I segreti della notte
Vista dall’alto, la strada illuminata dai lampioni squarciava la notte della città.
Sul terrazzo del grande condominio dove abitavano, dietro alle lenzuola appese ad asciugare, Piero e Francesca compivano quello che, da ere immani, tutti i mammiferi compiono, e cioè copulavano. L’unico particolare per il quale Forse un poco si discostavano dalla norma, ma neanche tanto in fondo, era che Piero aveva 19 anni, mentre Francesca 41. Relativamente sicuri di non essere scoperti, avevano scelto un lato del grande terrazzo aperto sotto il cielo stellato, parzialmente nascosto dal gabbiotto dell’ascensore. Se qualcuno fosse salito fin lassù l’avrebbero sentito.
Intanto, lei temerariamente appoggiava ai gomiti sul bordo di cemento armato del parapetto, con le gambe teneramente allacciate a Piero, il quale faceva del suo meglio per reggerla e per spingersi dentro di lei. Erano pressoché vestiti, lui in maglietta ma con i jeans afflosciati sulle scarpe da ginnastica, Francesca con un vestito di cotonina chiaro a fiori, tirato quasi sotto il seno, le gambe nude e le ciabattine che calzava disperse sul cemento. Le mutandine nere, da tutti i giorni, appese ancora ad una caviglia.
Piero le teneva la testa tra il collo e le spalle, con le braccia stringeva forte quel corpo morbido, ben modellato, caldo sotto le pieghe di cotonina. La testa di lei, dai capelli neri, rovesciandosi oltre il bordo del balcone, oscillava avanti e indietro, contro l’oscuro corpo della città innumerevole di luci. Godeva della lieve sensazione di pericolo che le dava quella esposizione e insieme, della stretta di lui salda e salvifica. Oppure forse, all’inverso, godeva di quella stretta e quella spinta così dolci ed eccitanti ma che nello stesso tempo rischiavano di perderla irrimediabilmente in quell’abisso che si apriva sotto di lei.
Dietro le lenzuola lievemente oscillanti stese ad asciugare alla tiepida brezza, le due figure ancora allacciate sì scossero negli ultimi spasmi della loro passione. Lei strinse le gambe ancora di più attorno ai fianchi del ragazzo e se ne uscì con un lamento sottile e rotto. Anche lui, poco dopo, aumentando il ritmo delle spinte, giunse a un’ultima contrazione spingendo ancora più la testa sulle spalle di lei. Rimasero stretti l’uno all’altra ancora un momento, poi si sciolsero. Lei ritornò sul pavimento di cemento con i piedi nudi e cominciò a ricomporsi, lui fece altrettanto. Entrambi stavano in silenzio, due sagome nere contro il firmamento della città. I due, una volta ricomposti, si avviarono insieme verso la porticina dalla quale erano usciti. Lei estrasse dalla tasca del vestitino un sonoro mazzo di chiavi che brillò un attimo nella notte e cautamente lo introdusse nella toppa della serratura. Poco dopo la porta si aprì e le due figure abbandonarono il terrazzo.
Tuttavia quel terrazzo non era ancora deserto. Un’ombra finora immobile dietro i panni stesi si mosse e silenziosamente come era venuta si allontanò tra i lenzuoli. Poco dopo, un’altra serratura, nell’altro abbaino del terrazzo, ticchettò all’introduzione di una chiave. La porta si aperse gemendo, lasciò passare quella forma scura e si richiuse dietro di lei. Ondeggiante dei candori delle lenzuola stese, il terrazzo rimase finalmente deserto.
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