Sottomissione di una manager 5 - Vinta e stuprata
La mia padrona mi aveva domata.
Incurante del fatto che fossi più bella, che i miei seni fossero più torniti e femminili, si vedeva che lei non provava alcuna gelosia femminile, anzi, godeva nel mostrare il “suo” personale trofeo e il potere che ora poteva esercitare sul mio corpo.
A quel punto eravamo intimissime, la sua vagina era calda e presente mentre sedeva, a cosce aperte, sul mio sedere. I suoi seni, tronfi e sodi, mi pressavano la schiena ogni volta che lei mi sollevava per mettere “in vetrina” i miei. Mi dava in pasto alla folla eccitata, che non faceva nulla per nascondere la propria esaltazione sessuale.
La donna, esperta dominatrice, aveva capito: ogni mio orgoglio aveva capitolato.
Un attimo dopo, mi si distese completamente addosso e rimase immobile, come un predatore blocca la vittima, per riprendere fiato ma senza perderne il controllo.
Approfittai di quel breve tempo morto per cercare di ritrovare un barlume di coerenza: la cittadina italiana, laureata, manager e, diciamolo, abbastanza borghese, rifece capolino nella mia mente... mi guardai intorno.
Mentre valutavo la situazione, intravidi il viso gaudente di Nunzio e incrociai il suo sguardo, eccitato come quello di tutti gli altri. In quell’attimo realizzai che lui sapeva, sapeva tutto fin dall’inizio... lo odiai con tutte le forze.
Purtroppo il ritorno alla civiltà durò poco. La mia riservatezza signorile mi crollò addosso, in un impasto di sangue e saliva: me lo offriva la russa che, torcendomi il collo all’indietro, mi diede il più violento, carnoso, sensuale, intimo e sporco bacio che avessi ricevuto in vita mia. Nemmeno un camionista ubriaco mi avrebbe saputa baciare così.
Lei era sopra e grondava saliva e sudore salato, la sua lingua era spessa, calda e viscida come una lumaca, pregna di umori privati. Avrei voluto resistere ma non ci riuscii: davanti a tutti, senza potermi mai più giustificare, mi lasciai baciare con trasporto succhiandole a mia volta la lingua e le labbra, in un abbraccio lesbico e sensuale mai provato.
Era il primo bacio segreto, proibito, orribile, ricevuto da una donna... e lo avevo condiviso con “appena” un centinaio di persone.
Persi la testa per alcuni, interminabili minuti, mentre la russa mi succhiava l’anima dalla bocca; le sue mani si perdevano sul mio corpo, carezzandomi con forza decisa le tette e l’inguine.
Eravamo li, in quella plastica posizione: lei a cavalcioni sulla schiena che mi palpava ed io, da sotto, inarcata, puntellata sulle mani che le offrivo la bocca, girandomi indietro. Mi ero sollevata con tutte le forze, per il semplice piacere di permetterle di tastare le mie intimità, a suo piacimento.
Quando ci staccammo, mi resi conto del dramma in cui mi ero cacciata: molti di quelli che ci osservavano arrapati e gaudenti, riprendevano con i telefonini ogni momento della mia capitolazione lesbica. Eppure, visto che quella notte maledetta io non ero più io... dopo averci pensato su per un attimo, ne godetti. Non c’è che dire: l’eccitazione gioca davvero dei brutti scherzi.
Ma non era tempo di fare filosofia.
La mia “battaglia” non era affatto finita. Non sapevo che, colei che perde il combattimento, doveva essere punita!
Mentre ci rimettevamo in piedi, la ragazza che parlava italiano ci raggiunse, tutta raggiante e sorridente e ci prese entrambe per mano.
Poi si rivolse al pubblico e iniziò un discorsetto in lingua slava, che gli astanti sembrarono gradire molto, visti i fischi e le urla di eccitazione che lanciavano.
A me quasi veniva da ridere, accettavo con tranquillità di starmene nuda, tra tutta quella gente che apprezzava il mio corpo, ormai completamente esposto, senza nessuna vergogna e in maniera abbastanza naturale. Come non avessi mai fatto altro nella vita.
Intimamente divertita, ebbi un flashback delle facce di colleghi e clienti che mi avevano spiata, in passato, cercando di non dare nell’occhio, per indovinarmi le gambe, il culo o i seni, da sotto gli abiti castigati e sobri; quelli che indossavo nelle ore di lavoro.
Poveretti... avrebbero dovuto vedermi adesso. Sorrisi.
Mentre la ragazza parlava al pubblico, mi sentivo sempre più calata nel personaggio dell’atleta. Ero convinta di aver perso con onore... e che la fine di quel gioco fosse decisa. Ascoltai tranquilla la chiacchierata e mi preparavo a lasciarmi alle spalle quella stranissima avventura.
