Wilma

Wilma
Come al solito, proprio quando non vorrei perdere tempo, mi trovo a scontrarmi con gli altri abitanti della casa, 2 in tutto, mio figlio Manlio e mio marito Oreste, che hanno il dono magico di intrattenersi a radersi quando io devo caricare la lavatrice là vicino.
Busso leggermente alla porta e a Manlio chiedo se sta radendosi e posso quindi fare quello che devo; mi apre la porta, che tra l’altro non era chiusa a chiave, come sempre in casa, ed io entro; giocando volentieri a urtarci con i fianchi avanzo fino alla cesta della biancheria da lavare e la prima cosa che mi capita in mano è il perizoma che ieri sera ho messo via usato, ma non sporco, e che stamane è grondante di un liquido viscoso.
Non ho nessuna difficoltà a riconoscere lo sperma che Manlio ha scaricato in una delle tante masturbazioni che si spara sui miei indumenti intimi; visto che ce l’ho lì vicino, ne approfitto.
“Tesoro di mamma, quando la smetterai di riempirmi di sperma tutto l’intimo da lavare? Ma, poi, cosa ti rende tanto appetibili i miei perizomi da indurti a eiacularci dentro fino a tre volte al giorno?”
“Amore mio, cosa posso dirti? Amo la tua vulva, sogno di possederla in ogni momento della giornata, specialmente il sabato notte, quando quel lumacone di mio padre in trenta secondi ti scarica dentro la sua eiaculazione e si addormenta, costringendoti a venire in bagno a masturbarti come un’adolescente eccitata. E’ un anno ormai che ogni sabato sera è la stessa solfa, io ci sto male mi masturbo come un liceale anche se non lo sono da un pezzo e faccio sesso con almeno due ragazze al giorno.”
“Bum! Questa l’hai proprio sparata grossa! Tu saresti quello che fa sesso con due ragazze al giorno, e forse qualcuna anche più di una volta, e per colmo di misura si masturba tre volte sull’interpretazione personale della vulva di sua madre? Allora io sono Moana Pozzi!”
“Mammina bella del tuo piccolo Manliuccio, ti risulta un qualche soprannome che tuo figlio ha nel giro delle amicizie, anche fra le tue?”
“Sì, il siffredi di noantri, mi pare; che vuol dire?”
“Ah, tu sai chi è Moana Pozzi, buonanima, e non sai chi è Rocco Siffredi? Wilmuccia cara, documentati almeno su wikipedia.”
Lo faccio immediatamente e scopro che Siffredi e il pornodivo più dotato in circolazione.
Sbarro gli occhi.
“E tu?!?! Tu saresti … ?!?!”
“E con tutta la vagina che ho a disposizione, mi masturbo sul sogno della tua; ti dice qualcosa?”
“Mi dice che finora ho creduto di scherzare, ma che adesso dobbiamo cominciare a parlare molto sul serio.”
“No, guarda, se intendi aprire il libro dei peccati e spiegarmi che l’incesto è grave, che non si può e via con le altre storie, risparmiatelo. So bene quello che sento e cosa comporta quello che sento. Non ci posso e non voglio fare niente.
Vuol dire che per non disturbarti scaricherò il mio sperma nel water o nei fazzolettini; ma non mi chiedere di rinunciare a sognare la tua vulva, il tuo sedere, le tue tette ma anche te che orini, che evacui che fai tutte le tue funzioni quotidiane, perché a quello non rinuncio, specialmente quando sento che ti stai masturbando; se non l’hai capito, io sono puntualmente dietro la porta a spiarti e a masturbarmi; e vorrei entrare di colpo e farti assaggiare un po’ di piacere vero con una mazza vera.”
“E secondo te, non saprei che mi sorvegli, che mi spii, che ti masturbi alla grande per me?! Non posso, non ce la faccio, non me la sento. So che sarebbe anche semplice allungare la mano e fartela provare io, una manipolazione fatta con l’amore di una mamma. Ma è del dopo che ho paura. Io poi non so fermarmi e rischio di finire come con tuo padre.”
“Che cosa è successo fra voi due?”
“Hai proprio voglia di affrontare una verità che può essere difficile e, forse, anche dolorosa?”
“Ho voglia di tante cose, ma soprattutto di verità ad ogni costo. Ormai ho ventitré anni; a quest’età, tu avevi un figlio di quasi cinque anni, credo.”
“Sì, i conti li sai fare; ed ero anche felice di te, di mio marito, della mia vita. E tutto è andato bene fino all’anno scorso … “
“E poi?”
“E poi devi aspettare che io avvii la lavatrice e che tu finisca di fare toilette; poi ci sediamo e, se vuoi, parliamo, anche se, ti giuro, mi riesce difficile e mi spaventa.”
“Ok; quando saremo in ordine, ci siederemo e parleremo, da figlio a madre, da uomo a donna, da innamorato ad amata.”
“Non esagerare, ti prego; l’amore è il grande assente; se solo se ne sentisse l’odore, rischiamo grosso.”
“Cristo, ma il rischio non t’intriga neanche un poco?”
“Perché diavolo non stai zitto e non aspetti di sapere?”
“Hai ragione. Scusa.”
Finisce le sue abluzioni, che accelera per la smania di parlare con me; indossa una semplice tuta e si fionda in cucina, dove è già pronta la colazione.
“Io ti chiamerò sempre Manlio perché è il tuo nome; cercherò di non usare mai il sostantivo figlio perché in certi momenti e per certi discorsi potrebbe suonare blasfemo. Per questo stesso motivo, gradirei che mi chiamassi mamma quando ti riferisci solo ed effettivamente al nostro rapporto di affetto; quando ti riferisci alle nostre, reali o possibili, intimità, preferirei che mi chiamasi Wilma o, al massimo, amore. Si può fare?”
“Certo, amore mio, tra me e te si può fare tutto; basta volerlo e metterci d’accordo.”
“Ok. Come direbbero certi ragazzini, cominciamo dal comincio. Tu stesso hai detto che mi sono sposata quasi a diciotto anni ed ho avuto subito te. Non è stato un periodo difficile; eravamo giovani tutti e due, io e Oreste, eravamo pieni di vita e avevamo due famiglie che ci sostenevano e ci permettevano, facendo volentieri i nonni - sitter, di passare bellissime serate da giovani innamorati della vita. Copulavamo anche moltissimo; fino a tre volte al giorno, all’inizio, nonostante gli impegni di lavoro.
Poi andammo acquietandoci e scendemmo progressivamente a una volta al giorno, a due volte la settimana fino al rito del bancario, il sabato sera soltanto.”
“Ma questo, nell’arco di quanto tempo?”
“Più o meno, una quindicina di anni. Poi cominciò il declino e, da persone intelligenti, prima di perderci di vista, decidemmo di parlarne tra di noi.”
“Riusciste a raggiungere una conclusione?”
“Sì; scoprimmo che la noia era la radice dei mali. Fu allora che tuo padre propose di dare una botta di vita al nostro rapporto, calpestando certe ataviche convinzioni anche religiose e affrontando qualche ipotesi di sesso trasgressivo per riaccendere la fiamma del desiderio.”
“Funzionò?”
“Avrebbe funzionato, se non avessimo commesso alcuni errori gravissimi che diedero luogo a un autentico fallimento.”
“Scusa l’interruzione. La tua paura a dare vita a una storia con me nasce da questo fallimento?”
“In parte sì; in parte è vero proprio il contrario; ho paura che, se alla fine di questa chiacchierata, come prevedo, ci trovassimo a proporci una soluzione di ‘recupero’ o di rimedio all’errore precedente, io rischio di innamorarmi tanto di te da voler rinunciare al matrimonio. E questo mi fa ancora più paura di qualunque altra soluzione.”
“Quale livello di autocontrollo e di credibilità mi attribuisci, non da madre né da femmina, ma da donna accorta e intelligente come ti conoscono tutti?”
