A.A.A. Puttana cercasi tuttofare

Cantastorie28
17 days ago

Ciao a tutti. Mi presento. Mi chiamo Andrea e ho 32 anni. Vengo da una famiglia di imprenditori e abbiamo un gruppo molto influente a livello internazionale. Mio padre e mia madre lo hanno costruito da zero ed ora che possono godersi la pensione, lo hanno lasciato in gestione a me.

Ha 32 anni mi ritrovo ricco con un’azienda che va a gonfie vele. Sono sempre stato un ragazzo coscienzioso, mai fumato, mai fatto uso di droghe e mai abusato di alcol. Sempre tra i primi della classe e laureato con il massimo di voti alla facoltà di economia. A detta di tutti sono un bel ragazzo e ho sempre curato il mio fisico e il mio outfit. Questo mi ha sempre aiutato molto con le ragazza, l’unico mio vero punto debole. Non posso fare a meno di loro.

Un punto dolente è stato proprio questo aspetto. Essere alla guida del gruppo di famiglia non mi lascia affatto tempo per coltivare questa mia “passione”. E’ ormai qualche mese che vado avanti con Federica, la mia fidata mano destra, e sento la necessità di avere una donna. E’ un lunedì mattina quando il mio occhio cade sulla donna delle pulizie. Una donna campana sui cinquant’anni, 47 per essere precisi. Lavora da poco da me e devo ammettere che ha un suo “non so che”.

Capelli castani e un viso abbastanza grazioso, nonostante qualche ruga dovuta all’età. Ha un bel paio di tette grosse e un paio di chili di troppo, ma nel complesso è una MILF fatta e finita.

Quel lunedì ho una riunione in ufficio, che però salta all’ultimo momento. Decido quindi ti tornare a casa prima e la trovo in salotto che spolvera i mobili e intanto piange.

         «Rosa, perché piangi?».

         «Mi scusi, signore. Pensavo di essere sola, mi ricompongo subito.».

Si rimette in fretta a pulire, ma io la fermo.

         «Non me ne frega niente delle pulizie, perché piangi?».

La faccio accomodare sul divano e inizia a raccontarmi tutto tra le lacrime.

         «Mio marito fa il camionista ed è sempre in giro per lavoro. Mia figlia si è iscritta all’università e si paga l’iscrizione perché il nostro stipendio va tutto per l’affitto, cosa che tra l’altro non avremo più perché entro la fine del mese dovremo sgombrare la casa. Non so cosa fare. Non ho un posto dove andare. Dovremo andare a dormire agli ostelli dei poveri. Mi sento crollare il mondo addosso.».

         «Da quanto tempo hai questi problemi?».

         «Da parecchio. Ma adesso lo sfratto dalla casa…».

         «Non devi preoccuparti di quello. Ti troverò io un posto dove andare!».

D’istinto mi abbraccia e sento la sua quinta che preme contro il mio petto. Resisto all’idea di approfittarne. Mi congedo dicendole che nei prossimi giorni le avrei fatto sapere per la casa.

         «Buongiorno, signore. Non vorrei disturbarla ma…».

         «Ah, Rosa proprio te cercavo. Preparami un caffè per favore. Subito!».

La donna resta un po’ basita dal mio modo freddo e distaccato, ma esegue la mia richiesta. Non osa parlare per chiedere della casa.

Passano altri giorni e Rosa è sempre più tesa. Ha paura di avermi dato un fastidio e non osa chiedere per paura di essere licenziata. Cosa che del resto accade.

È domenica e sento suonare al campanello della mia villa. È lei.

La faccio entrare. E’ veramente presto e indosso solo una vestaglia che ho preso di sfuggita appena alzato dal letto – dormo nudo.      

         «Rosa, cosa ci fa qui di domenica?».

Lei è furiosa. Inizia a sbraitare, ma verso la fine la rabbia lascia spazio alle lacrime di disperazione.

         «Io… mi ero fidata di voi… avevate detto che mi avreste aiutato… e ora … ora mi hanno licenziata… cosa ho fatto di male!».

Cerco di prendere la parola, ma è un fiume in piena. Le tappo la bocca con la meno e la faccio entrare. La cintura della vestaglia si slaccia e si intravede il mio membro che fa capolino tra le pieghe del tessuto. Lei lo nota, ma non dice nulla.

         «Parlo io!».

Le tolgo la mano e finalmente resta in silenzio.