Un momento dopo, il mio “onore” sarebbe finito nelle fogne di Bratislava.
Ma io non potevo saperlo...
Quella specie di “badante” declamò ad alta voce il nome della vincitrice: Tatiana, sollevandole il braccio in segno di vittoria. La gente accolse con tripudio la proclamazione, con fischi e applausi che non si placavano.
La ragazza, intanto, approfittando del casino che si era creato, mi si avvicinò e mi carezzò maliziosamente un seno, tastandomelo; stavo quasi per risentirmi, quando lei mi disse a bassa voce, fissandomi profondamente negli occhi:
- Adesso tu sei di Tatiana. Sei una schiava di lei, stanotte... non ti ribellare. Capito? E’ la regola! – poi sorrise – ma tu non ti ribellerai, vero? perché sei puttana, dentro di te. Si vede! – e si voltò, ignorandomi completamente.
Non mi diede il tempo né di rispondere, né di chiarire. Mi arrabbiai molto, arrossendo per il dispiacere di quella verità, che lei aveva appena pronunciato.
Credevo di essere diventata padrona della situazione... e invece, come uno schiaffo a freddo, mi ricordavano che ero solo una vittima, in quel casino incredibile in cui il maledetto Nunzio mi aveva cacciata.
Ero una donna adulta e credevo di essere preparata a tutto, ma adesso, ai bordi estremi della società civile, mi resi conto che tutto può cambiare intorno a noi, all’improvviso: mai avrei immaginato di provare le emozioni che mi pervasero quella notte. Ero prostrata.
Le mie certezze erano sfumate in poco meno di un’ora. Tatiana mi aveva vinta e soggiogata. Ma, contro ogni logica, da quando mi aveva baciata in bocca, non desideravo altro che essere sua. Non mi importava più di niente, in quel momento. Né di Nunzio, né della gente che guardava e aspettava lo spettacolo della mia umiliazione... e cosa mai poteva interessarmi di loro? Il piacere nuovo che stavo conoscendo e provando, mi poneva vari metri al di sopra tutti.
Il pericolo che correvo, sperduta in quei vicoli bui, non mi faceva più paura, anzi... mi dava adrenalina.
Era come se avessi scoperto un’altra me stessa, con valori del tutto diversi: nessuna sicurezza, nessuna certezza nel domani... ero una zingara senza nome, che affidava il suo destino nelle mani di una lottatrice lesbica e cattiva.
Quella mia predisposizione a concedermi a un’altra donna, cosa che mi avrebbe fatto inorridire e vergognare, fino a pochi minuti prima, adesso mi sembrava un’ulteriore dimostrazione della mia superiorità e del mio coraggio. Mi convinsi che quasi tutte le ragazze non sarebbero mai state capaci di farlo e, comunque, non certo di provare le mie intense emozioni.
Forse, mi dissi arrossendo, stavo sperimentando la stessa gioia che prova un cane a far felice il suo padrone.
Tatiana mi prese per mano, come si fa con i bambini ed io mi lasciai guidare senza opporre alcuna resistenza.
Arretrammo fino al bordo del ring, dove un inserviente ci proiettò addosso la pompa dell’acqua, che era tiepida, ripulendoci alla meglio dell’eccesso di fango.
Poi il giovane mi prese in custodia e mi portò dietro le quinte, in un bagnetto abbastanza sporco e maleodorante.
Gli lasciavo fare tutto... non capivo bene perché, ma sapevo di goderne, poiché la mia figa si bagnava di continuo.
Mi fece sedere sul bagno e mi fece capire che dovevo fare i miei bisogni.
Subito dopo, mi spogliò completamente di ciò che restava dei miei abiti, lasciandomi completamente nuda. Mi infilò sotto una doccia caldissima e mi insaponò rapidamente con un sapone ruvido e sabbioso che, con una spugna, frizionò sul mio corpo, donandomi una bellissima sensazione rigenerante.
Un profumo speziato, forse al Patchouli, si espandeva nell’aria calda e umida.
Venni asciugata accuratamente con un telo spugna bianco e pulito e riaccompagnata nell’arena, dove il pubblico attendeva di assistere alla mia punizione e di godere delle mie grazie, quelle che fino ad allora avevo gelosamente custodite.
La musica ritmata lasciò subito il posto ad un pezzo più soft, con arpeggi delicati su un piacevole tempo scandito dal basso e dalla batteria.
Nonostante fossi nuda cercai di assumere una posa composta, dignitosa.
Il massaggio dell’acqua e del peeling effettuati dal sapone, avevano avuto sulla mia carnagione un effetto rivitalizzante e piacevole.
Mi sentivo bella e provavo un piacere intimo a mostrarmi senza veli, né inibizioni, sicura di me nel mostrami, senza perdere dignità.