“Io, da donna, non ho nessuna difficoltà a fidarmi di te anche se mi dici una panzana; sono sicura che la diresti in vista di un obiettivo più importante. Insomma, mi fido di te.”
“E se ti giuro che, nel caso, sarei il più ostinato a impedirti di fare, per me, la sciocchezza del divorzio; se ti prometto solennemente questo, mi credi?”
“Si; e so anche che manterresti fede alla promessa.”
“Mi racconti allora, per favore, l’incidente che ha interrotto il vostro percorso d’amore?”
“Tu sai cos’è un privè?”
“Cioè, stai chiedendo a un donnaiolo se conosce la vagina? Dicesi privè un luogo di ritrovo frequentato da personaggi dai gusti sessuali particolari; in quel luogo è possibile abbandonarsi alle pratiche più svariate del sesso fino a quelle forme esagerate che vanno sotto il nome di sesso brutale caratterizzato da dolore e violenza fisica. Ne conosco alcuni e so anche che molti sono da evitare per le insidie che possono celare. A quale ti riferisci?”
“Al ‘Rififì’ di … la cittadina a cento chilometri da qui.”
“Ahi, ahi, ahi, signora cara, lei mi cade sul peggio; proprio qualche mese fa è stato chiuso per le proteste di alcuni avventori che si sono trovati in situazioni inestricabili e dannose. Siete andati là?”
“Purtroppo sì. Dico purtroppo, perché a decidere fu tuo padre che aveva assunto certe informazioni da internet e l’aveva scelto solo perché abbastanza lontano per non incontrare persone conosciute e abbastanza vicino per passare una serata e tornare a dormire a casa. In realtà, alla verifica dei fatti, le sue informazioni risultarono del tutto inadeguate e probabilmente cademmo in una di quelle insidie di cui parlavi tu adesso.”
“Vale a dire?”
“La cosa cominciò bene. Tu eri all’Università e ti fermavi per alcuni giorni; i nostri vecchi, sia i miei che i suoi, non avevano dato segnali di emergenze; avevamo per noi il sabato sera e, volendo, tutta la domenica. Uscimmo di casa con il vestito che di solito indossiamo quando andiamo a passeggiare sul corso e, in un pacco, portavamo l’abbigliamento per la serata.
Io, in macchina, indossai solo un perizoma, un vestitino tipo charleston che mi arrivava appena alle natiche e un paio di scarpe con tacco alto. Tuo padre sostituì il gessato classico con un jeans, una camicia a scacchi e mocassini senza calzini. Ti assicuro, senza vanagloria che ero una vera bomba di sesso e lui non era da meno.”
“Non ci vuole fantasia a crederti; tu sei una bomba!”
“Nel locale cominciammo dalla cena e lì tuo padre commise alcuni piccoli errori, anzi forse uno solo; accettò l’autoinvito di un bel ragazzo, che stava seduto da solo, a unirsi a noi.“
“Neanche dubitaste, per un attimo, che fosse uno pagato per fare proprio quello che avrebbe fatto?”
“Che cosa avrebbe fatto?”
“Ti avrebbe affascinato, ti avrebbe posseduto in tutti i modi e ti avrebbe passato a tutti i clienti soli e bisognosi di compagnia. E’ il classico compito dei bull in quei posti.”
“Per te che sai, era tutto semplice; per due sprovveduti, e soprattutto per uno che si spacciava per esperto, ma era assai sprovveduto, fu l’aiuto che viene dal cielo. Cominciò a farmi bere e, prima che me ne rendessi conto, ero brilla; tuo padre non so, ma sospetto che anche lui fosse per lo meno eccitato dall’alcool; questo fu il secondo piccolo errore, conseguenza del primo come tutti gli altri dopo.
Il terzo fu autorizzarmi a ballare con lui senza pensare neppure per un attimo a venire lui in pista con me. Alex, mi pare che si chiamasse così, mi abbracciò come un polpo con tutti i tentacoli e mi piantò contro la vulva un sesso che sin dal primo impatto mi apparve assai più grosso di quello, di normali dimensioni, a cui ero abituata con tuo padre.
Nel giro di un ballo, che in realtà fu una lunghissima pomiciata con carezze ai glutei, ai seni e alla vulva, raggiunsi tre volte l’orgasmo. Tuo padre vedeva tutto e si rendeva conto che ero sbronza, che stavo colando e che stavo facendomi possedere in piedi e da vestita. Ma non fece una piega.”
“Cavolo, oggettivamente devo dire che ve la siete cercata … e col lanternino. Una situazione del genere, per un bull, è l’ideale; senza colpo ferire si trova una preda perfetta. Scommetto che poi ti ha demolito sedere, vagina e mascelle!”
“Bravo il mio bambino! Ma tu, cosa avresti fatto?”
“Amore, io sto scherzando su qualcosa di cui conosco la gravità. Non ci vuole molto a capire il senso d’impotenza e di frustrazione di tuo marito quando si è reso conto di quale enorme imbecillità aveva commesso; la coscienza d’inutilità quando si è accorto di averti indotto a fargli le corna; la rabbia contro se stesso, il vero colpevole, che scarica su di te, la più innocente della situazione; e la rabbia che si carica con la frustrazione, che s’incupisce con le corna, che cozzano contro la sua imbecillità.
Mi fa tanta pena, ma se l’è voluta. E’ già stato abbastanza razionale, visto che è rimasto e non ha ceduto alla tentazione di rompere il matrimonio; viene spontaneo, in questi casi. Quindi, anche aver ridotto al minimo i rapporti sessuali, si capisce bene. Il problema adesso è tuo, che devi decidere come valutare il tutto.”
“Guarda che non è finita qui.”
“Cavolo; è successo di peggio?”
“Beh, tu l’hai anticipato e riassunto; fino a quel momento, non c’era stata che una lunga pomiciata in cui avevo avuto più orgasmi; l’altro invece aveva mantenuto il rigore del suo sesso senza fare una piega, da bravo professionista, ma questo mi è chiaro oggi, non lo era allora. La stupidaggine vera la feci io subito dopo che fummo tornati al tavolo.
Tuo padre aveva una faccia che non ti dico e gli chiesi se stava bene o se preferiva interrompere lì l’esperienza. Lui mi rassicurò che era solo un momento di disagio che sarebbe passato e m’invitò a divertirmi. Io, da perfetta imbecille, preferii credergli e chiesi ad Alex di farmi visitare il posto.”
“Ed io scommetto che la tua odissea cominciò proprio da lì.”
“Già. Lasciammo Oreste al tavolo del ristorante e mi portò nella prima delle sale che si aprivano in semicerchio al piano superiore. Dentro c’era un letto rotondo quasi enorme, sul quale una coppia stava copulando alla missionaria; intorno, tante sedie occupate da uomini eccitati che seguivano i movimenti degli amanti; osservai anch’io, avvicinandomi, e mi eccitai.
Alex mi spinse sul letto; c’era posto per almeno quattro coppie; mi sollevò la gonna e mi sfilò il perizoma; un attimo dopo il suo membro enorme appoggiava la cappella alla vulva e cominciava una penetrazione leggermente dolorosa, eccitantissima, meravigliosa; esplosi tre volte, mentre il membro percorreva la vagina fino a toccare l’utero; lui eiaculò quando fu entrato del tutto, segno che era molto eccitato o che la mia vagina lo intrigava molto.
Gli tornò duro in una frazione di secondo e me lo trovai ancora fra le cosce ritto come un obelisco, si ribaltò insieme con me e, da sotto, mi fece spostare finché mi sedetti, di spalle al suo volto, e cercai di impalarmi, ma stavolta nel retto; fu lenta e dolorosa la penetrazione; dietro l’avevo preso poche volte da tuo padre; ma alla fine sentii i testicoli che mi picchiavano sulle grandi labbra, segno che i più di venti centimetri del suo sesso erano nel mio ventre.
