Nessuno deve sapere

Giovanna Esse
a month ago
Nessuno deve sapere

Selezionato dall'archivio delle nostre confessioni un racconto di @Master8

Sabato e domenica a casa ero da sola, mio marito via per lavoro ancora per tutta la settimana successiva, mi aveva telefonato, mi aveva chiesto come era andata da Deborah e io mi ero limitata a dirgli bene e che gli avrei raccontato tutto al rientro.
Rimasi in casa tutto il tempo: avrei dovuto riflettere sulla situazione in cui mi trovavo, ma ogni volta la mia mente si ritraeva smarrita. La verità era che non avendo vie di fuga dovevo piegarmi ogni volta, e ogni volta, la speranza che fosse l’ultima, di aver toccato il fondo della perfidia altrui, veniva spazzata via da una ulteriore e più profonda abiezione in cui venivo costretta a calarmi.
Passai la domenica a prendermi cura del mio corpo: mi feci la ceretta alle gambe, ripresi la rasatura dei peli alle ascelle e alla figa, feci un lungo bagno cercando di non pensare a quello che avrei dovuto affrontare a scuola dal giorno dopo.
Il pomeriggio mi sedetti davanti allo specchio e provai a truccarmi come pensavo intendesse il segretario: mi diedi il fondo tinta arrossando bene le guance, truccai gli occhi pesantemente, ridisegnai le sopracciglia e passai un rossetto indelebile, molto brillante, color carminio alle labbra che poi contornai con la matita nera. Mi guardavo nello specchio come se osservassi una sconosciuta, un po’ come a volte mi era capitato di guardare le facce delle puttane per strada.
Nonostante tutto dormii profondamente, evidentemente anche la mia psiche cercava di difendersi a modo suo. La mattina mi alzai per tempo e mi preparai con cura: il trucco come quello della sera prima, autoreggenti nere, un perizoma e un reggiseno tette fuori (ormai portavo solo più quelli), una gonna plissettata lunga appena da coprire di tre dita il bordo delle calza, un golfino abbottonato sul davanti direttamente a contatto della pelle, un paio di stivali dal tacco alto. Per fortuna negli ultimi tempi ero stata spostata nel plesso delle superiori (un istituto tecnico) e lì l’audacia delle mie mise si confondeva un po’ con quella di altre professoresse e di diverse studentesse.

Arrivata a scuola andai a posare il cappotto in sala professori, presi il registro e mi diressi verso l’aula in cui dovevo fare lezione. Dovevo passare davanti alla segreteria, lui era lì e vedendomi mi fece cenno di avvicinarmi.

“Ho visto che oggi alla terza ora non hai lezione, ho giusto bisogno di un piccolo aiuto qui, ti aspetto.”

“Non ho lezione ma devo andare a parlare con la Preside.” Risposi.

“Tu non preoccuparti, dico io alla Preside che ti sei gentilmente offerta per aiutarmi, vieni qui appena finita l’ora e senza discutere!”

Alla fine della seconda ora mi presentai da lui.

La segreteria affacciava sull’atrio del primo piano, di fronte un lungo corridoio, con le pareti a vetri, portava alle aule. Nella parete tra l’atrio e la segreteria era inserito un bancone con la parte inferiore piuttosto alta in legno e la parte superiore in vetro. Al bancone si avvicinavano spesso sia i colleghi sia gli studenti sia il personale non docente per tutte le abituali incombenze di segreteria. All’interno il locale era grande, c’era una scrivania ingombra di carte, un tavolo col computer alcuni armadi disposti in modo da isolarne una stretta fascia. La porta di accesso era dotata di chiave.

Il segretario appena mi vide arrivare mi aprì la porta, mi fece rientrare e poi la richiuse alle mie spalle girando la serratura nella toppa. Mi indicò lo spazio sotto il bancone:
“Accucciati lì per ora!”

Obbedii e mentre mi sistemavo attraverso il vetro mi giunse la voce della direttrice che si avvicinava chiedendo:

“E la Professoressa?”

Il segretario si accostò al bancone che lo copriva fin oltre la cintola:

“E’ andata in bagno, arriva subito” intanto si era aperta la patta, aveva tirato fuori il cazzo e con un gesto volgarissimo mi aveva fatto capire che dovevo succhiarlo, rassegnata glielo carezzai un attimo e poi me lo infilai in bocca iniziando a pomparlo mentre lui andava avanti a parlare con la Preside,

“ sa, queste richieste di trasferimento vanno presentate entro settimana e tra raccoglierle, verificarle e inoltrarle da solo non ce la potrei mai fare, la Professoressa è stata davvero molto gentile ad offrirsi.”

“Va bene, va bene, per questa settimana è sua, ma le ricordi che devo parlare con lei al più tardi settimana prossima.”

Si allontanò, il segretario aspettò che fosse scomparsa in fondo al corridoio poi mi sfilò il cazzo di bocca, lo rimise nei calzoni e mi fece alzare.