Tatiana mi aspettava seduta su una piccola panca, era nuda: sembrava un gladiatore.
Anche lei si era lavata e sistemata, ora si mostrava meno brutta e più femminile, nelle sue forme forti e toniche.
Lo spazio su cui avevamo lottato era stato ripulito dalla mota. Adesso le mattonelle erano lucide e sul fondo del quadrato era stato adagiato un piccolo tappetino di gomma, sembrava uno di quei “dormi-bene” che si portano in campeggio.
La donna mi squadrò e mi prese per mano, con una sorta di gentilezza determinata.
La sua mano forte mi strinse le dita... non riuscii a capire se quel gesto contenesse un messaggio.
Quello che mi fu chiaro dal primo contatto era che il desiderio di essere una “cosa” sua, adesso che eravamo vicine e mi teneva per mano, senza interferenze, senza traduzioni, si amplificava all’inverosimile.
Come una droga potente questa sensazione di appartenenza faceva sì che io, da leonessa della “city”, diventassi, nelle sue mani, una pecorella obbediente. Non solo: non soffrivo di questo mio nuovo “status”, ma ne gioivo ed ero pronta a prostrami al suo volere e con immensa gioia... felice di farle piacere e scodinzolare ai suoi ordini.
Incredibile!
Mai provato niente del genere... nemmeno per il primo che mi aveva avuta. Nemmeno per il primo amore di ragazza, mai.
All’angolo del ring c’era una presa d’acqua, probabilmente serviva per pulire quello spazio, come fosse un mattatoio. Mi fece voltare, mi prese le spalle con un braccio e, cogliendomi impreparata, infilò nel mio retto una cannula.
Il gesto fu talmente improvviso e inaspettato, che il tubo, non troppo spesso, entrò, senza sforzo, tra le mie chiappe.
Mentre ancora cercavo di capire, confusa e rossa di vergogna, mi resi conto che mi stava riempiendo, lentamente, l’intestino di acqua tiepida.
Avrei voluto voltarmi ma lei, con forza, mi tenne bloccata, stringendomi il collo: mi sussurrò qualcosa, in modo ironico, probabilmente mi invitava a starmene buona.
Quando la pancia mi sembrava esplodere e l’acqua cominciava a farmi male, la donna, esperta, non me la sfilò. Mi fece arretrare, con molta difficoltà e impaccio verso la grata di scarico, al centro del piccolo spazio.
Usava la cannetta, infissa nel mio ano, come un perno con cui riusciva a comandarmi e a guidarmi. Ero del tutto impotente e avevo il terrore di potermi lacerare l’intestino. Mi premette sulle spalle per farmi capire che dovevo accovacciarmi.
Mentre eseguivo ero incapace di qualsiasi reazione, con la pancia piena d’acqua come un otre teso; quella mortificazione, davanti a tutti, mi fece bagnare gli occhi di lacrime. Mi aspettavo di tutto, ma non quella terribile umiliazione della mia più nascosta intimità.
Quando fui nella giusta posizione, le gambe divaricate e il foro dell’ano direttamente puntato sulla grata di scolo, Tatiana lentamente mi sfilò il tubo dal sedere.
L’acqua, senza più ostacoli, si scaricò dalle mie budella con un fiotto selvaggio prima, poi, successivamente con una serie di spruzzi, mentre cercavo di liberarmi da tanta costipazione. Non pensavo di poter contenere tanto liquido nel culo, le spruzzatine sembravano non finire mai.
In cuor mio fui contenta di essermi completamente liberata prima, nel bagno, e di non aver peggiorato il mio stato lubrico e discinto, dando spettacolo a quella gente.
Ormai non li vedevo neanche più: la vergogna e le lacrime mi avevano accecata e gli strepiti della loro lussuria mi giungevano quasi ovattati, in quello stato di totale soggezione.
Non avevo mai provato tanto disagio prima, soprattutto quando sentii, comunque, l’odore di budella calde provenire dalla pozza che si era formata sotto di me. Tatiana mi costrinse in ginocchio e con freddezza tagliente, appena fui in bella vista davanti a tutti, mi cercò nuovamente l’ano con il tubo e mi infilò, ancora una volta, con voluta lentezza.
Ero a quattro zampe, come una vacca e, all’inizio, non sentii niente poi, pian piano, mi sentii gonfiare, come avessi un palloncino dentro. Ero invasa dal liquido, che si insinuava in ogni mio spazio, riempiendolo e pressando fino a farmi male... per un attimo credetti di svenire, per la pressione e la tensione, e non capii più niente. Pensai addirittura che mi volesse torturare, fino ad uccidermi, ma non era così. La ragazza sapeva come il mio sedere avrebbe risposto a tanta sollecitazione, infatti, un istante dopo, l’acqua trovò una via di fuga, ritornando verso il retto e uscendo dall’ano dilatato dal tubo stesso.
