Francesca

Francesca
Subito dopo la laurea in architettura, partii per gli Stati Uniti per fare qualche esperienza in un territorio nuovo e ricco di interesse; tornai dopo tre anni decisamente carico di iniziativa. Fu allora, circa cinque anni fa, che conobbi Mirella quando io marciavo per i trenta anni e lei ne aveva poco più di venticinque ma già aveva accumulato un invidiabile bagaglio di esperienza.
Infatti, la sua verginità era rimasta, a sedici anni, sul sesso di uno zio trentenne grande donnaiolo; il didietro glielo sfondò un amico di suo padre qualche mese dopo; alla fellatio era stata svezzata sin dai banchi di scuola ed era un’autorità nel farla. Non aveva trascurato di esercitarsi in nessuna delle specialità previste dal kamasutra vulgato ed era in grado di provocare intense emozioni e grandissime eiaculazioni.
Benché conoscessi i suoi precedenti e cosciente, quasi, che una cavallina così non è domabile, quando si imbizzarrisce, decidemmo di metterci insieme e per due anni e qualche mese stemmo anche bene; l’unica condizione che le posi e che le ribadivo quasi quotidianamente era di essere leale; se comunicata opportunamente in anticipo, qualunque trasgressione poteva essere accettabile e superabile.
La violazione di questo fondamentale principio, qualunque tipo di slealtà o di bugia prolungata nel tempo poteva essere motivo di rottura del rapporto. Accettò apparentemente con convinzione, anche se, alla luce dei fatti, non credo che si fosse resa conto a cosa si impegnava. Dopo un anno ancora, circa, decidemmo il grande passo della convivenza.
Prima di deciderlo, ribadii a chiare lettere l’impegno da rispettare e, per cautela, glielo feci sottoscrivere materialmente, addirittura su una ceramica che tenevamo dietro la porta. Ma, sin dai primi momenti, qualche sospetto nacque dai suoi comportamenti; ingenuamente, optai per l’esuberanza caratteriale anziché per l’innata tendenza non tanto ad ingannarmi quanto a fare di testa sua ad ogni costo.
In pratica, mi rendevo sempre più conto che, per reagire a quella che lei considerava una mia imposizione in tutte le forme di vita, cercava ad ogni costo di imporre, anche con scelte e in momenti del tutto sbagliati, la sua presunta prevalenza, o autorità o potere o qualcosa di simile, per arginare o contrastare la mia naturale tendenza a dirigere e pretendere il rispetto delle regole.
Contravvenire rappresentava per lei quasi il modo per affermare la sua esistenza in vita. Ingenuamente, ed anche stupidamente, non si cercò nessun lavoro e visse da mantenuta, dal momento che non aveva completato nessun tipo di studio, non aveva nessuna specifica competenza e non aveva mai cercato di trovarsi un qualsiasi impiego; per evitarle difficoltà future, cercai di sistemare le cose assumendola nel mio studio professionale come archivista di quarta classe.
Ma anche questa fu vissuta come un’imposizione alla sua condotta di vita; per qualche giorno frequentò anche l’ufficio; poi, presa dalla frenesia delle mille cose che si inventava per essere al centro dell’interesse, dimenticò quasi quell’incombenza.
Odiavo quel suo darsi da fare per creare situazioni assurde; l’abitudine ad impegnare un sacco di soldi, miei, naturalmente, per finanziare le sue avventure e quelle dei giovinastri che la circondavano, ma che ci facevano anche sesso, e alla grande; ed infine l’abitudine a svilire tutto quello che mi riguardava per perseguire i sogni suoi e dei suoi amici.
L’episodio più doloroso e che ci portò alla rottura fu la morte di uno dei miei più cari amici di gioventù, Carlo, col quale avevo condiviso tutti gli anni di università, una camera d’affitto in città dove spesso facevo da terzo incomodo tra lui e Francesca, una meravigliosa creatura di cui era pazzamente innamorato e per la quale anche io nutrivo una profonda tacita passione.
La notizia della morte improvvisa di Carlo mi colpì come una mazzata, mentre Mirella stava organizzando coi suoi amici un lungo fine settimana in Francia con l’intento di fare nuove esperienze tra natura e nudismo. Avvertii che non se ne faceva niente e lei andò su tutte le furie, me ne disse di tutti i colori e minacciò di lasciarmi. La invitai per favore ad andarsene avendo cura di lasciare le carte di credito, a mio nome, e di presentarsi regolarmente in ufficio ogni mattina, pena il licenziamento, non essendoci più scuse plausibili per starsene a casa.
