Il bocchino dell'orrore

erotikamente
5 months ago

Nell’approssimarsi di Halloween mi torna in mente quella volta che Laura si prese un bello spavento. Lo scenario era davvero da notte delle streghe. Eravamo passati al cimitero per rendere omaggio ai nostri cari, era un tardo pomeriggio di inverno. Mentre deponevamo dei fiori accanto alla lapide del padre di Laura, notiamo che il custode ci si avvicina a passo spedito.

“Non potete stare qua, l’orario di chiusura è già passato”. Effettivamente, guardandoci intorno in quel lungo corridoio spettrale e poco illuminato eravamo i soli. “Ci scusi” disse Laura e ci incamminammo verso le scale per uscire da quel colombaio sotterraneo. Ci incamminammo a passi spediti, che risuonavano nel marmo che ci circondava. Ad un certo punto sentimmo la voce stridula dello stesso guardiano: “Scusate”. E poi silenzio.. ci voltammo e vedemmo quell’uomo di mezza età, con i capelli unti e un ghigno inquietante sul volto che ci squadrava. “Dica” dissi io. E lui riprese, con lo stesso sguardo inquietante: “Ce l’ho con la signora”. Laura mi guardò dubbiosa. “Cosa ho fatto?” Chiese lei. “Venga, venga giù che glielo dico”. Si reggeva ad una scopa con la quale aveva ramazzato il pavimento di fronte alle tombe fino a poco prima. Ci avviammo indietro verso quell’uomo orrendo.

“Mi segua pure.. di qua”. Ci fece camminare lungo quel corridoio infinito e deserto. Mentre camminavamo dietro di lui, ogni tanto si avvicinava ad una colonna, prima dell’alto muro pieno di 8 file di lapidi, una sopra l’altra. Da dietro la colonna, spegneva le luci del tratto che avevamo appena percorso: “Stiamo chiudendo”, disse quasi a giustificarsi. Dietro di noi, man mano si faceva buio. Solo le piccole lucine dei ceri rossi che alcune famiglie lasciavano accanto alle lapidi faceva un po’ di luce. L’uomo ci fece entrare nell’ultima ala dell’ossario sotterraneo. Sul fondo vedemmo la fine del tunnel. Spense anche l’ultima luce. Rimanemmo al buio completo. “Mi scusi ma cosa sta facendo?” Chiesi. “Ora lo vedrai”, rispose con un ghigno satanico.

Prese la scala di ferro appesa ad alcune guide sulle pareti e la spinse a fondo con forza, causando un rumore terribile e sinistro. La scala si fermò quasi a fine corsa. “Avvicinati, puttana. Là, alla scala”. Per la prima volta l’aveva insultata. Non capivamo dove volesse arrivare. Laura si avvicinò alla scala nella penombra delle piccole fiammelle dei lumini dei morti. Il guardiano prese una torcia e illuminò una lapide. “SALI TROIA”. Secondo insulto. Laura salì la scala aggrappandosi al corrimano di ferro ripidissimo. Il guardiano si avvicinò ridendo e scosse la scala. Laura si mise a gridare, perdendo l’equilibrio. Cadde in basso di due gradini, strappandosi le calze di nylon, perdendo un po’ di sangue sotto al ginocchio. Mi avvicinai e dissi: “Ma cosa sta facendo?”. Mi arrivò un ceffone fortissimo in faccia. Capimmo che qualcosa stava andando male.

Il guardiano illuminò la lapide di nuovo. Era quella di un vecchio professore universitario di Medicina. Era stato nostro docente. Laura grazie ad un giovane assistente che si scopava, era riuscita ad arrivare al vecchio professore. Lo andava a trovare ogni giorno, nel suo studio in facoltà. Al professore piacevano le studentesse giovani e aveva una passione per il sesso anale. Laura ogni pomeriggio gli offriva il suo orifizio anale e finì per prendere 30 al suo esame, senza aver aperto il libro. Aveva sempre mantenuto una grande venerazione e riconoscenza per quel vecchio professore, al punto che quando lo andava a trovare, mi aveva raccontato di slacciare la camicetta e mostrare alla foto sulla lapide le sue tette come tributo post mortem. 

“Ti ho visto puttana, fargli vedere le tette a quel vecchio. Che schifosa che sei. Te lo scopavi?” E scosse di nuovo la scala. Laura rimase appesa per un braccio e iniziò a scivolare. Mi avvicinai per reggerla ma il guardiano mi sferrò un calcio negli stinchi tale che mi accasciai. “Rispondi puttana” e scosse la scala di nuovo. 