Così, per vari minuti, si innescò un perverso meccanismo circolatorio: adesso che i miei tessuti non opponevano più alcuna resistenza, pian piano quello sciabordio, inarrestabile, che mi circolava in corpo, mi portò il piacere. L’acqua non mi faceva più male, la pressione si era bilanciata e sentivo il liquido rimescolarsi nel mio corpo e poi spruzzare, con un suono sguaiato, dal mio buchetto, zampillando intorno e scorrendo sulle mie gambe aperte e sui piedi nudi, praticando un massaggio continuo, caldo, piacevol
Ero troppo stressata, desideravo solo portare a termine quella terribile nottata con Tatiana.
Mi accorsi che anche quella pratica schifosa e cruenta, quel clistere fatto da una sconosciuta, in un lercio locale di periferia, mi piaceva e mi faceva godere del mio nuovo status di schiava e puttana, esposta all’occhio di quella gente estranea. Anche quello passò, finalmente.
Mi toccò seguirla, sempre tenendola per mano, fino al tappetino sul fondo del quadrato. Finalmente trovai la forza e il coraggio di guardarla.
“Strano” pensai tra me “un’ora fa mi disgustava, ora mi pare una dea del Walhalla”.
La donna alzò lo sguardo e mi osservò tutta, soddisfatta, forse le piacevo e ne gioii. Mi fece voltare, guidandomi lentamente, per godersi il mio corpo e, di certo, anche per espormi, ancora, a tutti i presenti.
Un piccolo brivido mi attraversò la schiena quando mi accorsi che prendeva, dal bordo della pista, un enorme fallo di gomma verde.
Le sue dimensioni erano tali da destare in me un rimestio in pancia e una certa preoccupazione, soprattutto a causa degli accurati lavaggi, cui ero stata sottoposta un momento prima.
Capii che rischiavo grosso... non voglio fare la santarellina e saltuariamente ho conosciuto il sesso anale, ma mai avevo preso nel di dietro un fallo finto, grosso come quello che stringeva Tatiana. Ne valutai anche la lunghezza che di certo superava il mio avambraccio.
Le luci bianche erano quasi tutte state smorzate, mentre fari colorati illuminavano lo spazio occupato da me a dalla mia aguzzina. Tatiana mi venne incontro, mi mise la mano sulla spalla come volesse dire: vieni, che adesso mi prendo cura di te. Allora mi affidò tra le mani il cazzone di gomma, il cui contatto mi diede una scossa eccitante.
Valutai quel membro impossibile, non era duro, anzi, era morbido e assecondava i movimenti delle mani.
Al pensiero che la donna me lo avrebbe messo dentro e forse anche dietro, mi resi conto che, di sicuro, avrei provato male, eppure invece di soffrirne, mi convinsi che sarebbe stato stupendo subirlo da lei, perché più mi avrebbe squarciata, più mi sarei sentita in suo potere.
Nel locale si fece silenzio; solo una musica dolce e sensuale accompagnava quella scena.
In piedi, l’una di fronte all’altra, pronte ad iniziare una lotta del tutto diversa e, per me, completamente nuova.
Tatiana avvicinò la sua bocca alla mia e, finalmente, mi baciò ancora, a lungo, facendomi sollevare sulle punte dei piedi e portandomi in paradiso. Questa volta il suo bacio era diverso, meno rabbioso, molto più dolce, adesso che si era lavata e ripulita: il suo contatto era più sensuale e la sua saliva, densa ed eccitante, sapeva di cannella.
Quando la sua lingua si ritirò dal mio palato, toccò a me ispezionare con la lingua appuntita la sua bocca, lisciandole i dentini, appiattendomi sotto le labbra: volevo mi notasse, volevo che non dimenticasse mai più il bacio di una “signora”. Ma, mentre succhiavo le sue labbra carnose, pensai che nemmeno io mi sarei mai più scordata di lei e dell’effetto segreto che mi aveva prodotto nell’anima.
Poi, con le mani decise, mi indirizzò la testa verso i suoi seni, porgendomi i capezzoli affinché li assaggiassi.
Si strinse i seni con la mano per tenerli vicini, a portata di labbra, erano duri e carnosi, e me li mise in bocca entrambi; non avevo esperienza, però li ricevetti in bocca volentieri e, mentre succhiavo, con la lingua li carezzavo languidamente, ora l’uno, ora l’altro, con un movimento lento e circolare.
Sentivo la mia padrona sussultare, ogni volta che la lingua passava in mezzo ai capezzoli turgidi e bagnati.