Mentre cercavo di assorbire questa violenza, un nero, da una delle sedie, si avanzò sul letto ostentando un membro ancora più grosso, almeno sui venticinque centimetri; Alex, da sotto, mi allargò la vulva e il nero appoggiò la cappella, spinse con forza e penetrò fino all’utero; per la prima volta in vita mia mi trovavo a sperimentare una doppia penetrazione, in vagina e nel retto, con due arnesi mostruosi. Godevo come una scimmia mentre i due mi montavano insieme”
“Vuoi dire che alla tua prima doppia, con due bestie in corpo, hai anche goduto?”
“Proprio così; e non basta. Mentre ancora non mi capacitavo di quello che mi stava succedendo, un altro personaggio venne a inginocchiarsi sopra la mia testa e mi appoggiò sul volto un membro di buona stazza, infilandomi la cappella in bocca; cominciai a succhiare come se non avessi fatto che quello in vita mia.
Intanto altri due spettatori si erano stesi ai miei fianchi e mi avevano messo in mano le mazze da masturbare; con terrore, mi resi conto che stavo facendomi possedere da cinque uomini contemporaneamente. Quando, insieme, Alex e il nero mi scaricarono il loro sperma nel ventre, mi alzai di colpo e allontanai tutti precipitandomi giù dal letto.
Alex mi raggiunse e mi consolava con dolci parole; stordita dal vino, dal sesso e dai continui orgasmi lo stetti a sentire e mi calmai; stupidamente e irrealmente, chiesi del mio perizoma, che Alex mi mostrò conservato in una sua tasca.
Avevo ormai perso di vista mio marito e neppure mi preoccupavo di cercarlo; seguivo come un automa il mio nuovo giovane amante che mi mostrò, ma mi rifiutai di entrare, sale per sesso brutale, per la dominazione, per le perversioni peggiori; poi m’indicò anche sale più ‘appetibili’ con coppie e gruppi che si esibivano in tutte le posizioni possibili del sesso. Alla fine mi portò in una sala che definì del glory hole che, onestamente, dichiarai di non conoscere.
Mi spiegò allora che le pareti intorno non erano spesse ma di cartongesso e di piccolo spessore; a distanze prestabilite, comparivano dei fori e da alcuni di questi sbucavano membri di tutte le forme e di tutte le dimensioni. Alex mi spiegò che in quella sala le signore potevano succhiare tutti i sessi che volevano, farsi anche penetrare da quelli disposti ad altezza conveniente e che, intanto, potevano anche praticare sesso con gli accompagnatori che eventualmente fossero entrati.”
“Davvero non sapevi del glory hole? Eppure è un concetto diffuso!”
“Che cosa vuoi farci? Per me era nuovo. Mi chiese se volevo provare ed io, affascinata da un bastone nero particolarmente grosso che vedevo sbucare ad altezza bocca, mi ci dedicai e comincia a manipolarlo, a leccarlo, a succhiarlo; insomma, lo feci eiaculare anche abbastanza rapidamente; sull’onda dell’entusiasmo, passai a un altro più o meno della stessa dimensione; mentre lo succhiavo col viso alla parete, sentii che qualcuno dietro mi massaggiava l’ano.
Mi girai e vidi un uomo di una cinquantina d’anni, con un sesso di stazza normale, che, inginocchiato dietro di me, mi leccava l’ano con grande abilità; sentivo la sua lingua penetrarmi fino in fondo e il mio sfintere si rilassava fino a dilatarsi; riportai l’attenzione al membro che stavo succhiando e m’impegnai allo spasimo per farlo godere.
L’idea di vedere lo sperma spruzzarmi in faccia, in bocca, mi eccitava; e alla fine ebbi successo e vidi l’onda di crema bianca invadermi la cavità orale e scivolarmi lentamente fino sul seno; la raccolsi con le dita per non sporcare il vestito e la portai in bocca. Mi piacque. Intanto, lo sconosciuto non smetteva di umettarmi l’ano.
A un tratto vidi più in basso un batacchio nero sbucare superbo ad altezza vulva, o sedere; mi liberai di quello che mi leccava e appoggiai la schiena alla parete; mi chinai in avanti facendo aderire il sesso al perineo; qualcuno, da dietro, orientò il membro e lo appoggiò all’ano che, lubrificato a lungo, si aprì ad accogliere la mazza fino in fondo.
Mentre mi facevo penetrare analmente, Alex si presentò davanti col sesso in mano e lo diresse alla bocca. Lo ingoiai con gioia e cominciai a godermi i due batacchi in contemporanea; li feci eiaculare insieme e mi sentii inondare, allo stesso tempo, in bocca e nel retto, provandone una fortissima sensazione di piacere.”
“Cavolo, hai proprio perso il senso del limite.”
“Già. E proprio allora, probabilmente, è avvenuta la vera crisi tra me e tuo padre. Ancor prima che mi staccassi dalle due mazze, vidi avanzarsi al centro della sala Oreste, che mi afferrò per un braccio e mi trascinò via con gli occhi fuori dalle orbite; aveva visto tutto. Tutta la vergogna per quello che avevo fatto mi piombò addosso e fui presa da un senso di angoscia che mi prostrò.
Sulla via del ritorno, ci fermammo in un motel, perché dovevo ad ogni costo pulirmi dalle scorie di sesso che avevo dappertutto. Appena in camera, mi fiondai sotto la doccia, quasi illudendomi di poter cancellare via, con i residui di sperma che m’insozzavano tutto il corpo, anche i residui di troiaggine e di volgarità che mi avevano marchiato a fuoco l’anima stessa.
Piansi tutte le lacrime che potevo; mi asciugai alla meglio con l’asciugamano del motel e mi rivestii con l’abito con cui ero uscita da casa, quello della signora perbene a passeggio sul corso.
Nessuno dei due disse una parola mentre tornavamo a casa; era inutile e stupido dormire in motel; mi bastava essermi lavata; e da quel momento la parola ‘sesso’ non è mai più stata pronunziata, in questa casa, da mio marito che il giorno dopo pareva piegato sotto il peso delle decine di anni che l’esperienza gli aveva scaricato addosso.
Da allora, ed è passato un anno, mi sono limitata al ruolo di moglie stupida e borghese, felice persino della copula settimanale che il marito si degna di elargirle. Ma sto malissimo e non faccio che sognare un amore come quello che ho perduto.”
“Ho la testa che mi scoppia; ho bisogno di riflettere e di capire. In primo luogo, è importante sapere se il vostro matrimonio è ancora abbastanza solido, dopo questa mazzata, per reggere al tempo ed eventualmente sanare almeno alcune ferite. A lume di naso, mi pare che lui non voglia distruggere tutto.
Se continua a copulare, vuol dire che qualcosa gli è rimasto della passione; forse puoi cercare di farlo riprendere almeno da questo punto di vista, sempre che, è chiaro, tu abbia voglia di salvare il matrimonio. E qui scatta il problema Manlio. Se voglio essere il figlio affettuoso che cerca di salvare il matrimonio dei genitori, devo scomparire; anche come consigliere rappresento un pericolo.
Ma questo comporta che devo dimenticarti; tre masturbazioni al giorno, nelle tue mutande, per quasi un anno, non sono il presupposto giusto per dimenticarti. E il mio sesso mi sta suggerendo anche adesso che voglio possederti, costi quello che costi; e non per pura libidine, ma per amore vero. Se devo ascoltare il mio istinto, non mi preoccupo troppo di come sta lui, ma mi devo dedicare a quello che tu mi hai detto a proposito di riproporre la situazione e riscattare gli errori.