Laura cadde a terra da una bella altezza. Dopo essersi ripresa si alzò traballando e rispose: “Sì, lo scopavo”. Il guardiano si avvicinò, le aprì il cappotto, e le strappò il maglione e la camicetta. Le abbassò con forza il reggiseno, con una veemenza tale da graffiarla con le unghie sulla tetta di destra. Rise quel guardiano maledetto. Si voltò verso la lapide del professore: “Godevi eh, con sta mignotta. Ora ti faccio ricordare qualcosa, vecchio rincoglionito”. Laura gli disse con un filo di voce rotta dalla paura: “Non può sentirti”. Il guardiano si irritò e le strinse la vagina nelle mani. Stringeva le grandi labbra da sotto la gonna, a stretto contatto con le mutande. “Zitta cagna”. La spinse terra e Laura cadde in ginocchio. Le strappò le mutande e disse: “Me la preparo per bene sta figa adesso”. 

Il guardiano si avvicinò alla prima lapide vicina e prese il lumicino acceso nel porta lume in plastica rossa. Glielo ficcò a forza nella vagina. Ero lì a guardare mia moglie, orrendamente violata nella sua vagina da un lumicino da morto, ancora acceso. La fiammella si avvicinava e si allontanava mano a mano che il guardiano spingeva dai lati il piccolo cero nella sua figa pelosa. 

Conoscevo bene le espressioni di Laura e vedevo che iniziava a provare piacere benché si lamentasse del dolore. Ma mia moglie è così: piacere e dolore sono legati indissolubilmente per lei. Il guardiano prese il lumicino e lo tolse dalla vagina di Laura. Lo lanciò in mezzo al corridoio della trincea di tombe. Si slacciò i pantaloni e tirò fuori un pene enorme. Un po’ curvo ma gigante. La penetrò in breve tempo. Le iniziò a dare colpi fortissimi. 

Laura si lamentava ad ogni colpo, con la testa che sbatteva sul pavimento freddo di marmo in quel cimitero buio. Ad un certo punto il guardiano si avvicinò al viso di Laura, togliendolo dalla vagina e venendole in faccia. Uno, due, quattro, ben sei fiotti di sperma sul viso. Le mise una mano aperta sulla faccia, spalmandole bene la sborra sul viso. E poi disse: “Rivestiti cagna. Questo è un luogo dove bisogna portare rispetto. Si viene a pregare non a fare la troia. Guardati”. Se ne andò senza salutarci, tirandosi su la lampo dei pantaloni e accendendosi una sigaretta. 

Laura si avvicinò a me nel buio: “Aiutami. Sono piena di sperma e dolorante. Mi ha sfondata”. Lo avevo tirato fuori già mentre lui la stava sbattendo forte sul pavimento. Mia moglie si avvicinò a me, aggrappandosi al mio braccio in cerca di conforto. E si accorse presto però che mi stavo masturbando. Si appoggiò al mio petto. Sentivo i capezzoli contro il mio impermeabile. E soprattutto sentivo l’odore dello sperma del guardiano sulla sua faccia a pochi centimetri dal mio naso… stava piangendo dallo spavento. Singhiozzava forte. Mi faceva tenerezza così usata, sporca ed impaurita. Le misi la sinistra sui capelli, perché con la destra mi stavo ancora vigorosamente masturbando. Lei pensò in una carezza e mi guardò. Dalla penombra in cui eravamo, vidi uno sguardo rasserenato. Mi sorrise, pensando la stessi per coccolare. Ma la foga del piacere era più forte. Con la mano dietro la nuca, sui capelli, iniziai a spingerla, a forzarla verso il basso. Lei capì e si inginocchiò. Piangeva ancora ma con la bocca aperta in sommessa attesa del mio sperma. Venni in bocca di Laura copiosamente, ero eccitatissimo.

Laura fece per rialzarsi ma le dissi: “Bevi” e ingoiò il mio sperma. Poi presi dal suo viso quanto non si era già asciugato della venuta del guardiano e gliela spinsi in bocca con l’indice. Ingoiò anche quella. Al che le dissi: “Andiamocene via, questo posto è sinistro… e tu sempre più troia”.

Racconto selezionato per il nostro archivio, scritto originariamente da: GiuseppeLauraMB

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