Intanto mi agganciò la figa con tre dita, mi prese letteralmente, come all’amo, affondandomi nel bacino e bagnandosi del mio umore, che ormai era abbondante e cremoso... da troppo tempo grondavo dall’utero e lubrificavo le mie grandi labbra. Con un ultimo risucchio doloroso, mi baciò ancora, tirandomi la lingua quasi fuori dalla bocca.
Poi si chinò sul tappeto e si mise a quattro zampe con il culo bene inarcato verso l’alto, perché tutti l’apprezzassero.
Mi chiamò con un gesto della mano e io accorsi, fedele e disponibile: mi chinai a mia volta dietro di lei e, per la prima volta in vita mia, baciai la figa di una donna.
Le cercai il clitoride, scavando tra le grandi labbra, non mi fu difficile perché Tatiana ci sapeva fare e spingeva, con decisione, il bacino verso la bocca. Contrariamente a me, la ragazza non si era lavata accuratamente, aveva sudato, e una serie di gusti nuovi, mai sentiti, mi invase la bocca, vogliosa di imparare a conoscerli.
Gli odori mi entravano nel naso, forti e decisi, io facevo del mio meglio per assaggiarli, aiutandomi con la lingua: scavavo in quella fregna dilatata e impura, ripulendola con accurate leccate.
Il profumo di una precedente urina s’impregnava sui pori del mio viso, imbrattandoli e marcandomi del suo odore, come una cagna.
Dentro di lei dove puntavo la lingua, una patina leggermente salina, mi stuzzicava la libidine ed io la asportavo per inghiottirla, come un nettare delizioso.
Adesso, con la punta delle dita, mi sollevò per il mento indirizzandomi la bocca verso il buco del culo.
Avevo perso ogni contegno, in quel contesto: dare piacere alla mia padrona mi aveva trascinato in un paradiso orgiastico, nel quale tutto era permesso e il buon senso e la vergogna, banditi. Tantissime persone mi stavano vedendo, accucciata e prona, a leccare l’ano scuro di quella vacca.
Con la bocca e con la lingua ne godevo, felice di mostrare al mondo la mia metamorfosi, la mia prostrazione. Il suo fiore scuro era dilatato e rugoso, ero certa che molte volte era stato profanato da cazzi di ogni provenienza. Più la immaginavo troia, e sporca, e più desideravo leccarle lo sfintere.
Cominciai a praticarle il “petalo di rosa”: un gioco volgare che mi era stato raccontato, come una battuta da caserma. Ora diventava reale, per me. Spiattellavo la lingua, instancabile, sui due buchetti di Tatiana e, spontaneamente, le succhiavo quel tenerissimo velo di carne che separava il culo dalla fessura femminile.
La donna apprezzava, perché iniziò a mugolare e a sculettare con lentezza, come una mucca al pascolo.
Poi si girò repentinamente, come non riuscisse a starsene buona, passandomi sotto il viso, si sdraiò con la schiena sul tappeto, eccitatissima.
Spalancò i suoi coscioni sodi e, agganciandomi con i polpacci alla nuca, mi trasse di nuovo in figa, con la bocca. Mi teneva per le orecchie, come se volesse ribadire che quella che mi stava infliggendo era una punizione.
Mai gogna fu più dolce per la vittima predestinata...
II suo orgasmo era vicino perché si dimenava e si inarcava, come se mi volesse dentro con tutta la testa... mentre io, nonostante mi facessero male le mascelle, non abbassavo il ritmo delle leccate, pur di farla felice. Ero talmente presa e avevo perso talmente il senso del pudore, che a stento mi accorsi che gli astanti più ardimentosi approfittavano della mia posizione per toccarmi il culo, per infilzarmi una o più dita ora in figa, ora nel sedere. Donne e uomini, con un sorriso ebete, fingendo di farlo per gioco, davanti a tutti volevano provare il brivido di toccare i miei punti proibiti.
Ma non mi importava, perché la mia padrona mi stava spruzzando in bocca e in faccia un liquido caldo e trasparente: tutta l’eccedenza delle sue ghiandole sovreccitate trovava sfogo attraverso i suoi stretti meati, schizzandomi in volto il suo piacere bollente.
Tatiana mi venne in bocca, riempiendomi di estro, più delicato della sborra che, a volte, avevo cercato di suggere da un maschio per provare l’emozione dell’ingoio.
Con forza mi trascinò sopra il suo corpo e, mentre continuava a venire, con le mie dita che ancora le frullavano la clitoride, ci baciammo a lungo con passione, tenendoci strette.
Il tempo di riprendersi; il suo fiato affannoso mi entrava nei polmoni ed io….. lo conservavo come un’aria vitale, di cui non potevo fare a meno.