Se non ho capito male, io sono prontissimo a tornare con te in un privè e fartelo vivere come tu avresti voluto, con qualche trasgressione, ma soprattutto con un’immensa complicità con l’uomo che ti ama e che tu vuoi imparare ad amare. Rischio ce n’è, come in tutte le cose; ma insieme ce la facciamo; poi comincia il vero ‘poi’; cosa ci succederà? Potremmo trovarci innamorati e non disposti a sacrificare niente. O forse diventiamo più ragionevoli tutti e due.”
“Che cosa sei disposto a rischiare?”
“Wilma, amore, io ti voglio, con tutto il cuore, ma anche con tutto il corpo, ti amo ma ti desidero anche con tutta la forza della mia età; se su un piatto della bilancia c’è fare l’amore con te, sull’altro ci puoi mettere quello che vuoi, sceglierò sempre il tuo corpo, il tuo amore, il tuo sesso. Questo per me non è rischiare; questo è fare quel che amo.
L’unico pericolo che vedo è che tu, dopo avermi testato in questo progetto di rivalsa, ti accorga che non hai più bisogno del mio amore, della mia complicità e faccia altre scelte. Ma, come ti ho detto, se la posta in gioco è averti come ti voglio, io non ho esitazioni e mi gioco tutto su una serata al privè.”
“Allora, ascoltami. Io devo, capisci DEVO provare a me stessa che, in condizioni leggermente diverse, sono in grado di attraversare quell’inferno bruciacchiandomi in maniera risibile. Diciamo fuori dai denti che voglio andarci con un mio maschietto e vivere con lui nella massima complicità quell’esperienza.
Dalla precedente esperienza, so che deve essere capace di possedermi come vuole lui e come mi aspetto io, che deve anche lasciarmi copulare con qualcun altro e rischiare di perdermi per sempre. Ma so anche che se esco da quell’esperienza rafforzata, lui sarà veramente il mio uomo. Ora la vera domanda a me stessa è; vuoi tu, Wilma, che l’uomo della tua vita sia tuo figlio Manlio?
Se mi rispondo sì e se veramente tu diventi il mio uomo, dovrò avere molta forza per tenere in piedi questa baracca che tutti e due amiamo; anzi, siamo in tre ad amarla profondamente. Se mi dico sì e tu vieni meno, la depressione è l’unica prospettiva.”
“Io posso solo dirti che ti amo alla follia, che ti voglio e che schiaccerò tutto quello che si frappone fra me e te. Tu decidi per te.”
“Hai qualche idea per dove andare se decidiamo di affrontare questa strana, assurda prova di forza?”
“Sì, il ‘Cocorito’ di …; è lungo l’autostrada, si raggiunge in poco tempo, è un posto raccomandabile e puoi farti passare tutti i ghiribizzi che vuoi. Però si accede su prenotazione e tesseramento.”
“Sei in grado di assicurarti tessera e prenotazione?”
“La tessera ce l’ho già; per la prenotazione, a me basta una telefonata. Con o senza cena?”
“Tu che preferisci?”
“Io, la mia donna, la porto a cena, prima di andare a giocarmi il dopocena.”
“Per il vestito?”
“Lascia fare a me; non serve molto a una donna bella come te.”
“Adulatore!”
“Io dico solo parole di verità, perché tu sei veramente assai bbbbona.”
“Lo sai che sono oltre gli … anta?”
“Lo sai che le sciacquette ti fanno un baffo? Basta! Sei bona, sei bella, sei elegante, sei la mia donna ed io ti ostenterò come la mia più recente, la più difficile e la più importante conquista, parola di siffredi de noantri!”
“Ah, già; io però mica l’ho mai visto, sto Siffredi di casa mia … ”
“Perché, io la Moana Pozzi di casa?”
“Alla serata del privè?”
“Sperando che non tardi molto.”
“Guarda che la prenotazione la fai tu … ”
“Ti sei cambiata le mutande stamane?”
“Perché?”
“Perché ho bisogno di masturbarmi o do di matto!”
“Non credi sia meglio se ti masturbo io, così non sporchiamo un altro capo delicato?”
“Le tue decisioni sono ordini per me, amore!”
Ho deciso; andiamo insieme in bagno e gli abbasso i pantaloni della tuta; quello che mi balza in faccia è veramente la dotazione di Priapo, un arnese meraviglioso; mi pento di avergli promesso solo una masturbazione; ma, d’altro canto, non voglio affrettare le cose; mi metto alle sue spalle, gli premo le tette sulla schiena e il ventre contro il sedere, con la destra afferro il sesso e con la sinistra gli reggo i testicoli, due susine enormi e pelose.
Mando la mano avanti e indietro e l’asta si rizza finché la cappella diventa viola.
Gli bacio il collo, la nuca e le orecchie mentre manipolo lussuriosamente il membro; la vulva comincia a colarmi abbondantemente; strofino il monte di venere contro il coccige e lo sento vibrare di piacere fino a che dall’asta parte uno schizzo di sperma che sbatte in alto sulla parete del water, avevo mirato alla tazza, e freme quasi una decina di volte prima di scaricarsi del tutto.
Mi struscio ancora tre o quattro volte con la vulva prima di esplodere in un orgasmo furioso.
“Sono in paradiso!”
Mi dice; lo sposto da me appena in tempo, prima che mi baci come vorrebbe e come io per ora non voglio.
Lo pianto in asso e corro in cucina.
Il proposito di fare in fretta la prenotazione per il privè si dimostra illusorio un attimo dopo averlo formulato; per stare fuori io e Manlio da sabato sera fino a domenica mattina, bisogna innanzitutto attendere un sabato che Oreste deve passare fuori città per lavoro, altrimenti non possiamo con qualche credibilità lasciarlo solo a casa e andarcene a folleggiare; quanto meno apparirebbe stravagante e inusitato.
Ma si vede che effettivamente ‘audaces fortuna iuvat’, la fortuna assiste gli audaci, perché, quasi per volontà del destino, Oreste viene invitato a un convegno importante a Parigi per la fine del mese; tra viaggio e convegno starà fuori da venerdì a domenica.
Felice della notizia, per un attimo mi limito a gongolare dentro di me; poi, in un momento di resipiscenza, mi rendo conto che non sarebbe coerente con le nostre abitudini accogliere la notizia senza commentare e, sperando in cuor mio in un no, gli chiedo se desidera farsi accompagnare nel viaggio.
Mi dice che la trasferta non prevede accompagnatori, per cui gli oneri economici sarebbero notevoli; ma, a parte questo, mi confessa candidamente che preferisce fare questa esperienza da solo, non per abituarsi alla solitudine, ma per guardare a noi due con un po’ di distacco, visto che da un anno non abbiamo mai avuto occasione di allontanarci.
Sono d’accordo, non solo per la libertà che mi lascia, e mi accosto per baciarlo; non si tira indietro, anzi per la prima volta dopo molto tempo ci scambiamo un bacio di vero amore.
“Dovremmo ricominciare … “
Borbotta mentre si stacca; gli accarezzo il viso e desidero intensamente che tutto vada come spero.
Gli propongo, mentre è via, di andare con Manlio per il fine settimana alla casa al mare per arieggiarla; è d’accordo, anche se sa che non c’è telefono fisso e che le linee della telefonia mobile sono molto disturbate per cui non potremo sentirci come vorremmo.
Manlio effettivamente impiega solo un clic per fermare la prenotazione della cena e della serata; poi vuole accompagnarmi a fare shopping per comprare qualcosa di giusto per la serata.
Per prima cosa faccio scorta di perizoma, perché sono una patita di quell’indumento e mi piace averne tanti e diversi per forma, colore, combinazione; decide poi per un abito semplice e leggero, di seta, con un semplice fermaglio che lo lascia andare giù semplicemente sciogliendo un nodo e un paio di scarpe comode anche se con un tacco alto.
“Al resto provvede madre natura con la tua bellezza!”
Commenta mentre mi guarda vestita come sarò quella sera.
