di miele, ed è della migliore qualità, fatto di complicità, passione reciproca e sostanziose dosi di sesso, sulle quali i due piccioncini non mi hanno taciuto nulla.
Insomma, è una storia che sarebbe stato il caso di nascondere e invece me l’hanno raccontata e chiesto di raccontarla. Cioè, fossi in loro, l’avrei messa nella cartella “delete” e non ci avrei pensato più. Ma io non sono loro e loro sono di pasta speciale.
A me, poi, piace raccontare storie ed eccoci qui.
Mirella e Marco
Eccoli gli sposi. Sono in una vecchia Opel su una strada statale dell’Andalusia a pochi chilometri dal confine con il Portogallo. Vorrebbero andare a Parigi, dove li aspettano amici e serate jazz, ma l’auto non è dello stesso parere. Sbuffa, perde colpi, arranca e infine sfiata. Letteralmente, esala. Marco, ciuffo al vento su 1.85 da ex giocatore di basket leggermente ingobbitosi sui libri per diventare un prof universitario, aggiunge acqua al radiatore, ma sa che il catorcio è da buttare. Lo sa anche la società di rent-a-car che gliel’ha affittata.
“Resista fino a domani signor P. Dorma a La Huelva che intanto le troviamo una nuova macchina”, promettono.
Sono convolati a nozze una settimana prima, a Faro, dove la famiglia di lei si è trasferita. Dal sì, pronunciato in maniera un po’ distratta al delegato del sindaco in fascia blu-stellata d’Europa per celebrare lo sposalizio internazionale, hanno inanellato una serie di sfighe notevoli, alcune molto gravi. Tra queste l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull - una promessa di sciagure già dal nome -, che in quella primavera si libera dell’inferno che si porta dentro, riportando il continente alla notte dei tempi. Il cielo nero di cenere taglia le ali agli aerei, che restano a terra, e azzera la disponibilità di auto a nolo, prese d’assalto da turisti e viaggiatori. A loro due, sposi freschi, è toccata l’ultima rimasta in città: la peggiore.
Mentre aggiunge acqua, Marco vede l’insegna di un motel a 500 metri, il massimo che la vecchia culona tedesca può aggiungere ai 300 mila chilometri già sul suo groppone. La indica a Mirella, che si stringe nelle spalle, bianchissime e morbide come panna nella quale affondare il muso. “Sì, può andare”, lascia capire la sposa, che per sottolineare la decisione si abbassa per un attimo gli occhiali da sole, rivelando due occhi dal taglio allungato e sottile, con le ciglia un po’ più scure dei capelli biondo oro e le iridi un po’ più chiare del verde della livrea estiva indossata dalla quercia sotto la quale sono parcheggiati.
Il Motel de La Luna - quale nome migliore per una coppia in viaggio di nozze? - per una notte può andare, benché anche Mirella abbia fretta di raggiungere Parigi. Mezza licenza matrimoniale è già sfumata per un funerale. Eh sì, altro che vulcano, che di per sé già sarebbe contrattempo da tramandare ai nipoti. E non un funerale qualsiasi, ma quello del padre di lei, che, come suo costume, non ha esitato a rubare la scena agli altri per concentrarla su di sé, morendo il giorno dopo il matrimonio della figlia in uno scontro frontale sulla statale che lo riportava a casa dal circolo della pesca.
E che vuoi fare, parti per il viaggio di nozze? Burocrazia mortuaria a parte, c’è una madre-suocera di cui occuparsi e da convincere a rinunciare all’esilio dorato nel Sud del Portogallo per vivere la vedovanza vicino alla figlia che abita in Italia. E, ovviamente, ci sono il dolore, i sensi di colpa, i rimpianti, le recriminazioni taciute che rendono memorabili più di ogni altra cosa queste occasioni. Sintesi: una settimana vola via, l’India, meta originaria sfuma, si ripiega sulla Ville Lumiere. Lì ci sono amici, club di fiducia e petti d’anatra da mangiare bevendo Bordeaux. Una settimana, non di più: il lavoro, la carriera, di ricercatrice di fisica lei, di sociologo militante lui, e soprattutto le aspettative altrui attendono entrambi alla prova. Per un viaggio più appropriato ci sarà occasione. Hanno 25 anni lo sposo, 24 la sposa: il tempo e il danaro non mancano.
“Siete sicuri di volervi fermare lì?”. Il meccanico-oste della stazione di servizio dove sono fermi, non nasconde le sue perplessità, servendogli un panino al formaggio. “Io insomma…, cioè, andrei verso il centro della città o verso le spiagge”.
Lui ci andrebbe, la tedesca meno: solo un trapianto del suo cuore meccanico potrebbe smuoverla da lì. Gli sposi, inoltre, hanno già deciso: è una sola notte, che fa?
Da quel momento in poi, però, le cose vanno molto veloci e in direzioni inattese, che quasi li travolgono.
Ma chi sa già da prima quello che davvero lo aspetta?
Mirella, Marco e Pedro
Pedro si stava stappando forse la seconda, forse la terza Estrella da 50 cl del pomeriggio quando li vide arrivare su quel catorcio con targa portoghese. Era il portiere del motel, nonché tuttofare e proprietario anche se in compartecipazione minoritaria con le banche che gli avevano ipotecato anche le mutande, e pensò che con tutte quelle responsabilità un po’ di decoro ogni tanto non gli facesse male. Si ravvivò con la mano destra i circa tre capelli che gli ricoprivano da un orecchio all’altro il cranio calvo e lucido di sudore, lasciando a mezz’aria il cavatappi che impugnava nell’altra mano con incontestabile perizia. Erano clienti e un po’ di riguardo ci voleva, d’accordo, ma restava indeciso se soddisfare subito la sua inesauribile sete o darsi arie da grand hotel. D’altronde, quelli che capitavano in genere da lui, oltre ai camionisti dell’est Europa, erano spiantati o coppie in cerca di intimità clandestina e insomma, tanto, valeva che…
Ma appena li vide dirigersi verso la reception, che altro non era che una guardiola piazzata nel mezzo del cortile a semicerchio sul quale si affacciavano le stanze e che ospitava una piscinetta azzurrognola, decise definitivamente di rinunciare alla birra. Non aveva mai visto una coppia così da quelle parti. Almeno non negli ultimi cinque anni e a dirla tutta non aveva mai visto neanche portoghesi vestiti in maniera così affettata e in una giornata così calda, poi.