“Come hai sentito si tratta delle richieste di trasferimento, fino a fine settimana sei a mia disposizione in tutte le tue ore libere ed in quelle delle riunioni. Dovrai stare al banco, raccogliere le richieste che i colleghi presenteranno e verificarle con loro per poi passarle a me. Per stare al banco la gonna non ti serve per cui adesso sfilala e vai ad appenderla lì dietro!”

Era matto, feci finta di non aver sentito ma dopo un solo attimo mi arrivò una sberla in piena faccia che mi fece roteare su me stessa.

“Hai capito?”

Guardai verso il corridoio che era deserto, chinai il capo, andai dietro gli armadi, mi sfilai la gonna, la appesi ad un gancio e, seminuda, tornai quasi di corsa dietro il bancone temendo che qualcuno potesse vedermi.

“Girati”

Mi girai con le spalle al bancone e lui mi osservò con tutta calma poi disse:

“Pulloverino sexi ma troppo castigato, slaccia i primi due bottoni!”

Stavo per protestare ma una sua occhiata mi bloccò, slacciai i primi due bottoni scoprendo generosamente la parte alta del mio seno.

“Sfilati anche il perizoma poi girati e sta appoggiata al bancone col culo ben in fuori e le gambe divaricate!”

Mi sfilai il perizoma, la vista della mia figa depilata fu accolta dal suo primo sorriso, mi girai e assunsi la posizione che mi aveva richiesta.

Quasi subito arrivò un collega insegnante di lettere, mentre mi porgeva la pratica attraverso la fessura del vetro il segretario mi si accostò con la scusa di guardarla insieme a me. Mise una mano sul mio culo e cominciò a palparmi vigorosamente mentre parlava col professore come se nulla fosse. La sua mano scivolò più in basso, un dito si insinuò tra le natiche, sfiorò per un momento l’ano per poi infilarsi nella figa.

Il viso mi si fece scarlatto e cercai di chiudere le cosce ma un violento pizzicotto me le fece riaprire immediatamente, mi bagnai tutta, d’un colpo, una malsana eccitazione indotta dalla paura di poter essere scoperta in quelle condizioni, a scuola, si impossessò di me. Presto percepii i primi segnali dell’ orgasmo, cercai ad ogni costo di dominarmi, ma era ogni secondo più difficile. Per fortuna il colloquio finì ed il collega salutò lanciandomi un’occhiata perplessa. Aveva appena girato le spalle che venni abbandonandomi sulla mano del segretario che infilò l’altra nella scollatura strizzandomi con due dita un capezzolo.

“Brava! Docile, soprattutto docilità! Come hai visto ti puoi divertire anche tu!”

Mi diede una pacca sul culo e tornò alla scrivania lasciandomi lì stordita e piena di vergogna. Per il resto dell’ora dovetti rimanere lì esposta, se cercavo di muovermi bastava un piccolo colpo di tosse a farmi tornare in posizione. Dovetti ritirare un paio di pratiche discutendo con i colleghi ma senza che il segretario si avvicinasse di nuovo. Alla fine dell’ora c’era l’intervallo, al suono della campanella mi mossi per correre a coprirmi ma il segretario mi bloccò, mi si accostò da dietro, tirò fuori il cazzo e mi infilò: ero al panico, lui mi scopava a gran colpi ed io mi guardavo in giro terrorizzata temendo che qualcuno dei ragazzi che correvano per i corridoi, guardando verso la segreteria, potesse accorgersi di qualcosa. Lui invece sembrava perfettamente a suo agio, mi scopava con metodo, spingendosi dentro di me fino in fondo, godendo del fatto che, tesa com’ero, gli stringevo allo spasimo il cazzo nella figa. Venne, si sfilò, dovetti chinarmi e pulirgli il cazzo leccandolo, poi mi fece rialzare e senza restituirmi il perizoma, che anzi infilò in tasca con un sorriso beffardo, e senza neanche darmi un fazzoletto di carta mi indicò la gonna facendomi segno che potevo andare.

Scappai dietro l’armadio, mi rimisi la gonna, aspettai ancora un attimo che i ragazzi rientrassero nelle classi e corsi in bagno per darmi una pulita prima di raggiungere la classe in cui avevo le successive due ore di lezione.

Vi lascio immaginare in che stato mi trovassi. Mi sembrava che tutti guardandomi potessero immaginare che sotto ero nuda e quello che avevo appena finito di fare. In aula la cattedra era di quelle aperte sul davanti evitai di sedermi ed iniziai la spiegazione di un problema di disegno alla lavagna. Poi assegnai un’esercitazione e in qualche modo riuscii a riprendere il controllo di me stessa.

Ma non era finita ancora. Dopo il pranzo c’erano le riunioni, ero ancora a disposizione del segretario: al rientro a scuola lo trovai sulla porta della segreteria che mi aspettava. Lo seguii all’interno.

