Come Lolita...

sesso italiano
4 months ago

All’inizio dell’ultimo anno di liceo conobbi Cristina. Era una ragazza siciliana che si era trasferita in Puglia con la famiglia per seguire il lavoro del padre, un medico in una struttura privata.

Nei primi giorni mi dava l’impressione di essere una tipa un po’ timida, ma sembrava in realtà per lo più scazzata dall’idea di dover conoscere nuovi amici e nuovi prof proprio nell’anno degli esami di maturità.

Io, che sono sempre stata abbastanza espansiva, provai subito ad esserle amica, anche forse empatizzando quel suo momento non facile. Diventammo compagne di banco e in poco tempo legammo molto. Scoprimmo anche di abitare relativamente vicine, e questa poteva essere un’ottima opportunità, sia per lo studio insieme che per i passaggi in macchina che si offrì di darmi. 

Perché Cristina veniva a scuola in auto, accompagnata ogni mattina da suo padre, che poi proseguiva per l’ospedale dove lavorava. La macchina, poi, non era mica un’utilitaria normale, ma una specie di transatlantico nero con i sedili in pelle e un odore di Arbre Magique al pino. 

Il padre di Cristina aveva circa l’età di mio padre. Era anche lui sui 50, ma decisamente portati meglio. Capelli brizzolati, fisico asciutto, sorriso candido e modi da signore. Aveva con la Cri un rapporto invidiabile. Scherzavano e giocavano di continuo, parlavano di tutto, qualche volta anche di argomenti sessuali. La cosa da un lato mi imbarazzava, perché io con mio padre proprio non riuscivo a parlare di sesso, dall’altro mi divertiva il modo leggero con cui affrontavano la cosa. 

Fu verso dicembre, che Cristina ebbe un incidente. Si spezzò tibia e perone dopo essere stata quasi investita da un motorino. Lo stronzo scappò via, lasciandola sul marciapiede bagnato di pioggia. 

Rimase in ospedale per un mese, dovettero metterle delle viti nella gamba e cose così. Io andavo spesso a trovarla e di tanto in tanto suo padre si offriva di riaccompagnarmi a casa. Ora, io lo trovavo molto affascinante, e l’idea di sedurlo come se fossi Lolita col professore mi faceva impazzire. Ma dal pensarlo al farlo per davvero ce ne passava. 

Così, quasi ogni giorno, io andavo a trovare Cristina e rientravo a casa con suo padre. Nel tragitto si chiacchierava tranquilli, quasi senza malizia, anche se nella mia testa si affollavano scenari porno in cui lui mi leccava la figa su un tavolo o io gli succhiavo il cazzo mentre guida. Ma no. Certo, però, forse nei suoi occhi leggevo qualcosa.

Una mattina, mentre ero a scuola, ricevetti un messaggio da Cristina che mi chiedeva il favore di recuperare da casa sua un po’ di biancheria pulita. Si vergognava un po’ a chiedere a suo padre di frugare nei suoi cassetti, perciò lo chiese a me. 

Andai quindi a casa sua quel giorno stesso, dopo pranzo. Salii in camera sua e come da istruzioni, iniziai a selezionare gli slip meno sexy e più comodi da portarle in ospedale. Spostavo con cura tutti i suoi perizoma in pizzo sul letto accanto all’armadio e in un sacchetto le mutande alla Bridget Jones. In quel momento venni interrotta dalla voce del padre, che per poco non mi faceva prendere un colpo.

“Quindi è questo, che indossate a quest’età?” gli sentii dire, mentre con due dita sollevava uno dei perizomi di sua figlia.

”Diciamo… diciamo di sì…” gli dissi, evitando il suo sguardo. Mi sembrò incuriosito. “Diciamo?” disse.

Gli accenno un sorriso. “Beh, sì… e se può consolarla, sua figlia è pure piuttosto casta“, gli risposi. Ma così, giusto per stuzzicarlo.

“Capisco… e tu? Anche tu lo sei? Che cosa indossi tu, invece?“. Mi chiese con quella sua voce calda che di punto in bianco mi ricordai di essere parecchio affascinata da lui.

Allora lo guardai, e senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, iniziai a sfilarmi lentamente le mutandine da sotto la gonna.