Ma erano davvero portoghesi?
Appena lo salutarono capì che la s del “buenas tarde” lanciato a metà strada era troppo decisa per essere iberica. Erano italiani - eh già chi altri con quell’aria da fighetti? -, o almeno lo era il ragazzo, l’unico ad aver salutato. A dirla tutta, neanche di italiani, camionisti a parte, se ne erano mai visti molti nelle stanze del suo motel. Benché la ragazza fosse rimasta dietro, il portiere guardò prima lei. Era uno schianto spaziale: una stanga di un metro e 70, coscia lunga e gonnellino EA7 corto, capelli raccolti e zoccoletto Dior vintage alla “gaurdami-guardami“ (per non dire qualcosa di più concreto e carnale) che attirava l’attenzione tanto quanto i capezzoli puntuti che si affacciavano dalla canottiera, sottile e corta. Doveva essere molto giovane, pensò il portiere, anche se lo sguardo da gatta e il sorriso un po’ sfuggente disegnato sulla bocca piccola e carnosa, la facevano sembrare più adulta. Lui, allampanato e un po’ caracollante, mostrava all’incirca la stessa età, ma valeva decisamente meno sguardi: aveva l’aria del poeta triste e con quel ciuffo che gli cascava dalla fronte sembrava un fessacchiotto. Dopo quell’analisi da esperto dell’umanità, il portiere-tuttofare concluse che quei due meritavano decisamente la sua massima attenzione. Ripose rapidamente la bottiglia nel minifrigo sotto la scrivania e fece un veloce calcolo mentale: +40% della sua tariffa solita di 40 euro a notte e 25 per qualche ora facevano rispettivamente 56 e 35 euro. Clienti speciali, prezzo speciale.
“Non essere ingordo, Pedro” si disse il portiere-azionista e decise di arrotondare a 50 e 30. Se avesse chiesto di più sarebbero oggettivamente scappati, pensò.
“Ha una stanza per questa notte? Abbiamo l’auto che non va e non se ne trovano altre. Sa il vulcano…”, fece lei in uno spagnolo da manuale, “s” comprese.
“Una? Ma quante ne vuoi bellezza del papà. Una per te e una per lui, che magari a te, io, ti vengo a trovare questa notte, eh bella?”. La tentazione di dirlo fu fortissima, ma Pedro fece il suo secondo atto ti contenzione del pomeriggio. Si limitò a esprimere i suoi apprezzamenti indugiando sul corpo della ragazza e a confermare che, per pura combinazione, aveva libera la più grande del motel, anzi la migliore.
“Me l’hanno lasciata proprio questa mattina due olandesi che sono stati qui alla grande una settimana intera. Dà sul mare ed è silenziosa. Sono… ehm… 65 euro. La colazione potete prenderla all’ora che volete al bar qui di fianco, dal quale si entra anche dal cortile del motel. È di un mio cugino che sa il fatto suo. Ci potete anche cenare. La colazione, ehm…, ovviamente si paga a parte”.
Marco e Mirella si guardarono. 65 euro un motel lo avevano pagato solo nella Death Valley in pieno agosto e decisamente di un livello superiore, ma tanto era una notte sola e non erano in condizione di scegliere.
In attesa di risposta, Pedro tamburellava con le dita sulla scrivania di formica, mostrando una sorta di cortese impazienza, dovuta più all’Estrella nel frigo che all’affare. “Va bene accogliere con gentilezza e decoro, ma la sete è sete, pivelli”. Ma non disse neanche questo. Si limitò ad osservarli e a imprimersi lo sguardo portentoso di lei nella mente. Ci sono donne che per ricordarsele tutte devi guardarle più volte e a lungo, altrimenti hai sempre il dubbio di esserti perso il meglio.
Fu Mirella a chiudere la faccenda passandosi la lingua sulle labbra, rese ancora più scarlatte dal suo lipstick preferito rosso fuoco, e con una scrollata di spalle rivolta a Marco. Il movimento le fece abbassare la canottiera di quel tanto sufficiente da far sperare a Pedro rivelazioni importanti su quel seno piccolo, ma prepotente. Il capo-motel si sporse in avanti come attratto da una calamita, ma niente da fare: non si vedeva nulla di più. Grugnì e sperò che la coppia avrebbe approfittato della piscina per dargli occasione di approfondire la conoscenza con quelle mammelle da italiana chic. Sempre che fossero rimasti.
“Ok”, disse Marco. “Nostra. L’aria condizionata funziona?”. Nel baracchino-portineria-ufficio faceva caldo e il ventilatore non sembrava sufficiente a rinfrescare un bel nulla.
“Alla grande, caballero. Si dovrà mettere il maglione se è un tipo delicato e mi sa che lei un pochino lo è”.
Mirella e Marco si scambiarono di nuovo uno sguardo e si misero a ridere. Era tutto così grottesco in quella loro luna di miele che le osservazioni di un portiere di motel, non potevano costituire un fastidio, ma solo un coerente contrappunto a tutto il resto.
Pedro porse la chiave numero 12 dopo aver dato appena uno sguardo ai documenti.
“Benvenuti Mirella e Marco, ero sicuro ch’eravate italiani. Vi troverete bene. Più tardi fate una capatina da Ramon, mio cugino per una birretta e non dimenticate la piscina per rinfrescarvi un po’. Non ve ne pentirete: è piccola, ma pulita e con la temperatura dell’acqua al punto giusto”, disse con la soddisfazione di chi aveva detto la prima verità della giornata.
