Il Proiezionista
L’aria condizionata in sala si è fermata una ventina di minuti dopo l’inizio del film. La temperatura ha raggiunto almeno i quaranta gradi. E con chi se la sono presa in sala? con me.
In particolare una donna, avrà avuto quarant’anni. La sentivo sbraitare dal piccolo buco della cinepresa che divide la mia cabina di regia dalla sala, vedevo muovere la sua testa, i capelli neri e spessi, così mi sembravano da lontano in penombra, volteggiavano a destra e a sinistra come per cercare il responsabile della temperatura. Ci saranno state in sala quante persone? sì e no dieci.
Potevo vederli che si agitavano sulle poltrone, mi arrivava tutto il disagio mentre intingevo le mani nei pop corn con il burro. È una cosa che Ettore, il mio capo, odia. Dice che lascio le impronte ovunque, ma me piacciono e mi piace che a lui dia fastidio. Attesi un po’, ad Agosto resto sempre solo a lavoro. Al terzo intingere le mani nei pop corn, quindi direi dopo cinque minuti, la donna si alzò.
Era facile prevederlo.
Due coppie anziane, una famiglia con figli di che età? dodici o tredici anni, un vecchietto e poi una coppia di amici sui trenta, questi gli spettatori, più la donna con i capelli neri ovviamente. Quando li ho visti entrare tutti in sala ho intuito subito la fragilità di lei dai movimenti. Non che sia diventato un profiler di donne fragili facendo questo lavoro, ma sola, di sabato pomeriggio, bella, vestita con una canottiera che le strizzava il seno tipo quello di una ragazzina ventenne e una gonna da cui uscivano due gambe sode e abbronzate con la pelle che senti l’odore di buono a distanza chilometrica, beh sprizzava solitudine e fascino da tutti i pori.
Con quel viso poi che ricordava Cleopatra.
Si alzò di scatto, muovendosi nel corridoio a passo lungo con i capelli e la gonna che salivano e scendevano seguendo il ritmo del corpo. Alzò la voce ma non capii, si toccò i capelli mentre procedeva verso l’uscita. L’anziano solo disse shhh stizzito, ma la guardò più del dovuto di chi vuole solo redarguire. Lei si muoveva così naturale, incurante del mondo intorno se non del suo fastidio; le tremava la carne potevo vederla, contrariata da quello che tutti tacevano, vibrante di una complessità rara. In effetti il caldo era atroce e iniziava a farsi sentire pure qui da me. Avevo persino io la pelle bagnata e la camicia slacciata fino a sotto il petto, ma non sortiva alcun effetto rinfrescante.
Sentii sbattere la porta d’uscita della sala. Il rumore venne attutito dalla tenda di velluto rossa, l’ombra di lei non c’era più e ripensandola mentre saliva per il corridoio della sala pochi istanti prima, devo dire era erotica anche la sua ombra, nei movimenti, nella presenza. Come se le sue forme seguissero la logica del desiderio disegnate dai capelli come squame di sirena.
Sentii di nuovo la sua voce e trasalii, rimbombava anche fuori dalla sala, ma questi incapaci dove sono? si muore di caldo, disse.
Ci siamo pensai.
In sala nessuno si mosse. La immaginai percorrere il corridoio d’uscita fino al bivio dove invece di seguire la parola “exit” avrebbe preso per il corridoietto con la scritta “regia”. Immaginavo i suoi capelli spessi come fili di ferro battuto avvicinarsi, il seno bagnato di sudore come anche la parte interna delle cosce. Spinsi la mano nel secchio di pop corn burroso e ne mangiai quattro per poi succhiarmi le dita. Il suo interno coscia, la parte interna dell’inguine che prende quel rossore per via dello sfregamento quando si cammina, che ha l’odore denso e selvaggio anche nelle donne più pulite.
Ora dovrebbe bussare. Contai il tempo necessario dalla sala alla cabina di regia e, infatti, bussò.
Lasciai passare qualche secondo immergendo la mano nei pop corn. Questa volta dopo averne mangiati tre non mi succhiai le dita.
Aprii piano per non far gridare la porta vecchia di cigolii di anni, mi parve di sentire subito l’odore del suo corpo mischiarsi al burro, odore di sudato pulito misto a crema idratante alla vaniglia avrei detto. La vidi la sua pelle aprendo tutta la porta, bianca luminosa brillava anche sotto la luce artificiale della cabina e gli occhi neri le si schiusero in uno sguardo di rimprovero.