Siamo andati in un centro commerciale di un paese non molto vicino e la cassiera, che non ci conosce, dopo aver guardato me e ammirato lui, osserva.
“Signorina, le sta tutto benissimo perché effettivamente lei è molto bella e, mi perdoni, siete proprio una coppia meravigliosa.”
Quel figlio di buona madre non perde l’occasione per commentare.
“E’ solo una questione d’amore. Ora, se lei all’improvviso non si è innamorata di me, è l’amore tra me e Wilma che rende tutto bellissimo.”
La ragazza è sorpresa. Ma è pronta.
“Anche se lei è un gran bel ragazzo, il mio amore è solo per il mio fidanzato. Quindi, la bellezza qui la detta quell’amore tra voi due che chiunque vede a occhio nudo.”
Tiro un pizzicotto nel fianco di Manlio, da lasciargli il livido come quando era piccolo, arraffo in fretta i pacchi, pago e scappo via.
“Amore, perché scappi?”
“La smetti di fare l’imbecille? Non ancora ti ho detto che sono innamorata di te!”
“Però la ragazza ha detto che si vedeva a occhio nudo!”
“Ha detto anche che sei un bel ragazzo ed io ho tante perplessità … “
“Faresti l’amore con me?”
“Mai!”
“Ma se manca solo una settimana alla notte di nozze!”
“Quali nozze?”
“Ma come? Hai già dimenticato che sabato sarai la mia donna e potrò fare l’amore con te?”
“Ah … è vero … abbi pazienza e aspetta allora. Voglio arrivarci vergine alla prima notte!”
“Ma così mi fai morire; tutte le ragazze lo danno un piccolo anticipo …”
“Ma io no. Sta zitto e lasciami guidare, se no mi perdo.”
E’ da una settimana che mi fa vivere in questo stato di continua sospensione tra l’amore vero, quello dei ragazzini al liceo, e il desiderio di farmi possedere alla grande ogni volta che so che sta andando a masturbarsi per me.
Lui non lo sa, o forse lo immagina, che devo fare enormi sforzi io, per non chiedergli di fare l’amore, subito, adesso, qui, in questa macchina come ai tempi del liceo.
Per fortuna la strada fino a casa non è lunga.
Arriva venerdì e nel pomeriggio inoltrato accompagno Oreste all’aeroporto; sta già imbrunendo quando torno a casa; trovo Manlio che mi aspetta con una strana aria sorniona.
E' seduto nel salone, sul divano grande, con a fianco le scatole degli acquisti fatti.
Lo guardo sospettosa e interrogativa.
“Amore, pensaci! Il nostro impegno è per domani sera; abbiamo una serata vuota e libera e ti proporrei di utilizzarla come due innamorati che domani copuleranno e forse subito dopo si lasceranno; insomma, ti propongo di andare a cena, stasera, non per il tuo obiettivo di riscatto, ma per lo sfizio nostro di viverci questa momentanea libertà, di fare finta di essere i due innamorati che ha visto in noi la commessa e di comportarci proprio in quel modo. Ci stai?”
“Insomma, hai deciso che vuoi possedermi e te le inventi tutte; adesso i fidanzatini di Peynet con cena a lume di candela e poi a letto insieme?”
“Scusa, mamma, ho sbagliato a capire. Io pensavo che si stava creando fra noi una certa complicità e tu invece pensavi di usarmi per una tua rivendicazione personale. Mi dispiace che sia finita così ma è meglio non farne niente, la tua rivendicazione la attuerai un’altra volta, con qualcuno più disponibile.”
“Vuoi dire che domani non se ne fa di niente?”
“Cosa si sarebbe dovuto fare?”
“Tu mi accompagnavi a questo ‘Cocorito’, cenavi con me, te ne andavi a tornavi a prendermi quando ti chiamavo.”
“Io ho preso questo impegno?“
“No, tu pensavi di copulare con me prima che lo facessi con altri, ma io, mi dispiace, ho già deciso che con te non copulerò né ora né mai.”
“Bene, allora giustamente ti dico che devi rinviare il tuo progetto.”
“Quindi, che fai?”
“Mamma, sono maggiorenne e libero cittadino; faccio quello che voglio.”
“E con me?”
“Se vuoi, posso farti partecipare a qualche mia escursione.”
“Va bene.”
Prende il telefono e inserisce il vivavoce
“Ciao, Marina, ti va una serata con me e, forse, con mia madre?”
“Un menage a trois?”
“Non garantisco ma è possibile.”
“Amore, con te fino alla fine del mondo.”
“Allora passa dalla pizzeria e porta a casa nostra un paio di pizze.”
“Pizza, birra e tanto sesso?”
“Esatto!”
“Arrivo.”
Sono esterrefatta; la voce di Marina è quella di una mia amica e coetanea, sposata con Carlo, amico di Oreste e madre di Nicola e Francesco, amici di Manlio; la sola idea che quella donna stia per venire a casa mia per passare una notte di sesso con mio figlio mi fa accapponare la pelle.
“Manlio, ma ti rendi conto?”
“Certo, mamma, sei tu che non ti rendi conto, quando parli; io so perfettamente cosa intendo dire; ti ho chiesto se volevi partecipare a una mia escursione e hai detto sì; ora io mi sono organizzato l’escursione con Marina. Se la cosa ti turba, anche se non so come possa turbarti, rispetto a quello che avevi in mente per domani sera, tu non devi fare altro che ritirarti in camera tua; ti consiglierei di usare i tappi per le orecchie; io e Marina siamo molto rumorosi quando copuliamo.”
“Quindi non è la prima volta?”
“Mamma, ti prego, informati prima di parlare!”
Marina arriva puntualmente dopo un quarto d’ora; io mi sono già ritirata nella mia camera e aspetto la telefonata di Oreste che tarda ad arrivare.
Non si trattengono molto in cucina; il tempo di tagliare in tranci la pizza e portare tutto nella camera di lui; poi comincia una sarabanda che non avrei mai immaginato; non resisto alla tentazione e mi affaccio nel corridoio; la porta è letteralmente spalancata e li vedo sdraiati sul letto che mordono alternativamente la pizza e se stessi.
Marina ha un corpo invidiabile; grandi tette, fianchi larghi, bocca carnosa, da fellatio, come dice a un certo punto Manlio, vulva rasata e carnosa, con un clitoride bello grosso che emerge dalla vagina e che Manlio va spesso a mordicchiare alternandolo alla pizza.
Lui lo scopro per la prima volta e sbalordisco davanti a quell’asta che avevo appena intravisto e che adesso mi appare in tutta la sua magnificenza; senza neppure rendermene conto, la mia mano è scivolata nel perizoma e mi sto masturbando; godo con lunghi e rumorosi gemiti; si girano e Marina mi esorta.
“Dai, Wilma, entra, goditi anche tu questa meraviglia della natura. Come si fa a resistere a un membro così?”
“No grazie!”
Balbetto e, farfugliando ancora qualcosa, mi ritiro spaventata in camera mia.
Passano però solo pochi minuti in cui riesco a malapena a distinguere lo schiocco di qualche bacio e leggeri gemiti di piacere di lei; poi sembra scatenarsi l’inferno; la testiera del letto picchia violentemente contro la parete accompagnata dagli urli e dai gemiti di lei, dai grugniti animaleschi di lui.
Mi risuonano in testa, mi rimbombano nel ventre, nella vulva, mi scatenano orgasmi; urlo anch’io, di godimento, di rabbia, di esasperazione, non lo so di che cosa.
Dopo un urlo più feroce degli altri, Marina zittisce di colpo e singhiozza; mentre cerco di capire, una fitta più violenta alla vulva mi fa lanciare un urlo che pare di dolore intenso; improvvisamente mi appare Manlio, nudo, col maledetto eterno membro eretto, che mi chiede ansioso se sto bene; lo rassicuro che è stato solo un orgasmo.