Dopo un poco la passione finì e Tatiana lasciò esplodere la sua perversione; certo per dar spettacolo, ma anche per suo piacere: decise che era il momento di “sacrificarmi” al pubblico pagante.
Chissà, pensai, se avevano scommesso anche sui rapporti sessuali che avremmo consumato davanti ai loro occhi; non conoscevo quell’ambiente e non sapevo quali perversioni fossero stati capaci di inventarsi.
Pur se ero convinta che, a modo suo, per qualche istante mi aveva “amata”, Tatiana si alzò e, con un piede, mi schiacciò per terra le spalle, lasciandomi col sedere all’aria.
Come un cacciatore si mette in posa sulla preda, mi pose la pianta del piede destro sulla spina dorsale, calpestandomi e spingendomi verso l’altro piede, cosicché mi trovai le dita del sinistro sotto la bocca. Non che volessi disubbidire ma proprio non immaginavo cosa fare. Lei mi punì lo stesso, frustandomi col cazzo di gomma dietro la nuca, usandolo come un manganello. Allora capii e iniziai a succhiarle le dita di quei piedi dall’odore pungente. Non feci alcuna resistenza e, vinto il primo momento di disgusto, scesi ancora più in fondo nell’annullamento della mia personalità, leccando e suggendo, dito per dito, e passando la lingua, accuratamente, negli interstizi di quel suo piede, grosso e poco curato.
Sarei stata pronta a pulirle anche l’altro ma Tatiana aveva altre mire: si era installata sul pube una cintura borchiata, fatta apposta per sostenere il grosso pene verde. Lo intravidi con la coda dell’occhio: era pendulo e oscillava a testa in giù, come un segugio che cerca la tana della preda.
La osservai impotente mentre infilava sul cazzone un profilattico e lo massaggiava per farlo aderire. Poi, la ragazza calò su di me, sedendosi pesantemente sulle mie cosce che erano ben serrate.
La gente taceva di nuovo... esasperata da quei lunghissimi attimi di passione, attendevano che io venissi sfondata.
Tatiana con entrambe le mani cercò di domare quel cazzo molle e spesso, indirizzandolo, come una serpe, dietro di me.
Speravo di prenderlo in figa, finalmente... era tutta la sera che desideravo un vero orgasmo, pieno, definitivo, ma la donna aveva capito che avevo il culo quasi vergine e questo la eccitava certamente. Più volte mi tentò il buchetto e altrettante volte, all’ultimo istante, il fallo, unto, scivolò via.
Ma Tatiana non demordeva, anzi... alla fine, la grossa testa verde trovò il mio buco e con la spinta selvaggia delle mani di Tatiana, mi spaccò in due il piccolo orifizio.
Il primo bruciore e il dolore della prima dilatazione forzata, fu tremendo. Lei, ebbe pietà e lo tirò fuori.
Ma un momento dopo si distese tutta su di me, come fossi il suo materasso, e il cazzo ebbe di nuovo ragione del mio sfintere.
Allargò le sue gambe intorno alle mie e me le strinse, insieme alle chiappe. Questo non mi aiutava a dilatarmi, al contrario, sentivo il pene in tutto il suo lungo viaggio nel corpo; Tatiana iniziò a fottere con piccoli affondo del bacino. Intanto mi baciava il collo e le orecchie.
Il bruciore era sempre di meno, mentre il movimento sussultorio stimolava la mia fantasia erotica che, ancora una volta, ritornava a cercare il piacere.
Tutti erano arrapatissimi ormai e non pochi, ritirandosi nelle zone in penombra, si masturbavano senza ritegno. Anche prima, avevo avuto modo di osservare che pure alcune ragazze si tastavano con le mani, sotto le vesti.
Con la mano mi cercai il deretano e vi trovai il palo, che spingeva in me, ne avevo dentro una buona metà e già mi sentivo tutta rotta.
Per agevolare l’operazione e diminuire la pressione cercai di allargarmi con le dita. Ma Tatiana era terribile e non si accontentava di ciò che mi aveva già fatto subire: poco dopo mi uscì dal culo con un “plop” e mi tirò per i capelli affinché mi rimettessi in piedi.
Non so quale cenno lanciasse per farsi intendere, fatto sta che le sue amiche ci raggiunsero rapidamente e, lasciandomi perplessa riguardo al mio destino, mi presero per le braccia per trasportarmi di peso. Non capivo: riuscivo benissimo a camminare anche da sola, eppure... In realtà, non ci muovemmo di un passo; con i piedi toccavo agevolmente a terra, però le due donne mi sostenevano ugualmente: fu allora che Tatiana si mise di nuovo dietro e iniziò a palpeggiarmi le chiappe, facendole ballonzolare, schiaffeggiandole ma senza farmi male. Queste operazioni, in fondo piacevoli, mi fecero rilassare un pochino. Spossata e indifesa mi abbandonai tra le braccia delle mie aguzzine.