Per mesi non volle copulare e non mi rivolse la parola. Non aveva assolutamente senso continuare a convivere, mancando anche l’alibi del sesso; glielo comunicai e, forse su suggerimento di qualcuno dei suoi amici, fece finta di cedere, concedendosi con malagrazia. Fu allora che decisi di incaricare un’agenzia di appurare se mi tradiva e ricevetti un enorme plico che lo documentava. Lo tenni da parte senza mai mostrarlo, ma decisi che era finita.
Il funerale di Carlo fu l’occasione per ritrovare tanti amici che si erano dispersi nel tempo; e verificare che, pur abitando in un’area molto ristretta ed avendo ciascuno raggiunto una posizione notevole nella società, non ci si era incontrati per anni, perdendo quasi il senso di una lunga amicizia. Ma la sorpresa più grande venne da Francesca, la vedova di Carlo, la donna di cui ero stato per anni segretamente innamorato.
Rivederla fu un colpo; non era affatto cambiata e ritrovai in lei tutte le emozioni, tutte le sensazioni, tutti gli affetti che avevo lasciato quando mi ero allontanato, dopo la laurea, per tornare, dopo qualche mese, estraneo alla città ed anche a me stesso. La guardavo incantato, pendevo dalle sue labbra, bevevo ogni suo respiro, ne ero innamorato alla follia. Se ne accorse e mi venne vicino, mi abbracciò con forza e appoggiò la testa tra la spalla e il mento.
Provai un istinto feroce a baciarla e dovetti farmi forza per non commettere il sacrilegio di farlo durante il funerale del marito e mio grande amico.
Quando restammo in pochi, le chiesi notizie di sé; preoccuparsi del suo futuro era un’altra delle incombenze a cui non avevamo fino a quel momento badato; mi rassicurò dicendomi che il progetto su cui io, lei e Carlo avevamo tanto ricamato e sognato si era realizzato; lei aveva la sua boutique di abiti da sposa, che andava bene e le dava largamente da vivere; aggiunse anche che Carlo non l’aveva lasciata a terra e che non doveva preoccuparsi della vita quotidiana.
“Quello che mi manca e mi mancherà sarà l’affetto di Carlo e di coloro che lo hanno convissuto con me!”
Mi guardò con molta intensità. Mi sentii quasi in dovere di rassicurarla che ci sarei sempre stato per lei, come era stato per il passato, quando ero presente anche solo per fare da testimone al suo amore con Carlo. Mi disse che avrebbe gradito che la frequentassi il più spesso possibile; per una straordinaria coincidenza, il mio studio era sull’altro lato della piazza dov’era la sua boutique.
A quel punto, la scelta di Mirella, di tagliare i ponti con me, specialmente sul piano dell’intimità, diventò l’alibi per innamorarmi definitivamente di Francesca. Il giorno seguente riattivai i locali seminterrati dello studio, dove all’inizio della strutturazione avevo realizzato una garconnière; ne ricavai un piccolo appartamento e vi feci trasportare a tempo di record le mie cose dalla casa che abitavo con Mirella. Lei neanche se ne avvide.
Così come non notò che per pranzare non tornavo più a casa ma andavo con Francesca ad una trattoria a mezza strada tra i due posti di lavoro; che non cenavo più con lei, ma mi fermavo con Francesca alla stessa trattoria o in qualche tavola calda, quando non la portavo fuori a cena; e che, dopo un paio di settimane, non tornavo neppure a dormire, perché Francesca si era decisa a farmi entrare nel suo letto e tentare, come le suggeriva la sua terapista, di scacciare la memoria del marito con l’amore per chi l’aveva sempre sostituito nel suo cuore, in caso di necessità.
Non ci capivo molto, in verità; ma l’unica cosa che mi interessava era poter amare Francesca e sapere che anche lei mi amava.
L’emozione di abbracciarla, di baciarla e di infilarmi nello stesso letto, ancor prima di farci l’amore, fu più grande di quella provata in occasione del primissimo incontro con la mia primissima ragazza, una brunetta peperina di cui avevo dimenticato persino il nome e che, quando ero ai primi anni all’Università, mi incantonò quasi con violenza e mi baciò appassionatamente perché ‘era stufa di vedere un secchione che nemmeno le guardava le gambe’, fatto purtroppo vero e legato alla mia smania di concludere presto e bene il corso di studi.
