Sottomissione di una manager 4 - Mi vogliono sfondare
Una specie di piccolo boato si alzò dalla folla che si era creata intorno all’arena; solo allora mi resi conto di quanta gente fosse in attesa di vedermi massacrare. Ebbi anche l’impressione di vedere qualcuno, concitato, che scommetteva dei soldi. Puntavano su qualcosa, probabilmente sulle sorti dell’incontro.
La sciai perdere e decisi, invece, di concentrarmi attentamente, quanto meno per limitare al massimo i danni fisici.
Non sono una gran sportiva, ma nemmeno una sedentaria, la passione per la montagna, soprattutto da ragazza, aveva plasmato il mio carattere ad accettare le sfide, a non darmi per vinta. Così decisi di vendere cara la pelle. Mi voltai verso la mia avversaria che sorrideva, cattiva: aveva tutta l’aria di godersela un mondo.
La donnona mi stava di fronte, leggermente china in avanti, come una tigre pronta a balzare all’attacco.
Anche lei era completamente depilata sotto le ascelle e, da quel che riuscivo a vedere, anche sul pube. La ragazza che era con lei, la cinese, si avvicinò e mi diede un elastico facendomi capire che dovevo raccogliere i capelli. La russa aveva già i capelli fermati da una molla; questa attenzione per i peli mi lasciò perplessa.
La ragazza lasciò il ring e prese una pompa, e una volta aperta la manetta, la poggiò per terra. L’acqua, come un serpente sinuoso, si sparse sul pavimento che era coperto da un specie di sabbia secca; quella, assetata, accolse l’acqua, trasformandosi subito in argilla scivolosa.
La russa mi fece segno di togliermi gli scarponcini, mentre lei faceva altrettanto, con le sue scarpette da ginnastica consunte. L’attimo di confidenza che mi diede, servì a rendermi ancora più vulnerabile: mentre ero ancora alle prese col secondo calzerotto, l’avversaria, liberatasi fulmineamente dalle scarpe, mi fu addosso con uno spintone, mi fece rotolare sull’argilla, fino al bordo che dava sul pavimento esterno, spaccandomi le ossa contro le piastrelle d’angolo.
Le risate generali scaldarono la sala, qualora ce ne fosse stato bisogno.
La russa, si rimise in posizione, senza scarpe e mi faceva segno di rientrare.
Approfittai di essere fuori e, senza più interessarmi del decoro, sfilai anche la gonnellina, che ormai mi impacciava soltanto. Mi tenni le collant a reggicalze, forse mi avrebbero difesa un po’ nelle scivolate.
Avevo appena iniziato ed ero già tutta sporca e impiastricciata.
Tornai in lizza, cercando di capire come sarebbe partito l’attacco dell’altra per difendermi meglio.
Lei fece un paio di finte allargando le braccia, poi, roteando su se stessa, riuscì a cogliermi impreparata sul lato sinistro. Mi prese per il braccio, cercando di tirarmi in avanti per sgambettarmi; con l’altro braccio tentava di agguantarmi le spalle ma io mi difendevo alla meglio.
Purtroppo, era troppo più forte e pesante. Con una finta e uno strappo, scivolò sulla schiena incuneandosi sotto di me che, perso l’equilibrio, le rotolai sopra schiantandomi poi nella melma, a faccia in giù.
Per un attimo non vidi più nulla, cercavo solo di sputare fuori dalla bocca quell’impasto, sporco e puzzolente di umori umani. Quando riaprii gli occhi, le luci mi abbagliarono per un attimo, poi vennero subito oscurate dalla massa enorme che mi stava precipitando addosso.
La russa, salita su una barra laterale che nemmeno avevo visto, mi si era lanciata sopra, come una valanga irrefrenabile.
“Sono morta!” dissi tra me e me.
Grande fu la mia sorpresa quando mi resi conto che la grossa ragazza, con abilità e attenzione, nel rovinarmi addosso, si era ammortizzata sui piedi e gli avambracci. Aveva aperto le gambe di quel tanto che bastava perché il suo corpo toccasse con decisione il mio, ma senza schiacciarmi definitivamente. Pensai allora che non volesse uccidermi subito, per rendere più lunga e divertente la mia agonia.
La mia avversaria si rialzò, rimettendosi in posizione di sfida.