La ragazza che parlava l’italiano, senza tante cerimonie, introdusse due dita in figa, come per valutare quanto fossi bagnata. La russa, alle mie spalle, partì all’attacco col suo “ariete” e, posizionata nel modo più idoneo, mi mise la punta del fallo, nuovamente sull’ano.
Poco prima mi aveva già sfondata per bene, così non provai alcun male essendo ancora dilatata. Disse qualcosa alle ragazze perché, tenendomi in loro potere, mi inarcassero un po’ in avanti, come se fossi affacciata al balcone, poi, come un treno che avanza inesorabile nella galleria, cominciò a profanarmi, sprofondandomi tra le chiappe. Lenta e inesorabile mi entrava sempre più dentro, senza forzare ma senza fermarsi: ogni stantuffata permetteva al dildo di insinuarsi più profondamente. Capii che aveva deciso di farmelo prendere tutto e rabbrividii al solo pensiero.
Più che dolore, sentii sensazioni mai provate nel mio intestino; probabilmente si adattava a quel cazzo esagerato, rimescolandomi tutta dentro.
Ormai era una gara tra lei che mi infilzava ed io che soffiavo fuori il fiato pur di accettare una introduzione così estrema, mai sperimentata.
Quando Tatiana si fermava, e lo avevo tutto in corpo, mi accorsi che le gambe non mi rispondevano più; per fortuna le due ragazze mi tenevano in piedi, così potevo essere impalata senza correre il rischio di cadere e farmi male. Probabilmente il cazzo pressava sui nervi addormentando le mie facoltà motorie.
La punta del cazzo mi faceva male nella pancia ma non in maniera insopportabile, era la stessa sensazione che si prova dopo aver ricevuto un piccolo pugno. In realtà, abbassando lo sguardo, mi accorsi che, a ogni botta, una leggerissimo boffa, si formava sull’addome. Fu la cosa più oscena che mi fosse mai capitato di osservare…
ma andava bene lo stesso: il piacere che mi aveva invaso superava qualsiasi controindicazione.
Tutti tacevano intorno e guardavano rapiti quella scena di piacere e di tortura. Molti adesso avevano i cazzi in mano e si erano messi in prima fila senza provare nessuna vergogna; per come si erano messe le cose ne avrei volentieri succhiato qualcuno, se solo fossi stata in grado di piegarmi. Tatiana mi faceva tenere immobilizzata per paura di farmi male, mentre compiva l’inculata estrema, e pericolosa.
Un attimo di raccapriccio si impadronì di me, la testa mi girava: la russa, adesso, penetrava completamente in alcuni secondi per poi uscirmi, praticamente tutta dal ventre ma quando lo spingeva dentro, fino a farmi sentire il calore del suo corpo sulle natiche, il grosso fallo mi trapassava del tutto.
Uscì da me definitivamente dal mio corpo solo dopo avere inflitto una lunga serie di colpi, per un tempo che non riuscii mai a calcolare.
Mi accorsi che non stavo in piedi da sola, le ragazze mi tennero, finché non venne portata, nello slargo, una panchetta rivestita di pelle: mi stesero su quella a pancia in su.
Mentre le due donne mi tenevano le gambe alzate, come fossi dal ginecologo, la russa spietata, senza indecisioni, mi infilò nel culo, già spaccato: prima le dita, poi il dorso della mano e, infine, armeggiando senza sosta, quasi tutto l’avambraccio. La gente intorno lanciava urla e fischi di approvazione, bastardi!
Ancora una volta stavo per venire meno: avevo visto quel tipo di scena solo in qualche foto porno e non riuscivo a capacitarmi, che si potesse entrare così nel culo di qualcuno. Lei muoveva le dita dentro di me, poi formava il pugno, credo, e con l’altra mano mi masturbava la clitoride, in maniera sempre più incalzante.
A furia di subire quel massaggio incredibile, sia dall’interno che dall’esterno, mi abbandonai sulla panchetta. Non ero più padrona del mio corpo, su di me comandava quella troia… e mi piaceva subirla.
Il piacere si impadronì di me, con un calore elettrico, vibrante. Cominciai a venire sussultando, con una furia che non mi conoscevo e, per la prima volta in vita mia, vidi sgorgare dalla mia vagina gli spruzzi violenti dello“squirting”: un’espulsione sessuale che avrei mai creduto di poter compiere. Schizzavo intorno senza controllo, ma non era pipì, non sapevo nemmeno di essere in grado di emettere quelle raffiche. Alcune gocce ialine raggiungevano gli astanti, ma quelli sembravano felici, piuttosto che turbati.