“Ci penseremo, grazie”.
“Ehm., si paga anticipato, sapete è un motel questo, gente che va e gente che viene”. Questa volta non li stava fissando: guardava oltre le loro teste come se si stesse rivolgendo a una folla di ospiti in attesa nel cortile.
Quando Marco tirò fuori l’American Express, il portiere ebbe un sussulto come se avesse visto una pistola.
“Eh no, caballero, solo contanti”.
“Non ne abbiamo a sufficienza. O carta o deve aspettare che facciamo un prelievo”.
“E dove lo fa?”.
“Al distributore hanno un bancomat, ho visto. Un quarto d’ora vado e vengo”.
“Fuori uso da anni. Occorre andare in città”.
“Ho la macchina morta”.
Pedro sembrò attraversato da pensieri funesti e dopo quello che apparse come uno sforzo molto faticoso, venne fuori con la soluzione.
“L’accompagno io, più tardi, appena posso. Intanto segno”.
E segnò per davvero, con un cipiglio professionale che non gli impedì di osservare le natiche di Mirella diretta con Marco verso l’auto. “Anche il culo è magnifico” decise il portiere, che si godette la vista stappando finalmente l’Estrella.
La camera 12, l’ultima dell’ala destra del semicerchio sul quale erano disposti i bungalow e di fianco al passaggio che portava al bar, era la classica stanza da motel: all’esterno piccola veranda con tavolino; all’interno lettone su di un lato, bagno e cucinino con frigo e microonde sull’altro. Tutto - mobili, tv, coperte, elettrodomestici - aveva la patina giallastra delle cose vecchie e un po’ consunte, eccetto il grande specchio montato su un treppiede mobile, che appariva lustro e nuovo di pacca, quasi una chiccheria fuori luogo. Ma ciò che per davvero nobilitava l’ambiente era l’ampia vetrata con vista sulle basse dune della spiaggia, alla fine delle quali brillava l’Atlantico. Circa la temperatura interna Pedro aveva avuto ragione: era da maglioncino. A patto però che il condizionatore fosse al massimo, il che era raro: a intervalli del tutto arbitrari si spegneva a lungo, facendo schizzare in alto il termometro. Poi, in maniera altrettanto capricciosa, riprendeva a sbuffare aria gelida, facendo calare la tensione della corrente. Luce-caldo, buio-freddo erano più che semplici associazioni di idee nella 12: erano certezze sensoriali.
Portata la macchina di fronte all’ingresso del bungalow i due sposi ne estrassero il minimo indispensabile per una notte. Si sentivano esausti a causa del caldo, del viaggio, dei contrattempi e delle emozioni che avevano accumulato nei giorni precedenti.
Si misero a letto nudi, uno accanto all’altro, tenendosi per mano, con le dita incrociate nella penombra della stanza e si addormentarono quasi subito.
“Vabbè, dai, almeno il letto è giusto”, fu l’ultima frase di Marco lasciata cadere, dopo aver cercato con finta noncuranza il capezzolo destro della moglie.
“Non ora Marco, sono morta, ma stasera ti prosciugo, non ne posso più neanche io”, fu l’ultima frase di Mirella.
Da quando si erano sposati non avevano mai fatto l’amore, loro che facevano sesso anche più volte al giorno: la sera delle nozze erano troppo ubriachi anche per baciarsi e i giorni successivi troppo presi dalla tragedia.
Marco non fu l’unico a restare deluso dall’ennesima procrastinazione di quelli che ormai erano anche doveri oltre che piaceri coniugali. Ci restò male anche Pedro, appostato nella stanza di fianco, che li osservava da un foro grande abbastanza da vedere lo specchio posto di fronte al letto. Non lo aveva aperto lui quel buco, ma qualche sporcaccione di passaggio, che non si era accontentato di sentire la coppia di turno, ma voleva anche vedere. Quando Pedro lo scoprì si armò di malta, ma poi ci ripensò e praticò altri fori anche in altre stanze. Divenne un business parallelo, l’erogazione di un servizio speciale in più, di cui lui era oltre che fornitore, primo fruitore. “Solo un controllo di qualità”, diceva a sé stesso, sfregandosi le mani, ogni volta che valesse la pena buttare un occhio. E spesso, non erano solo le mani quelle che si sfregava.
La coppia di sposi dormì forse per la prima volta in maniera tranquilla dopo giorni di sonni brevi e agitati e quando si svegliarono, con il sole ancora alto nel cielo di giugno, il loro umore era decisamente diverso.
“Andiamo alla spiaggia?”.
“Meglio piscina e birretta. Anzi, un bicchiere di vino bianco ghiacciato”, disse Mirella, che scelse il suo costume più succinto. La lontananza dalla casa dei genitori la stava facendo sentire più rilassata, con i sensi che si risvegliavano insieme con tutti i desideri carnali fino a quel momento repressi.
Marco intuì che la moglie stava tornando in forma sotto ogni punto di vista e festeggiò la novità con un’erezione che Mirella notò, finse di ignorare e lasciò crescere, mettendo mano ai pezzi migliori del repertorio seduttivo che sapeva avere effetto sul marito. Si spogliò e rivestì lentamente, provando varie mise e acconciature, mentre si rimirava nello specchio; si controllò la depilazione stendendo le gambe e arcuando i piedi lunghi e sottili, roteando la caviglia; si massaggiò con la crema solare, soprattutto nei punti nei quali ne aveva meno bisogno, come seno e natiche. Fu solo mentre stavano per uscire che gli prese tra le mani il membro evidentemente ancora duro nel costume e prima di piegarsi per dargli una succhiata veloce e superficiale, baciò Marco in bocca.
“Ferma, che mi fai venire sulla porta, come uno stronzo”, la implorò lui.
“Hai ragione, è ora di andare, non di venire, ma non sai la voglia che ho. Neanche te lo immagini di cosa sarei capace”.