Mi rimisi in piedi rapidamente sputando ancora, ma la russa non mi diede tregua, mi fu di nuovo addosso e, ancora una volta, dopo qualche segnale di resistenza mi ritrovai infangata ma, stavolta, a pancia all’aria.
Di nuovo l’altra mi saltò addosso, ancora una volta senza finirmi. Non volevo sperarci troppo, ma cominciavo a convincermi che la donna combattesse come una vera professionista: forse, pregai dentro di me, non aveva alcuna intenzione di farmi veramente male.
Quella fievole opportunità mi ridiede un filo di speranza di rivedere, viva, la mia casa... un giorno.
Mentre, ansimanti, ci studiavamo, spostandoci l’una di fronte all’altra con le gambe divaricate, pensai che, forse, aveva ragione Nunzio. In realtà quello era solo uno spettacolo di cui la vittima inconsapevole ero io ma…. niente di veramente cruento o drammatico mi poteva accadere.
Con quella speranza nel cuore mi caricai: oramai ero eccitata e coinvolta, decisi di non lasciare che tutto mi scivolasse addosso, cercai di fare del mio meglio per rendere alla russa pan per focaccia.
Tentai più volte di immobilizzarla, lei si liberava sempre, intanto sudava e puzzava sempre di più.
Anche io, sotto il deodorante Allure, zampillavo sudore, per fortuna ancora senza tracce di sangue, per ora.
Ginocchiate calibrate si fermavano nella mia pancia, dandomi la nausea, ma senza ferirmi al punto di svenire; gomitate allucinanti raggiungevano il mio naso e i miei denti ma, nonostante la velocità e la potenza, il colpo si bloccava con maestria un millimetro prima di fracassarmi i denti.
Dal canto mio, mi guardavo bene dal colpire veramente: fui lesta a capire che non dovevo farle veramente male, altrimenti le cose si potevano volgere al peggio.
Dopo dieci minuti di gioco duro la folla era inferocita ed eccitata, tutti parteggiavano per la russa, tranne qualcuno che mi incitava sorridendo, con lo sguardo carico di pietà.
Poi, lei caricò, a testa bassa, come volesse farla finita e rotolammo di brutto, attorcigliate come due cagne in calore.
Non so come successe, non so se fossi stata veramente io a strapparglielo ma la donna si ritrovò, in mezzo alla pista, senza reggiseno, con i grossi seni dai capezzoli rosei, un po’ infantili, esposti davanti a tutti. Per un attimo si guardò intorno confusa e cercò di ripararsi, con un braccio, i due seni ballonzolanti.
La folla esplose in un urlo: sempre più goduriosa.
Tra gli altri, intravidi anche il volto di Nunzio che, tra le guardie di prima, sorseggiava beato un drink e si godeva lo spettacolo... quando si accorse che lo guardavo, cercò di mostrare un atteggiamento più sofferto, ma con scarso risultato. Cominciavo a capire il suo sporco gioco.
La mia furia per essere stata messa in mezzo, cercava un obiettivo e con rabbia mi scagliai sulla russa, ancora confusa e mezza nuda, stavolta fui io a cercare di bloccarla, allargando le gambe su di lei, appena cadde, sorpresa dalla mia mossa.
Mi sedetti sulla pancia di lei e, ormai infuriata, le strappai di dosso anche le mutandine, gettandole nella melma.
La troia scalciava, a gambe aperte, e la sua figa spiccava rossa nel grigio dell’argilla.
Le agguantai le gambe dal davanti ma fu una mossa sbagliata. Approfittò del punto di leva rappresentato dalle mie braccia e, agilissima, si inarcò verso l’alto, cosicché mi ritrovai la sua fregna, praticamente davanti alle labbra... e spingeva, per schiacciarmela sul viso.
Intorno, uomini e donne erano al parossismo... avevano capito che la lotta si scaldava sempre più.
Fui costretta a tirarmi indietro, sorpresa e disgustata, lasciai la presa e persi ogni controllo sulla mia avversaria.
Eravamo vicinissime.