Le labbra di Francesca sapevano di violetta, di erba recentemente tagliata, di rosa, di miele, di quanto di più bello si possa immaginare; e mi trovai a succhiarle, a divorarle, a catturarle nella mia bocca quasi per impossessarmi della sua anima. E mi trovai altrettanto catturato dentro di lei, non solo nella bocca ma in tutto il corpo, forse in tutta l’anima, con una violenza stupida, ottusa, meravigliosa. Forse avevo anche voglia di possederla, di fare sesso con lei; e forse anche lei provava la stessa emozione.
Ma non ne avevamo il coraggio.
“Ti ricordi quella sera al rifugio?”
“Quando dovemmo dormire nello stesso sacco a pelo perché ci avevano lasciati soli ed io non trovai il coraggio nemmeno di baciarti?”
“Si … credi che riusciresti ancora a dormire con me senza cercare di forzarmi a fare l’amore?”
“Io so che lo farei. Perché?”
“Perché sento di volerti; perché so che solo con te potrei fare l’amore dopo la morte di Carlo; perché tu e Carlo eravate così vicini che farlo con te sarebbe quasi farlo con lui. Ma ho paura; ho paura di calpestare la sua memoria e proprio col suo amico migliore; e ho paura che, se mi innamoro, poi non avremo più scampo.”
“Io e Carlo non abbiamo mai avuto paura l’uno dell’altro, soprattutto in ordine ai sentimenti; e nessuno dei due ha mai cercato scampo da qualche pericolo. Io ti amo e sono pronto ad assumermi il rischio di amarti, così come mi assumo la responsabilità di denudarmi e denudarti nello stesso letto senza che questo impegni altro o incida su altro.”
Francesca si stava già spogliando ed io facevo altrettanto. Quando me la trovai nuda davanti, ebbi un momento di languore, al limite dello svenimento; era bellissima, armoniosa, elegante, perfetta, quasi angelica. Mi guardava quasi con la stessa ammirazione e ci trovammo stretti tra le braccia; non potei evitare che una violenta erezione le mandasse il membro contro il pube e la sentii fremere; la baciai e la accarezzai dolcemente sui seni, sul ventre.
“Prendimi, ti voglio.”
“Ti amo!”
Riuscii a rispondere; e fummo sul letto; io ero dentro di lei, anzi nel paradiso terrestre a cogliere la mela proibita. Passarono alcune settimane, durante le quali vivevo le notti a casa di Francesca e le giornate nello studio dove Mirella continuava a non lavorare, nonostante i richiami dell’impiegato addetto che l’avvertì che era a rischio di licenziamento per assenteismo. Nella casa che era stata la nostra, ormai non ci andava più nessuno, avendo Mirella preso l’abitudine di passare le notti chissà dove.
Una mattina chiese, molto formalmente, di essere ricevuta e mi avvisò che le sue carte di credito non funzionavano più e che dovevo rinnovarle.
“Le mie funzionano e bastano quelle.”
“E io?”
“Tu hai un conto?”
“No”
“E allora, come puoi avere delle carte di credito?”
“Avevo le tue.”
“Avevi!? Adesso non le hai più. Se hai bisogno di soldi, impara a guadagnarli.”
“Va bene, venderò qualche gioiello.”
Le chiesi se aveva risolto i problemi con l’impiegato incaricato dei rapporti con il personale; mi rispose che non gliene fregava di essere licenziata. Inutile cercare di farle capire che perdeva qualunque diritto; non le interessava. Approfittai del momento per avvertirla che stavo per dare in affitto l’appartamento dove vivevamo, per evitare inutili spese.
“Credevo che ci vivessi tu!”
“Il che significa che non ci sei più andata.”
“Non ho motivi per andarci!”
“Allora, lo do in affitto.”
“Aspetta. Ma se io non trovo chi mi ospita?”
“Non posso essere io a risolvere i tuoi problemi. Dipende dal rapporto che hai adesso con i tuoi amici.”
“Niente di serio. Tutto quello che è stato non aveva niente di serio. Se tu fossi più ragionevole, capiresti che è stata solo una vacanza che mi sono presa … “
“Dopo solo due anni di convivenza, tu già da uno hai decine di amanti … Bella lunga e articolata, questa vacanza!!!!”