Lo immaginava Marco? Lui era convinto di sì e nei dettagli. Ma sarebbe stato smentito. Con Mirella funzionava così e lui non l’avrebbe mai cambiata con nessuna, anche per questo.
Neanche li avesse sentiti, il portiere si fece trovare che trafficava intorno alla piscinetta e li accolse con una “Buenas tarde” che sembrava un fuoco d’artificio col fischio. Era sinceramente contento di vederli. Soprattutto di rivedere Mirella alla luce del sole e non attraverso uno specchio.
A guardarla con comodo, la ragazza italiana era anche meglio di come l’aveva giudicata: flessuosa, caviglia sottile, gambe slanciate che fiorivano in due natiche pronunciate e sode. Solo il seno lasciava a desiderare per i gusti dell’oste: una seconda, avrebbe scommesso, ma le mammelle erano perfettamente rotonde con due capezzoli grandi e sfrontati, che il costume striminzito conteneva controvoglia.
“Quelle mossette da stronzetta viziata te le farei fare io a modo mio”, sembrava pensare mentre la osservava sistemarsi i capelli dietro l’orecchio.
Ovviamente si tenne anche questo per sé.
“Bene, bene, la piscina a quest’ora è la soluzione migliore. Il mare è sempre un po’ mosso verso il tramonto. Birretta?”, chiese.
“Vino bianco, se ne ha”, ribatté Marco.
“Solo birra qui, ma corro a prendere una bottiglia di bianco da mio cugino” e si avviò trotterellando.
“Questo ti scopa con gli occhi”.
“Lascialo fare”, replicò Mirella stendendosi sul lettino da spiaggia in una posa da divinità greca. “Arrapare gli altri mi arrapa da morire, lo sai. E quel vecchio porco verrebbe anche se solo lo fissassi dritto negli occhi”.
“Ecco, evita di guardarlo, per l’amor del cielo. Ci manca anche un bavoso, ora. Siamo, finalmente, in viaggio di nozze o no? Sei felice?”.
Mirella ignorò entrambe le domande aprendo il suo libro di lettura, ma effettivamente evitò di guardare negli occhi il portiere, quando questi tornò con una caraffa di vino ghiacciata. Fece in modo, però, che ne bevesse anche lui, usando il terzo bicchiere che guarda caso Pedro aveva portato con sé, rispondendo lungamente alle sue curiosità. Voleva che continuasse a guardarla da vicino: oltre Marco, del resto, era l’unico maschio in circolazione e Mirella quel pomeriggio voleva essere ammirata.
“Come mai parlate così bene lo spagnolo?”.
“Erasmus, vacanze e after-hours sulla spiaggia. Soprattutto questi, i migliori per imparare tutte le lingue”, spiegò l’italiana che al riguardo la pensava in maniera un po’ diversa da quel che aveva detto: per lei il metodo migliore per imparare qualsiasi lingua è frequentarne i parlanti a letto. Ma perché dirlo? Il portiere l’avrebbe presa come richiesta per un ripasso ed era meglio evitare.
Via via che la caraffa si vuotata, i quesiti di Pedro si facevano sempre più intimi e le risposte di Mirella sempre più spesso accompagnate da risatine di finto imbarazzo e occhi al cielo, che le donavano un’aria svagata e sexy.
Tenetelo a mente: Mirella la dottorata in fisica quantistica, ama fare la cretina. Quel che talvolta la inquieta - lo dice spesso lei stessa - è che ci riesce benissimo.
Marco, invece, parlò pochissimo, ma fingendosi distratto in realtà si godeva a pieno lo show di sua moglie, che cambiava di continuo posizione alle gambe. Tanto Mirella era esibizionista quanto Marco un voyeur e questo era stato sin da subito uno dei tanti punti sui quali combaciavano perfettamente, anzi si compenetravano.
Il gioco finì quando volle Mirella e lo fece terminare testando fino in fondo l’intensità della presa che esercitava sul portiere. “Ora lasciaci soli e porta altro vino, siamo in viaggio di nozze sai?”, ordinò all’improvviso, seccamente e passando al tu. Il portiere sembrò colpito da uno schiaffo, ma si vedeva che era pronto a porgere l’altra guancia. Con un sospiro si alzò dal lettino sul quale era seduto e trottò verso il bar.
“Non ti ha staccato gli occhi dai piedi per un secondo”, fu l’unico commento di Marco quando Pedro fu lontano.
“Lascia perdere. Ha guardato anche altro, ma diciamo che sente i piedi gli unici a sua portata di mano”.
“O di lingua”.
“Ma se lo può scordare. Troppo sudato”.
Quando Pedro tornò, Mirella sentì casualmente l’esigenza di allargare le dita dei piedi. Finse di volersi togliere il reggiseno del costume, ostentando un’indecisione che tenne il portiere con il fiato sospeso, ma poi vi rinunciò. Lo avrebbe fatto volentieri per sé stessa, ma voleva fermarsi lì con quell’uomo sempre più sudato.
“Farò un bagno disse” e si immerse nell’acqua mentre Pedro versava le ultime dita di vino a Marco.
“Segno anche questo?”
“Segni. A proposito l’aria condizionata a tratti si spegne”.
“Controllo dei consumi, signore. È l’Europa che ce lo chiede. Tra un’ora potrei accompagnarla in centro, che lascio l’aiutante di Ramon, Morena, che è sua cugina, a dare un’occhiata alla proprietà. Va bene?”.
Marco annuì e dopo un’ora, docciato e vestito per la cena si presentò puntuale al casotto-portineria. Di Pedro, però si erano perse le tracce. Era nella stanza 11 a guardare Mirella vestirsi riflessa nello specchio e quando uscì era troppo tardi. Marco si era infilato già nella taverna di Ramon, da dove mandò un messaggio a Mirella per farsi raggiungere. Con una scrollata di spalle, Pedro pensò che sarebbe stato scortese ricordare ai due italiani del bancomat quando erano seduti a cena: lo avrebbe fatto dopo.