Ci ritrovammo per terra, sottosopra una rispetto all’altra. La russa, allora, fece una mossa che mi rese ebete: si impadronì delle finte fettucce delle mie collant e le slargò, trovando libero accesso alle mie mutandine, fulminea le abbassò fin dove poteva permettere l’incastro con le calze che, compatte, resistevano, fasciandomi le cosce. Ritrovarmi nuda, in mezzo a più di cento persone, era proprio inaccettabile per la mia morale. Mi sentii come quando si sogna di uscire per strada e di accorgersi, troppo tardi, di essere nudi.
Persi ogni presa cercando di ricompormi, alla ricerca di una impossibile difesa: in effetti non avevo niente per coprirmi. Quella perdita di controllo mi costò cara.
La mia avversaria riprese il comando e dimostrò tutta la sua abilità... era una professionista e anche brava, purtroppo.
Come un grillo si rimise in piedi e trascinandomi per le calze, le usò come tiranti per girarmi sotto sopra. Ero a testa in giù nella melma, mezza schienata e agitavo le braccia come una marionetta per cercare di ricomporre l’abbigliamento, ormai a brandelli.
Le calze salirono verso l’alto, scendendo, in realtà, lungo le mie gambe e furono adoperate per bloccarmi le ginocchia come un elastico.
Così la russa, tenendomi come un salame, con un braccio strinse le mie gambe al suo petto mentre con la sua destra, con un gesto del tutto inaspettato, si avvinghiò al ciuffo di peli della mia vagina, oscenamente esposta allo sguardo di quei porci allupati.
Non avevo mai provato quel tipo di dolore, anzi, più che il dolore era la paura stessa del dolore a tenermi bloccata. Erano tutte mosse a cui non potevo essere abituata, la nudità imposta e repentina fece il resto... in pochi momenti, la situazione si era ribaltata.
Non era più un gioco di finte: adesso ero in balia della russa che mi sovrastava in forza e abilità.
Inoltre, ero letteralmente spossata, mentre lei sembrava diventare sempre più appassionata e vigorosa.
Per fortuna le scivolai dalle mani, ma caddi pesantemente col sedere nella mota.
La gente era in delirio e le scommesse fioccavano; adesso erano tutti accalcati intorno al ring... aspettavano inferociti il finale di quella lotta: temetti il peggio, perché ormai era chiaro che il peggio non era ancora arrivato.
Gli spettatori intonarono una specie di coretto... ma capii che si trattava della ripetizione, ipnotica, di una parola sola. In cuor mio sperai che non volesse dire: uccidila!
Infatti, non era così, lo capii un attimo dopo, in realtà significava: seno. Mentre mi preoccupavo di capire, la russa mi scavalcò rispedendomi sul pavimento da cui, faticosamente, mi ero appena rialzata.
Si sedette, nuda, sul mio culo; sentii il fastidioso contatto della sua carne calda. La ragazza mi tirò per i capelli costringendomi a inarcare il busto, allora infilò le mani sotto il mio reggipetto nero e, esagerando i gesti per eccitare quel gruppo di scalmanati, mi impastò i seni infilandoci sotto le mani.
Non sentii veramente dolore ma maltrattò le mie povere “bocce” senza alcun rispetto, rimescolando con le grosse mani le mie tette e tirandomi i capezzoli, spessi e carnosi.
Un vuoto allo stomaco si impadronì di me, mentre una calda corrente di piacere, del tutto irrazionale, mi invitava a cederle.
Non sapevo cosa mi avesse preso, mi resi conto che, dentro di me, tutto si rimescolava, cambiando completamente la mia ottica su quella incresciosa vicenda.
Quando la russa iniziò a strapparmi il reggipetto e lasciò trasbordare i seni perfetti e nudi; quando vidi quelle facce eccitate e volgari che mi scrutavano, piene di libidine, invece di provare fastidio, mi riempii di orgoglio. E godetti del fatto che la donna, in quel momento, fosse la mia padrona e che li mostrasse a tutti con studiata lentezza, come fossero “roba sua”.
Mi cinse con il grosso braccio sotto le poppe, in modo che entrambe fossero proiettate prepotentemente in avanti.
Uomini e donne erano eccitati e allegri allo stesso tempo e una specie di grido trionfale accolse l’esposizione forzata del mio corpo, nudo. Ormai non ero più padrona di me, la russa mi teneva per i capelli e mi aveva vinta. Era ovvio.
Ciò che mi poneva completamente in sua balia, non era la forza né il dolore, era il piacere che stavo provando nel sentirmi stretta a lei.
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