“Sei diventato bigotto?”
“Hai mai letto la ceramica dietro la porta?”
“Si, la lealtà; ma una trasgressione non può essere leale!”
“La conseguenza la conosci … “
“Ne riparleremo?”
“Quando?”
“Boh … non so … uno di questi giorni …”
A pranzo, mi incontrai con Francesca nella solita trattoria e la trovai con Nicola, un avvocato della cerchia dei compagni di università. Dopo i convenevoli, Nicola ci invitò ad una festa che un nostro collega ed amico organizzava nella sua villa in collina.
“La solita esibizione volgare di soldi a go go!”
Commentò acida Francesca.
“Franci, se non ti va, non andiamo!”
“No, saremmo noi a passare per snob. Invece tu mi ci porti e, al primo cenno di noia, mi strappi via, mi porti a casa e mi fai fare l’amore per tutto il week end.”
Nicola era sbalordito.
“Ma, allora … voi …?”
Francesca lo fulminò.
“Stiamo insieme. Beh?!?! Non credo che Carlo avrebbe voluto che diventassi monaca.”
“No, Francesca, non fraintendere; lo trovo meraviglioso e, poiché ho conosciuto Carlo e Mario, so per certo che lui stesso ti avrebbe chiesto di continuare la storia d’amore con Mario. Ne sono felice. E se non vuoi venire alla festa, il primo a esserne felice sono io.”
“Grazie, Nicola; sei un amico. No, verremo, saremo innamorati come siamo veramente e non ci cureremo del mondo. Diciamo che sarà l’annuncio in società del nostro amore.”
Nicola ci salutò e ci lasciò soli; pranzammo serenamente come sempre e, prima di salutarci per tornare al lavoro, chiesi.
”Per quando è questa festa?”
“Per sabato. Dice che forse si trasferiranno per prolungarla fino a domenica; ma noi torneremo a casa nostra a fare l’amore.”
“Franci, ho sentito male o hai detto casa nostra?”
“Perché? Tu non la consideri ancora casa nostra?”
Il bacio che le stampai in mezzo alla strada era l’unica risposta che potessi dare.
“Attento! Ci guardano!”
“Attenzione! Io amo questa donna. Io vorrei che questa donna fosse la mia compagna.”
“Smettila di vendere padelle! E vai a lavorare. I ponti ti aspettano!”
Appena misi piede nello studio, mi trovai circondato dalle ragazze di studio con sorrisi a trentadue denti che si complimentavano e facevano auguri.
“Scusatemi; ma voi sapete di chi parlate?”
Una mi ribatté.
“E’ la bellissima signora che vende abiti da sposa. Come mi piacerebbe comprarlo lì, il mio!”
Non obiettai; poi, nel mio ufficio, da solo con Stefania, chiesi cosa volesse dire la ragazza. Mi spiegò che Lucia aveva fissato il matrimonio di lì ad un mese e che stava sbattendosi per trovare il necessario, compreso l’abito da sposa; qualunque ragazza della città avrebbe desiderato comprarlo in quella boutique, ma i prezzi non erano per impiegate. Preso da curiosità telefonai a Francesca e chiesi il prezzo abbordabile di un abito; mi rispose che, ovviamente, ce n’erano per tutte le tasche.
Le chiarii che una delle ragazze che avevano festeggiato il nostro bacio stava per sposarsi e che le colleghe volevano fare una colletta per comprarle l’abito bello. Chiesi a Stefania che somma potevano mettere insieme; mi disse che gli impiegati puntavano in tutto ai duemila euro. Francesca, che ascoltava, commentò che erano pochini.
“E se raddoppiassi la somma?”
“Allora mandami qua anche tutto lo studio e sicuramente troviamo qualcosa di opportuno.”
Stefania mi guardò interrogativa.
“Signorina, lo studio non abbandona gli impiegati. Voi arrivate a duemila, lo studio integra a quattromila, avverti le ragazze e prendetevi un’oretta per scegliere l’abito.”
Quello che si scatenò è indicibile. Dopo un’ora, rientrarono le ragazze con disegnata sul viso la felicità pura, sembravano gettare petali al mio passaggio. Per compensare, tardarono la chiusura di un’ora; quindici minuti dopo, con aria veramente regale, entrò Francesca.
“Tu certi scherzi sei pregato di non farli più; non ho bisogno della tua pubblicità perché i miei abiti sono bellissimi.”