La verità è che aveva voglia di vino ghiacciato da consumare con calma al banco, facendo quattro chiacchiere con Ramon e Morena, cugina di suo cugino per modo di dire: erano solo cresciuti da amici inseparabili in un piccolo paesino su al nord.
Mirella, Marco e Ramon
La taverna di Ramon era lo standard dei baracci spagnoli, che detto tra noi e senza ironia sono tra i migliori in Europa nella categoria bettole. Sembra sempre che qualcuno abbia lasciato le pulizie del locale a metà e che li usi come il ripostiglio di casa, dove abbandonare le cose inutili. E in effetti sono un po’ casa di tutti, dove decantare il logorio della vita moderna con una birra, dei pinchos e delle chiacchiere a caso, anche con gli sconosciuti e gli stranieri di passaggio. Nel complesso, La Luna - Tabierna con cocina (come altro si poteva chiamare?) era anche più accogliente della media, grazie all’ampia vetrata che dava sulla strada perpendicolare a quella del motel, benché fosse insufficiente ad illuminare tutto l’ambiente, dominato dal caldo colore del legno. Tra gli oggetti che sembravano abbandonati c’era un sediolo per bambini e delle cassette per la frutta vuote, oltre che un juke-box e una chitarra appoggiata al muro. Anche se avevano conosciuto momenti migliori, sia la macchinetta mangiasoldi che lo strumento erano perfettamente funzionanti e da lì a poco lo avrebbero dimostrato, dando all’atmosfera una sferzata di allegria che sembrava latitare quando Marco entrò.
In quel momento c’erano solo tre avventori, ma sembravano conoscerlo tutti da come lo salutarono, compresi Ramon e Morena, che in realtà lo sapevano per davvero, essendogli stato preannunciato da Pedro. Del resto, chi poteva essere l’avventore ben vestito entrato dalla porta che dava sul motel?
“Gradisce…?” gli chiese Morena, appena si fu seduto nell’angolo più lontano dall’ingresso principale.
“Del vino”.
“Lo stesso di prima?”.
“Vada per lo stesso”.
“Tapas?”
“Aspetto la mia signora, ma nell’attesa un pezzo di tortilla non mi spiacerebbe”.
Gli arrivò tutto in meno di un minuto, ma fu il come ad emozionarlo: Morena lo chiamò caballero, cosa che adorava, e la tortilla era appoggiata sul bicchiere, una tapa appunto. Non vedeva servirle così dal suo primo, lontanissimo viaggio in Spagna, quando per seguire una svedese fumata finì in una taverna simile a Puerto de La Cruz. Per raggiungere in cielo la bionda del nord finì per ubriacarsi, ma riuscì a intrufolarsi nella stanza della svedese che il giorno dopo lo ringraziò per il fantastico cunnilingus ricevuto. “A true gentleman, thank you” disse la ragazza. “Un vero coglione” pensò lui che più di quello con tutto quell’alcol in corpo non aveva potuto fare. Ma fu allora che scoprì la sua vocazione e bravura per certi servizi alle signore, che in seguito avrebbe usato non solo come diversivo e arma seduttiva, ma anche per il proprio piacere: leccare, spesso, gli dava più soddisfazione che penetrare. Una caratteristica che anche Mirella aveva apprezzato subito e che in qualche modo segnò il loro destino. Di quella notte alla Canarie, Marco aveva anche un altro ricordo, ma più confuso tanto da non esserne certo: la svedese aveva zampillato- forse urina, forse umori, che allora nessuno sapeva si chiamassero squirt - e lui aveva bevuto a bocca aperta, mentre se ne stava a quattro zampe sul pavimento. Ci aveva ripensato spesso, tanto diventare una sua fantasia masturbatoria ricorrente. Altro dettaglio che la futura moglie aveva apprezzato e che li segnò.
Mirella si fece attendere e la prima a notarla quando entrò, tallonata da Pedro, fu Morena. Passando lo straccio sul bancone, la barista abbozzò un sorriso sornione e divertito. Dotata di una quarta di seno coppa C e un fondoschiena pieno, di occhi nerissimi e profondi che sbucavano da un viso regolare circondato da morbidi riccioli, era di solito lei la regina indiscussa della taverna, alla quale zoticoni e camionisti di passaggio rendevano omaggio con mance e regalini. Per quella sera, se avesse interrogato lo specchio delle sue brame, avrebbe saputo però di non essere la più bella del reame…, ma non se ne doleva. Era donna pratica, che sapeva trarre il meglio dalle situazioni: avrebbe avuto una serata più tranquilla e tanto le bastava. L’italiana, poi, era solo di passaggio.
Anche Mirella la notò e le rivolse un cenno del mento, prima di guardarsi in giro. Nel locale, che nel frattempo aveva acquisito altri tre avventori calò di botto il silenzio. L’attenzione di tutti i 18 occhi umani e dei due felini, appartenenti al gatto nero di Ramon, fu catalizzata dall’italiana. Aveva i capelli raccolti in un ciuffo alto, all’apparenza casuale, ma in realtà elaboratissimo, che la rendevano ancora più alta di quanto già non fosse di suo e per i sandali argento tacco 12. Tra testa e piedi, la stoffa che indossava era poca: una gonnellina nera di chiffon a più strati e una canottiera di raso bianco che le pendeva mollemente sotto al seno. Aveva gli occhi truccati di un verde più scuro delle sue iridi, che le esaltava lo sguardo, rendendoglielo acuto, penetrante e a tratti crudele. Marco quando la vedeva così pensava a Diana cacciatrice. Gli avventori, forse a causa delle loro lacune in mitologia classica o per pura schiettezza, pensarono semplicemente che fosse una portentosa femmina, forse un po’ troppo in tiro per quel posto, alla quale avrebbero offerto volentieri da bere.