Mi avvicinai, gliele porsi: 

“Beh, oggi per esempio indossavo queste“

Nulla di super sexy. Una mutandina brasiliana bianca di cotone con gli unicorni. 

Lui rimase fermo per qualche istante, di fronte alla mia audacia, ed istintivamente dopo averle rigirate fra le dita, le portò al naso. E io un po’, qui, morii. 

“È anche meglio di quanto pensassi” disse, passandosi quasi senza pensarci, una mano sulla patta rigonfia dei pantaloni. 

E me ne accorsi eccome, io, che avvicinandomi un po’ di più a lui, ripresi le mutandine e gliele infilai nella tasca dei pantaloni, sfiorando appena il cazzo duro attraverso la stoffa.

“Può tenerle, se vuole, a me non servono più“.

Mi sorrise, placido, mi avvicinò una mano al viso, senza però effettivamente toccarmi.

L’atmosfera venne interrotta dallo squillare del mio telefono, era una chiamata di Cri, che mi chiedeva tra quando saremmo arrivati.

Ci avviammo così verso l’auto.

Il viaggio procedette silenziosamente, ma nella testa avevo un milione di immagini. Così decisi di girarmi verso di lui, con entrambe le gambe sul sedile e le ginocchia unite, lasciando così intravedere leggermente la mia nudità sotto la gonna.

“Sa, io ho visto, come mi guarda…”

Lui non distolse lo sguardo dalla strada, stringendo con più intenzione la leva del cambio, gesto che io notai immediatamente.

Allora avvicinai la punta delle dita alla sua mano lasciandole scivolare lentamente verso l’avambraccio.

“Ho visto l’effetto che le faccio“, sussurrai continuando a muovere la mano per arrivare al suo petto.

Lui non mi fermò e fa un sospirò: “E quale sarebbe, l’effetto che mi fai?“

Così scesi, fino ad arrivare portare la mia mano fra le sue gambe. 

“Questo…“, dissi stringendone l’erezione.

Il padre della mia compagna di banco ebbe un sussulto, ma non disse niente e non sembrò opporre resistenza a quel gesto così ardito.

Allora tornai seduta composta, senza togliere la mano da quel bel gonfiore. Anzi, guardando la strada davanti a me, gli abbassai lentamente la zip e lasciai scivolare la mia mano dentro i suoi pantaloni, afferrando il suo cazzo, ma senza tirarlo fuori.

Iniziai a masturbarlo lentamente, mentre il respiro di lui cambiava e si faceva più pesante.

Lasciai scivolare la mano con un ritmo cadenzato, potevo sentire i suoi umori che iniziavano a inumidirmi le dita, così decisi di concentrarmi sulla cappella, accarezzandola leggermente con il pollice e l’indice, mentre continuavo a segarlo piano.

Lui stava ansimando, potevo sentire il suo cazzo pulsare fra le mie mani.

Con la mano non impegnata, decisi allora di recuperare le mie mutandine dalla sua tasca.

Con non poca difficoltà gli sbottonai la cintura e il bottone dei pantaloni e gli tirai fuori il membro turgido.

Lo guardai per un momento. Era bello, venoso sulla grossa asta e la sua cappella era imperlata di piccole bollicine di umori.

“Voglio un ricordo di questo momento“, gli dissi, aumentando il ritmo della mano fino a portarlo al limite.

Avvolsi le mie mutandine alla sua cappella e continuai a segarlo fino a farlo scoppiare di piacere.

Potevo sentire la sua sborra, calda, colarmi fra le dita e ricoprire la stoffa delle mie mutandine.

Aspettai che i suoi spasmi di piacere si placassero e liberai la presa. 

Mi ripresi quindi le mutandine, impiastricciate del suo sperma e leccai ciò mi era rimasto sulle dita.

Eravamo arrivati nel parcheggio. Lui mi guardò senza parole. Io lo guardai e sorrisi, con quel ghigno malefico da troia felice, e decisi che era il momento di indossarle nuovamente.

Eravamo arrivati ben oltre l’inizio dell’orario di visite, ma a lui nessuno avrebbe fatto problemi. 

In quel momento sapevo che non avrei più guardato la Cri con gli stessi occhi, ma sapevo anche che con suo padre non sarebbe finita lì.

Racconto selezionato per il nostro archivio dalla redazione, scritto originariamente da: Se7enSinner

Linea Erotica Z