Mi baciò con affetto e, rivolta alle impiegate.
“Ragazze, credo che un gesto così non si sia mai visto; nessun datore di lavoro si è mai occupato del matrimonio di un’impiegata. Per rafforzare il senso di quello che è successo, per ciascuna di voi realizzeremo un fazzolettino speciale che lasci un ricordo di questo evento. E adesso, liberatemi l’architetto perché muoio di fame.”
Il grazie corale era segno di grande rispetto, di amicizia e di gratitudine. Il sabato arrivò anche prima di quanto volessi e, sin dal risveglio, la trovai una giornata sgradevole, così, senza un perché.
Ero a casa di Francesca, nel suo letto, ma lei non c’era; dal bagno sentivo lo scrosciare della doccia che mi diceva che stava mettendosi in ordine; io ne avrei fatto a meno; almeno il sabato e la domenica avrei preferito passarli a impigrire a letto, tutt’al più impegnandomi in qualche sana copula; ma gli impegni sociali, e formali, imponevano che ci mettessimo in tiro per questa serata speciale nella quale si celebrava un non so che, forse un bel niente.
Per tutta la mattinata non feci che assistere alle operazioni di maquillage di Francesca, che non mi concesse spazio nemmeno per una masturbazione, nemmeno per un bacio più intenso. Misi il broncio a bella posta ma non la intenerii; mi decisi ad entrare anch’io in bagno e passare tutte le forche caudine del giorno; doccia, barba, profumo, taglio delle unghie e tutte le torture che le donne inventano per se stesse e per i loro maschi. Finalmente ci vestimmo ma era già ora di andare in trattoria per non restare a digiuno.
Dopo pranzo, ci spettava un leggero riposo; inutilmente provai a solleticare il desiderio che c’era, si vedeva chiaro, esplodeva in tutti i gesti ma andava tenuto sacrificato perché eravamo impegnati a fare bella figura la sera dell’esordio ufficiale tra le coppie organizzate. Maledii Nicola e tutti quelli che avevano collaborato; ma alla fine dovevo proprio adeguarmi e riposare un poco. Mi svegliai in tempo per ripetere il rituale della vestizione, stavolta meno arzigogolato e più veloce, ed infine fummo pronti per la cena.
Breve corsa al solito locale, identiche affettuosità mentre mangiavamo di buon appetito. Poi di nuovo a casa, a rimetterci in sesto, a scegliere il vestito per la sera e a farci eleganti. Come al solito, era lei che sceglieva tra le cose più preziose di Carlo, che era sempre stato un vero dandy!, che non aveva voluto dare via e che ora pretendeva che io adottassi quasi per continuità ideale tra lui e me.
Anche all’Università, quando ce n’era bisogno, erano Carlo e Francesca a vestirmi e farmi bello per le grandi occasioni. L’arrivo alla villa fu piuttosto deludente; una ricchezza volgare e smaccata, sbattuta in faccia senza dignità, uno spreco folle di soldi per statuine, fuochi effimeri e decorazioni di dubbio gusto dal cancello per tutto il viale fino alla facciata imitazione palladiana in cemento armato; il massimo della cafonaggine!
Non mi ricordavo quasi niente di questo proprietario ex compagno di studi; poi ritrovai, dietro la faccia classica del parvenu senza dignità, i tratti di un arrogante personaggio senza qualità, neppure allora, che cercava ad ogni costo di entrare nel ‘giro’ di quelli bravi. Quando incontrai Nicola, gli trasmisi tutto il mio disgusto in un solo sguardo. Si mise a ridere.
“Perché con due professioni parimenti servili, io devo sempre adattarmi e tu ti permetti il lusso di sputare su tutto?”
“Nico, tu sei sempre stato un pompiere, io un desperado. Non si cambia, col tempo; siamo gli stessi!”
Mentre parlavo con lui, vidi quasi sullo sfondo, sul bordo di una piscina decisamente kitch, la cara Mirella che si strusciava addosso ad un ragazzotto palestrato; per fortuna, la deformazione professionale mi aveva fatto portare una microcamera capace di registrare video e foto per molto tempo; ebbi l’opportunità quindi di cogliere il momento in cui lei sfilava il sesso dal costume, lo prendeva in bocca e cominciava a succhiarlo; registrai perfino l’eiaculazione sulle tette.
