Sottomissione di una Manager 1 - Un locale pericoloso
Quando, camminando spediti tra la folla, mi resi conto che nessuno mi cagava più di tanto, mi sentii comoda e a mio agio, soprattutto grazie ai miei scarponcini, robusti e leggeri.
Con una certa dimestichezza, Nunzio infilò un vicoletto laterale, da qui raggiungemmo una stradina che, alla fine, ci portò in un piccolo cortile, abbastanza fuori mano. Una porticina, sotto una scritta, fiocamente illuminata, portava ad una scala, che scendeva al di sotto del livello della strada.
Sul cartello di legno, in caratteri fatti col neon, c’era scritto semplicemente: HARD.
Due buttafuori, all’ingresso, ci squadrarono ma poi ci lasciarono passare, come se ci avessero riconosciuti.
Discese le scale, arrivammo in un locale, molto più ampio di quanto avessi potuto immaginare. Probabilmente era un vecchio magazzeno; i soffitti erano formati da volte a botte, che s’incrociavano su enormi pilastri quadrati.
Il rivestimento era a mattoncini rossi, molto vecchi, forse era quello originale; l’arredamento era in legno scuro e anch’esso aveva un aspetto estremamente vissuto, ma robusto.
Non c’era odore di umido né aria stantia, era vietato fumare, però il calore umano che emanava dai numerosi clienti era tangibile.
Notai che qualcuno sorrideva a Nunzio, compreso il barista, un bel ragazzo di colore dalla faccia simpatica. Lui, invece, faceva del suo meglio, per evitare di mettersi troppo in vista, come non volesse farsi notare.
- Insomma - gli dissi all’orecchio - qui ti conoscono bene?
Pronto, rispose: - Ma che dici? Manco da questo paese da almeno tre anni. L’ultima volta ci sono stato con degli amici... mi sembrò carino. Qui salutano tutti perchè sono socievoli. – Non aggiunse altro.
Sedemmo al bancone, sugli sgabelli. Nunzio ordinò una birra scura, io chiesi un Martini Gold con ghiaccio.
Approfittai della sosta per ambientarmi... c’era gente ma non era proprio pieno. Controllai qualche sguardo più insistente che mi sentivo addosso, per cercare di capire l’effetto che facevo sui presenti. Un pizzico di vanità lo devo pur confessare e mi piacque scoprire una punta di apprezzamento e di desiderio, in chi mi osservava.
Notai anche, non troppa sorpresa, che, a studiarmi, erano sia maschi che femmine.
Accavallai le gambe con civetteria, stando bene attenta a non far capire che razza di mutande indossavo... comunque provai a mettermi a mio agio. Constatai che, nonostante l’abbigliamento da gita scolastica, il mio bel corpicino non passava inosservato. Dopotutto, ero ancora giovane e mi tenevo in allenamento, per il piacere di sentirmi sana.
Pur non essendo altissima, sono un tipo slanciato. Nonostante l’età mi avesse reso molto femminile, adornandomi di piacevoli rotondità nei punti giusti: come il mio culetto, ad esempio, che in ufficio cercavo di mascherare con i tailleur, per non creare disagio o false illusioni.
Insomma pur essendo sobria e riservata, non ero certo una racchia, anzi. E questo mi piaceva! Nascondere un po’ la mia femminilità, senza ostentare troppo mio corpo, era una sensazione del tutto privata e intima, sul lavoro.
Adoravo donarmi al mio partner, soprattutto le prime volte, quando mi scopriva un poco alla volta, restando sempre più sorpreso e felice dei miei inattesi “doni” erotici e sensuali.
Amavo sorprendere insomma... forse perché, comunque, rappresentava il mio carattere e il mio desiderio di essere sempre quella che dirige il gioco.
Nel locale c’erano tavolini e panche; la musica era soft, così come le luci.
Solo sul fondo, una zona illuminata da faretti, inquadrava uno spazio diverso, un quadrato, pavimentato di mattonelle, di cui non capivo lo scopo.