Si sedette alla scrivania lasciandomi in piedi e, lavorando, aspettò che gli altri docenti fossero entrati ed i corridoi fossero tranquilli. Poi alzò il capo e tranquillamente disse:

“Via gonna e pullover, tesoro!”

Andai dietro l’armadio, mi spogliai rimanendo con le calze ed il reggiseno che mi lasciava le tette scoperte, poi mi affacciai nella stanza cercando di non espormi in modo da essere visibile dal vetro.

“Vieni fuori, insomma! Non farmi perdere la pazienza, cammina per la stanza con le tette ben fuori e muovendo il culo come si deve, puttana!”

Esitavo di nuovo in preda al panico, lui si alzò e tirò fuori da un armadio una sottile canna di bambù lunga quasi un metro, cominciai a camminare ma dopo solo tre passi una staffilata si abbatté sul mio sedere.

“Muovi il culo e mettiti una mano alle tette e una alla figa, lavorati per bene, scaldati, sciogliti, ti voglio puttana e a tuo agio! E poi sorridi, ti muovi come se avessi un bastone nel culo.”

Piegai il viso in una smorfia simile a un sorriso, portai la mano sinistra alle tette cominciando a palparle e la destra alla figa carezzandomi, camminando muovevo il culo come un pendolo ma tenevo lo sguardo fisso al vetro terrorizzata.

“Guarda me puttana e rilassati, se no ti faccio fare direttamente un giro nei corridoi in questa tenuta.”

Spostai gli occhi su di lui e subito li chinai, aveva un’espressione durissima in viso. Quando ritenne che fossi sufficientemente sciolta mi fece accostare all’angolo della scrivania.

“Prenditi tutte e due le tette con le mani e non smettere un secondo di lavorartele, piega il busto e poggialo alla scrivania, divarica bene le gambe e tieni aperto il culo che devo lavorare ancora un po’ e ti voglio a portata di mano.”

Eseguii, in quella posizione solo chi si fosse avvicinato al bancone avrebbe potuto vedermi, ma se qualcuno si fosse effettivamente avvicinato non avrei avuto il tempo per nascondermi da nessuna parte. Il segretario si sedette e cominciò a sfogliare delle carte mentre con la mano sinistra mi carezzava le cosce, le natiche, la schiena, ogni tanto mi carezzava l’interno delle cosce salendo fino a sfiorarmi la figa. Lentamente, in qualche modo mi rilassai e quel trattamento cominciò a farmi effetto, i capezzoli si gonfiarono, la passera si inumidì il respiro si fece più rapido. Lui se ne accorse quasi subito:

“Che gran puttana!”

Prese a masturbarmi con metodo infilandomi due dita nella figa e carezzandomi la clitoride con un altro. Sentivo il piacere montare, mi sentivo un oggetto nelle sue mani, il terrore che provavo si trasformava in piacere appena mi toccava, mi sentii dire:

“Ti voglio dentro di me, ti prego!”

Tolse immediatamente le dita e scattò in piedi con la canna di bambù in mano.

“Ah! Lo vuoi? Te lo dovrai meritare, mia cara. Voglio vederti fare una passeggiatina fino in fondo al corridoio e ritorno e poi forse te lo darò.”

“Ti prego, non farmelo fare, ho troppa paura, pensa a cosa potrebbe accadere anche a te se mi vedessero nuda per il corridoio!”

Non rispose neanche, sollevò la canna e mi colpì sul seno. Di nuovo chinai la testa e mi avviai verso la porta. La socchiusi, sbirciai fuori, mi colpì sulle natiche, scattai, spalancai la porta, tirai su la testa, cacciai tette e culo e mi incamminai a lunghi passi attraverso l’atrio verso il corridoio. Solo avvicinandomi mi resi conto che dalla strada avrebbero potuto vedermi, ma per fortuna anche la strada era deserta. Arrivai in fondo al corridoio, mi girai presi una boccata d’aria e ripartii: le tette mi ballavano, il cuore batteva all’impazzata, guardavo il segretario di là dal vetro dritto negli occhi, tra le cosce i miei umori colavano abbondanti. Mi eccitavo persino per quell’esibizione forzata.

Appena entrai in segreteria mi afferrò per la nuca, mi piegò sul tavolo, mi infilò il cazzo nella figa e venni

“Si maiale, sfondami, sono una puttana, sono veramente una puttana, fottimi!”

Lui continuava a scoparmi, venni ancora due volte prima che raggiungesse l’orgasmo. Si sfilò da me ed io rimasi abbandonata sulla scrivania, esausta. Avevo goduto come non mai.

Sentii una campanella e schizzai in piedi. Era la fine delle riunioni, lo guardai e lui fece un cenno di assenso con la testa, corsi dietro l’armadio e mi rivestii in un lampo.

Due colleghe uscendo mi chiesero se volevo un passaggio, chiesi al segretario se avesse ancora bisogno di me e lui rispose che per oggi bastava. Lo salutai e andai via con loro

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