         «Ti ho fatto licenziare io. Perché da domani sarai assunta direttamente da me. Avrai uno stipendio più alto dei 700 euro al mese dell’agenzia. Sarai la mia domestica a tempo pieno. Questo lavoro ovviamente comprende anche l’alloggio. Ci sarà una camera per te e una per tua figlia in questa villa.».

         «Verremo a vivere qui?».

È incredula.

         «Sì. Sempre se tua figlia e soprattutto tuo marito accetteranno.».

Le lascio qualche giorno per rifletterci e parlare con la famiglia.

La risposta è sì.

La figlia di Rosa, si chiama Manuela ed è una ragazza molto bella, snella ma con il seno prosperoso della madre. Ha 23 anni. È sempre fuori di casa, tra università e lavoro come cameriera in un bar tutte le sere.

Rosa è sempre cordiale. Scopro essere molto brava a cucinare e molto abile nel prendersi cura della casa. Il marito si chiama Enzo e, come anticipato dalla donna, è spesso fuori casa per lavoro.

La mia nuova domestica fa di tutto per ringraziarmi. Mi dice spesso che l’ho salvata dalla mensa dei poveri. E sembra essere molto attenta a tutti i miei bisogni. La figlia invece è più distaccata, ma forse sente meno questo essere in debito rispetto alla madre.

Tutte le sere chiede a che ora ho la sveglia e, la mattina successiva, viene lei di persona a svegliarmi e mi fa trovare la colazione già pronta.

Una mattina non sento bussare alla porta della camera e non mi sveglio. Passa una seconda volta e una terza. Preoccupata entra e apre le tende, facendo entrare la luce. Si gira verso il letto per svegliarmi, ma la luce lo aveva già fatto.

Apro gli occhi e la vedo davanti al letto, rossa in viso e con gli occhi rivolti verso il mio membro che mostra un notevole alza bandiera mattutino.

         «Mi mi mi mi … scusi, signore. Io…».

         «Colpa mia. Non ti ho detto che dormo nudo.».

La donna si gira di scatto e continua a scusarsi.

         «Vado a prepararle la colazione.».

Senza che io possa parlare, esce di corsa diretta in cucina.

Sorrido. La sua faccia imbarazzata mi ha fatto eccitare ancora di più.

Scendo in cucina. Siamo solo io e lei. La figlia è rimasta a dormire dal ragazzo.

         «Mi scusi ancora, signore. Le giuro che non capiterà più.».

         «Scusami tu. Mi sono dimenticato di dirti che dormo nudo. Spero di non averti dato fastidio.».

         «Che fastidio. Un bel vedere così…».

La donna si tappa subito la bocca. Le è sfuggito il pensiero.

         «Se ti piace così tanto puoi svegliarmi così tutte le mattine!».

La mia battuta la rende ancora più imbarazzata.

Da quella mattina noto che, nei momenti morti, lo sguardo di Rosa cade spesso sul mio cavallo. “Le è davvero piaciuta la vista, allora!” penso.

Dopo qualche settimana di prova le faccio firmare il contratto di assunzione.

         «Signore, qua vedo una voce bonus cura della persona. Per cos’è?».

         «Per la cura della persona.».

         «Sì, ma nel concreto?».

         «Se ti prenderai cura di me in modo particolare avrai dei bonus.».

È in imbarazzo. Capisco subito a cosa pensa.

         «Signore… mi scusi, ma intende … ecco … se faccio sesso con lei?».

         «Credi che ti pagherei per fare sesso con me?».

Diventa subito rossa.

         «Mi scusi, non volevo insinuare che…».

         «Rosa. Ti scusi troppo. Non ti ho fatto nessun favore assumendoti a lavorare per me. Non ti regalo niente. Quello che hai te lo guadagni con il lavoro. Non devi sentirti in debito.».

Resta in silenzio.

         «Comunque, signore, se è quello che desidera … ecco … io…».

Inizio a pensare che sia lei a volerlo più di me.

         «Rosa, non sarò io ad abusare della mia posizione come datore di lavoro per avere favori sessuali da te.».

La sua risposta in un certo senso mi spiazza.

         «Non abuserebbe della sua posizione se fossi io a offrirglieli, giusto?».

Sorrido.

         «Immagino di no. Cosa vuoi dirmi, Rosa?».

         «Ecco, signore. Vorrei guadagnarmi quei bonus prendendomi cura in tutto e per tutto di lei.».

         «Parla chiaro!».

         «Se mai avesse dei desideri di quel tipo… chieda senza problemi. Sarò felice di prendermi cura di lei.».