Il più lesto fu Ramon: le andò incontro con un bicchiere di vino: “questo, come quello di suo marito, è offerto dalla casa come benvenuto”. Fece un sorriso tagliente che rivelò una dentatura forte e bianchissima e si inchinò come un torero sul suo corpo flessuoso, che non doveva mai aver visto un filo di grasso. Odorava di menta e la sua mano era liscia e calda, con unghie rotonde e bianchissime che spiccavano su dita forti e abbronzate.
Dettagli che Mirella notò, mentre prendeva il calice dall’oste, ricambiandone il sorriso.
“A papà”, propose Mirella alzando il bicchiere.
“Al professore”.
“Ti voleva bene”.
“Anche io gliene volevo”.
“Lo sapeva e apprezzava che non hai mai tentato di usare la sua potenza all’università per fare carriera”.
“Non me l’hai mai detto”.
“Volevo te lo dicesse lui, ma non ha avuto tempo. Non aveva mai tempo”.
Una lacrima a forma di bolla le si formò in ciascun occhio, per poi scivolarle lungo il naso e sulle gote come torrenti placidi e caldissimi. Marco le raccolse entrambe con la lingua. Il gesto non passò inosservato. Qualcuno lo trovò da innamorato, qualcuno erotico, altri addirittura sconcio. La purezza, si sa, non ha credito in questo mondo. Era solo che Marco adorava la moglie e la sua famiglia e ne stava solo bevendo il dolore per farlo suo.
“Ordiniamo da mangiare? Muoio di fame”. Gli occhi le erano tornati brillanti e il sorriso largo, solo un po’ mesto, e stava per aggiungere “e sono arrapata anche di più, dopo ti distruggo”, ma fu interrotta appena un attimo prima dalla domanda di un avventore che se ne stava da solo con una birra in mano, nella parte meno illuminata del locale.
“Avrei scommesso che siete italiani” disse l’uomo alla loro destra con accento forse bresciano, forse bergamasco.
“Come siete finiti da Pedro? Non è posto per turisti questo, ma per camionari come me se va bene: si paga poco ed è di strada”.
“Guasto alla macchina”, tagliò corto Marco, che a differenza di Mirella aveva origini popolari e non aveva snobismi, se non quello verso gli italiani all’estero: detestava incontrarli. “Io vado di crocchette di baccalà e polpo alla gallega, dopo si vede”, continuò, rivolto alla moglie.
“Aggiungi dei peperoni e dividiamo tutto”, propose lei.
“Si mangia bene qui e anche il cibo è a buon mercato come il motel. Sono cugini, o qualcosa del genere, anche se non possono sopportarsi”, aggiunse l’uomo, che non curante della fredda accoglienza ricevuta, strisciando sulla panca si era posto sul lato del suo tavolo più vicino a quello della coppia”. Sono Roberto e faccio questa rotta una volta al mese. Se posso aiutare…”. Tese la mano. Era molle, ma enorme e nella stretta divorò le dita lunghe ed esili da ex-pianista di Mirella.
E in effetti fu di aiuto, anche se per un dettaglio che non aveva immaginato. “Sapete, mi fermo qui ogni volta che passo: è pulito e non spendo più di venticinque euro a notte per dormire in un letto fresco”.
“Venticinque?”.
“Più economico di così è difficile… Ma perché a voi quanto ha preso quello scannapecore di Pedro?”, chiese unendosi non invitato al loro tavolo.
Marco si limitò a scrollare le spalle e a incassare l’informazione, anche perché Pedro, per un sesto senso da portiere d’albergo si era avvicinato al tavolo degli italiani.
“Cenate con calma, ma dopo andiamo in città per il bancomat. Avrà bene da pagare anche Ramon, no?”, disse.
“Certo, dopo andiamo”, lo rassicurò Marco.
Il locale, nel frattempo si era andato riempiendo di persone, tra le quali coppie e gruppi di amici del posto. C’era Manolo che a metà serata attaccò con la chitarra e c’era Sonia, bionda platino specializzata nel far compagnia ai camionisti, che si cimentò con discreta maestria in un’aria della Carmen e diede inizio alle danze, appena Ramon decise che era l’ora del juke-box. Chi prima chi dopo, sostenuti da importanti dosi di quel vino dissetante e acidulo, finirono per ballare un po’ tutti i clienti sotto lo sguardo attento dell’oste, cui non sfuggiva nulla. Di sicuro, non gli sfuggì il momento nel quale Marco andò in bagno e Roberto parlottava in un angolo con Sonia. Con occhiate neanche tanto furtive, non aveva staccato gli occhi da Mirella da quando era entrata e lei lo sapeva bene: le era bastato guardare verso il banco un paio di volte per averne conferma. E sapeva anche perché si stava avvicinando.
Lo aspettò accavallando le gambe e mettendo la mano sul mento, rivolta verso la sala. Se qualcuno le avesse guardato il seno, non avrebbe potuto non notare che i suoi capezzoli erano più duri e sporgenti di un attimo prima. Ma, almeno in quel momento, nessuno stava facendo caso a lei.
“Un ballo?”.
“Cosa ti fa credere che accetterei, hombre?”.
“Perché ballo bene?”.
“Tanti lo sanno fare e tu hai da mandare avanti la baracca”.
“Morena sa il fatto suo”.
“Non ho dubbi, ma non ci tengo a far casini”.
“Dovrei averne paura io: sei sposata”.
“Ha importanza per te che lo sia?” e indicò Morena con il mento.
“Ah, lei… Nessun casino, è mia cugina”.
“Sai come si dice in Italia? Tradotto suona che non c’è cosa più divina della figa della cugina. Dovresti provare”.
“Chi dice che non l’ho fatto?”.
“Appunto”.
“Ma è un giretto a gratis, senza implicazioni”.
“Esistono cose gratis a questo mondo e gente che vi ci perde ancora tempo? Non credo tu”.
L'uomo si prese tempo per replicare, fissandola con le palpebre semichiuse e un sorrisetto sarcastico, che in qualche modo tradiva il lavorio in atto nel suo cervello. Non voleva mollare, ma non aveva la mossa giusta a disposizione.