Venni a lungo. Quando tutto fu finito, Tatiana estrasse il braccio dal mio culo e le ragazze mi mollarono.
Ritornata padrona di me, mi adagiai sulla panca, su un fianco, con la faccia rivolta verso il muro del retro, per ritrovare le forze, per riprendermi dal martirio subito dai miei tessuti, violentati, dilatati, in una sola sera.
Accucciata sulla panca, sola con me stessa ma con centinai di occhi addosso, mi abbandonai ad un ditalino privato e ristoratore.
Mentre continuavo a venire così intimamente, sentii le calde gocce di potenti spruzzi, arrivarmi da tutte le parti sul corpo, alcune gocce mi bagnarono i capelli e il viso: dall’odore intenso capii che era sperma. I ragazzi mi stavano sborrando addosso, a turno, facendosi spazio tra la folla, chi era “pronto” si avvicinava e riversava su di me tutto il suo piacere.
Qualche minuto più tardi la musica riprese, morbida; i gruppetti si sciolsero, la gente iniziò ad andare via. Mi lasciarono a me stessa, spegnendo le luci, con un minimo di apprezzabile discrezione.
Lo spettacolo che avevo dato di me stessa era terminato e, lentamente, tornai lucida.
Non ero pentita, non ero dispiaciuta ... per niente.
Ero indolenzita e terribilmente stanca, ma appagata e felice. Felice per tutta una serie di scoperte che avevo fatto all’improvviso: sul mio essere donna e sulla ricerca di un piacere più intenso.
Credevo di essere arrivata all’apice e, invece, non ero che una sprovveduta nel mondo della perversione, che, adesso lo sapevo, mi stuzzicava e mi eccitava.
Mi preoccupai un po’ per le foto che mi erano state scattate dalla gente ma ormai il gioco era fatto e non si poteva più tornare indietro.
Ma che importanza poteva avere, ormai? Ero la sola padrona di me stessa. Mi conoscevo meglio, adesso, e non avevo paura di mostrare il mio corpo e la mia sessualità.
Rimettendomi in piedi, mi accorsi che qualcuno mi aveva coperta con un accappatoio pulito, però era già zuppo dello sperma esagerato che mi avevano sprizzato addosso.
Tornai nel piccolo bagno, alle spalle del ring, e feci una doccia accurata e ristoratrice.
Dopo, poggiati accuratamente su un mobiletto di plastica, trovai parte delle mie cose: i calzerotti, gli scarponcini, un coordinato intimo di cotone, ancora sigillato, e della mia taglia.
La cosa che mi sorprese di più fu ritrovare i miei jeans più comodi e una maglietta nera, ero certa di aver lasciato in albergo quelle cose... e mi ricordai di Nunzio, il ragazzo mi era completamente uscito di testa. Ricordai che, quella sera, avevo cominciato molto presto a dubitare della sua buona fede. Mi bastò fare due più due, per capire che ero stata portata là apposta: niente era successo per caso e lui, Nunzio, sapeva perfettamente cosa sarebbe successo, anzi, certamente si era accordato con i manager, perché provassi quell’esperienza. Ma non sentii alcuna repulsione: il mio boy friend, probabilmente, aveva capito bene le mie potenzialità erotiche e, adesso, nel silenzio dietro le quinte, non lo biasimavo per avermi portato li.
Come il Principe, in Machiavelli, si deve liberare dei suoi ruffiani, sentii il bisogno di liberarmi di Nunzio. Ero decisa!
Tornai nella sala e lo trovai ad attendermi, con una sorrisetto ebete stampato sul viso; non dissi niente, ero troppo stanca per affrontare una discussione.
Con un pizzico di terrore, constatai che camminavo con le gambe leggermente aperte e avevo la sensazione di “colare” dal culetto ma, ne ero certa, sarebbe passata.
Uscendo, attraversammo la sala; davanti al guardaroba incrociai la mia “nemica”, Tatiana. Anche lei completamente vestita, appoggiata al bancone sorseggiava un liquore trasparente.
Mi rivolse il sorriso di intesa più profondo e sconcertante che abbia mai incrociato in vita mia e i suoi occhi chiari, mi toccarono fin centro l’anima. Si avvicinò e senza dire nulla mi baciò rapidamente sulle labbra, per un attimo mi penetrò di lingua e, naturalmente, ancora una volta mi diede “la scossa”. Ma poi si voltò, allontanandosi senza più voltarsi; le sue partner, che stavano più distanti, si mossero, passandomi affianco e fingendo di ignorarmi. La ragazza del guardaroba, invece, appena mi ripresi, mi fece un cenno, poi mi fece scivolare tra le dita un piccolo oggetto.
- Tatiana desidera che tieni questo, per ricordo! – mi sussurrò in italiano.
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