Subito dopo, fu lui che le spostò semplicemente lo slip del bikini per piantarle il membro in vagina. Ed io registrai. Nicola si sentì in dovere di spiegare.
“E’ Roberto, il figlio di Antimo e di Concetta; lei non puoi averla dimenticata!”
Mi battei sulla fronte.
“No. Non dirmelo! Proprio il figlio di Concetta!”
“Si, lei non so chi sia, ma so che si frequentano da un anno circa.”
“Da un anno e due mesi, per la cronaca!”
“E tu che ne sai?”
“Perché lei fino a stamane era la mia compagna!”
“No! Che casino. E ora?”
“Ora, niente. Va tutto benissimo!”
Arrivò Francesca che era andata a prendere da bere.
“Mario, ma quella tipa che fa sesso così platealmente …?“
“Si, Francesca, è Mirella … “
“Ah, quanto ti capisco!!!!”
Nel corso della serata, ci muovemmo tra gruppo e gruppo; qualcuno venne a chiedere a Francesca se si univa a quelli che volevano tirare fino a lunedì la festa andando al mare. Francesca mi prese per un braccio e rispose.
“No, grazie. Noi andiamo a casa tra poco.”
Non ebbi il tempo di interloquire.
“Mario, maledetto architetto, perché ti nascondi?”
“Oh, Dio, Concetta, piccola mia.”
Francesca trattenne il riso.
“Piccola? Forse, rispetto ad una portaerei, ci può stare!”
Una massa di carne enorme, sotto forma di un donnone, mi avvolse in una nuvola di grasso.
“Maledetto traditore, dove eri finito? Io ti sapevo in America!”
“Si qualche anno fa! Ora sono in Italia.”
“E questa bellissima ragazza è la tua compagna?”
“Beh, ancora non l’avevamo annunciato; ma come al solito tu anticipi i tempi. Si, questa è Francesca, forse la ricordi come la vedova di Carlo … “
“Oh, Dio, si carissima, sapessi che dolore! Adesso state insieme? Sono felice; siete sempre stati un trio di persone meravigliose. Sono proprio contenta.”
Ormai non la fermava nessuno.
“Conosci mio figlio? Lui è Roberto.”
“Io non conosco lui, ma credo che lui sappia tutto di me soprattutto le corna.”
“Oh bella, ma tu di quelle non sei specialista? Quelle che abbiamo fatto a mio marito erano le tue prime?”
“No, non erano le prime e non sono state le ultime, puoi giurarci. Il guaio è che adesso è il tuo figlioletto ad essere convinto di averle fatte a me! Dove scappate ragazzi? Non vedete che noi le cose le affrontiamo lealmente? Possibile che siete capaci solo di tendere imboscate o esibirvi sul palcoscenico?”
“Ma che dici? Quest’imbecille avrebbe fatto le corna a te? Deve essere ben cretina quella che si fa possedere da una simile nullità!”
Fortunatamente venne attirata da qualche altra novità e andò via.
“Cara Mirella, vedo che la vacanza non ha motivazione valida. Se lunedì non sei in ufficio alle otto e trenta sarò costretto a licenziarti.”
La frase piombò come un colpo di mortaio nella festa. Nico reagì per primo.
“Mario, che dici?”
“Che la signorina Baldi, archivista di quarta classe del mio studio, ha chiesto una licenza speciale che le è stata negata. Correttamente l’avverto che, dati i precedenti, se non si presenta in ufficio, sarà licenziata.”
“Avvocato, può fare queste minacce una persona?”
Mirella si era rivolta a Nicola.
“Quali minacce, signorina? Lei è una dipendente dello studio dell’architetto? E’ vero che ha chiesto una licenza e non l’ha avuta? Se lei non si presenta in servizio, puntualissima, lunedì mattina, l’architetto ha non solo il sacrosanto diritto di licenziarla, ma ha addirittura il dovere di farlo perché, se le perdona questo, gli altri dipendenti si possono ribellare. Se non ho capito male, lei finora ha reso poco allo studio, perché era l’amante del titolare. Ma ora le cose sono cambiate; o lei lavora o lui la licenzia.”
Mirella era stralunata e se ne andò a coda ritta. Concetta mi afferrò per un braccio.
“Mario, perdonami, tutto potevo pensare tranne che quell’imbecille di mio figlio mi mettesse in questa situazione di difficoltà. Spero che non penserai male di me.”