Mentre lo dice è rossissima in viso.

         «Lo farò sicuramente.».

Me ne vado diretto in ufficio.

Quando rientro la sera. È nuovamente da sola.

         «Rosa, dove sono tutti?».

         «Siamo soli stasera. Mia figlia lavora e poi sta dal ragazzo, mio marito è in Germania per i prossimi due giorni. Le preparo la cena?».

         «No, riempimi la vasca da bagno.».

La donna si precipita subito nel mio bagno personale e prepara la vasca coi Sali da bagno.  

La raggiungo in bagno. Indosso i pantaloni e la camicia.

         «E’ pronta, signore. Io andrei a preparare la cena. Se non le serve altro…».

         «Lascia stare la cena. Chiudi la porta e vieni qui!».

Esegue.

         «Signore, cosa devo fare adesso?».

         «Spogliami!».

La donna in imbarazzo mi sbottona la camicia. Mi leva i pantaloni. Mi abbassa le mutande e si ritrova il pene davanti agli occhi. Lo fissa.

Io entro in vasca, mentre lei resta in piedi a guardare mentre mi rilasso.

         «Cosa hai fatto oggi, Rosa?».

La donna inizia a raccontarmi la sua giornata. Di cosa ha pulito. Che è andata a fare la spesa, ecc.

         «Dimmi, Rosa, hai mai lavato tuo marito?».

         «No, signore. Non me lo ha mai chiesto e … non siamo soliti a fare questo genere di “giochi di coppia”.».

         «Con me invece dovrai iniziare a farlo. Lavami la testa ora. Massaggia bene, amo questo genere di cose.».

La donna si mette in ginocchio fuori dalla vasca, prende lo shampoo e inizia a pulirmi i capelli. Massaggiando bene il cuoio capelluto. Davvero piacevole.

         «Sei molto brava!».

E’ in imbarazzo.

         «Prendi la spugna e passa al corpo.».

Pulisce con dovizia il mio petto, i miei addominali, la mia schiena, i piedi e le gambe.

         «Signore, anche lì?».

Chiede imbarazzata.

         «Sì, ma lì non con la spugna. Usa le mani!».

La donna strofina le sue mani sulle mie natiche e poi sul mio pacco, massaggiando con delicatezza anche i testicoli.

         «Che tocco delicato!».

Sorride.

Senza che lo chieda esplicitamente, inizia a farmi una sega. Sento la sua mano e l’acqua calda che massaggia a sua volta tutto il mio sesso.

         «Fermati!».

Mi alzo in piedi nella vasca e con il piede tolgo il tappo.

         «Sciacquami!».

Esegue. Esco dalla vasca.

         «Asciugami!».

Mi tampona dolcemente con un telo di spugna.

         «Signore, resta così a metà?».

         «Scegli tu!».

La donna lascia cadere il telo, afferra il mio pene con una mano e se lo porta alla bocca.

         «Ottima scelta!».

Inizia a succhiarmelo con dovizia. La sua lingua mi stimola la cappella, mentre le sue mani accarezzano le mie palle.

Aumenta il ritmo sempre di più.

Sto per venire. Lo tolgo dalla sua bocca e le vengo sulla testa. Sei fiotti di sperma caldo le imbrattano i capelli castani.

         «Grazie, signore.».

         «Grazie a te. Fatti una doccia, preparo io da mangiare oggi!».

Sono Rosa...

la domestica di 47 anni del signorino.

Credo che sia molto meglio se da ora in avanti sia io a raccontare la nostra storia.

Dopo quello che era successo in bagno, iniziai a sentirmi strana. Ogni volta che lo vedevo, provavo una certa eccitazione. Sulla faccia mi compariva in automatico uno strano sorrisetto, soprattutto quando la mattina lo andavo a svegliare e lo trovavo nudo con il membro semiduro.

Agosto arrivò in fretta e chiesi al signorino le ferie, sarei tornata in Campania dai miei genitori. Andrea, dato che l’azienda chiudeva per tutto agosto e lui sarebbe stato via per tutto il mese, mi lasciò tutto il mese libero.

Il giorno prima di partire sistemai la casa del signorino e lo salutai. Sarei partita con mia figlia e il suo ragazzo, mio marito ci avrebbe raggiunto direttamente appena finito l’ennesimo viaggio all’estero.