“Perché non vieni di là e fai un poco d’amore, quello che preferisci, anche tu con noi?”
E sopraggiunta anche Marina, che mi sollecita a gesti di andare con loro.
“Possibile che non vogliate capire? Io non posso, non voglio e non devo innamorarmi né di Manlio né del suo sesso. Se solo lo assaggio, so che non riuscirei più a farne a meno; e ormai è chiaro che in certe cose divento incontrollabile; non voglio rischiare di fallire anche come moglie.”
Marina mi guarda quasi con pazienza.
“Wilma, se ti privi di una cosa, ne accresci il desiderio; se te ne sazi, forse riesci a controllare il desiderio. Lasciatelo dire da una che ci è passata.”
“Ma qui si parla di mio figlio!”
“Mamma, ancora insisti a farti fonte della verità e non accetti di imparare niente.”
“Wilma, io mi sono fatta possedere per anni da entrambi i miei figli ed anche dal loro migliore amico, tuo figlio. Scusami se lo dico, ma il mio matrimonio è assai più saldo del tuo, che continui a farti inutili scrupoli bigotti.”
“Ma come puoi parlare così?”
“Io amo i miei figli, ed anche il tuo, proprio e soprattutto perché li ho amati e li amo anche fisicamente. Lo stai vedendo e hai capito bene; ogni tanto mi faccio dare una ripassatina da Manlio ma anche dai miei ragazzi e li preferisco di gran lunga a qualsiasi bull o caprone che si voglia. Non so se tu ami davvero tuo figlio, visto che alla fine ti genera solo paura per qualcosa che con sconosciuti faresti senza pensarci. Il problema però è solo tuo. Se ti va, riflettici.”
I due sono tornati nella camera di lui e vedo Marina inginocchiata a quattro zampe che offre il sedere maestoso al sesso di Manlio. Lui si abbassa fino a raggiungere l’ano con la lingua e comincia a leccarla; la sento gemere e sussurrare continuamente.
“Sì, ancora, fammi rilassare.”
E scodinzola quasi di felicità; lui si solleva sulle ginocchia, appoggia il suo arnese infernale all’ano e comincia a spingere. Marina urla indicazioni opposte.
“Fermati, maledetto, mi squarci il ventre … No. Non ti fermare, spingi, forte, fino in fondo, aprimi tutta … fermati, fammi respirare … ecco, riprendi. Sbattimi fino a farmi morire … Godimi dentro … gooooodooooo …. Oddio, come sto godendo.”
E urla, urla da fare spavento, temo che stia svegliando il condominio. Sono stordita, frastornata, eccitata, esasperata; voglio quella mazza, voglio che mi sbudelli; quel sesso è mio da quando è nato, ho diritto a prendermelo, lo voglio ad ogni costo.
Cerco di avvicinarmi, di portare una mano su quel monumento all’amore; Manlio delicatamente mi fa segno di attendere; le sbatte il ventre contro il sedere con forza inarrestabile finché lei rovescia gli occhi fino a far vedere solo il bianco, apre la bocca per urlare ma non emette nessun suono poi si scatena in un urlo da sirena che rompe il silenzio della notte per tutta la strada e spara dalla vagina uno spruzzo enorme di liquidi.
Solo a quel punto, Manlio distende il ventre e si rilassa, si sposta un poco dalla schiena di lei e lascia che la mia mano si accosti alla base del suo membro; quando riesco a prenderlo con due dita per tutta la circonferenza, comincia a muoversi avanti e indietro in quel sedere dilatato, teso che sembra debba lacerarsi da un momento all’altro, grondante di liquidi strani.
Lentamente lo lascia scivolare fuori.
“Non ti azzardare a tirarlo via. Masturbalo senza togliermelo dal retto, per favore.”
Marina ha intuito tutto e mi avvia al rapporto a tre che aveva proposto all’inizio.
A un tratto, è lei stessa a sfilarsi dal sesso e a piombare sul lenzuolo quasi affranta.
“Adesso, se vuoi, è tutto tuo.”
In un altro momento, mi sarei inalberata perché mi concedeva qualcosa che io so che è mio da sempre; ma adesso capisco che non si risolve niente con le polemiche e mi limito ad accomodarmi inginocchiata davanti a Manlio, gli stringo il sesso, sempre alla base, con tutta la mano, gli passo l’altra dietro la testa e avvicino la bocca alla sua.
Per la prima volta, sento il sapore delle sue labbra e me ne innamoro, poi la sua lingua scivola nella mia bocca e mi sento ubriaca d’amore, di voglia, di lussuria, di sesso. Le tette mi si gonfiano da farmi male; i capezzoli, stretti nel reggiseno, sembrano volerlo bucare, tanto sono duri; il ventre mi si agita e mi rintrona come se avessi le viscere in rivolta e alla fine godo senza accorgermene; senza che abbia fatto nient’altro che baciarlo, dalla mia vagina secrezioni dense mi scorrono nel perizoma, lo inondano, lo riempiono come quando Manlio ci eiacula direttamente; sospiro, gemo e mi lamento; arrivo a sussurrare ‘ti amo’, ma per uno strano gioco di echi, lo sente Marina sdraiata sotto di me, ma non lui con la bocca sulla mia.
“Ripetilo, per favore, ripetilo, per il vostro bene; faglielo sentire; sta aspettando da anni.”
Stacco la bocca quasi facendogli male e glielo urlo.
“Ti amo, ti desidero, ti voglio, voglio essere tua, voglio che tu sia mio … ti amo …. Ti amo … ti amo …”
Sto piangendo mentre lo urlo, lo dico, lo mormoro, lo sussurro come un mantra.
Mi stringe a sé con una forza che non ho mai sentito in nessun abbraccio, mi bacia su tutto il viso; lecca le mie lacrime dal volto, la mia saliva dalla bocca, le mie orecchie, il mento, le guance, mi lecca tutta, mi bacia tutta, sento che mi ama completamente, sento che le parole non servono.
Ho ancora il suo sesso stretto in mano e so che devo decidere che cosa farne.
La prima idea è baciarlo ed è quello che faccio.
Marina, che ha intuito, si sposta ed io spingo Manlio sul letto, prima su un fianco, poi supino e mi abbasso su quell’enorme omaggio all’amore; comincio a baciarlo leggermente sul frenulo; infilo la punta della lingua nel meato, lo stuzzico e, visto che vibra di lussuria, ripeto spesso il gesto; poi sposto la lingua sulla cappella e la percorro tutta; non so dire quanto tempo mi ci vuole per accarezzare con la lingua tutto il sesso, dalla punta alla base, in tutti gli anfratti, in tutte le pieghette, lungo tutti i canalicoli; so però che lui regge alla grande, anche quando infine lo prendo in bocca e un fremito intenso di lussuria percorre tutto il suo corpo.
Mentre lecco l’asta delicatamente tutto intorno e dall’alto in basso, per tutta la superficie, la mia vulva palpita come impazzita disseminando umori vaginali per tutti i vestiti che ancora non ho dismesso e che in breve sono largamente bagnati; quando lo faccio entrare in bocca, l’orgasmo mi esplode violento e bagna persino il letto; quando, scivolando tra lingua e palato, percorre tutta la cavità fino all’ugola, gli orgasmi sono leggeri e successivi e determinano una continua colatura di umori lungo le cosce.
Quando infine, decisamente incosciente, lo affondo fin dentro l’esofago combattendo principi di soffocamento e conati di vomito, ho quasi la sensazione che l’utero si stacchi dal ventre e se ne vada per conto suo.
“Piccola incosciente, vuoi soffocarti? Non c’è bisogno di farlo entrare tanto, il piacere è enorme anche se mi succhi solo la punta.”
Lo guardo con rimprovero.
“Neanche una fellatio posso farti, a modo mio?”