Ma dopo una decina di minuti, sul bordo prospiciente la zona illuminata, due ragazze presero posizione, l’una di fronte all’altra. Erano coperte entrambe dal kimono, quello da lotta giapponese. Tenevano una spada in mano, probabilmente finta.
Una era una biondina ma non sembrava slava, forse più inglese, come tipo. Leggermente in carne, aveva un aspetto abbastanza scialbo, da classica studentessa fuori corso. Di fronte a lei una orientale, forse giapponese, dal corpo sottile e flessibile come un giunco.
Una voce, dagli altoparlanti, presentò le due, in inglese.
Una musica ritmata seguiva l’esibizione delle due “gattine”: consisteva in una danza che simulava un combattimento, almeno credo, da lontano non si vedeva troppo bene.
Pian piano le combattenti attrassero l’attenzione su di loro, perché sotto ai Kimono erano completamente nude e totalmente depilate. Mentre si esibivano, si vedevano i seni e le parti intime, che facevano capolino a ogni mossa, sotto l’abito bianco,.
Le ragazze fingevano anche di tentare di ricomporsi ma era tutta scena, infatti, il loro fingere di trattenere le vesti, non faceva che rendere più eccitante lo spettacolo.
Le spade vorticavano nell’aria e colpivano, fermandosi al primo contatto, probabilmente senza fare troppo male.
Gli spettatori gongolavano e le incitavano: si fecero più attenti quando le due, con mosse abili e rabbiose, iniziarono a spogliarsi e a bloccarsi tra di loro, mimando pose sempre più sconce.
Ci spostammo per metterci più a favore del palco e vidi che le ragazze, nel corpo a corpo, mimavano operazioni sessuali da lesbiche.
Vicino a loro si sentiva l’odore intenso del sudore: l’atmosfera era calda, e notai che molti uomini avevano la patta gonfia, senza preoccuparsi di nascondere la loro erezione. C’erano anche molte ragazze: alcune si muovevano sui sedili, ancheggiando e toccandosi le gambe, eccitate.
Nelle file più nascoste, vidi un vecchio, con l’aspetto da marinaio, che si masturbava con la mano verso il basso, sotto il tavolo. Ne rimasi sbalordita!
L’uomo era seduto al limite della panca, le gambe aperte, quasi ad inginocchiarsi sul pavimento, con un avambraccio si sosteneva al tavolaccio a cui era appoggiato, mentre, con la mano libera, si mungeva il pene, che era talmente lungo da sembrare finto.
Sgomitai Nunzio, esterrefatta, mentre notavo che anche altre ragazze gettavano l’occhio a quella scena.
- Non ci fare caso – rise Nunzio, come se niente fosse – credo sia solo un attore, fa parte dello show!
- Cosa? – Ero allibita: ma che razza di posto strano era mai quello?
Ora le ragazze avevano finito di combattersi. Si portarono sui bordi di quello spazio vuoto, illuminato, si misero a quattro zampe, come pecorelle. Chi conosceva “il gioco” si avvicinava e leccava, con fervore, le loro parti intime, dilatate e sudate e, magari, erano anche venute durante la lunga esibizione.
Dopo essersi rifocillati nella figa o nell’ano aperto, i clienti gettavano banconote sulle loro schiene. Poi le ragazze, ringraziarono e andarono via.
Controllai la panca del vecchio sporcaccione: era sparito, probabilmente Nunzio aveva visto giusto.
Viste le stranezze che capitavano e la disinvoltura con cui lui le recepiva, ero sempre più convinta che conoscesse molto bene quel locale.
Comunque aveva avuto ragione, quella serata si presentava davvero diversa.
Complice il Martini, mi sentivo allegra e su di giri.
Intanto, come avevo giustamente intuito, il locale si affollava sempre più, man mano che la notte avanzava.
Nota: Presentazione audio a scopo promozionale
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