Quella mattina arrivò la mia busta paga e notai che c’era un cospicuo bonus. Non chiesi per cosa fosse, anche se lo immaginavo. E, ad essere onesta, la cosa mi fece eccitare da morire. Sia chiaro, non avrei mai fatto sesso per soldi. Non lo avrei mai nemmeno chiesto, ma trovarli lì in busta paga… diciamo che non li rifiutai nemmeno. Forse perché era lui ha darmeli e sapevo che non lo faceva perché mi riteneva una prostituta.

Partii. Destinazione Agropoli, dove i miei genitori vivevano. Mia figlia era tutta contenta, e il suo ragazzo Luca ancor di più. La casa era su due piani. Il piano terra comprendeva il soggiorno, un bagno e la camera dei miei genitori, al primo piano c’era la mia camera e quella di mia sorella, che ora era occupata da mia figlia e dal suo bello. Le pareti non erano molto spesse, tanto che la notte sentivo tutto quello che accadeva nella stanza di fianco. Potevo affermare con certezza che mia figlia non era più una bambina ora, e che aveva una vita sessuale di gran lunga più attiva della mia. In quelle notti accompagnate dal sottofondo degli orgasmi dei due giovani, sentivo la mancanza di mio marito Enzo.

Il giorno in cui finalmente arrivò feci festa, ora finalmente potevo stare un po’ con lui, ma le notizie che portava non erano affatto buone; sarebbe rimasto soltanto qualche giorno.

Giorni che passò interamente a mangiare, sonnecchiare e fare bagni al mare; niente che prevedesse nemmeno un minimo di piacere per me.

La sera prima che ripartisse era in doccia. Il suo cellulare continuava a suonare per i messaggi che riceveva. Conoscevo il suo pin, così sbirciai. Rimasi sconvolta nello scoprire che l’indomani sarebbe ripartito, ma non per il lavoro. Il mio amato Enzo aveva un’amante, ormai da più di un anno. Ero furente, ma decisi di non dire nulla. Mi segnai il numero e il nome di quella sgualdrina che si sbatteva mio marito e fine. Avrei pensato più avanti a cosa fare. Il giorno dopo lo salutai con un freddezza che non credevo di poter provare e lo vidi partire, diretto verso la sua amante. Certo, anche io lo avevo mezzo tradito. Anche se di fatto, Andre non mi aveva scopato. Però era stata la debolezza di una volta, non una relazione di più di un anno.

Mia figlia Manuela notò che qualcosa era cambiato, soprattutto quando chiamava Enzo per salutarlo e sapere come andava. Non le dissi nulla; era suo padre e lei non doveva essere coinvolta nei nostri problemi di coppia.

Pensai spesso alla possibilità di divorziare, ma poi cosa sarebbe successo? Avevo 47 anni e non ero certo una top model. Come avrei potuto ricominciare da capo?

Era il 18 di agosto quando il mio telefono squillò. Era Andrea. Quella settimana sarebbe passato vicino al mio paese con il suo yacht e mi chiedeva se volevo farci un giro.

Accettai senza nemmeno pensarci, fu lo stesso quando lo chiesi a mia figlia e a Luca.

La giornata fu piacevolissima. Bagno al largo e pranzo sul mare a base di pesce. Nel pomeriggio ancora sole e tuffi. Guardavo Andrea che indossava un costume a pantaloncino verde oliva che si abbinava perfettamente alla sua abbronzatura. Sia io, sia mia figlia ci scoprimmo più volte a fissare il signorino che prendeva il sole, o meglio i suoi addominali scolpiti. Mi chiedevo spesso come facesse a trovare il tempo per allenarsi con tutti gli impegni che aveva, ma se il risultato era quello non aveva importanza chiederselo.

L’unico che sembrava non godersi a pieno la giornata era Luca, che guardava preoccupato il modo in cui Manuela guardava il signorino.

Ci propose di andare in un ristorante quella sera, ma Luca insistette per tornare a casa con Manuela.

         «E tu, Rosa?».

         «Una cena solo noi due?».

         «Non ti va?».

Manuela mi guardava. Non potevo accettare davanti a lei.

         «Non credo che …».

         «Manuela non credo abbia nulla in contrario, giusto?».

Mia figlia divenne subito rossa.

         «No, no. Assolutamente. Anzi, vai pure mamma.».

         «Va bene.».

Ci accompagnò a casa e mi diede appuntamento per le 20 sotto casa.

Mi preparai indossando i vestiti migliori che avevo, ma sicuramente non sarebbe bastato.