L’arrivo di Marco mise fine alla tenzone con la richiesta di un ultimo giro di vino.
Roberto era sparito con Sonia e Pedro russava con il capo sul tavolo.
“So dell’affare del contante e del bancomat. Vi accompagno io domani, già sono d’accordo così con Pedro. Intanto, segno”, disse Ramon portando gli ultimi due calici.
Li bevvero velocemente e prima di andare Marco se ne procurò una mezza caraffa aggiuntiva, caso mai avessero avuto sete durante la notte. Avevano fretta di restare soli, ma anche di festeggiare.
Appena entrati in camera, Mirella afferrò Marco per il pene, duro ma ancora rinfoderato nei pantaloni, e lo trascinò verso il letto, con tanta foga e disordine da farlo quasi inciampare nel treppiedi dello specchio che spostandosi, finì per riflettere la vetrata.
“Ho bisogno di maschio. Fammi vedere quanto lo sei: ho bevuto più testosterone che vino questa sera”.
La manovra, ma soprattutto la frase della moglie, ebbero un effetto immediato su di lui: un’erezione ancora più potente, che finì subito nella bocca vorace, profonda e calda di lei. Marco sapeva al testosterone di chi si riferisse Mirella e sapeva che non era il suo. La gelosia ebbe il sopravvento il tanto che bastava per cedere il passo all’eccitazione prima e alla furia erotica dopo. Non lo facevano da almeno dieci giorni e, benché non avessero immaginato la loro prima notte di nozze così e in un posto del genere, fu esattamente quello il loro amplesso di debutto nella vita matrimoniale.
I preliminari, contrariamente al loro solito, non furono lunghi e meticolosi, anzi furono ridotti a quel minimo necessario per riappropriarsi l’una dell’altro. Dalla breve fellatio di lei, eseguita in punta di lingua e di labbra, dalle quali il rossetto era rimasto intatto nonostante i molti calici, il fronte si era capovolto con un cunnilingus profondo, al quale Marco si dedicò con la sua solita passione e perizia. Ma lei lo interruppe, perentoria, con la voce resa bassa e roca per la frenesia.
“Spaccami marito. Tocca a te farlo questa sera”.
E a chi altri?
L’ambiguità di quella frase aumentò il vigore di lui. La penetrò nella più classica delle posizioni con lei che si teneva le cosce aperte premendo le mani sulle ginocchia. Aveva gambe magre e flessibili di chi è abituato allo yoga e non aveva necessità di forzarle. Quella posizione era di pura lussuria: le piaceva essere penetrata a quel modo e le piaceva ancor di più sottolinearlo con la postura del suo corpo.
“Entra dentro più che puoi, entra fino in fondo e fammi urlare”.
L’orgasmo di entrambi arrivò forse in un minuto, forse meno, ma fu uno dei più appaganti avessero mai avuti.
Marco si distese accanto alla moglie prendendole la mano, che baciò con gratitudine. Poi si rizzò a sedere a gambe incrociate sul letto, quando lei fece la stessa cosa.
Faticava a parlare. Erano stanchi, parecchio alticci, ma lui aveva urgenza di porle la domanda che gli girava nella testa da almeno un paio d’ore.
“Ti piace quel Ramon?”.
“Sì”.
“E si è visto. Anche lui l’ha visto”.
“Ti dispiace?”.
“Te lo faresti?”.
Mirella alzò gli occhi al cielo, passandosi la lingua sottile e rossa sulle labbra. Voleva apparire pensierosa, risultò solo sognante.
“Avessimo tempo, me lo farei, sì”.
“Cazzo Mirella, ma siamo in viaggio di nozze, anche se la apparenze direbbero altro”.
“E, certo, lo so. Ma noi chi? Chi siamo noi?”.
“Io e te”.
"Appunto. E cosa siamo?”.
“Ma che cazzo ne so. Sposi? Che ne dici, va bene come risposta?”.
“Sì e quindi cosa siamo?”.
"Ma la finisci con questi indovinelli del cazzo, Mirella?”.
“Fammi contenta, un ultimo sforzo, ce la puoi fare”.
“Una coppia?”.
“Eccolo, il mio maritino. Ultima domanda e ti mollo, tranquillo: che tipo di coppia siamo fin dall’inizio io e te?”.
C’era bisogno davvero di rispondere? Marco si limitò a guardarla nel semibuio nel quale era precipitata la stanza, dopo che il condizionatore si era rimesso in moto. Prima abbassò lo sguardo, facendo roteare il braccialetto di cuoio intorno al polso per darsi un contegno, poi lo rialzò piantandolo, interrogativo e rassegnato, negli occhi scintillanti di lei.
Mirella gli affondò la mano al centro dell’inguine e si impossessò dell’erezione persistente di lui, attirandolo ancora verso di sé. Gli baciò la bocca con la punta della lingua che saettando rapida e precisa si fece largo in quella di Marco, che si lasciò sfuggire un lieve gemito da agnellino.
"Siamo questa coppia qui: io parlo di farmi un altro, qui, in questa specie di luna di miele, e tu ce l’hai duro come una pietra. Siamo questo e a te piace, come piace a me. Quindi a quello me lo farei. E tu guarderesti… Oppure parteciperesti, non so, ma sono sicura godresti come il porco che sei”.
Tornò a baciarlo mentre la mano continuava a tormentargli il membro, ora tirandolo, ora torcendolo e scuotendolo. Lui provò a respingerla, ma era troppo tardi. Il gemito di Marco fu tutt’uno con la sua seconda eiaculazione in pochi minuti, che si sparse torrida sull’interno coscia e sulla mano di lei. Era così densa che il porpora dello smalto delle unghie ne fu inghiottito e annullato.