“Scusami, è stata un’istintiva paura che ti facessi male; io voglio il tuo bene, non il tuo male.”
Marina interviene riprendendosi.
“Mi pare che di bene gliene fai parecchio, visto che mi avete messa nell’angolo e dimenticata.”
“Non è vero; il momento più bello è stato masturbarlo mentre era nel tuo retto!”
“Allora, ricambiami e fammelo succhiare mentre ti sfonda la vagina.”
Rimango interdetta; questa non me la aspettavo, ma è la conclusione più logica e, quindi, più giusta.
“Ti va di prenderti la tua donna?”
“Marina, mi spiace ma devi rinviare il tuo desiderio; stavolta voglio entrare nella vagina della mia donna guardandola negli occhi mentre lo facciamo, senza violenza, senza fretta; un altro giorno avrai tempo per leccarmelo mentre la possiedo.”
Non lo avrei mai ammesso ma ero disorientata; Manlio mi toglie delicatamente i vestiti, mi fa stendere supina e mi monta addosso, favorito dall’altezza che è quasi la stessa, fronte contro fronte, piedi contro piedi; con le mani appoggia delicatamente la cappella alla vulva ed io sento questo enorme bastone di carne penetrarmi delicatamente in vagina avanzando a piccole spinte che spostano il sesso di pochi centimetri, mentre il bacino, con la parte ossea e con quella muscolare, mi massaggia il pube e il ventre, sollecitando specialmente il clitoride stretto tra noi due.
Gli orgasmi si succedono agli orgasmi e non riesco a contarli finché arriva quello grosso, potente, che mi lascia senza fiato per un poco.
“Sei un gran figlio di troia, però. In tanti anni che mi possiedi, mai una volta l’hai fatto così.”
“Marina, su questa vulva ho consumato ettolitri di sperma, milioni di masturbazioni, anni di attese e di speranze; ora che posso sentirla mia, voglio darle l’amore che a tutte ho fatto provare ma che solo a lei devo dare tutto intero, voglio sentirmi completamente suo e voglio sentirla completamente mia. Questa penetrazione e quest’orgasmo non li dovrò dimenticare mai più e spero che neanche Wilma li possa dimenticare mai più.”
“Se riesce a dimenticare, è un mostro; questa è la più profonda, la più intensa, la più alta, la più nobile penetrazione che un sesso abbia realizzato in una vagina. Questo è quintessenza dell’amore.”
Non riesco neanche a pensare; sto affogando in un lago di miele profumato alla cannella con sentore di cioccolato; forse sono nell’Eden o, se ho sbagliato tutto, sono una delle uri del paradiso islamico. Sono in una nuvola, sono nell’amore puro. Sto aspettando solo che qualcosa succeda a riportarmi sulla terra. E quel qualcosa è l’orgasmo che mi stronca all’improvviso, quando la cappella è arrivata all’apice dell’utero e mi sbalza dal letto di una ventina di centimetri.
Nello stesso momento, spruzzi di sperma mi colpiscono il martoriato utero e, a ognuno che esplode dentro, corrisponde un nuovo orgasmo che mi squassa tutto il basso ventre.
“Dio che godimento, lo sento perfino io da qui lontano. Mi devi una petit mort, amore mio!”
Marina è al settimo cielo. Ancora non mi riprendo; dopo qualche istante apro gli occhi e, con aria fanciullesca, domando.
“Cos’è una petit mort?”
Marina è pronta a rispondere.
“E’ quello che stai attraversando. Ti senti resuscitata? Ecco, per i francesi un orgasmo bello, grande, intenso, definitivo è come una piccola morte perché ti fa perdere i sensi e poi ti fa svegliare in paradiso. Bene, ragazzi, la serata è stata intensa e meravigliosa; ma ora che vi siete ritrovati, è giusto che io tolga l’incomodo. Avete tante cose da dirvi e, spero, avete tantissime cose da farvi.
Per favore, pensate positivo e, credetemi, l’amore è migliore e più forte di qualsiasi altro valore, sentimento o emozione. Fare l’amore allunga la vita; e voi ne avete, di vita recuperare. Buonanotte e arrivederci presto.”
Non mi aspettavo un’uscita così affettuosa ed elegante di Marina; stranamente, ma solo per me, ho dimenticato tutte le colpe che il mio integralismo le attribuiva; ho persino fatto l’amore anche con lei, quasi; ma ci possiamo rifare; adesso sono con l’uomo che mi ama di più al mondo e che sto imparando ad amare con tutta me stessa come l’unico al mondo che posso amare.
Sono sempre disorientata, è una condizione che forse non abbandonerò mai, ma almeno di una cosa sono certa; voglio il membro di mio figlio, posso anche dirlo, per quest’ultima volta, e lo voglio sempre, dappertutto, comunque. Voglio che mi possieda in tutti i momenti, in tutti i buchi e anfratti, in tutti i modi che crede, anche i più assurdi. Lo voglio, e basta.
Mi accoccolo sul suo petto, a mani unite, col suo meraviglioso sesso che si struscia sul mio ventre, sopra le mie cosce; lo prendo in mano e me lo passo dovunque può arrivare; scivolo verso il basso e lo prendo in bocca; poi mi giro e mi pianto coll’ano sulla sua asta; lo voglio nel retto, adesso, anche se so che richiede preparazione.
Glielo dico apertamente; più o meno come gli avevo visto fare con Marina, mi sistema in modo che il mio ano, stando io rannicchiata in posizione fetale, gli si offra davanti alla bocca; divarica le natiche e la sua lingua comincia e lambire le pieghette.
Mentre mi lecca, borbotta.
“Che cosa vuoi fare domani? Io me ne starei anche volentieri a casa a copulare all’infinito.”
“Io invece vorrei ancora affrontare il rischio di quel riscatto famoso.”
“Ti rendi conto che, comunque vadano le cose, hai perso?”
“Perché?”
“Che cosa speri di ottenere?”
“La soddisfazione di rifare il percorso senza danni.”
“Cioè, tu torni semplicemente a farti possedere ancora e neppure dagli stessi.”
“Sì, ma dimostro che non ero stata io a sbagliare!”
”Primo quesito; a chi lo dimostri?”
“A me stessa.”
“Ma tu ti sei già assolta ampiamente con te stessa, anche se non è proprio vero che eri innocente. Chi sarebbe il colpevole?”
“Tuo padre, che mi ci ha portato e non mi ha saputo trattenere quando ho sbroccato.”
“Quindi, se domani ti ci porto io e tu sbrocchi, la colpa è mia!”
“Certo!”
“Perfetto! Ora tutto è chiaro. Ecco un ottimo motivo per non portarti da nessuna parte.”
“Ma guarda che non è necessario che mi ci porti tu; posso andarci anche da sola, basta il navigatore.”
“Sai che ci vuole la tessera e la prenotazione?”
“E tu come hai fatto?”
“Cavolo, ancora non l’hai capito che sono un’autorità, nel ramo.”
“Allora dirò che dovevo andare con te e non hai potuto.”
“Credi di poter raccontare fandonie a miei amici?”
“Senti, fatti gli affari tuoi. Io domani vado dove devo andare e tu te ne stai con le tue puttane!”
“Giuro che domani mi scoperò a sangue la più puttana di tutte, la farò finire all’ospedale e lei mi verrà ancora a cercare per farsi sbattere.”
Applaudo ironica.
La sera del sabato, alle 23, attivo il navigatore con l’indirizzo, indosso la mise che abbiamo scelto e parto. Ho saltato la cena e mangiato solo un tramezzino; alle 23, 30 arrivo sul posto, parcheggio e vado spedita all’ingresso.
C’è un tale in maschera; dico che vengo da parte di Manlio; fa una telefonata e mi lascia passare.