Mia figlia non mi rivolse la parola; non sapevo se era solo gelosa o se immaginava che avessi una storia con il mio datore di lavoro. In ogni caso, non approvava di certo la mia uscita.

Andrea arrivò vestito in modo casual. Indossava un paio di pantaloncini corti di lino bianchi, una camicia sempre in lino a strisce bianche e azzurre e un paio di scarpe in tessuto beige. Gli occhiali da sole gli davano un aria da gran figo.

Mi fece i complimenti per l’abito che avevo scelto. Un vestito estivo turchese che mi arrivava al ginocchio. Le spalline erano sottili e mettevano in risalto il mio seno prosperoso. Avevo scelto quel vestito proprio per quello, volevo stuzzicare Andrea. Dopo la scoperta della relazione di mio marito, non avevo più remore a sentirmi libera.

Mi portò in un ristorantino sul mare. Una cena a base di pesce, con antipasto a base di ostriche.

         «Come stai Rosa? Cos’è quel cruccio sul tuo bel faccino?».

Aveva davvero capito che qualcosa non andava?

         «Problemi con mio marito. Non ho molta voglia di parlarne però.».

Parlammo del più e del meno e, senza che nemmeno me ne accorgessi, la discussione arrivò proprio al bonus.

         «C’è una cosa che vorrei chiederle da un po’… riguarda il bonus in busta paga. Ecco…».

         «Vuoi chiedermi se è per il pompino in bagno?».

Annuii. Lui però non mi rispose direttamente.

         «E se anche fosse? Ti darebbe fastidio?».

Sentii il fuoco sul volto. E dall’espressione compiaciuta che aveva, credo che anche lui abbia colto il mio imbarazzo.

         «Facciamo un gioco ti va? Tu hai rinunciato alle ferie pagate, mi hai detto che non trovi giusto che io ti paghi per stare in vacanza. Li vuoi 100 euro?».

         «Cosa dovrei fare?».

         «Vai in bagno e togliti le mutandine. Porgimele e avrai i tuoi soldi.».

Diventai di nuovo rossa, ma mi alzai diretta al bagno. Nel tragitto mi vennero mille pensieri, ma il più forte fu quello che il signorino stava pagando per farmi togliere le mutande. Questa cosa mi eccitava da morire.

Andai alla toilette delle signore. Mi chiusi in un bagno e mi levai gli slip. Non sapevo bene come, ma inconsciamente avevo messo degli slip nuovi molto sexy; forse speravo che finissimo a letto. Uscii e mi trovai davanti una signora più giovane di me. Indossava un vestito elegante, color oro. Aveva la faccia triste, forse aveva litigato con il compagno. Avrei voluto parlarle, dirle qualcosa, ma nella mano sinistra tenevo strette le mie mutandine.

Andrea aveva prenotato una saletta tutta per noi, dove nessuno poteva disturbarci. Per tornare da lui però dovevo fare un mezzo slalom tra i tavoli. Passai di fianco a un signore. Era molto ben vestito e aveva un’espressione molto arrogante. Il posto di fronte al suo era vuoto, ma sulla sedia c’era il copri spalle d’orato della signorina che c’era in bagno con me. Non so ancora per quale motivo, ma mi afferrò per il braccio e mi fermò.

         «Non so quanto ti dia il tuo lui, ma sono pronto ad offrirti il doppio. So riconoscere una troia quando la vedo.».

Il suo tono era arrogante. Il viso mi irritava e il fatto che mi avesse dato della puttana mi fece ribollire il sangue.

         «Mio caro, sono troppo costosa per uno come te!».

Staccai la sua mano dal mio braccio e proseguii verso la saletta e verso Andrea.

Non so ancora che cosa mi fece rispondere così, ma ero eccitata. Non sarei mai andata per soldi con qualcuno, ma ammettere di valere più di quanto lui potesse permettersi mi faceva sentire bene. E credo che sia stato anche il modo migliore per farlo sentire inetto. Le persone come quell’arrogante che basano tutto sul denaro credono di potersi comprare il mondo. Sapere che non avranno mai abbastanza per farlo fu il modo migliore per sminuirlo davanti a se stesso.

         «Ecco a lei, signore.».

Mi affiancai al nostro tavolo e poggia i miei slip proprio davanti alla mano del signorino. Lui sorrise soddisfatto e mi passò una banconota da 100 euro.

Mise la mano destra rivolta verso l’alto all’altezza del tavolo.

Non fu necessario che mi dicesse cosa fare; alzai il vestito e poggiai il mio sesso umido sulla sua mano.