“Concetta, l’unica cosa che devo pensare di te l’ho detta una decina di anni fa. Sei stata la mia nave-scuola, mi hai aperto gli occhi sul mondo e te ne sarò sempre grato. Non è l’arroganza di un ragazzo che può rovinare un’amicizia vera. E io sono ancora e sempre tuo vero amico.”
“Grazie, Mario. Spero di rivederti.”
“Chissà …!”
La festa si trascinò stancamente tra i vari tentativi di ‘animare’ la compagnia ed eravamo quasi decisi, io e Francesca, a sgattaiolare alla chetichella per rifugiarci nella nostra casa, nel nostro letto, nel nostro amore. Ma Nico ne aveva ancora una da parte. Con il classico gesto delle tavolate contadine, chiese l’attenzione di tutti picchiando col cucchiaino su un bicchiere, entrò una ragazza semivestita e recò uno scatolino.
Con atteggiamenti sempre più plateali, da oratore convincente, Nico annunciò che la disgrazia della dipartita di un amico come Carlo era stata compensata dalla notizia che il suo migliore amico, Mario, e la sua vedova, Francesca, avevano deciso di rimanere coerenti alla storia di tutti, a quella personale di ciascuno e a quella dei tre amici che avevano attraversato tanti anni in affetto ed amore; annunciò quindi che Mario e Francesca andavano a vivere insieme e lui, da novello sacerdote, sanciva la nuova unione con due anelli di diamanti che gli amici avevano deciso di regalare alla nuova coppia.
Nonostante la platealità decisamente rococò del discorso, Francesca dovette trattenere una lacrimuccia ed io ero abbastanza emozionato; istintivamente ci girammo e le nostre labbra si incontrarono in un bacio dolcissimo esaltato dall’applauso degli amici; Mirella, in prima fila, sembrava mandare dalle narici il fumo della rabbia più nera.
“Come vedi, il momento di parlare è arrivato. Cosa hai da dirmi?”
“Stavolta sei tu che non hai avvisato!”
“Da quanto tempo non ci incontriamo?”
“Non so, forse da qualche settimana.”
“Di’ pure da qualche mese; esattamente dal funerale di Carlo, quando ho rivisto, dopo anni, Francesca.”
“Vuoi dire che quando hai trovato il nuovo amore già non c’era più niente tra noi?”
“Almeno fin qui ci arrivi. Da quanto tempo non abbiamo nessun rapporto fisico?”
“Non me lo ricordo.”
“Altro segno che la nostra relazione era già morta da mesi!”
“Quindi, sono stata io che ho distrutto tutto.”
“Secondo il dossier che possiedo, l’hai fatto un anno e mezzo fa. Ora cosa farai?”
“Che intendi dire?”
“Niente; meglio che non dica niente; tu non hai mai accettato il mio punto di vista che a te suona solo come imposizione.”
“E’ vero. Ma ora sto annaspando con l’acqua alla gola e ho bisogno di attaccarmi a qualcuno o a qualcosa.”
“Francesca mi è troppo cara; non posso tradirla dedicandomi a te.”
“Francesca, scusa, so che forse dovresti odiarmi o forse anche essermi grata perché è la mia imbecillità che ti ha portato a Mario. Sono nella cacca e ho bisogno di aiuto. L’unico uomo a cui posso appoggiarmi è Mario. Puoi per qualche minuto lasciare che si occupi di me come un padre, senza dubitare dei suoi sentimenti?”
“Mirella, non condivido niente di quello che fai, ma non sarò mai io a buttare giù una persona che sta cercando di uscire dal fango. Se Mario vuole assisterti, sa che lo può fare liberamente. In quanto al suo amore, non è da queste cose che lo valuto; se dimostra bontà per l’impiegata che cerca l’abito da sposa, non vedo perché dovrebbe rinunciare ad aiutare una quasi impiegata a rischio di licenziamento.”
Mirella l’abbracciò con affetto; poi si rivolse di nuovo a me.
“Mi spieghi per favore cosa volevi dire?”
“I rapporti sono di varia natura. L’amicizia è il sentimento che fa sentire simili e avvicina le persone; l’affetto è la spinta umana che ti porta verso gli altri; l’amore è l’esaltazione di questi sentimenti e porta alla comunione di sensi, anche quelli materiali, anche il sesso; la passione è l’empito che porta all’incontro fisico. E potremmo andare avanti all’infinito analizzando la simpatia, l’empatia, e tutte le forme di partecipazione.