Marco, sapeva che se ne avesse avuto la possibilità la moglie sarebbe andata fino in fondo, come sempre era successo quando aveva deciso, ma lei lo rassicurò: “Hai ragione, è il nostro viaggio di nozze e qui ci siamo solo per caso. Ci aspettano i localini jazz di rue des Lombards e il Canal Saint Martin. Ci aspetta la vita, qui un po’ si soffoca”.
Mirella, Marco e Semwe
Marco ne fu rassicurato per davvero?
Mirella amava quelle situazioni e le occasioni casuali e aveva indubbiamente una predilezione per baristi, camerieri e personale di servizio in genere. Forse perché erano maschi basici, forti, diretti, senza pensieri, che sapevano cosa fare di una femmina, senza troppe complicazioni né prima, né soprattutto dopo. Non era forse un cuoco quello di Giverny, che battezzò la loro prima avventura del genere? Erano a pranzo sulla terrace di un affollatissimo bistrot di campagna immersi tra aiuole che avrebbero fatto felice Monet. Si stavano dividendo una bizzarra frittata, ripiena di petto d’oca e funghi, classico riciclaggio da leftover raffinati, quando la loro relazione ebbe la sua seconda e definitiva svolta. Della prima era stato protagonista Attilio, l’ex di Mirella, con la quale lei aveva continuato ad uscire prima all’insaputa, poi con la piena ed eccitata consapevolezza di Marco. Di questa seconda svolta fu protagonista l’autore della frittatona, cento chili per 190 cm di maschio, con la pelle del colore dello zucchero bruciato, i capelli ricci cortissimi e lo sguardo da mascalzone, che si affacciava ogni tanto dalla cucina, per fumare o prendere aria. Era la fine del servizio e sembrava avesse fretta di andarsene.
“Non girarti subito, ma dietro di te c’è un esemplare notevole”.
Marco era trasecolato e colto di sorpresa non aveva capito subito: non se lo aspettava, non lì almeno e in quel momento. Era abituato a questi commenti di Mirella e da tempo erano in cerca di quello giusto per la loro prima “cosa a tre”, ovvero un threesome MMF, “con lei al centro dell’attenzione”, come dicevano un tempo le coppie scambiste. Avevano provato a rispondere ad annunci e metterne loro, ma il materiale in giro era scarso: millantatori, morti di figa, potenziali stupratori, mister “ce l’ho solo io” dalle pretese assurde e quasi sempre inconcludenti. Avevano deciso di affidarsi al caso e la vita reale spesso proponeva “esemplari interessanti”, come li chiamava Mirella. Per qualche motivo, però, erano rimaste solo fantasie, volti e situazioni che si erano portati nel loro letto per eccitarsi, mentre facevano l’amore tra loro, ma nulla di concreto.
Marco seguì le istruzioni di Mirella e non si voltò subito. Fece trascorrere un paio di minuti e si girò solo per chiamare la cameriera alla quale chiese un secondo quartino di pinot nero. Scorse l’uomo sulla porta, ma vide qualcosa di diverso rispetto a Mirella: era un giovane adulto enorme, dall’aspetto brutale, un po’ inquietante, dalla mascella fin troppo perentoria e spalle troppo grandi per poterne contenere l’eventuale violenza.
“Sei sicura?”.
“È un figo della madonna”.
“Ci scoperesti?”.
“Gli farei una sega nei bagni del ristorante, prima di farmi sbattere qui nei boschi. Non senza avergli fatto prima un pompino, in ginocchio e a due mani, come merita un maschio del genere”.
“Wow”, esclamò Marco restando a bocca aperta. Aveva i pensieri attaccati, ma in quell’espressione che non gli era abituale c’erano il suo stupore, la sua paura e la sua umiliazione. E, ovviamente, la sua immediata, fortissima, erezione. Mirella non aveva mai parlato così. Sembrava determinata e Marco sentì che forse quella volta non si sarebbe trattato solo di una fantasia.
Mirella iniziò a puntare il cuoco che non ci mise molto ad accorgersi che quella bionda del tavolo sotto al glicine lo stava fissando. Ricambiò un paio di sguardi, ma non insistette più di tanto. Sapeva che lei sapeva che anche lui l’aveva vista. Ora si trattava di capire chi avrebbe fatto la prima mossa e soprattutto se il cuoco si fosse fatto scoraggiare dalla presenza di Marco.
L’uomo rientrò e riuscì un paio di volte ancora dalla cucina e ogni volta volgeva velocemente lo sguardo verso Mirella, ma senza che nulla accadesse. Fu lei a lanciare l’offensiva.
“Ora vado in bagno e punto verso la cucina, come se mi fossi sbagliata. Gli chiederò dov’è il bagno”.
“Cazzo, Mirella, ma davvero? Cosa vuoi che succeda?”.
“Qualcosa accadrà”.
Si alzò e si diresse verso il cuoco, sculettando più di quanto avesse voluto a causa dei ciottoli del sentiero che, uniti alle zeppe di corda, le rendevano l’equilibrio particolarmente difficoltoso. Era a tre metri dal cuoco, quando questi volse la testa verso l’interno come se fosse stato richiamato e poi verso di lei con un’espressione che sembrava dire: “pardon madame, non ci posso fare niente”.
Mirella fece solo in tempo a chiedere “La toilette, si vous plais?” che il cuoco sparì dalla sua vista. Almeno era riuscita a dirgli dove trovarla. Le operazioni in bagno furono lentissime per dare il tempo al cuoco di raggiungerla o di liberarsi dal suo contrattempo e rincontrarlo magari sulla via del ritorno, ma nessuno la raggiunse. Quando tornò al tavolo notò che la porta della cucina era chiusa.
“Peccato Marco, ci siamo andati vicini. Sono arrapatissima”.
“Che matta sei, ero sicuro che non poteva funzionare”.
“Andiamo a scopare Marco, ho voglia. Facciamolo in macchina in queste campagne”.
“Ma è giorno”.
“Troveremo un posto, so che se ti impegni lo sai trovare”.
Era vero. Per Marco era un punto d’onore soddisfarla quando lei aveva voglia.
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