Mi masturbò lì. Il suo indice e il suo medio entravano dentro la mia passerina, mentre con il pollice stimolava il clitoride già gonfio e arrossato. Ero eccitatissima e non ci volle tanto a farmi venire.

Prese un tovagliolo e si ripulì la mano, mentre io arrossata, sudata e affannata tornai a sedermi. Gli raccontai del villano che mi aveva dato della puttana.

         «Crede che io sia un prostituta, signore?».

         «Perché me lo chiedi?».

         «Mi ha pagato l’altra volta. Mi ha pagato oggi. E quel signore ha detto che mi avrebbe pagato per andare con lui e che sa riconoscere un troia quando la vede.».

         «Non sei un puttana! Il nostro è un gioco. E il bonus non te l’ho certo dato per il pompino, ma perché hai fatto un lavorone nell’ultimo periodo. Quello che ti meriti io ti do!».

         «Non crede che avrei potuto fraintendere i pagamenti. Si. Lo sapevo benissimo. L’ho fatto apposta. Tu non andresti con qualcuno per soldi. Quello che hai fatto con me, l’avresti fatto a gratis. Però l’idea di essere pagata da me, ti ha fatto eccitare. Questo conta; e questo non vuol dire che sei una prostituta. Per curiosità, chi è che ti ha offerto dei soldi?».

Indicai il signore seduto davanti alla giovane dal vestito d’oro.

Finimmo la cena e poi ci alzammo. Il signorino si diresse verso il suo tavolo.

         «E’ lei che ha offerto dei soldi in cambio di prestazioni sessuali a questa signora?».

La giovane divenne rossa in volto, così come me. Lui invece era decisamente più bianco. Balbettò un “I-i-i-io”, ma non riuscì a finire la frase.

         «Chi è la signorina davanti a lei? Sua figlia?».

La ragazza annuì.

         «Che cosa penserebbe se io venissi qui da lei e le chiedessi quanto vuole per farmi stare con lei? Cosa mi direbbe? Non è così che valuta il valore di una donna? Insomma quanto costa?».

L’uomo non rispondeva. Era imbarazzato. La figlia si scusò.

         «Mia cara, non sei tu che devi chiedere scusa. Anzi, ti chiedo venia per averti trattata come merce. È tua padre che deve capire. Le donne, tutte le donne, non sono merce che si compra! Spero che serva da lezione.».

Tutti i tavoli guardavano l’uomo la cui faccia aveva cambiato tutte le tonalità di rosso, rosa e bianco.

Mi piaceva da morire come mi aveva difeso.

Eravamo in macchina quando risposi.

         «Sì, mi piace il gioco in cui mi paghi.».

         «E cosa ti piace di più?».

A quel punto avevo perso ogni vergogna. Mi aveva difeso. Mi aveva pagato per togliermi li slip e tornare da lui sfilando in mezzo al ristorante e, per non farmi mancar nulla, mi aveva pure fatto godere con le sue sapienti mani. Confessare cosa mi piaceva di quel gioco puttanesco era di certo la cosa meno imbarazzante che avessi fatto quella sera.

         «Mi piace fare la tua prostituta. Fosse un altro non credo lo potrei sopportare. Hai visto con quel maleducato. Ma con te è diverso. Tu non mi tratti da puttana, sai che farei tutto gratis se solo me lo chiedessi. Ma il nostro rapporto è così, tu il datore di lavoro e io la tua domestica. Non sarebbe lo stesso cambiando i ruoli e tu lo hai capito. E mi piace.».

         «Questo mi fa molto piacere, anche perché la prossima volta che ci incontreremo avrai la possibilità di accettare un “lavoretto” da 500 euro.».

         «Quando?».

         «Finite le vacanze. Io domani riparto.».

         «In questo caso, accosta la macchina. Nei 100 euro è compreso un pompino in macchina.».

Mi lego i capelli e mi abbasso a prendere in bocca quel bel membro duro che, in fin dei conti, è il pesce migliore di tutta la serata.

Finale...

Quando rientrai a casa quella sera, mia figlia era in piedi ad aspettarmi. Aveva lo sguardo arrabbiato.

         «Ero preoccupata. Non mi hai risposto al telefono per tutta la sera!».

Non era certo quello il problema. Iniziai a credere che il problema fosse il mio rapporto troppo amichevole con Andrea, ma per il motivo sbagliato. Credevo fosse per via del fatto che fossi sposata, invece, avrei scoperto più avanti, era una crescente gelosia per il rapporto che avevo con il signorino.