L’errore più grave è ridurre tutto ad uno solo dei sentimenti, quasi sempre la passione o l’amore. Io forse non ti ho amato, ma ho sempre avuto per te amicizia, affetto e grande passione; tu hai fatto in modo da demolire la passione cancellando il sesso, hai distrutto l’amicizia calpestando la lealtà e la chiarezza. Resta solo l’affetto, che non è poca cosa, è fatto anche del ricordo di quello che c’era e che non ci sarà mai più ed è molto duro da scalfire.
In questo senso, forse, posso darti un aiuto; ma devi essere disposta a riceverlo e a farne tesoro.”
Francesca intervenne, all’apparenza seccata, ma in realtà perché voleva che fossi più concreto.
“Adesso, per favore, smetti la predica e parla sul serio. Sono certa che Mirella ha capito e che vuole solo sapere che cosa puoi offrire.”
“Dovrei sapere di che ha bisogno; ma, come sempre, dovrò buttarmi a indovinare. La casa puoi tenerla quanto ti pare. Non ho bisogno di quell’affitto per vivere; ma dovrai imparare a pagare un affitto; nel caso, lo devolvo in beneficenza, ma tu devi imparare a guadagnarti anche il diritto alla casa, se vuoi davvero essere libera. Ti lascio il posto di lavoro, a patto che ogni giorno che Dio manda in terra, all’orario previsto, ti presenti al lavoro e rispetti tutte le regole, dal vestito ai rapporti col pubblico al comportamento con gli altri impiegati; la libertà si esprime anche con l’educazione e il rispetto.
Dovrai imparare a vivere con 1200 euro al mese, vale a dire con quello che sei abituata a spendere in meno di una settimana. Se riesci a mantenere questa linea di condotta, io sarò sempre affettuosamente accanto a te e cercherò di alleviare il tuo bisogno di una figura paterna. Se non ce la fai, sarò severo come devo essere e ti lascerò affogare nella melma in cui dici di essere.”
“Non mi va di entrare in uno schema e ripeterlo all’infinito. Preferisco vedere cosa c’è dietro l’angolo.”
“Allora, buona fortuna!”
Anche Francesca si arrese. Cominciammo il pellegrinaggio dei saluti, delle strette di mano e dei convenevoli falsi e vuoti. Finalmente montammo in macchina e scappammo via da tutto.
Erano passati due anni da quella festa. Ci eravamo sposati, io e Francesca, ed era nato Carlo che faceva i primi ruzzoloni sul tappeto. Avevo un maledetto impegno con visitatori da vari Paesi dell’Africa per esaminare alcuni lavori in via di realizzazione, in vista di interventi analoghi in Africa. Dopo le attività rituali, al momento della cena, scoprii che a tavola c’era un gruppo di ragazze di cui non sapevo niente. Guardai con occhio feroce il coordinatore che mi venne vicino e mi sussurrò.
“Architetto, mi hanno detto che è la prassi; non ho potuto farne a meno. Mi dispiace ma è così. Lei, a fine cena, vada pure via, penseremo noi alla parte più sporca del convegno. Lei è Madama Dorè, la titolare dell’agenzia a cui ci siamo rivolti.”
“Architetto, si fa così dappertutto, mi creda. Mi meraviglia che non l’abbiano coinvolta in situazioni del genere in altre occasioni.”
“Vedo che non sono affatto di primo pelo … “
“Capisco i suoi dubbi, architetto; ma spero che lei abbia almeno sentito dire qualcosa sulla dotazione dei neri. E non si può mandare a un convegno con neri ragazze di primo pelo; ci vogliono pozzi ben profondi! Ma lei come fa ad essere così sicuro che sono donne ‘vissute’, per così dire?”
“Come avete battezzato la brunetta a capotavola?”
“Denise.”
“Dica alla signorina Mirella Baldi, alias Denise, che almeno a questa tavola poteva evitare si farsi trovare, se non altro per non dimostrare quanto il suo corpo si è sfasciato ed è decaduto in due anni!!!”
“Lei conosce Mirella?”
“Troverebbe tanto strano che fosse stata la mia compagna quando meritava di esserlo e che addirittura si è finta impiegata del mio studio per farsi mantenere?”
Proprio in quel momento, Mirella si girò verso di me, mi riconobbe e la sigaretta le cadde nel bicchiere del vino.
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