Le dissi prego entra, sono costernato. Lei non si mosse e le dissi è per l’aria condizionata, vero? Ora cerco di risolvere e lei disse no che non entro, falla ripartire o ci ridate i soldi a tutti.
Fece un movimento con le labbra color ciliegia, un movimento come un fiore quando sboccia e lo guardi in time-lapse. Fu in quel momento che le presi il polso. Fece resistenza. La tirai a me e lei finì all’interno della mia cabina di regia e io con l’anca diedi una botta al vassoio con sopra gli snack per la pausa, traballarono tutti i pop corn e le bibite, senza cadere. La macchina da presa scaldava l’ambiente ancor di più che la sala, dove il film continuava ad andare.
Il suo polso era umido. Pensai di nuovo all’interno delle sue cosce. Strinsi il polso. Lasciami, disse due volte con le labbra che profumavano di ribes. Lo disse senza tirare il braccio ma restando ferma.
Mi allungai per superarla per raggiungere la maniglia, lei disse no che fai e io chiusi la porta. Sentivo l’odore di tutta la sua pelle, dei capelli con i balsamo al cocco, del leggero trucco polveroso. Sudore pulito, salato, potevo quasi gustarlo.
La spinsi con un braccio e le bloccai il collo alla porta assicurandomi di averla immobilizzata le spinsi l’avambraccio sotto il mento. Con l’altra mano, dopo averle liberato il polso, iniziai ad arrotolarle la gonna.
Sentivo i muscoli delle gambe rigidi ma il dorso della mia mano scivolava sulla sua pelle di porcellana, le dissi calmati lei disse no forzando la paura negli occhi neri dentro i miei. Sentivo di essere eccitato, la punta del pene mi bagnava i boxer. Le passai la mano tra le cosce. La pelle era liscia, senza sbavature e nell’interno coscia si concentrava sudore umido che mi fece rallentare, presi la mano e la portai al naso e la odorai tra burro e la sua crema idratante le dita erano unte e l’odore faceva venire fame di tutto.
Tornai nell’interno coscia mentre respirava a fatica, provò a spingermi ma era molto meno forte di me. Tra le gambe sentii che non portava l’intimo. Sentii di essere ancora più duro, il desiderio mi sembrava esplodesse in mezzo alle gambe, la pelle era tirata e potevo sentire le vene pulsare. Rischiai di venire quando la mano sfiorò i due lembi di pelle che penzolavano roridi. Non hai l’intimo dissi, ma spinsi l’avambraccio sul collo per non sentire la risposta. Le labbra grandi pendevano zuppe, iniziai a muovere la mano veloce, poi piano, poi veloce e sentii caldo quando le spinsi dentro tre dita e sembrò volesse risucchiarmele. Dentro e fuori passavo sul clitoride veloce e presto dalle cosce le iniziò a colare un liquido acidulo. Le misi la lingua in bocca e si dimenò, poi la prese, la succhiò e ci sputò sopra. Aveva inarcato la schiena e allargato le gambe per permettere alla mia mano di avere maggiore superficie.
Mi sputò di nuovo in bocca, mi fissava e credetti di venire. Sentivo i pantaloni esplodermi mentre lei muoveva le gambe alternando gridolini e versi profondi e aumentavo il movimento della mano e lei aumentava le grida. Poi si fermò. Io spinsi le dita dentro e mossi veloce il palmo della mano all’esterno, quando tirai fuori le dita, lei schizzò del liquido sui miei pantaloni, uno schizzo continuo a pioggerella e le tolsi la mano dal collo per abbassarmi pantaloni e boxer, la girai, aveva le gambe piegate dal piacere e fu tutto consumato in pochi istanti, le presi la vita e i muscoli distesi non si opposero. Quando le entrai dentro mi sembrò mi accogliesse il letto di un fiume in piena. Le baciai la schiena, le strinsi la pelle dei fianchi con le dita e spinsi veloce. Sentivo del liquido colarmi sul pube e sull’inguine e venni subito e i due flussi si mischiarono come miele mentre continuavo a baciarle la schiena stringendole il seno.
Uscii dalla sua carne e sentii scrosciare a terra tutto. Le gambe le tremavano ancora. Mi rivestii e lei si ordinò i capelli. Accendi l’aria disse, Ettore ti licenzia se ti becca o se lasciano una recensione di merda. Annuii. Ti aspetto a casa, ricordati che vengono a cena i miei, amore.
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