Litigavamo spesso. E questo stava rovinando la nostra vacanza, così decisi di tornare a casa prima.

Avevo una copia delle chiavi di casa. Tornai, dopo aver avvisato Andrea, e mi misi subito a sistemare casa. Mi ritrovavo spesso ad annusare la biancheria pulita del signorino e a toccarmi immaginando quel membro che già due volte avevo potuto assaporare.

Passai il resto dell’estate così, tra pulizie, masturbazione e porno. Guardavo film, video amatoriali e leggevo racconti erotici. Tutti con protagonisti ragazzi giovani e donne mature. Oramai il mio chiodo fisso era diventato questo.

Un pomeriggio andai a fare compere in centro a Milano. Ero sola. Il caldo si faceva sentire e, quel che più mi dava fastidio erano le goccioline di sudore che si facevano strada tra il solco delle mie tette. Indossavo un paio di pantaloni e una camicetta di lino bianca, con i primi due bottoni slacciati. Mi compiacevo degli sguardi degli uomini che, anche solo di sfuggita, guardavano il mio seno abbondante. Da quella sera con Andrea qualcosa in me era cambiato. Enzo, mio marito, mi tradiva e io di contro avevo tradito lui. Il lavoro dal signorino mi dava una casa e uno stipendio più che soddisfacente, esclusi i bonus che prendevo.

Pensavo proprio a lui quando lo incontrai fuori da una caffetteria.

         «Ciao Rosa.».

         «Buongiorno signore.».

         «Fai spese?».

Alzai le borse per confermare la sua deduzione.

         «Credevo fosse via, signore?».

         «Sono solo di passaggio per oggi. Dovrò raggiungere una graziosa donzella in montagna domattina.».

Mi scoprii gelosa.

         «La sua ragazza, signore?».

         «Lo sai anche te che non sono dedito alla monogamia. Per ora sono uno spirito libero. Non sarai mica gelosa?».

Beccata in pieno. Negai come se ne dipendesse la mia vita, ma non funzionò.

         «Ti offro un caffè, vieni.».

Fu cordiale come sempre. Parlammo del più e del meno. Questa volta raccontai della scoperta della relazione di mio marito e che non sapevo bene cosa fare. Non so perché, ma sapevo di potermi confidare con lui. Raccontai perfino dei miei problemi con mia figlia Manuela, omettendo però che probabilmente dipendevano dal fatto che anche lei fosse attratta da lui.

Fu gentile. Si offrì di parlare con lei; e, per quanto riguarda Enzo, mi propose diversa alternative, tra cui anche quella di rintracciare l’amante. Chiusi la questione promettendo di pensarci attentamente.

Le tazze erano vuote e lui se ne sarebbe andato da un momento all’altro. Non volevo che il bel momento finisse; mi ritrovai perciò a iniziare un discorso che mai nella vita avrei pensato di fare.

         «Signore, ricorda che mi aveva detto che … insomma… che potevo guadagnare 500 euro extra?».

Ero imbarazzatissima. Uscirsene con quel discorso equivaleva, dal mio punto di vista, a proporsi per la prostituzione.

         «Sì. Lo ricordo perfettamente. Credi che sia il momento giusto?».

         «Non saprei. Ecco… dipende da cosa dovrei fare.».

         «Sicuramente più dell’ultima volta.».

Nella mia mente era ancora fresca la bella serata al ristorante, con tanto di masturbazione in mezzo alla saletta e pompino finale in auto.

         «Vuole scoparmi?».

Lo dissi senza quasi convinzione.

         «No. Voglio il tuo corpo. Voglio farci quello che voglio per la prossima ora, ma solo se tu accetti.».

         «Per accettare dovrei sapere cosa vuole farmi di preciso.».

         «Voglio avere accesso alla tua bocca. Al tuo seno. Al tuo sesso. E se ne avrò voglia anche al tua ano. Pensi si possa fare?».

         «L’ano…».

         «Stiamo contrattando per aumentare i 500 euro?».

Risposi con un sorriso. Il problema non era il prezzo, ma il fatto che non lo avessi mai preso dietro.

         «E’ vergine. Vale parecchio.».

Volevo stare al gioco.

         «Credi che altri 200 euro siano appropriati?».

Risposi annuendo.

         «Andiamo!».