Un altro ragazzo, alto, ben piantato, mi accompagna in sala e chiedo della pista da ballo; mi guida e, sul posto, lo prendo per un braccio e mi stringo a lui; ha un membro solido, immenso, mi ricorda quello di Manlio, ma è più dolce; me lo appoggia fra le cosce, attaccato alla vulva, e comincia a strusciarmi con tutto il corpo su di sé; il primo orgasmo arriva a razzo e altri tre in rapida successione; prima che arrivi il quinto, lo prego di fermarsi perché non ce la faccio quasi.
Prende a ballare quasi regolarmente e, dopo un poco, sono io a cercare lo strusciamento sul fallo in cerca degli orgasmi che arrivano a ripetizione. Finché mi sento male e gli chiedo di farmi sedere a prendere fiato. Con voce strana, meccanica, cerca di rassicurarmi che è cosa passeggera; gli chiedo se è la sua voce; mi risponde che è la maschera, imposta per quella sera, a deformarla. Non appena mi sono ripresa, gli chiedo di accompagnarmi a visitare le varie sale.
La prima è quella delle semplici copule; vorrei quasi andar via, quando mi prende la mano, se la porta sul sesso ed io ci ripenso; faccio scivolare il vestitino su una sedia e lo spingo sul letto.
Come avevo previsto, ha un pene enorme e me lo ritrovo in vagina prima di essere riuscita a guardarlo bene; dopo una mezz’ora di monta e cinque miei orgasmi possenti, ha ancora il sesso duro; e non è venuto; si stende supino, m’invita e cavalcarlo e, all’ultimo momento, la mazza mi penetra con violenza nel retto; urlo con quanto fiato ho in gola, ma le pareti sono insonorizzate.
Quando si muove nel retto, comincio a provare un piacere intenso e profondo e sono io a urlargli adesso di spingere più a fondo, di violentarmi, di sfondarmi.
Mi pompa ancora per circa un’ora, ho il sedere che mi duole e mi brucia, sul letto sono visibili tracce di sangue, segno che mi ha lacerato qualcosa; ma non mi arrendo e gli chiedo di possedermi ancora; mi fa cambiare posizione e mi penetra nel retto con più violenza e più profondamente; passa poi a penetrarmi in vagina e mi martella per moltissimo tempo.
Ho goduto tanto che non ho la forza di andare avanti.
“Basta, basta, basta, non ce la faccio più!!!!”
Urlo a perdifiato.
“Ma stai davvero male?”
“Cavolo! Ma non vedi che sanguino dalla vagina e dal retto?”
“Nessuno ti ha spiegato che c’è il bottone di emergenza? Eppure si vede; è la, è enorme. Perché non l’hai premuto? Noi se non chiedono aiuto i clienti non ci fermiamo perché molte donne vogliono proprio quello. Hai visto le sale sadomaso?”
“Che diavolo è il sadomaso?”
“Per Dio, sei così ignorante che non conosci il sadismo e il masochismo?”
“E ci sono sale dove si fa sesso facendosi del male?”
“Le vuoi visitare?”
“No, no, voglio solo andarmene a casa mia. Accompagnami fuori!”
Mi tampona le ferite all’ano e alla vulva, non molto gravi per la verità, e mi suggerisce di andare all’ospedale.
“Già! E poi come spiego le ferite?”
“Non sei tenuta per niente a spiegare. Il sadomaso è assai diffuso fra le coppie normali e gli ospedali ne ricoverano spesso di persone con queste ferite. Scusa, sai, ma tu non capisci proprio niente di sesso. Chi ti ha consigliato di venire qui dove il sesso è quasi un’arma?”
“Nessuno; ho voluto togliermi una curiosità.”
“Sei sposata?”
“Si; perché?”
“Perché per un po’ di giorni avrai difficoltà a sederti, a orinare e a defecare; tuo marito se ne accorgerà certamente e, se non era al corrente, saranno cavoli tuoi!”
“Appunto, sono cavoli miei; accompagnami all’uscita!”
Raccolgo il mio vestito e il perizoma e ci dirigiamo alla macchina. Quando provo a sedermi alla guida, i miei urli arrivano alle stelle.
“Calma, diamine, non sollevare scandalo, per favore.”
“Ma io ho male!”
“Ma se nessuno ti ha obbligata a venire, perché ci sei venuta?”
Chiama una delle guardie.
“Informati chi è responsabile per la signora.”
“Non c’è bisogno, sono qui per conto di Manlio.”
“Cavolo, ma lui adesso qui non c’è; devo accompagnarti a casa; senti tu, avverti alla reception che la signora di Manlio ha bisogno di accompagnamento a casa e che ci penso io. Ciao.”
Mette in moto e attiva il navigatore; mi sono appoggiata allo schienale e tendo ad appisolarmi.
“Ti dispiace se mi appisolo un attimo?”
“No, dormi pure serena, sei in ottime mani.”
La voce è cambiata e si è tolto la maschera ma non sono in grado di riconoscere niente; sono tutta immersa nel dolore che mi sale dalla vagina e dal retto e, finalmente, le considerazioni della maschera prendono corpo; come spiegherò a Manlio, ma soprattutto a Oreste, l’ano e la vulva dilaniati?
Con Oreste posso anche cavarmela, visto che sino a sabato prossimo non mi penetrerà e, alla fine, un turno riesco a farglielo anche saltare.
Ma Manlio lo saprà certamente dalle maschere, soprattutto questa che mi ha violentato e mi sta accompagnando. Ma guarda quest’impunito; prima mi squarta retto e vagina, poi mi fa anche il favore di accompagnarmi. Sì è vero che l’ho voluto io e che non sapevo niente del sadomaso e dell’allarme, ma lui è stato proprio un violento. E pensare che Manlio me l’aveva detto.
Uffa che palle! Tutti mi dicono, tutti sanno ed io ci faccio sempre la figura della scema. Le lacrime non sono previste, ma non posso fermarle. Che cogliona! Tanta sicumera; tanta presunzione; gliela faccio vedere io! E adesso? Ano e vulva lacerati, mio marito che certamente vorrà divorziare, mio figlio che se ne andrà di casa. Che posso fare, dio mio? Che posso fare? Che cavolo serve piangere? Ma io ho bisogno di piangere, adesso!
Sono nella cacca, mi ci sono tuffata felice a testa in giù e ora non so più uscirne! Però, che grande mazza, questo qui; peccato che io sia tutto un dolore, se no una sveltina me la farei proprio. Ma che cavolo sto dicendo? Io sto per affogare e penso alla sveltina? Dio, Dio, aiutami. Non riesco assolutamente a ragionare, che posso fare?
Devo aver parlato ad alta voce perché l’auto si ferma e l’altro mi chiede se voglio andare in ospedale.
“No, no, ho detto no; all’ospedale non ci vado!”
“Controlla se c’è ancora emorragia; non ci tengo a rischiare l’omissione di soccorso, mamma!”
“Mamma?????? Che cavolo?!?!? Tu mi hai fatto tutto questo?”
“E ringrazia dio che mi sono fermato; avrei voluto farti assai peggio; e te lo avrei anche fatto, ma poi ho capito che la tua è solo stupida presunzione; e, soprattutto, mi dispiaceva per quel poveretto che non si decide a divorziare perché ti ama. Io ormai non sbavo più per te e, come hai visto, non ho e non avrò nessuna pietà. Se sei sempre convinta di essere la più brava e la più forte di tutti, ricordati che sono tuo figlio e che da qualcuno devo pure avere preso la mia arroganza e la mia sicumera.
Se invece, ancora una volta, sei pronta a fare marcia indietro come hai fatto spesso in questi giorni, rivolgiti a chi ne sa più di te, impara a chiedere aiuto e forse potremo ancora farci qualche bella copula, meno violenta e aggressiva. Adesso andiamo a casa e cerca di tirarti su prima che tuo marito ti trovi così malridotta.”
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