Pagò il caffè e mi porto con la sua auto in un hotel del centro. Era di proprietà della sua compagnia, per cui entrammo e ci trovarono una camere che era riservata a lui. Sapevo che era destinata alle sue avventure con le donne, ma in quel momento non aveva importanza.

Salimmo in ascensore.

         «Ti crea fastidio sapere che non sei la prima donna che porto in questo posto?».

In realtà ero gelosa marcia, ma non potevo certo ammetterlo. Nel gioco ero la sua puttana, e da tale mi sarei comportata.

         «Non ha importanza. Mi paga per il mio corpo. Quello è importante.».

In quell’ascensore faceva un caldo anomalo, o forse ero io che andavo a fuoco. Fatto sta che le goccioline di sudore tra i miei seni si erano moltiplicate, ed erano ben visibili quando lui mi sbottonò anche il terzo bottone della camicetta.

         «Sei una prostituta perfetta, sai?».

Me lo sussurrò all’orecchio, mentre la sua mano mi accarezzò il mio sesso da sopra i pantaloni.

Dio. Avrei lasciato che mi facesse di tutto.

Le porte si aprirono e una coppia di anziani benestanti ci fissò. Entrambi furono catturati dal mio seno sudato e molto accentuato dalla camicetta. Il signorino li salutò e ci dirigemmo in camera.

Non aspettai nemmeno che chiudesse la porta. Mi inginocchia davanti a lui e tirai fuori il suo membro. Era semi duro. Lo presi in bocca. Adoravo sentirlo gonfiare sulla lingua. La sua mano dietro la mia nuca, dettava il ritmo e la profondità degli affondi nella mia gola. Un piacere intenso ogni volta che lo sentivo scendere e poi risalire.

Mi tolse i pantaloni e, dopo avermi infilato a secco due dita nella passerina, me le fece leccare. Dopo il suo sesso, dovevo assaggiare il mio. Assaggio che poi toccò a lui. La sua lingua esplorava la mia fica rasata. Raggiunsi un primo forte orgasmo. Ero fradicia e pronta per il passo successivo. Mi sdraiò sul letto. Gambe aperte. Puntò il suo membro sulla mia fessurina e senza indugi iniziò a penetrarmi. Non c’era delicatezza e nemmeno dolcezza nei suoi movimenti. Mi scopava come fossi una puttana. E in quel momento lo ero. Ero la sua troia. Pagata profumatamente e essere presa con irruenza così mi piaceva tantissimo. Mi strappò i bottoni della camicia con forze e lo stesso fece con il reggiseno. Mi afferrò per i seni e continuò a penetrarmi violentemente.

Mi sembrava di vivere uno di quei porno hardcore che avevo visto in questo periodo. Il genere era il bdsm. Vedevo lui così dominante, mentre prendeva ciò che era suo da me la sua puttana sottomessa. Il dolore sui seni mi portò alla realtà.

         «Schiaffeggiameli, ti prego!».

Mentre mi afferrava uno dei due seni, iniziò a prendere a sberle l’altro.

Sotto un ritmo folle non durai molto e nemmeno lui. Venne dentro di me, così come la mia micia si contraeva dal piacere attorno alla sua asta dura.

Ci baciamo per qualche tempo, ma ben prestò tornò duro.

Ero spaventata perché sapevo cosa sarebbe accaduto. Si sarebbe preso la mia verginità anale. Mi misi a gambe all’aria. Divaricai le natiche con le mani. Lui sputò più volte sul mio forellino posteriore. Questa volta fu più dolce. Puntò il suo membro sulla mia rosetta e mi guidò passo passo, mentre lui entrava nel mio culo.

Sentivo il mi sfintere allargarsi. Una rottura improvvisa. Un dolore acuto e poi niente. Solo piacere. Entrava ed usciva molto lentamente per non provocarmi lacerazioni, dato che era la prima volta. Era piacevolissimo. Quella fu la prima volta che provai un orgasmo senza che la mia fica fosse sfiorata.

Credo piacque molto anche a lui, dato che subito dopo di me venne sui miei seni. 

Mi diede un bacio in bocca con tutta la dolcezza del mondo, ma con altrettanta sfrontatezza mi getto sui seni nudi e pieni del suo sperma le banconote che pagavano il mio servizio completo.

Entrambi eravamo felici di quello che sarebbe stato il nostro rapporto futuro. Lui il mio datore di lavoro, io la sua puttana. E lo sarei rimasta fino all’annuncio del suo fidanzamento con mia figlia, ma quella è un’altra storia.